L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 28 febbraio 2015

Senza industria niente paese, governo pagliaccio


Ansaldo – Dieni (M5S): ‘Renzi grande rottamatore della storia industriale del nostro Paese’

martedì 24 febbraio 2015
17:42



“La vendita di Ansaldo Breda s.p.a., comprese le ex Officine Omeca, e di Ansaldo STS da parte di Finmeccanica alla giapponese Hitachi L.t.d. è l’ennesima dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, dell’inconsistenza delle parole del Presidente del Consiglio Matteo Renzi.” E’ senza mezzi termini che la deputata del Movimento 5 Stelle Federica Dieni boccia l’operazione della controllata pubblica nella cessione degli asset relativi al trasporto ferroviario.
“Ricordo che Renzi solo il 14 agosto scorso, durante una delle sue passerelle a Reggio Calabria, garantiva che le Omeca (Officine meccaniche calabresi) di Reggio Calabria non avrebbero chiuso e che erano ingiustificate le preoccupazioni delle famiglie e dei lavoratori, dato che Finmeccanica garantiva lavoro per tutto il 2017. Tali certezze sembravano incrinarsi durante il tour sul cocchio trionfale bifamiliare del neogovernatore Oliverio e del sindaco Falcomatà alla fine di novembre. In quella occasione il premier, infatti, in uno dei suoi rari momenti di silenzio, lasciava che fosse il Presidente della Calabria a dire che le Omeca non dovevano essere chiuse, in quanto ‘esempio concreto delle potenzialità, in termini di qualità e innovazione tecnologica della Calabria, e delle eccellenze prodotte in questa struttura e nell’intera regione’. Oggi la notizia non è quella della chiusura ma della vendita delle Omeca, insieme al resto dell’Ansaldo Breda e Ansaldo STS. Eppure balza all’occhio il fatto che i sindacati dichiarino che non è noto alcun piano industriale.”
“Se questo è vero mi chiedo se il Presidente del Consiglio si senta oggi di confermare quanto diceva appena ad agosto, dando prova che le sue promesse riescono almeno ad arrivare alla scadenza di sei mesi. Nel frattempo non possiamo che prendere atto del fatto che un’altra eccellenza nazionale è stata liquidata. Riconosciamo a Renzi, sotto questo punto di vista, un indiscutibile successo, nella sua opera di rottamazione: con la storia industriale del nostro Paese ci riesce benissimo.”

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si i detenuti possono lavorare per mantenersi

Frescobaldi a Gorgona raddoppia le vigne curate dai detenuti

26 febbraio 2015

Attualità Livorno foto di archivio foto di archivio
 foto di archivio
Prosegue il progetto sociale ‘Frescobaldi per Gorgona’: oggi sono iniziati i lavori per raddoppiare il piccolo vigneto curato direttamente dai detenuti dell’ultima ‘isola carcere’ in Italia, nell’arcipelago toscano, sotto la guida di Lamberto Frescobaldi, presidente della Marchesi de’Frescobaldi, e del suo staff. Un nuovo ettaro di Vermentino si aggiunge a quello già in produzione e che ad oggi ha regalato tre vendemmie. La produzione è un numero selezionatissimo di bottiglie numerate, dalle 2700 del 2012 alle 3200 della vendemmia 2014, di vino bianco a base di uve Ansonica e Vermentino battezzato appunto ‘Gorgona’. L’obiettivo ‘Frescobaldi per Gorgona’ è dare ai detenuti la possibilità di imparare il mestiere del viticoltore e di fare un’esperienza professionale concreta in vigna sotto la supervisione degli agronomi e degli enologi della storica azienda vitivinicola toscana, che ha avuto in affitto per 15 anni le vigne dell’isola. Il progetto di collaborazione tra l’azienda Frescobaldi e il penitenziario dell’isola Gorgona, è iniziato tre anni fa e prosegue oggi sotto l’occhio vigile del direttore dell’istituto Carlo Mazzerbo. Attualmente nei vigneti della Gorgona lavorano, a rotazione, sei dei settanta detenuti che vivono sull’isola. “Anche questo secondo ettaro di vigna ha uno scopo profondo, coinvolgente ed educativo per i detenuti – ha sottolineato Lamberto Frescobaldi -. E’ un modo per insegnare loro un mestiere e dargli anche qualcosa a cui pensare per portare la mente altrove”. “Con questo nuovo ettaro – ha concluso – puntiamo a portare, nei prossimi anni, la produzione a circa 6 mila bottiglie che raccontino l’unicità di questo luogo ma anche l’eccellenza italiana”.

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a gennaio 2016 l'Iva aumenterà, se non si fanno trucchi contabili, e si ha tempo perchè con il Jpbs Act si son tolti tutele al lavoro

ANALISI

Legge di stabilità, perché l'Italia non può stare serena

Il Pil risale. E i conti superano l'esame di Bruxelles. Grazie a un trattamento soft. Ma dal 2016 cambia musica: gli sforzi richiesti raddoppiano. Spread sotto i 100.

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27 Febbraio 2015
da Bruxelles
 
Sono giorni di buone notizie, a Roma. Arrivano dai mercati (dove lo spread è sceso sotto i 100 punti per la prima volta dal 2010), dall'Istat (che prevede un aumento del Pil nel primo trimestre del 2015) ma soprattutto da Bruxelles.
Lì la Commissione europea, dopo settimane di riflessioni e valutazioni, ha deciso di non aprire alcuna procedura per il debito italiano. L'Ue ha tenuto conto dei cosiddetti «fattori rilevanti», riforme del governo in primis, e ha promosso la legge di stabilità senza chiedere interventi correttivi.
UNA DECISIONE POLITICA. Una decisione più politica che tecnica, tanto che l'esecutivo europeo ha deciso di renderla nota subito dopo la riunione del collegio dei commissari, anche se la data ufficiale della comunicazione era fissata per il 2 marzo.
Invece nel tardo pomeriggio del 25 febbraio è stato il vicepresidente dell'esecutivo comunitario Valdis Dombrovskis insieme con il commissario per gli Affari economici Pierre Moscovici a parlare. I documenti sono stati forniti in seguito, a testimoniare, come se già non fosse chiaro, che per una volta ai numeri si mettevano avanti le parole, e ai tecnici i politici.
L'ITALIA NON È PIÙ L'ULTIMA DELLA CLASSE. Anche se poi i risultati ci sono davvero: per una volta l'Italia non è stata l'ultima della classe, ma è stata addirittura presa come esempio. «Se la Francia avesse fatto gli sforzi che ha fatto l'Italia oggi non saremo qui a discutere», avrebbe detto il commissario tedesco Oettinger. Durante il collegio le discussioni più accese sono state infatti proprio su Parigi, a cui alla fine sono stati concessi altri due anni per riportare il deficit sotto il 3%.
Ma che cosa significa esattamente questa decisione per l'Italia? Come è stata presa e quali sono i futuri impegni a cui il Paese deve tener fede? Ecco un breve memorandum di come si è arrivati alla promozione.
 

1. Come si è arrivati all'ok: prima il sì condizionato, poi il via libera

Il 28 novembre 2014, la Commissione aveva pubblicato la sua valutazione dei documenti programmatici di bilancio presentati dagli Stati membri dell'Eurozona. Per sette Paesi (Belgio, Spagna, Francia, Italia, Malta, Austria e Portogallo) aveva denunciato un rischio di non conformità con i requisiti del Patto di stabilità e crescita.
TRE PAESI NEL MIRINO. In quell'occasione l'esecutivo chiarì che avrebbe riesaminato nel giro di pochi mesi la situazione di Francia, Italia e Belgio per valutare eventuali provvedimenti nell'ambito della procedura per i disavanzi eccessivi.
La valutazione si è basata sulle previsioni di inverno 2015 della Commissione e sulla presentazione delle leggi di bilancio per il 2015 con la specifica dei programmi di riforme strutturali annunciate dalle varie autorità nazionali nelle loro lettere mandate al Bruxelles il 21 novembre.
IN ANTICIPO SULLA TABELLA DI MARCIA. Da allora ci sono stati numerosi scambi tra questi Paesi, che hanno portato alla decisione defintiva il 25 febbraio.
È la prima volta che la Commissione presenta il pacchetto di sorveglianza economica e pubblica le relazioni nazionali sulle leggi di stabilità così presto nel ciclo del semestre. In passato, questi rapporti erano sempre stati presentati insieme con le raccomandazioni Paese per Paese a maggio o giugno. Un anticipo della data di pubblicazione di tre mesi per avere più tempo per studiare le varie analisi e avviare nuove discussioni tra Ue e Stati membri.

2. Quali sono stati i fattori rilevanti: dalla recessione alle riforme

La Commissione europea non ha aperto la procedura per debito eccessivo, anche se «non sono ancora raggiunti gli obiettivi di medio termine», perchè ha deciso di tener conto dei cosiddetti «fattori rilevanti».
Che sono tre: la recessione, la sostenibilità fiscale e le riforme decise dal governo italiano.
CONDIZIONI SFAVOREVOLI. In primo luogo le attuali condizioni economiche sfavorevoli caratterizzate da bassa crescita nominale, che rendono particolarmente difficile il rispetto delle regola del debito. In secondo, l'aspettativa che il Paese sia ampiamente osservante del richiesto aggiustamento verso l'obiettivo di medio termine.
E infine la corrente messa in atto di ambiziosi piani di riforme strutturali. Tra queste il Jobs Act, che «ha fatto decisivi cambiamenti nella legislazione di protezione del lavoro e nei benefici per la disoccupazione per migliorare l'entrata e l'uscita dal mercato del lavoro», si legge nel documento della Commissione.
SENZA FLESSIBILITÀ, CORREZIONE BRUTALE. «L'applicazione rigida della regola del debito avrebbe richiesto una correzione troppo brutale, avrebbe messo l'Italia in una situazione economica insostenibile», ha spiegato il commissario Moscovici.
Si sarebbe infatti arrivati a una correzione del 2% del Pil, ma «per un Paese che ha conosciuto quattro anni di recessione consecutivi sarebbe stata troppo brutale e avrebbe messo l’Italia in una situazione insostenibile, quindi abbiamo ritenuto sufficiente lo sforzo budgetario previsto per il 2015».

3. Come viene applicata la regola del debito: trattamento soft per tre anni

Il debito però continua a salire. Secondo le regole Ue (Fiscal compact) i governi devono ridurre ogni anno il loro indebitamento di 1/20 della parte eccedente il 60% del Pil, quota sotto cui sono obbligati a rimanere.
L'Italia ha invece superato il 130% (132,2%), ma visto che è ancora in fase di transizione (dopo l'uscita dalla procedura di deficit eccessivo nel 2012), l'esecutivo europeo ha deciso di non applicare - per ora - la regola del ventesimo: quello avverrà dal 2016 in poi.
LA FASE DI TRANSIZIONE STA PER FINIRE. Il Trattato europeo è recepito con una sorta di legislazione secondaria secondo la quale, quando un Paese esce dalla procedura di deficit eccessivo, entra in un periodo di transizione di tre anni prima che sia sottoposto alla piena applicazione della regola del debito.
In questo periodo la Commissione cerca di capire se il Paese sta facendo uno sforzo strutturale sufficiente: all'Italia, secondo gli ultimi calcoli della Commissione, è stato chiesto di fare un aggiustamento strutturale (che è quello che poi ha un impatto sulla riduzione del debito) dello 0,25% grazie alle nuove regole della flessibilità.
ROMA RESTA SORVEGLIATO SPECIALE. In ogni caso, il 25 febbraio la Commissione ha specificato che gli elevati livelli di debito pubblico per alcuni Paesi, tra cui l'Italia, continuano a essere un problema e «sono fonte di preoccupazione», come ha ricordato Moscovici.
L'Italia resta quindi nella categoria dei «sorvegliati speciali» per squilibri macroeconomici, dove si trova dal 2014 insieme ai Paesi che hanno un debito e deficit eccessivo e rischiano una procedura.
Diventa così cruciale la piena implementazione delle riforme strutturali in atto e in programma. Moscovici ha infatti auspicato «sforzi di bilancio sufficienti per assicurare la riduzione del debito».

4. Cosa succede adesso: dal 2016 Bruxelles sarà più severa

L'Italia, dunque, si salva ma solo per il momento. I problemi non sono infatti stati risolti, solo rinviati all’anno prossimo, quando le migliorate condizioni congiunturali obbligheranno il Paese a una correzione del deficit strutturale dello 0,5%.
Perché se fino al 2015 Roma era 'convalescente', ora - nonostante l'output gap (la differenza tra l'andamento attuale del Pil e quello potenziale) sia ancora basso - la crescita è positiva.
A MARZO L'ECOFIN. I pareri della Commissione sulle leggi di stabilità pubblicati il 25 febbraio dovranno ora essere presentati al Consiglio europeo. A marzo, durante l'Ecofin, i ministri dei 28 Stati membri ne discuteranno.
Sempre a marzo, la Commissione organizzerà un altro giro di incontri bilaterali con gli Stati membri per discutere con ognuno di loro i vari rapporti nazionali, i cosiddetti Country Reports.
A metà aprile, poi, i Paesi dovranno presentare i rispettivi programmi nazionali per le riforme volte a sostenere l'occupazione e la crescita e quelli di stabilità o convergenza necessari per il risanamento delle finanze pubbliche.
ASPETTANDO MAGGIO. In base a questi documenti forniti, la Commissione elaborerà a sua volta le previsioni economiche di primavera e la lista delle raccomandazioni specifiche per Paese: un report per l'anno 2015-2016 sulle priorità più importanti da affrontare, che sarà presentato a maggio.
Sarà allora che si farà di nuovo il punto della situazione per quanto riguarda la situazione macroeconomica di tutti gli Stati dell'Ue e dell'area euro e si deciderà se aprire ulteriori procedure di infrazione per disavanzi eccessivi o squilibri macroeconomici.

Giusto, l'Iran è un'altro referente, insieme all'Egitto della nostra politica nel mediterraneo e nel Medio Oriente

Iran: Gentiloni vola a Teheran, vede Rohani e Zarif/Aki

Prende il via in serata il viaggio in Iran del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che tra domani e domenica avrà una serie di colloqui a Teheran con le autorità locali, tra le quali il presidente Hassan Rohani, l'omologo Mohammad Javad Zarif, il presidente del parlamento Ali Ardashir Larijiani e l'ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani. Tutti di stretta attualità i temi in agenda, dalla minaccia dello Stato islamico (Is) ai negoziati internazionali sul controverso programma nucleare di Teheran, senza dimenticare i rapporti bilaterali e le loro potenzialità.
E' la seconda volta in poco più di un anno che un ministro italiano degli Esteri visita la Repubblica Islamica. A dicembre 2013 era stata l'allora capo della Farnesina Emma Bonino a volare a Teheran, il primo ministro degli Esteri italiano a farlo da 10 anni, complici le aperture dimostrate dal presidente Hassan Rohani, insediatosi ad agosto 2013. Le autorità iraniane sono coscienti ed apprezzano il ruolo di apripista svolto nei loro confronti dall'Italia.
Come nel 2013, anche in occasione della visita di Gentiloni la necessità di fermare la guerra in Siria è un tema caldo dei colloqui, con Teheran che resta tra i pochi sostenitori del regime di Bashar al-Assad. Ma questa volta la situazione è resa più complessa dai successi dei jihadisti dell'Is, che hanno proclamato il califfato tra Iraq e Siria, sono approdati in altri paesi musulmani, primo tra tutti la Libia, e minacciano tanto gli altri Stati della regione quanto l'Occidente.
L'Iran non ha aderito alla coalizione internazionale guidata dagli Usa e impegnata in raid aerei contro l'Is in Siria e Iraq. E continua a ricorrere a una retorica antiamericana sulla questione della lotta al terrorismo, accusando l'amministrazione di Barack Obama di "avere le mani sporche di sangue", come ha detto più volte la Guida Suprema Ali Khamenei. Ma l'impegno di Teheran contro l'Is è costante, alla luce della minaccia che incombe ormai sui suoi confini.
E' da tempo confermato che i Guardiani della Rivoluzione addestrano militari e milizie sciite in Iraq, mentre non mancano testimonianze e video su una partecipazione degli iraniani ad alcune operazioni militari sul terreno. Forte, ma anche più problematica, la presenza iraniana in Siria, dove il 'nemico' di Teheran non sono solo i jihadisti, ma anche i ribelli appoggiati dall'Occidente, che gli Usa stanno per cominciare ad addestrare ed equipaggiare in Turchia. In nome del principio per cui tutti gli attori della regione dovrebbero essere chiamati ad assumere le proprie responsabilità nella soluzione della crisi siriana, da parte italiana si è sottolineata più volte la volontà di includere l'Iran in tale approccio.
Altro tema caldo è il programma nucleare iraniano, con Teheran e il gruppo 5+1 (membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania) impegnati in questi mesi in un difficile negoziato per un accordo definitivo che abolisca le sanzioni internazionali in cambio di una rinuncia autentica e verificabile della Repubblica Islamica a costruire armi atomiche. La missione cade in una fase particolarmente delicata per i negoziati, proseguiti a Ginevra nei giorni scorsi e che riprenderanno lunedì 2 marzo. La conclusione dei colloqui, già rimandata lo scorso novembre, dovrà avvenire entro il 30 giugno.
Ancora numerosi i nodi da sciogliere, dalla durata di un'eventuale sospensione del programma nucleare alla possibilità per l'Iran di continuare ad arricchire uranio, alla modalità di annullamento delle sanzioni, che Teheran vorrebbe immediata e la comunità internazionale graduale. Ma nelle ultime settimane si registrano segnali positivi, come il recente appello del segretario di Stato Usa John Kerry a Israele a non boicottare un accordo.
La soluzione della questione nucleare avrebbe un grosso impatto economico anche sull'Italia, che proprio a causa delle sanzioni internazionali, a partire dal 2012 ha conosciuto un drastico calo dell'interscambio con il paese del Golfo. Nel 2011 gli scambi bilaterali hanno raggiunto il record di 7,1 miliardi di dollari, ma tra gennaio e novembre del 2014 hanno raggiunto 1,4 miliardi (dati ISTAT).
In ambito europeo, l'Italia resta il secondo fornitore dell'Iran dopo la Germania. Ma dal 2006 il nostro paese ha registrato una perdita di circa 15 miliardi di euro di esportazioni, secondo l'Ice. Il settore più colpito è stato quello della meccanica strumentale, che copre oltre la metà dell'export italiano verso l'Iran e che ha subito perdite per oltre 11 miliardi dall'inizio delle sanzioni. L'Ice calcola che nel triennio 2014-2016, salvo una svolta positiva dei negoziati sulle sanzioni, l'Italia possa esportare verso la Repubblica Islamica beni per circa tre miliardi di dollari, a fronte dei 19 che avrebbe potuto esportare in assenza di provvedimenti restrittivi.

http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2015/02/27/iran-gentiloni-vola-teheran-vede-rohani-zarif-aki_Au33UeRwIZ7imL3C69xUQN.html

Napolitano, uomo della Cia, è possibile

 Di Battista a Servizio Pubblico: “Napolitano uomo della Cia”

Nell'ultima puntata di 'Servizio Pubblico', Alessandro Di Battista accusa l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

 

Nell’ultima puntata di Servizio Pubblico, il deputato Alessandro Di Battista accusa l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Del resto Napolitano è sempre stato un uomo della Cia anche se mentre era Presidente della Repubblica non si poteva dire”.
Il conduttore Michele Santoro replica: “Lei lo dice e lei se ne prende la responsabilità”, mentre Di Battista ribatte: “Certo, mi prendo la responsabilità delle mie parole, ma so quello che dico. Napolitano era nella Cia già quando era dentro il Partito Comunista, ed ora ho finalmente facoltà di dirlo”.

https://www.blogdiattualita.it/di-battista-servizio-pubblico-napolitano-uomo-della-cia-12949.html

Grecia, il popolo per non morire sarà costretto ad uscire dall'Euro, ancora gli manca la consapevolezza


  • 27 Feb 2015 12.23

La Grecia non può vincere

Gwynne Dyer
Il primo round della battaglia per l’euro si è concluso, e l’ha vinto la Germania. In realtà a vincere è stata l’Unione europea, ma sono stati i tedeschi a stabilire la strategia. Tecnicamente, il problema è stato rimandato di quattro mesi prolungando il piano di aiuti già esistente, ma l’aspetto cruciale emerso negli ultimi giorni è che i greci non possono vincere, né ora né in futuro.
Il 25 gennaio Syriza ha conquistato il potere in Grecia promettendo di spazzare via l’austerità che ha trascinato un terzo della popolazione al di sotto della soglia di povertà e di rinegoziare il piano d’aiuti da 240 miliardi di euro concordato con l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale (Fmi). Gli elettori greci volevano solo porre fine a sei anni di dolore e privazioni, e Syriza gli ha offerto una speranza. Ma da allora non ha fatto altro che battere in ritirata.
Durante la campagna elettorale Syriza ha promesso 300mila nuovi posti di lavoro e un aumento sostanzioso del salario minimo (da 585 a 760 euro). Dopo le trattative della settimana scorsa con l’Ue e l’Fmi, tutto ciò che resta è la promessa di espandere l’attuale programma di impiego temporaneo per i disoccupati e un “progetto” di aumentare il salario minimo “nel tempo”.
La promessa di garantire elettricità e cibo gratis per le famiglie senza reddito è ancora valida, ma allo stesso tempo il governo del primo ministro Alexis Tsipras ha garantito all’Unione europea e all’Fmi che la sua “lotta contro la crisi umanitaria non avrà effetti negativi dal punto di vista fiscale”. In altre parole, Atene non investirà in questi progetti se prima non taglierà la spesa in altri settori.
Soprattutto, Syriza ha dovuto rimangiarsi la promessa di non prorogare il piano di salvataggio, e ha dovuto accettare un prestito ponte di 4 mesi sottoposto alle stesse, durissime restrizioni sulla spesa pubblica (anche se al governo greco è stato concesso di riscriverle a parole sue). Il prestito scadrà alla fine di giugno, subito prima della scadenza di più di sei miliardi di euro di obbligazioni.
Quindi ci aspettano altri quattro mesi di guerra d’attrito e poi un’altra crisi, da cui la Grecia uscirà nuovamente sconfitta. Atene perderà in parte perché non c’è motivo di concederle un trattamento speciale e in parte perché l’Unione europea non crede che i greci avranno il coraggio di uscire dall’euro.
Il peso del debito greco è spaventoso (più di 25mila euro per abitante). Non potrà mai essere ripagato, e alla fine dovrà essere cancellato o “rinviato” a un futuro indefinito. Ma di sicuro non ora, in un momento in cui altri paesi dell’euro come la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda stanno cercando (con qualche successo) di ripagare il loro debito, sostanzioso, ma inferiore a quello greco. Se la Grecia ottenesse un trattamento speciale, lo pretenderebbero anche gli altri.
La causa dell’accumulo del debito è la stessa in tutti i casi: l’euro era una moneta stabile e a basso interesse che le banche erano ben felici di prestare, anche a paesi europei a basso reddito e nel bel mezzo di un boom insostenibile perché chiaramente alimentato dall’accumulo di debito. E così tutti i paesi meridionali dell’Ue (più l’Irlanda) hanno accumulato debiti. Ma nessuno l’ha fatto tanto quanto la Grecia.
Il boom greco è durato per gran parte del primo decennio di vita dell’euro, a partire dal 1999. I greci di classe media acquistavano auto tedesche, vini francesi, prodotti di lusso italiani e quant’altro, mentre i ricchi e le persone con legami politici ammassavano patrimoni pagando pochissime tasse. Alla fine i governi greci sono stati costretti a mentire sulle dimensioni del debito pubblico.
Il ministro delle finanze del nuovo governo, Yanis Varoufakis, ha descritto in modo impietoso l’atmosfera di quel periodo: “I cittadini comuni si erano convinti che la Grecia fosse in cima al mondo. Grazie alla nostra straordinaria astuzia la Grecia riusciva a combinare divertimento, sole, xenýchti (notti brave) e la più alta crescita del pil in Europa”. Poi nel 2008 è crollato tutto, e “l’autocommiserazione si è sostituita all’esaltazione, ma la presunzione è rimasta al potere”, conclude Varoufakis.
È per questo che gli altri paesi dell’Ue sono poco solidali con la Grecia. Inoltre l’Europa (a cominciare dalla Germania) si è convinta che l’uscita della Grecia dall’euro non sarebbe un disastro. Gli altri Pigs (Portogallo, Italia e Spagna) sono in condizioni finanziarie molto migliori, e Bruxelles non ha più paura che il contagio della Grecia possa diffondersi agli altri paesi del Mediterraneo. L’Europa non crede più che l’uscita della Grecia possa far crollare l’intero edificio della moneta unica, e sa bene che la stragrande maggioranza dei greci non vuole lasciare l’euro o l’Ue. Per questo gioca duro.
Il 24 febbraio, al momento di rendere pubblico l’accordo provvisorio, Alexis Tsipras ha cercato di fare buon viso a cattivo gioco annunciando che la Grecia “ha vinto una battaglia ma non la guerra”. In realtà Atene ha perso la prima battaglia, com’era prevedibile. Ci vorrà del tempo prima che perda l’intera guerra, ma probabilmente è un risultato inevitabile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)

http://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2015/02/27/la-grecia-non-puo-vincere 

Popolo greco con la pistola puntata sulla tempia, un assurdo tedesco

La Grecia rischia di finire i soldi, nonostante l'accordo con i creditori
 
Atene deve infatti ripagare 1,5 miliardi di euro al Fondo Monetario Internazionale entro marzo, e i partner della Grecia sembrano essere intenzionati ad utilizzare questa scadenza per fare pressioni sul governo Tsipras.
L'accordo-ponte di quattro mesi prevede infatti che la Grecia abbia tempo fino alla fine di giugno per completare la propria parte del programma e ricevere così i 7,2 miliardi di euro che le servono per rimanere a galla.
Il problema è che questi soldi non arriveranno fino a quando il nuovo programma del governo greco, che dovrebbe essere presentato nelle prossime settimane, non sarà giudicato soddisfacente dai creditori. Le scadenze però incombono, e la Grecia non ha molte opzioni per trovare altrove il denaro che le serve nel breve periodo.
I creditori sperano in questo modo di mettere Tsipras davanti ad una possibile crisi di liquidità, e quindi costringerlo ad approvare più in fretta il nuovo piano di riforme, possibilmente prima della fine di aprile ovvero quando il denaro dovrebbe essere sbloccato.
Il governo greco potrebbe cercare di battere altre strade per ottenere quei (relativamente) pochi spiccioli necessari per sopravvivere peri prossimi due mesi, ma le alternative presentano tutte alcuni problemi importanti che le rendono irrealizzabili.
Bisogna innanzitutto escludere, a meno di colpi di testa del governo, la possibilità che Tsipras tenti di finanziarsi ricorrendo al mercato. I tassi di interesse greci sono a livelli proibitivi, e gli unici titoli che potrebbero essere emessi sono quelli a brevissimo termine, tre o sei mesi.
Purtroppo però la cosiddetta Troika, morta-ma-non-troppo, ha fissato le emissioni di nuovo debito pubblico ad un massimo di 15 miliardi. Questo tetto è già stato raggiunto, e infrangerlo unilateralmente significherebbe far saltare il tavolo.
La Grecia potrebbe provare a rivolgersi alla Banca Centrale Europea, seguendo principalmente due strade: la prima è provare ad ottenere i profitti che ha guadagnato la Banca centrale europea attraverso l'acquisto di bond greci (circa due miliardi, che solitamente vengono rigirati ad Atene); la seconda, invece, prevede l'uso del denaro avanzato dal fondo di stabilità finanziaria per le banche greche (11 miliardi non utilizzati dagli istituti di credito).
Il problema in questo caso è che i fondi sono soggetti ad un certo grado di discrezionalità da parte della BCE e dei partner di Atene, i quali difficilmente daranno il proprio assenso. I profitti della BCE infatti possono essere sbloccati solo in presenza del piano di salvataggio, che al momento è in alto mare (e Draghi non sembra voler concedere troppi margini), mentre le rimanenze del Fondo Salva Grecia dovrebbero ritornare nelle casse lussemburghesi dell'ESM, stando a quanto deciso dai ministri delle finanze europei.
La strada più facile sembra quindi essere quella di fare presto queste riforme, ovvero presentare un piano maggiormente dettagliato da presentare ai creditori, che già si sono lamentati per la vaghezza del piano presentato da Yanis Varoufakis.
Se la situazione non dovesse sbloccarsi, c'è il rischio che il governo decida di bloccare i pagamenti ai propri fornitori salvando un po' di liquidità. Si tratterebbe comunque di una manovra che permetterebbe alla Grecia di rimanere a casa solo poche settimane: il governo spende intorno ai 5 miliardi al mese, e a cittadini e aziende greci quel denaro non può mancare molto a lungo, visto che già oggi la situazione economica è drammatica. Tsipras già sta subendo pressioni (anche violente) perché gestisca l'"emergenza umanitaria".
Inoltre una volta pagati i debiti primaverili per circa 2,5 miliardi di euro, la Grecia dovrà rimborsare crediti per otto miliardi di euro in estate, cifra non rimborsabile se la Grecia vorrà contare solo sulle proprie (deboli) forze.
Stando così le cose, a Tsipras non rimane che dimostrare che vuole davvero rimettere in piedi la Grecia, adottando in fretta delle riforme sempre più necessarie per resuscitare l'economia greca.

la Consorteria Pd al governo vuole, fortemente vuole assoggettare la magistratura al potere esecutivo

L’intervista

Responsabilità civile dei magistrati: legge necessaria o rischiosa? Risponde Giovanni Grasso, consigliere del TAR Campania

«Il problema sta nel fatto che, per esempio, il giudizio di colpa è stato esteso al travisamento del fatto o delle prove. Ora qui si annida un evidente pericolo, che dipende da come la norma sarà, in concreto, applicata ed interpretata»


Sì definitivo dell’Aula della Camera al disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Il testo è stato approvato con 265 sì, 51 no e 63 astenuti. Il dott. Giovanni Grasso, Consigliere del TAR Campania, ci spiega la sua posizione in merito.

«Io non ho, sul tema, né un opinione pregiudizialmente critica, né totalmente favorevole. Come sempre accade, il problema non consiste nel prevedere una forma di responsabilizzazione o non prevederla affatto ma, piuttosto, nel garantire un difficile equilibrio tra diverse esigenze. Da un lato, il diritto del cittadino di rivalersi nei confronti dell’amministrazione della giustizia quando subisce un torto; dall’altro, garantire, con la serenità di giudizio e di operato del singolo giudice, il valore fondamentale dell’indipendenza della magistratura nel complesso, fondamentale baluardo per la tutela di tutti i cittadini. Occorre, quindi, assicurare ad essa un filtro protettivo contro eccessi ed abusi: se questo dovesse mancare, potrebbe accadere che i magistrati, per una sorta di quieto vivere, prendano a dispensare una “giustizia difensiva”, poco coraggiosa e timorosa di tutelare proprio i cittadini più deboli e meritevoli».

La legge, soprattutto a livello mediatico, è stata introdotta dal nostro Governo come una necessità imposta dalla Comunità Europea, ma è davvero così e come funziona negli altri ordinamenti?
«Ecco, questo genere di valutazioni, del tutto errato, è proprio di quelli che finisce per orientare in modo poco serio il dibattito sul tema. Innanzitutto, è falso che nel contesto europeo la regola sia quella appena introdotta: a parte il caso della Gran Bretagna, per esempio (che, come del resto accade negli Stati Uniti, assicurano, in forza di una risalente e mai discussa tradizione, una immunità assoluta alla magistratura) si può ricordare il caso dell’Olanda (in cui esiste la responsabilità dello Stato per gli errori giudiziari, ma senza ricaduta sul singolo magistrato, o della Francia, in cui la responsabilità è limitata al caso, obiettivamente grave, del dolo. La verità è che il dibattito che ha preceduto le recenti modifiche normative si è basato su una vicenda - quella che ha coinvolto la Corte di giustizia europa nella affermazione della responsabilità degli Stati per la violazione, anche da parte dei giudici, del diritto euro comune - che non ha nulla a che fare con la responsabilità civile dei magistrati: la quale resta, come ho detto, una ipotesi possibile. Lo ribadisco: ogni Paese ha la sua civiltà giuridica e nel nostro la regola della responsabilità civile indiretta del magistrato era già codificata. Si è voluto renderla più incisiva: non si deve essere ostili per principio alle modifiche introdotte, ma il timore di esiti indesiderati non può essere, allo stato, fugato. Lo ripeto: il rischio più grave è quello di condizionare, per paura di ritorsioni, la libertà dei giudici di decidere sempre secondo scienza e coscienza, di indurre, per quieto vivere, una mentalità conformista e “burocratica”.

La norma fa un riferimento preciso a “dolo” e “colpa grave”, cosa ne pensa in merito?
«Sul criterio di imputazione, dolo e colpa grave appunto, io sono totalmente d’accordo: la formula è quella comune, che si applica a tutti i pubblici funzionari. Del resto esisteva già nella formulazione della legge precedente, sotto questo profilo non cambia nulla. Il problema sta nel fatto che, per esempio, il giudizio di colpa è stato esteso al travisamento del fatto o delle prove. Ora qui si annida un evidente pericolo, che dipende da come la norma sarà, in concreto, applicata ed interpretata. Cosa significa, infatti, travisamento del fatto? Se si tratta di un obiettivo ed evidente “abbaglio” nella percezione dei fatti rilevanti per la decisione assunta, allora il criterio appare, tutto sommato, ragionevole: ma allora si tratta dello stesso criterio già presente nella precedente normativa. Se non è così, allora il rischio è di ritenere gravemente colposo qualunque errore commesso nell’apprezzamento dei fatti, che è semplicemente assurdo oltreché assai pericoloso. Insomma: il principio è giusto, la sua riscrittura lascia adito a qualche timore. Nello stesso senso si potevano creare dei “filtri”, magari diversi da quello preesistente, che garantissero il singolo da iniziative giudiziarie avventate, per impedire, insomma, che ogni processo “finito male” stimoli l’attivazione di un “processo al processo”, con ulteriore intasamento delle aule di giustizia, che non ne hanno affatto bisogno.

Nel quadro della nuova legge l’elemento più debole è forse proprio la soppressione del filtro, ossia niente più controlli preliminari di ammissibilità della domanda di risarcimento contro lo Stato...

«Appunto. Anche qui ci sono pro e contro. Si dice che il “vecchio” filtro aveva finito per creare alla magistratura una rete protettiva troppo resistente. Però legittimare l’azione in giudizio, sia pure indiretta, ma con l’obbligo della rivalsa, rischia di legittimare iniziative “senza rete”. Un buon modo, per esempio, per “delegittimare” qualche magistrato scomodo o coraggioso. Si sarebbe potuto fare diversamente, per esempio eliminando l’automatismo della rivalsa. O magari strutturando, come avviene, del resto, per tutti i pubblici dipendenti, la responsabilità in termini di danno erariale, affidando il relativo giudizio alla Corte dei Conti, dotata di opportuni poteri riduttivi.

Da quanto dice, molto si gioca sull’interpretazione del diritto che, superata la questione del macroscopico abbaglio, diventa pericolosa, facciamo un esempio pratico...
«È semplice: per un magistrato la garanzia di decidere liberamente secondo coscienza è fondamentale. E neppure bisogna vincolare la libertà di interpretare o reinterpretare le norme, favorendo letture “conservative”. Una cosa è creare regole immaginarie o creare interpretazioni “eversive”, altra cosa è non acquietarsi dell’esistente, proporre interpretazioni evolutive. Se così non fosse, neppure potrebbero emergere “nuovi diritti” nella vita di relazione, all’interno della famiglia o dei modelli familiari in rapida trasformazione, a salvaguardia dei soggetti più deboli.


Ponendosi invece nell’ottica del privato cittadino, lei non crede che come può sbagliare un medico, o qualunque altro professionista, possa sbagliare anche un giudice e quindi sia legittimo potersi rivalere?
«Ma certo. Il giudice va sicuramente sanzionato quando è scorretto, negligente, quando non sia e non appaia imparziale, quando leda, con i suoi atteggiamenti, il prestigio e l’autonomia della magistratura o, naturalmente, quando commetta addirittura reati. Che debba anche pagare per i suoi errori, quando questi siano dovuti ad una colpa grave, è altrettanto giusto. Sono i modi, le forme, i limiti di una responsabilità non “filtrata” ad essere pericolosi. Ma, certo, molto dipenderà, come sempre, dal modo con cui le nuove regole verranno interpretate ed applicate.
Io non sono, l’ho detto in premessa, pregiudizialmente contrario alla responsabilità civile dei magistrati. E’ giusto che, nel limite della colpa grave o del dolo, il magistrato risponda come qualunque altro cittadino, come un qualunque dipendente pubblico; il principio che debba rispondere degli errori gravi è un principio sacrosanto. Esprimo solo il timore che, soprattutto in determinati contesti, la tutela del cittadino danneggiato - che può ottenere il risarcimento dei danni dallo Stato - finisca, in presenza di regole non ben calibrate ed equilibrate, per sortire effetti indesiderati.

Lei come magistrato intende cautelarsi?
«Molti colleghi, che non lo hanno già fatto, si assicureranno. È fisiologico e giusto. Personalmente, non ci ho ancora pensato, ma tutto sommato penso che non lo farò. Conservando serenità di giudizio e libertà decisionale, confido, in fondo, che gli errori, che come tutti posso commettere, saranno sempre in buona fede e senza colpa. In fin dei conti, a fronte delle molte polemiche, non è inopportuno un segnale di fiducia».

La ringrazio per il prezioso contributo.
«Grazie a lei».

http://www.orticalab.it/Responsabilita-civile-dei

Ge, gli investimenti producono lavoro e ricchezza, l'industria è fondamentale


GE OIL&GAS, TURBINE E COMPRESSORI NUOVI PRODOTTI MADE IN TOSCANA

nuovo pignone

La multinazionale americana lancia sul mercato mondiale due progetti interamente sviluppati sul territorio. Sono la turbina NovaLT16 e i compressori di nuova generazione HPRC

Da oltre vent'anni la Toscana ospita una delle realtà industriali più importanti a livello mondiale. E' il colosso americano GE Oil & Gas, GE sta per General Electric. Uno dei centri di eccellenza mondiale nella produzione di turbine a gas, compressori centrifughi e industrial internet pronti ad essere installate negli impianti di tutto il mondo.
GLI STABILIMENTI IN TOSCANA - Ha due stabilimenti toscani: quello della Nuovo Pignone, alle porte di Firenze, e quello di Massa, di cui fa parte il cantiere di Avenza. Negli stabilimenti Nuovo Pignone viene gestito l’intero ciclo produttivo, dallo studio e dallo sviluppo di nuovi prodotti, alla produzione, alla commercializzazione, fino alla gestione post vendita, con i relativi servizi di assistenza al cliente.
I NUMERI - I numeri di GE Oil & Gas sono impressionanti. Il fatturato 2013 del Nuovo Pignone raggiunge quota 6 miliardi di dollari, che è una componente importante del fatturato mondiale da 18,7 miliardi. Anche il profitto della sede di Firenze è fondamentale per far quadrare i conti di GE nel mondo. L'anno scorso l'utile è stato di 1,4 miliardi di dollari a fronte di un utile complessivo mondiale di 2,6 miliardi. Sono 4.830 i dipendenti in Toscana, di cui 4.500 nella sede di Firenze. Se ne contano circa 5.700 in Italia e oltre 43.000 nel mondo come GE Oil & Gas globale.
I PRODOTTI MADE IN TOSCANA - GE Oil & Gas, che punta molto sulla formazione e sul componente ingegneristica, ha sviluppato due progetti interi in Toscana. Uno è la turbina NovaLT16. Un macchinario ad alto valore tecnologico che garantisce nuovi standard in termini di efficienza, riduzione delle emissioni e dei fermi macchina per la manutenzione programmata. La Regione Toscana ha dato una mano all'azienda mettendo a disposizione il Laboratorio di Sesta in provincia di Siena per la sua costruzione. NovaLT16 sarà utilizzato nei gasdotti destinati al trasporto di gas naturale da regioni remote verso luoghi di maggior consumo.
Un altro esempio di Made in Toscana è la famiglia dei compressori centrifughi di nuova generazione HPRC (High Pressure Ratio Compressor). La compressione del gas gioca un ruolo importante nell'utilizzo di nuovi giacimenti di idrocarburi. Basti pensare che 1 metro quadrato di spazio su di una piattaforma offshore vale circa 20 volte quello di Manhattan a New York. E il primo modello della famiglia HPRC è caratterizzata dalla riduzione del 50% dello spazio, 30% del peso e un incremento dell'efficienza del 5% rispetto alle soluzioni tradizionali.
IL CANTIERE DI AVENZA - E poi c'è l'espansione del cantiere di Avenza. Pronto a passare “dagli originali 40.000 metri quadrati quando è stato inaugurato nel 2011, grazie a un investimento di GE Oil & Gas di ulteriori 12 milioni di €, a completamento lavori arriverà a un’estensione complessiva di 140.000 metri quadrati e – dice una nota stampa - ospiterà dieci basamenti per l’assemblaggio di moduli industriali”.
27/02/2015

http://www.intoscana.it/site/it/articolo/GE-OilGas-turbine-e-compressori-Nuovi-prodotti-made-in-Toscana/

venerdì 27 febbraio 2015

Questo è il secondo segnale che l'economia non va: trasporti ed utili


Altro che ripresa, "Usa vicini alla recessione"

Ne è convinto Albert Edwards, strategist di SocGen, che, dopo l'ultima tornata di utili societari, anticipa reazioni violente del mercato.
L'andamento degli utili Usa dal 1986 a oggi
L'andamento degli utili Usa dal 1986 a oggi
NEW YORK (WSI) - La ripresa americana? Una truffa. Non usa mezzi termini, Albert Edwards, strategist di Societé Generale noto per il suo pessimismo cronico, in un report odierno in cui vengono definite le prospettive dell’economia americana decisamente grigie. Secondo l’esperto la situazione è talmente compromessa, che non sono escluse "violente" reazioni del mercato nella seconda metà dell’anno.

Edwards invita a guardare i dati sugli utili: "La flessione dei profitti degli Stati Uniti sta accelerando e non è solo un fenomeno legato al petrolio o al dollaro. Senza considerare che ci sono numerosi dati macro che hanno deluso le attese nel mese di febbraio". Per l'esperto della banca francese, un andamento debole degli utili come quello attuale è normalmente associato a una vera e propria recessione.

Un’ulteriore dimostrazione che le cose non stanno andando nel verso giusto arriva dalle parole del presidente della Fed, Janet Yellen, di fronte al Congresso. Due giorni fa, Yellen ha affermato che banca centrale potrebbe essere paziente nel suo obiettivo di normalizzare i tassi di interesse di riferimento. Tali dichiarazioni hanno spinto gli analisti a posticipare le loro stime sul prossimo rialzo dei tassi negli Stati Uniti da giugno a settembre se non anche più tardi.

Tale situazione rischia di avere effetti sulla Borsa Usa che, nel frattempo, si muove sui massimi storici. Secondo la media degli esperti sentiti da Cnbc, lo S & P 500 chiuderà l'anno a 2185 punti in pratica sullo stesso con cui ha iniziato il 2015. (mt)

Internet a una velocità è una vittoria di Obama e nostra


Vittoria di Obama. Stati Uniti bocciano la rete "a due velocità"

Altra vittoria del Presidente americano Barack Obama, che si è battuto per l'eguaglianza a tutti i costi. L'ultimo terreno di scontro ha riguardato Internet, di cui è stata ribadita la "net...

(Teleborsa) - Altra vittoria del Presidente americano Barack Obama, che si è battuto per l'eguaglianza a tutti i costi. L'ultimo terreno di scontro ha riguardato Internet, di cui è stata ribadita la "net neutrality".

"Internet è un servizio di pubblica utilità", ha affermato l'inquilino della Casa Bianca, che si è battuto contro la proposta di creazione di una "rete a due velocità": una più veloce a banda larga per "utenti di classe A" ed una più lenta per tutti gli altri utenti.

L'Authority federale per le comunicazioni (FCC) ha dunque ribadito il "principio di neutralità della rete", affermando che tutti i provider statunitensi dovranno applicare le stesse regole per la banda larga per tutti.

La questione era sorta da una proposta delle big statunitensi delle tlc - Verizon , AT&T , Time Warner Cable - che spingevano per poter costruire una sorta di "corsia preferenziale" per le aziende, che pagano di più, ed un servizio standard per tutti gli altri cittadini (privati e famiglie).

In realtà, questa proposta era stata avversata sia dalle istituzioni - Obama ed il numero uno dell'Authority Tom Wheeler - che dalle controparti del web - siti web, siti di streaming ecc. - che si opponevano a far pagare di più un servizio che viene giudicato "essenziale per la collettività" e che dovrebbe garantire l'eguaglianza.

http://borse.quifinanza.it/News/2015/02/27/vittoria-di-obama-stati-uniti-bocciano-la-rete-a-due-velocita-137.html

Derivati, se ha patteggiato per 2,3 miliardi di dollari quanto aveva ocultato?

Quasi 2,3 miliardi di euro per chiudere il capitolo relativo alla vendita di derivati diventati tossici durante la crisi dei “sub-prime”.
Anche Morgan Stanley si aggiunge alla lunga lista di istituzioni finanziarie che hanno trovato un accordo con le autorità statunitensi, in questo caso il Dipartimento di Giustizia ed il Procuratore della California.
Il patteggiamento, il terzo per il gruppo newyorkese dopo i due dell’anno scorso, è legato ad accuse ormai note: aver ingannato i risparmiatori vendendo loro obbligazioni contenenti al loro interno i famigerati mutui.
La scintilla che ha fatto scoppiare la crisi finanziaria.

http://it.euronews.com/2015/02/26/derivati-tossici-morgan-stanley-patteggia-con-le-autorita-usa/ 

ma quando si ha un governo cosí palesemente bugiardo come possiamo reagire noi cittadini?

Responsabilità civile, Orlando: la legge non è contro i magistrati. Legnini: ignorato l'allarme del Csm

Responsabilità civile, Orlando: la legge non è contro i magistrati. Legnini: ignorato l'allarme del Csm


"Chi si aspetta che i giudici siano condannati ogni due per tre resterà deluso. Chi pensa che si possano rimettere in discussione dei giudicati resterà deluso". Con queste parole il ministro della Giustizia Andrea Orlando (Pd) difende, in una intervista a Repubblica, la legge sulla responsabilità civile dei giudici, che a suo giudizio "chiude una guerra ventennale". A danno dei magistrati? "Assolutamente no", avverte il guardasigilli, secondo il quale "il segnale più forte sta nel dar loro poteri più stringenti come l`autoriciclaggio, le norme contro la corruzione, portate avanti con determinazione assoluta".
Orlando si dice "dispiaciuto per gli argomenti usati" nelle proteste della magistratura associata, "quel parlare di 'volontà punitiva', anche perché loro conoscono bene l`iter testo. Hanno visto l`intervento del governo per correggere il ddl Buemi al senato e la legge Comunitaria alla camera, dove c`erano forme di responsabilità invasive e lesive dell`autonomia e indipendenza della magistratura. Non me lo aspettavo, perché il testo è passato al Senato con una larghissima maggioranza, per giunta non 'nazarenica', visto che Fi era critica e M5s a favore. Ho incontrato tutte le componenti dell`Anm, ci hanno segnalato i punti critici, ho speso l'impegno del governo per garantire nella relazione una nota chiarificatrice sul 'travisamento del fatto e delle prove'".

Legnini, ignorate le preoccupazioni del Csm
Il Csm "ha espresso il suo parere sulla riforma della responsabilità civile nello scorso ottobre: se un organo di rilievo costituzionale esprime un'opinione da un punto di vista meditato, senza posizioni corporative, dando un giudizio adeguato delle norme perché non viene preso in considerazione?". A parlare è  il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini, intervenuto a un convegno a piazzale Clodio. Sulla nuova legge, osserva Legnini, "c'è stato qualche tono eccessivo, ma le preoccupazioni sono serie. C'è o no il rischio che fare causa ai magistrati diventi uno sport nazionale? E' possibile che non si trovi il modo per arginare questo pericolo che rischia di vanificare tutti gli sforzi in atto per rendere più efficiente la macchina della giustizia?". Legnini torna anche sul problema delle oltre 500 nomine che il Csm si troverà a dover fare quest'anno, per coprire i posti che saranno lasciati vacanti per effetto della riduzione dell'età pensionabile dei magistrati: "Nessuna chiusura corporativa”, sottolinea, “in gioco c'è la tenuta del sistema. E' inutile fare riforme per ridurre i tempi della giustizia se poi una nuova norma come questa viene attuata in maniera frettolosa e sbagliata".

http://www.italiaoggi.it/news/dettaglio_news.asp?id=201502270945188715&chkAgenzie=ITALIAOGGI 

le rapine di stato fatto dal fisco italiano, molto probabile sono illegittime


Cartelle Equitalia non pagate: bomba Consulta, forse migliaia annullate

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CARTELLE EQUITALIA NON PAGATE – Bomba in arrivo: la Corte Costituzionale potrebbe fare piazza pulita. Migliaia di cartelle Equitalia annullate.
La questione è seria e la sorte di tantissime cartelle Equitalia non pagate, e quindi di milioni di italiani indebitati, è legata a una sentenza della Consulta in arrivo fra pochi giorni.
Riassunto delle puntate precedenti: la bellezza di 767 funzionari di Equitalia (cioè oltre la metà del totale di 1.143) sarebbero diventati funzionari dell’Agenzia delle Entrate senza un pubblico concorso. Partendo da questo, si arriva al fatto che gli atti fiscali da loro firmati potrebbero non essere validi, in quanto emessi da dirigenti che non avrebbero dovuto avere simili poteri.
cartelle Equitalia non pagate

Cartelle Equitalia non pagate, lo scandalo dei “dirigenti” senza concorso pubblico: Corte Costituzionale può far esplodere bomba

La Corte Costituzionale a giorni deciderà con una sentenza le sorti delle cartelle Equitalia non pagate che sono scaturite da questi atti fiscali dell’Agenzia delle Entrate. Come dicevamo la faccenda è seria, visto che sono in gioco conti correnti, case e altre proprietà, messi in pericolo dalle cartelle Equitalia non pagate.
La nostra Costituzione prevede la necessità di un concorso pubblico e questo non è avvenuto quando, alcuni anni or sono, l’Agenzia delle Entrate ha promosso i suddetti funzionari a dirigenti.
In estrema sintesi, il Tar Lazio bloccò le nomine (annullando di fatto gli atti, considerati “inesistenti”) e il governo nel 2012 ci mise una pezza con una sanatoria, messa in essere con un decreto legge, il quale ha retroattivamente concesso all’Agenzia delle Entrate la facoltà di promuovere funzionari a sua discrezione.
Ma questa retroattività fu costituzionalmente legittima? Il problema è finito al Consiglio di Stato il quale a sua volta ha scaricato la questione sulla Corte Costituzionale. A giorni arriverà la sentenza decisiva: e se tutto va come tanti sperano, migliaia di cartelle Equitalia non pagate sarebbero cancellate, in quanto derivate da atti fiscali firmati da “dirigenti” non legittimati a ricoprire quelle cariche senza un concorso pubblico.
ps. leggete anche sulla questione delle cartelle Equitalia inferiori a 300 euro QUI.

ma se già inizialmente le regole sono saltate, cosa ci possiamo aspettare con il seguito?

Corruzione, Cantone: “Il 60% dei contratti affidati senza gara”

Secondo il magistrato "anti-corruzione" 6 contratti su 10 vengono stipulati in affidamento diretto e senza ricorrere a gara d'appalto, per un totale del 34,66% dell'importo economico complessivo.
26 febbraio 2015 15:18
cantone
Più della metà dei contratti pubblici - il 60% - vengono stipulati in affidamento diretto e senza ricorrere a gara d'appalto, per un totale del 34,66% dell'importo economico complessivo. Non solo, secondo autority anticorruzione guidata dal magistrato Raffaele Cantone metà dei comuni capoluogo ha utilizzato l'affidamento diretto nell'80% dei casi: per Cantone si tratta di una "criticità". I dati, estratti dalla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici, si fanno riferimento alle procedure, di importo superiore a 40mila euro, effettuate nei 20 comuni capoluogo di Regione nel periodo 2011 - 2014. A partire dai dati locali è stato estrapolato quello nazionale. Per ogni comune e per ciascuna tipologia contrattuale (lavori, servizi e forniture) è stata calcolata la percentuale di contratti pubblici affidati con procedura negoziata, in termini di numero e di importo, rispetto alla totalità dei contratti pubblici attivati nello stesso periodo.
La procedura negoziata è stata scelta nella gran parte dei comuni capoluogo di regione: secondo l'autority anticorruzione nel quadriennio 2011 2014 quasi la metà delle amministrazioni comunali hanno optato per l'affidamento diretto di oltre l'80% del numero di contratti, in corrispondenza di oltre un terzo della spesa complessiva sostenuta per l'esecuzione di lavori e l'approvvigionamento di beni e servizi. I dati segnalano inoltre un incremento in relazione alla rilevazione effettuata nel quadriennio 2007-2011.

L'Agenzia delle Entrate chiede ai dipendenti: "Segnalateci i casi sospetti di corruzione"

Nel frattempo sul fronte della lotta alla corruzione si segnala l'iniziativa dell'Agenzia delle Entrate: i dipendenti della pubblica amministrazione potranno da ora denunciare - rispettando le regole e con garanzia di essere tutelati - tutte le condotte illecite. Il direttore Rossella Orlandi in una lettera ai dipendenti ha spiegato: "Il messaggio è: noi contro la corruzione". I dipendenti potranno utilizzare mail ad hoc e denunce criptate e in questo modo allertare gli organismi competenti, che successivamente provvederanno a intervenire: "Se intendiamo perseguire davvero la lotta all'illegalità fiscale NOI per primi dobbiamo essere l'emblema della legalità e dell'onestà. il sonno dell'etica non ci è consentito, nemmeno il sentimento d'onestà a intermittenza", scrive la Orlandi, sottolineando ovviamente che le segnalazioni non possono riguardare "rimostranze di carattere personale o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con i superiori o altri colleghi".