la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune.
Produrre, organizzare, trovare soluzioni,
impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST?
Pensa cchiu' a chi o' dicè ca' a chello ca' dice
L'albero della storia è sempre verde
L'albero della storia è sempre verde
"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"
di Giulietto Chiesa - 26 marzo 2015 L’intera
penisola arabica è ora in guerra. L’Arabia saudita ha costruito in
pochi giorni un’alleanza di dieci paesi arabi sunniti per fronteggiare
la “rivolta” sciita nello Yemen.
E' il caos. I
fronti si moltiplicano: Isis contro Siria e Irak; adesso la nuova guerra
al sud, attorno a Aden; Sunniti contro sciiti. La Turchia, a nord, con
i suoi progetti di rinascita turcomanna, contro la "scia" di Teheran,
ma anche contro Hezbollah in Libano e Hamas in Palestina Contro il
Califfo, ma anche, in parte, con l'Isis. Gli Usa che bombardano a
casaccio. L'Mi5 britannico che paracaduta armi per l'ISIS. I curdi di
Irak e Turchia contro tutti. E con chi li aiuta, senza andare troppo per
il sottile. L'Egitto contro l'Isis, ma adesso con l'Arabia Saudita.
L'unica cosa che non si vede, o si vede poco, è Israele. Ma Israele
non solo c'è: è il co-protagonista dell'intero disastro- disordine. Se
si seguono le rotte dei caccia israeliani, che bombardano Bashar
el-Assad e le mosse di Netanyhau, lo si capisce fin troppo bene.
Un
premier israeliano che va a Washington, senza nemmeno parlare con il
presidente americano. E riceve l'ovazione del Senato (a riprova che
Obama è ormai molto meno che un'anatra zoppa: è un'anatra moribonda.)
Dietro
l'ISIS c'è ma mano di Israele, c'è quella di Rijad e del Qatar
(ufficiali pagatori), c'è quella dei neocon repubblicani. Non c'è quella
di Obama, se è vero, come pare, che Victoria Nuland avrebbe "abbaiato"
al ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov questa frase: "non avete
ancora capito che a Washington comanda Cheney, non Obama".
Ma leggiamo anche che Israele ha spiato i colloqui tra Europa-USA e Iran, per far fallire il negoziato.
Ecco che Di nuovo ricompare l'Iran sciita. Da qualunque parte di
guardi questo incendio, è sempre l'Iran che appare dall'altra parte del
fuoco. Per l'Arabia Saudita è i paesi arabi del Golfo è il nemico
mortale. Non sarebbero ricchi come sono se non fossero stati sotto
l'ombrello americano in tutti questi decenni. Ma, se l'America tratta
con Teheran, quell'ombrello rischia di chiudersi. E poi questa America
appare sempre meno in controllo, sempre più incerta: meglio difendersi
da soli.
Ma l'Iran è comunque, anche per Israele, il nemico irriducibile che
minaccia la sua esistenza. Nemico del dio di Israele, che ha dato la
Palestina al "popolo eletto".
E infine i neo-con americani, probabilmente i più fanatici di tutti:
l'Iran demolito sarebbe l'ultimo diamante della collana di guerre USA,
che daranno allo "stato speciale, designato dal Dio cristiano (e
naturalmente ai suoi petrolieri molto cristiani), il controllo totale di
tutte le riserve dell'area medio-orientale allargata.
La
conclusione è ovvia: dietro tutto questo caos c'è l'"obiettivo Teheran".
I motori dei cacciabombardieri e dei missili che bombarderanno la
Persia si stanno scaldando. In attesa, si darà qualche altra lezione a
Germania e Francia, che manifestano resistenze e reticenze. Specie per
quanto riguarda l'Ucraina. E, magari, anche a Barack Obama, sempre più
divenuto un peso scomodo.
GIULIETTO CHIESA: "ANDIAMO VERSO LA TERZA GUERRA MONDIALE"
Scritto da Monica Lozzi il 27 Mar, 2015 12:31:39
Con
queste parole Giulietto Chiesa ha aperto l'incontro con i cittadini
tenutosi mercoledì 25 marzo presso la sala Rossa del VII Municipio, per
esercitare ciò che ormai latita negli spazi televisivi: il confronto.
Proprio sull'informazione Chiesa ha mosso le sue principali riserve.
Informare
e comunicare è fondamentale, ha affermato, più delle idee stesse. Nel
nostro Paese l'informazione è viziata, basata su racconti costruiti per
manipolare l'orientamento della popolazione. Le immagini, specchio reale
degli accadimenti nel mondo, sono accuratamente messe da parte o
falsificate.
Si decide ciò che si deve vedere e, quindi, pensare. "L'uomo che vede, ragiona in un altro modo".
Saranno
i nostri figli a pagare purtroppo il prezzo maggiore di tale
manipolazione, costretti dalla velocità nella quale si muovono le
immagini a cambiare il ritmo del sapere. Il rischio è l'annichilimento
delle proprie capacità razionali.
Su questo
piano muove la sua critica alle posizioni di Beppe Grillo sulla TV. Il
Movimento 5 Stelle ha fatto una cosa bellissima. Ora, con le risorse
risparmiate si dovrebbero aprire nuovi spazi di informazione televisiva.
Una concorrenza in grado di parlare a sempre più persone e di far
uscire
dall'indifferenza i gestori dell'informazione.
Sulla questione internazionale Giulietto Chiesa da la sua interpretazione dello scenario che ci attende.
Siamo
alla fine di un'epoca storica, ha commentato. Il capitalismo del secolo
scorso ci ha trasformati in una colonia, dove il benessere economico,
assieme al patto tra classe politica ed opinione pubblica, ha mantenuto
in equilibrio il sistema.
Ora quel patto si è
rotto. Le popolazioni sono aumentate a dismisura, le risorse sono
terminate e la crescita arrestata. Di contro si assiste all'avanzata del
gigante cinese, forza autonoma e disobbediente ai dettami statunitensi.
È in questo contesto che si inserisce la previsione di Chiesa.
Gli
Stati Uniti, consapevoli di un comando che sta sfuggendo loro di mano,
reagiscono con un attacco frontale al suo principale oppositore: la
Russia. L'aggressione in Ucraina, causando la morte di migliaia di
russi, avrebbe avuto proprio lo scopo di provocare Putin portandolo
all'invasione in quel territorio.
Le stesse
sanzioni dell'agosto 2014, accusate pesantemente dalla Russia - a cui si
aggiunge l'abbattimento del prezzo del petrolio e la speculazione
finanziaria nei confronti del Rublo - farebbero parte del tentativo di
mettere in ginocchio l'economia del Paese.
Nel
panorama dei cambiamenti il giornalista rileva anche la grande
trasformazione che sta vivendo la Chiesa cattolica guidata dal nuovo
Papa. Dopo una lunga fase di identificazione con l'Occidente e il
capitalismo, la Chiesa sceglie ora il proselitismo di massa. Alla
proposta dell'identità cristiana rispetto al mondo esterno si
sostituisce la scelta del dialogo.
Rilevante sarà l'incontro prossimo che il Pontefice terrà con Gorbacev per una dichiarazione congiunta contro la guerra.
Molte
sono state le domande poste dai partecipanti sui fenomeni attuali,
dalle questioni dei territori dell'ex-Unione Sovietica, al ruolo
dell'Europa nella contesa tra le grandi potenze, al pericolo ISIS.
A tal proposito Chiesa ha voluto chiarire la natura della guerra in atto.
Il
fenomeno ISIS è ascrivibile ad una regia statunitense, supportata dai
finanziamenti dell'Arabia Saudita e dal know-how israeliano. La tappa
ultima, una volta fermata la Siria, sarà la sconfitta del nemico storico
di Israele, l'Iran, prima che questo venga in possesso delle armi
atomiche.
Nel finale Giulietto Chiesa pone
dunque la domanda di molti. Come difendersi, come vincere la battaglia
contro quella cerchia invisibile di proprietari universali che muove le
fila?
La risposta sta nel radicamento nel
territorio. Esperienze come la No Tav ci insegnano che la reazione e
l'impedimento di decisioni prese sulle nostre teste finisce per toglier
loro le forze.
La politica va intesa come la moltiplicazione di esperienze come quella.
E poi l'informazione. Quanta più gente saprà che potrà accadere una guerra, più saremo in grado di difenderci.
In
questo Chiesa chiama il Movimento ad un salto di qualità: coinvolgere
quel pezzo importante del nostro Paese che, sebbene esterno al M5S, ne
condivide le motivazioni e gli obiettivi.
"Market Design": le energie rinnovabili ridisegnano il mercato
assoRinnovabili e Althesys presentano a Roma i risultati della ricerca sul "Market Design"
Un nuovo disegno del mercato elettrico, volto ad un’integrazione strutturale delle fonti rinnovabili, potrebbe mettere a disposizione 9,5 GW di energia rinnovabile per i servizi di rete.
Per continuare a favorire la diffusione di energia pulita si rende,
inoltre, necessaria una revisione del ruolo delle rinnovabili nel dispacciamento, e l’introduzione di meccanismi di stabilizzazione del mercato a medio termine.
Le rinnovabili, che soddisfano oltre il 30% del fabbisogno elettrico nazionale, in Italia potrebbero dare un contributo significativo ai servizi di rete, generando benefici per il sistema. Il potenziale stimato al 2013 è di circa 9,5 milioni di chilowatt:
impianti eolici e fotovoltaici contano rispettivamente per circa 4.400
megawatt e 410 megawatt, mentre il parco idroelettrico ad acqua fluente
idoneo (cioè quello senza diga) è stimato in 4.600 megawatt. Tuttavia, alle condizioni attuali, i rischi per gli operatori sarebbero superiori ai possibili benefici.
Sono alcuni dei dati diffusi a Roma durante il convegno “Ripensare il mercato elettrico: evoluzione industriale e convergenza europea”,
nel corso del quale sono stati presentati e discussi i risultati dello
studio sul market design del settore elettrico italiano, commissionato
da assoRinnovabili al professor AlessandroMarangoni, CEO della società di analisi economiche Althesys.
Obiettivo dello studio, fornire strumenti per individuare scenari evolutivi e opzioni di riassetto del mercato elettrico in Italia
e formulare delle proposte di policy. Il lavoro analizza come i
cambiamenti industriali e le modifiche normative abbiano influenzato
l’evoluzione del mercato elettrico italiano, e come il crescente ruolo
delle rinnovabili stia trasformando le dinamiche della formazione dei
prezzi dell’energia all’ingrosso.
Altro spunto di riflessione
emerso dalla relazione è come nel nostro Paese l'impatto economico dei
servizi di dispacciamento - vale a dire il costo delle attività per il mantenimento in costante equilibrio del sistema elettrico - sul valore del mercato, pari oggi al 9%, non sia in realtà superiore a quello di altri Paesi
con forte crescita delle rinnovabili (a parità di funzionamento dei
mercati), come ad esempio la Spagna, dove raggiunge il 14% del valore
del mercato.
Per conferire maggior affidabilità e competitività al sistema,
si rende quindi necessario un percorso di riassetto del mercato
elettrico che assegni alle rinnovabili un ruolo più strutturale,
innanzitutto attraverso:
una sempre maggiore partecipazione delle rinnovabili ai servizi di rete, con l’introduzione di disposizioni tecniche e regolatorie e una remunerazione dei servizi ben definita;
la riduzione dei tempi di chiusura del mercato per
avvicinarlo al tempo reale, in modo da ridurre consistentemente gli
oneri di dispacciamento, come già avviene in Paesi come la Germania,
dove incidono solo per il 4% del mercato.
"La trasformazione del settore elettrico italiano - dichiara Agostino
Re Rebaudengo, Presidente di assoRinnovabili - richiede un processo organico e strutturato di ridisegno del mercato. E' quindi importante che a
monte vi sia un atto di legislazione primaria a copertura dei principi
generali qui enucleati, che comprenda tutti gli aspetti normativi ad
esso collegati, quali ad esempio quelli fiscali. Qualsiasi revisione del sistema deve fondarsi sul principio basilare di tutela delle condizioni legislative in cui sono stati realizzati gli investimenti esistenti,
prevedendo un assetto del mercato equilibrato in tutte le sue
componenti, per assicurare un'adeguata prosecuzione al naturale percorso
di integrazione delle FER."
"Uno strumento di
stabilizzazione del mercato a medio termine e, al contempo, di
integrazione delle rinnovabili potrebbe essere quello deicontratti a lungo termine - spiega il professor Alessandro Marangoni,
CEO di Althesys - Allo stato in Italia e in Europa, a differenza del
resto del mondo, la regolazione non ne favorisce la diffusione. Per
incentivare la loro stipula, anche nel mercato dell'energia, occorrerebbe dunque introdurre meccanismi regolatori che stimolino la domanda a contrattualizzare i propri consumi nel lungo periodo."
Fonte: assoRinnovabili Data: 26/03/2015
RAVINA - Sembra un gioco di parole, quello del titolo, ma in realtà non
lo è: sono, infatti, molte le contraddizioni sul progetto della nuova
linea dell’alta velocità Brennero-Verona emerse nella serata di ieri a Ravina, organizzata dall’associazione L’Allergia e
strutturata, appunto, nella forma del contraddittorio tra sostenitori e
contrari alla grande opera. I primi rappresentati dall’assessore
provinciale alle Infrastrutture e all’Ambiente Mauro Gilmozzi e i secondi dall’attivista del Movimento 5 Stelle Andrea Fogato.
Le contraddizioni sono emerse prima di tutto proprio sul progetto preliminare della circonvallazione Trento-Rovereto, di cui Gilmozzi ha negato l’esistenza. Non vi è un progetto, ergo non
vi è alcun provvedimento della Provincia: «per fare un progetto
preliminare ci vogliono 70 milioni di euro – ha spiegato Gilmozzi –, vi
risulta di averli mai visti sul bilancio della Provincia? L’impegno è
stato sottoscritto, ma i lavori per il progetto preliminare hanno ancora
da cominciare ad essere fatti, tant’è che le perforazioni dei mesi
scorsi andavano in questo senso e subito c’è stato l’allarme. Ma non c’è
alcun progetto preliminare».
Affermazioni che sono state immediatamente confutate sia da Andrea
Fogato che da alcune persone del pubblico, che hanno ripercorso
puntualmente e con dati alla mano (un tablet che mostrava il
frontespizio del progetto preliminare del lotto 3 è
stato fatto passare tra il pubblico) l’iter di elaborazione del
progetto, redatto nel 2008 da Rete Ferroviaria Italiana e Provincia di
Trento e sottoposto ai Comuni interessati, al pubblico e infine
approvato dalla Giunta Provinciale con apposita delibera.
Ma a questa notevole contraddizione, durante la carrellata di
informazioni riportate dai due relatori ne hanno fatto seguito altre:
dal numero di treni merci che transita per Trento – 130 al giorno secondo Gilmozzi, 66 secondo i dati di Rfi riportati da Fogato –, alla quantità di merce
in grado di essere trasportata annualmente sulla linea storica – 18
milioni di tonnellate secondo Gilmozzi (ma erano 29 milioni nelle slide
mostrate dalla Provincia alla serata informativa del giugno scorso a
Lavis!), 40,5 milioni di tonnellate nette secondo Fogato.
Anche sui costi in capo all’Italia le cifre non convergono: ai circa 11,4 miliardi di euro delle stime governative illustrati
nell'introduzione iniziale della serata (stime che tuttavia non sono
aggiornate e non tengono conto dei costi delle tratte accessorie e dei
cunicoli esplorativi) si contrappongono i 53 miliardi di euro delle stime indipendenti. Delle quali Andrea Fogato ha spiegato la ratio:
«per quanto riguarda il tunnel di base del Brennero, l’Italia prevede
una spesa totale di 9,7 miliardi di euro. Noi, invece, ci siamo basati
sui dati della Corte dei conti austriaca, la quale ha dichiarato un
costo per l'Austria pari a 12 miliardi di euro. Sappiamo che Austria e
Italia si dividono a metà la spesa, quindi altri 12 miliardi di euro
spettano all'Italia. Perché questa differenza? Il motivo è che la Corte
dei conti austriaca conteggia anche gli oneri finanziari,
tiene conto del debito pubblico e degli interessi che per i prossimi
cinquant’anni graveranno sull’opera». Per i costi delle tratte di
accesso sud, invece, di cui attualmente non esiste una stima completa,
Fogato ha spiegato che la stima è stata fatta «dimezzando il costo al km
austriaco, perché costa meno scavare nelle nostre montagne rispetto a
quelle del Brennero, e moltiplicandolo per il numero di chilometri del
tracciato, mentre per quanto riguarda i 23 km di tratte all’aperto
abbiamo preso il costo consolidato della Milano-Bologna, che sono 53
milioni di euro a chilometro. A tutto questo abbiamo aggiunto altri 2
miliardi di euro per i cunicoli esplorativi e le gallerie finestra. Il
totale fa appunto 53 miliardi di euro».
Ma la differenza fondamentale tra le due esposizioni, in fondo, stava tutta nella questione se il Tav sia o meno necessario.
Per Gilmozzi non vi è altra soluzione «per raggiungere l’obiettivo
dell’integrazione europea, per promuovere attraverso la ferrovia scambi
di merci, di persone, collegamenti fra città». Obiettivi che la linea
ferroviaria storica non riuscirebbe ad assolvere. Ma secondo
l’assessore, il Tav è anche l’unica soluzione al problema
dell’inquinamento atmosferico e acustico e alla prospettiva di aumento
esponenziale dei flussi di traffico, «perché viviamo in una dimensione,
quella alpina, particolarmente complessa, abitiamo in un territorio
delicato, dove inquinamento, rumore e traffico sono davvero problemi
notevoli e anche lo spazio è un problema notevole nella nostra valle,
dove strade e ferrovia sono al limite del collasso».
Affermazioni anche in questo caso confutate da Fogato, a cominciare dai
volumi di traffico, dei quali ha evidenziato una diminuzione
nell’ultimo decennio a differenza di quanto affermato dall’assessore,
eccezion fatta per l’inquinamento: «Il problema delle
emissioni inquinanti c’è ed è molto grave – ha spiegato Fogato,
illustrando i dati registrati dalle stazioni di rilevamento lungo l’asta
dell’Adige, valori analoghi a quelli di città come Torino. Ma non è il
Tav la soluzione». Soluzioni ce ne sono altre, ha spiegato l’attivista
pentastellato, cominciando con l’attuare reali politiche di incentivo
della rotaia e disincentivo della gomma, un po’ come fa la Svizzera con
la «Borsa dei transiti alpini». In secondo luogo, con l’equiparare i pedaggi di tutti i valichi alpini,
in modo da eliminare la prassi diffusa dei camion di passare dal
Brennero, anche compiendo un tragitto più lungo, perché costa meno (il
60% dei camion lo fa). E poi introdurre divieti di circolazione notturna per i tir e divieti di circolazione settoriale in base alla merce trasportata. Utilizzare, infine, tasse e contributi per la ristrutturazione della ferrovia esistente
sull’asse del Brennero, per ridurre i livelli di rumore in poco tempo,
con materiali rotabili moderni, freni a disco, ruote silenziate,
barriere antirumore e simili.
Gilmozzi, dal canto suo, ha ribadito senza soluzione che a prescindere
da come la si pensi «il tunnel del Brennero è in costruzione, non è che
stiamo discutendo se farlo o no, è già in costruzione». Ma ha poi
corretto il tiro, rilanciando scenari partecipativi e ricordando dell’esistenza dell’Osservatorio,
come luogo di confronto e condivisione per i soggetti e gli enti
coinvolti dall’opera. Peccato solo, come qualcuno del pubblico ha fatto
notare con veemenza, che tra i soggetti che compongono l’Osservatorio
non ve ne sia nemmeno uno contrario all’opera, ma – ultima
contraddizione della serata – siano tutti, in un modo o nell’altro,
beneficiari e promotori.
Le due velocità di Renzi su legge elettorale e riforme economiche
27 marzo 2015
Avanti tutta sulla legge elettorale e ancora indietro, come nel
passato, su tasse e spesa corrente entrambe aumentate come confermava
ieri Mario Draghi. Matteo Renzi spinge sull’Italicum per cogliere
l’attimo favorevole di una minoranza Pd divisa, della debolezza estrema
di Forza Italia e anche dei suoi alleati di Governo. Ma l’altro attimo
favorevole da cogliere, molto più importante anche solo per meri fini
elettorali, è la ripresa economica.
Ieri il presidente della Bce ha confermato le previsioni di crescita
per l’Italia (la spinta di un punto di Pil per effetto del bazooka) ma
ha aggiunto che bisogna intervenire con riforme strutturali per
migliorare la produttività, per favorire la crescita di imprese che
restano di dimensioni troppo piccole. E poi sulla finanza pubblica ha
ricordato che il consolidamento dei conti è avvenuto, come altrove e nel
passato, su aumento delle tasse, taglio degli investimenti pubblici,
incremento della spesa corrente. È questo quadro che Renzi deve cambiare
per cogliere l’attimo, magari non fuggente, della ripresa che ci offre
la congiuntura. Inutile ripetere la combinazione di effetti positivi
innescati dal quantitative easing ma la politica monetaria non può fare
tutto. Tutto il resto, ha detto Draghi, spetta ai governi. E qui spetta a
Renzi che è pronto ad accelerare sull’Italicum ma è più indietro sui
capitoli dell’economia. È come se il premier programmasse a velocità
diverse riforme ugualmente necessarie. È vero, ieri c’era il dato
positivo sull’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato ma proprio
la congiuntura favorevole e i primi segni – deboli - di risveglio
rischiano di far allungare i tempi di provvedimenti necessari.
Necessari come il taglio di spesa per trovare le risorse in grado di
evitare l’aumento automatico dell’Iva. La tagliola delle clausole di
salvaguardia può deprimere le previsioni positive sul Pil. Insomma, se
per il leader Pd è arrivato il momento di accelerare sull’Italicum è
tanto più il momento per attuare quella spending review rimasta nel
limbo per molti mesi. Anzi, anni se si pensa che il primo commissario,
Enrico Bondi, risale al Governo Monti 2012. Il Governo dovrà presentare
nella prima settimana di aprile il Def ed è lì che si comincerà a vedere
se le intenzioni del premier di toccare la spesa e alleggerire il
carico fiscale sono altrettanto serie di quelle che ha sulla legge
elettorale. Su quella spinge, preme, inverte in calendario e anticipa a
prima del voto regionale il via libera alla Camera. La stessa celerità
potrebbe metterla anche sul capitolo fiscale per aiutare un vento che
spira a favore della ripresa dopo anni di gelo.
La domanda è quante velocità ha Renzi? Il dubbio è che metterà
l’Italicum sul circuito di Formula uno, mentre le riforme economiche le
terrà a una velocità da crociera cullandosi sull’effetto del
quantitative easing di Draghi. Del resto, la fretta sulla legge
elettorale è comprensibile, dal suo punto di vista. L’attimo favorevole è
adesso, con la minoranza Pd divisa e con davanti la campagna elettorale
per le regionali. Spaccarsi sarebbe un suicidio e poi nemmeno
l’opposizione vuole le urne, quindi, è il tempo giusto. Resta un
pericolo. Che alla Camera, con il voto segreto, possa passare qualche
emendamento che costringa la legge a tornare ancora al Senato. Un
rischio che sembra il Governo voglia aggirare immaginando un voto di
fiducia. Ma è solo immaginazione, il Quirinale li riporterebbe alla
realtà.
Pensione anticipata 2015, Quota 97 e
flessibilità: governo Renzi scavalcato, è l’ora X
Pensione anticipata 2015, Quota 100 e
flessibilità: governo Renzi scavalcato, si spera in un intervento del
Parlamento.
Pensione
anticipata 2015, Quota 100 e flessibilità
Prosegue senza apparente sosta il dibattito in tema di pensione anticipata 2015 e previdenza. Gli
ultimi significativi interventi, neanche a dirlo, sono targati Cesare Damiano, che rivolgendosi al premier Renzi
ha ribadito con forza la propria posizione circa il futuro percorso di riforma
relegando per un istante in secondo piano il sistema
a Quote (Quota 100 e Quota 97 le più 'sponsorizzate' dall'ex
ministro) e ponendo l'accento sul ddl fermo
in Commissione Lavoro. Ad affiancare Damiano il PCdI, entrato
di recente nel dibattito previdenziale al pari di Maurizio Landini, leader della FIOM e guida della
Nuova Coalizione Sociale. Il pull di soggetti e attori politici che vanno ad
interessarsi al processo di riassetto del comparto pensionistico cresce in
definitiva di giorno in giorno, con il governo Renzi che appare accerchiato,
quasi intrappolato in una morsa
dalla quale rischia di non uscire indenne. Dovessimo leggere i segnali
l'impressione corrente è che l'Esecutivo
Renzi possa essere 'scavalcato' dal Parlamento, con il
Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che potrebbe giocare un ruolo
decisivo in tal senso. Ad invocarne l'intervento è stata in passato la Lega
Nord, ecco che un suo discorso rivolto alle Camere potrebbe contribuire ad
accelerare i lavori parlamentari.
Pensione anticipata 2015, Quota 100 e
flessibilità: governo Renzi scavalcato, è l'ora X - L'intervento di Mattarella
potrebbe essere decisivo
Parlando di pensione anticipata 2015 rileva senz'altro
l'ultima dichiarazione rilasciata da Cesare
Damiano nel corso di un'intervista concessa al Garantista: l'ex ministro ha evidenziato la
necessità di introdurre nuove elementi di flessibilità
prevedendo al contempo nuove formule di uscita dall'impiego. Un
po' a sorpresa Damiano non ha riproposto il
sistema a Quote - fino a qualche settimana fa erano continui e
reiterati i riferimenti a Quota 100 o Quota 97 - individuando in altre soluzioni
la via maestra da dover perseguire. L'ex ministro vuole infatti una pensione
anticipata 2015 flessibile che consenta ai lavoratori di interrompere il
percorso professionale una volta raggiunti 62 anni di età più 35 di contributi
o 41 anni di contribuzione a prescindere dall'età anagrafica. Ormai da mesi
Damiano punta su soluzioni di questo genere, tutte proposte messe per iscritto
all'interno dell'ormai famoso ddl in
discussione presso la Commissione Lavoro: a sorprendere e non poco è la
recidività dimostrata dal governo Renzi nel non essersi occupato neanche una
volta delle proposte formulate dall'ex ministro del
lavoro e attuale membro del PD, che ha così deciso di
'organizzarsi' schierandosi con l'ala riformista del partito.
Una pensione anticipata 2015 che presenti la
giusta dose di flessibilità -
con o senza l'introduzione di Quota 100 o Quota 97 - rappresenta ad oggi
l'unica concreta via atta ad imprimere una svolta all'intero dibattito
previdenziale, e se il governo Renzi continuerà a tenere il consueto
atteggiamento il Parlamento potrebbe intervenire scavalcandolo in tutto e per tutto. Come già
accennato un intervento di Sergio Mattarella potrebbe
essere decisivo in questo senso anche e soprattutto considerata la gravità
della situazione con la quale si ha a che fare oggi. A completare il quadro il
fatto che mentre in Parlamento si discute il ddl Damiano il MEF retto da uomini del governo Renzi promuove
nuove misure atte ad irrigidire i requisiti di accesso al prepensionamento -
per sfruttare il pensionamento anticipato, a partire dal 2016 serviranno 42
anni e 10 mesi di contributi agli uomini e 41 anni e 10 mesi alle donne -,
strada opposta questa a quella che sta cercando di perseguire lo stesso ddl.
Che dire, l'ora X sembra ormai giunta.
Non resta che attendere.
Boom di contratti a tempo indeterminato, Renzi e Poletti esultano 18:16 26 MAR 2015
(AGI) - Roma, 26 mar. - "Oggi e' un giorno importante, tra qualche ora saranno diffusi i dati sui contratti a tempo indeterminato che sono davvero sorprendenti perche' c'e' una crescita a doppia cifra nei primi due mesi dell'anno". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, arrivando al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. A gennaio e a febbraio, infatti, sono stati attivati 79 mila contratti a tempo indeterminato in piu' rispetto a gennaio-febbraio 2014. L'annuncio e' arrivato dal Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, secondo il quale a gennaio 2015 i contratti a tempo indeterminato sono stati il 32,5% in piu' di gennaio 2014; per i giovani 15-29enni la variazione tendenziale e' pari a 43,1%. A febbraio scorso, l'aumento percentuale e' stato del 38,5% e per i giovani e' arrivato al 41,4%. Illustrando i dati nel corso di una conferenza stampa su Garanzia giovane alla Regione Lazio, alla presenza del commissario europeo per l'occupazione Marianne Thyssen e il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, Poletti ha spiegato che non si puo' sapere al momento se i contratti a tempo indeterminato sono aggiuntivi o se si tratta di trasformazioni di contratti a tempo determinato: in ogni caso - ha fatto notare - "l'orientamento a stabilizzare i rapporti di lavoro e' un dato assolutamente positivo". I dati - si legge in un report del ministero del Lavoro - sono da leggere anche in relazione ai forti incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato (decontribuzione triennale piu' sgravio permanente dell'Irap per i datori di lavoro) introdotti con la legge di stabilita' 2015. "Si sta attuando un cambiamento radicale", ha sottolineato il ministro del lavoro. "E' una grande soddisfazione pensare che tante persone che avevano un contratto a tempo adesso hanno un contratto a tempo indeterminato" ha dichiarato nel corso di un convegno su garanzia giovani. Negli ultimi anni le assunzioni non erano a tempo indeterminato, erano qualsiasi altra cosa. Migliaia di italiani avranno un contratto a tempo indeterminato che prima non avevano, ha concluso il ministro, pur riconoscendo che, al momento, non si e' "in grado di dire che questi contratti siano aggiuntivi o di conversione".
Roma, 27 mar – Giunge benvenuta la notizia, da parte della casa editrice Settimo Sigillo, della ristampa anastatica de Il male americano, un libro che ha segnato una generazione di lettori non conformi e che sembrava da tempo introvabile.
Uscito originariamente su Nouvelle Ecole n° 27 – 28 nel 1976,
il testo (in seguito pubblicato in italiano, in tedesco e in…
afrikaans) non è altro che un lungo articolo intitolato “Il était une
fois en Amérique” e firmato originariamente da Robert De Herte e Hans-Jürgen Nigra.
Se il primo nome già da qualche anno non suonava nuovo alle orecchie della destra francese come pseudonimo storico di Alain de Benoist,
del secondo si sapeva poco o nulla e fino a qualche anno fa non
mancavano siti antifascisti che parlavano di un misterioso “neonazista
tedesco”. Hans-Jürgen Nigra era in realtà l’italianissimo Giorgio Locchi.
Il testo, firmato a quattro mani, sarà determinante per certificare in modo indelebile la “svolta antiamericana” della Nouvelle Droite,
che aveva iniziato la sua avventura culturale intorno al ’68
all’insegna di un anticomunismo intellettuale raffinato, culturalmente
solido, ma che contemplava inizialmente anche una certa simpatia per gli
Usa.
In quel periodo, l’interesse per il “realismo biologico”, sulla scia dell’insegnamento di Dominique Venner,
si coniugava filosoficamente con una curiosa passione per l’empirismo
logico da parte dello stesso de Benoist. Sarà proprio il contatto con
Locchi, a Parigi come corrispondente del Tempo, a determinare
da un lato la “conversione” filosofica dei neodestristi, a cominciare
dal loro esponente di punta, al nietzscheanesimo, e dall’altra appunto
una marcata coscienza della specificità culturale europea che non poteva
non confliggere con l’egemonia d’oltre Atlantico.
Le circostanze di questo “cambio di paradigma” sono state ricordate una quindicina d’anni fa da Guillaume Faye in Archeofuturismo:
“Agli inizi degli anni ’70, il Grece, in linea con l’anticomunismo
dominante nella destra, era filoamericano e partigiano dell’Occidente.
In un vecchio numero di Nouvelle Ecole si può leggere, sotto
una foto del Rockfeller Center di New York, la seguente didascalia:
‘L’energia nel cuore della potenza’. Ma nel 1975, grazie al buon Giorgio
Locchi, cambiammo spalla al nostro fucile, quando apparve un numero
eccezionale di Nouvelle Ecole, realizzato da Alain de Benoist e Locchi, che spezzava l’unità di civiltà tra gli Stati uniti e l’Europa matriciale”.
Il testo si distingueva e si distingue ancora oggi dall’anti-americanismo alla Noam Chomsky,
che degli Usa critica soprattutto “l’imperialismo”, il “militarismo”
quando non apertamente un onirico “fascismo”. Locchi e de Benoist ci
parlano di un’America ben diversa, che non comprende e in fondo odia la
figura del soldato, che non di meno manda in giro per il mondo a
difendere i suoi interessi, ma con cattiva coscienza, tanto da dover poi
fare i conti con la tipica figura del reduce “che non è più se stesso”.
In Europa chi torna da una guerra e non sa riadattarsi alla vita civile
fa una rivoluzione, negli Usa fa una strage in un centro commerciale. Washington, in questa visione, diventa addirittura “la capitale del neomarxismo”,
rompendo quella falsa opposizione fra comunismo e capitalismo, fra Est e
Ovest, così tipica della retorica della Guerra fredda. Gli autori
spiegano invece che i due contendenti altro non sono che due facce della
stessa medaglia.
Il messaggio, come detto, era innanzitutto destinato “all’interno”,
cioè in primo luogo alla “destra”, sia vecchia che nuova. Nelle prime
pagine leggiamo, non a caso: “Quegli stessi che si gloriano di difendere
la tradizione di una Europa imperiale e padrona della propria storia
non intravedono altra via d’uscita al loro combattimento che all’ombra
(o con l’appoggio) degli Stati uniti. L’equivoco non potrebbe essere più
profondo. Esso dimostra la debolezza spirituale di un’Europa pronta
(persino nei suoi migliori elementi) a rifugiarsi dietro le apparenze
fallaci di un preteso ‘Occidente’ o di un’inesistente solidarietà delle ‘razze bianche’”.
Parole che andrebbero rilette e affisse in ogni sezione di qualsiasi
movimento nazionalrivoluzionario europeo, anche oggi, soprattutto oggi.
Dieci anni dopo, nel 1985, Giorgio Locchi tornerà sull’argomento in un articolo scritto per la rivista Intervento (oggi ripubblicato in Definizioni),
in cui parlerà degli equivoci sorti attorno alla traduzione italiana
del testo, datata 1978: “Il vero ‘americanismo’, quello che minaccia la
cultura o più esattamente – rinunciando a questo termine di cultura che
non significa più nulla – l’anima dell’Europa, è concretato
dall’adesione cosciente o inconscia al cosiddetto ‘mito americano’, al
‘sogno americano’. È questo il ‘male americano’ di cui soffre l’Europa,
male che ho tentato di caratterizzare nel saggio redatto in
collaborazione con Alain de Benoist. Male ‘americano’ dell’Europa e non
già male dell’America come fin troppi lettori di quel saggio sembrano
aver compreso. E male, del resto, che non viene all’Europa come una
contagione, bensì male che l’Europa da sempre porta con sé”.
Nella visione locchiana, gli Usa altro non sono che lo “spurgo”
dell’Europa, spurgo che però l’Europa ha essa stessa generato dalla sua
storia e dalla sua cultura. L’Europa deve quindi re-inventarsi come
qualcosa che non si è mai visto, come nietzscheana “terra dei figli”. Il
compito, l’unico per cui valga davvero la pena combattere e “fare
politica”, è ancora davanti a noi. Adriano Scianca
Cala il fatturato e dite che siamo "in ripresa"? In evidenza
Claudio Conti
228
Un editoriale, peraltro abbastanza preoccupato, di Lucrezia
Reichlin sul Corriere della sera di oggi, iniziava con queste parole: "È
da qualche settimana che si parla con insistenza di ripresa in Europa
e, finalmente, anche in Italia. I dati di tutti i settori e i sondaggi
sulle aspettative di imprese e consumatori segnalano che il tasso di
crescita del Prodotto interno lordo (Pil) del primo trimestre del 2015,
che sarà pubblicato a maggio, confermerà il dato positivo di fine anno. È
molto probabile che la ripresa sia cominciata nella seconda metà del
2014."
Purtroppo il consenso rispetto a un'idea non necessariamente si
traduce in fatti. E in mattinata l'Istat si è trovata a smentire in modo
piuttosto clamoroso sia il consenso che l'idea: "A gennaio 2015 il
fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, diminuisce
dell'1,6% rispetto a dicembre, registrando flessioni dello 0,9% sul
mercato interno e del 3,1% su quello estero".
E lo stesso accade, anche se con minore evidenza, se si prendono in
esame gli tre mesi (novembre-dicembre-gennaio): la caudta è leggermente
minore (-0,1%), ma sempre caduta è.Nella media degli ultimi tre mesi,
l'indice complessivo diminuisce dello 0,1% rispetto ai tre mesi
precedenti (-0,6% per il fatturato interno e +1,0% per quello estero).
Peggio ancora se si fa, com'è dovuto, la "correzione per gli effetti
di calendario" (i giorni lavorativi sono stati 20 contro i 21 di gennaio
2014, quindi il calcolo va fatto come se si fosse lavorato un giorno di
più): "il fatturato totale diminuisce in termini tendenziali del
2,5%, con cali del 3,7% sul mercato interno e dello 0,3% su quello
estero". Un autentico crollo, che coinvolge persino il settore
delle esportazioni, il più favorito dalla debolezza dell'euro e dalla
depressione dei salari nazionali.
A trascinare la corsa al ribasso soprattuto l'energia (-13,6%), per
effetto della caduta dei prezzi che si trasferisce inevitabilmente sul
fatturato. Ma sono andati molto male che i beni strumentali (-2,2%) e
anche i beni di consumo hanno proseguito nella tendenza egativa che li
caratterizza da anni (-0,4%).
"L'indice grezzo del fatturato cala, in termini tendenziali (ovvero su base annuale, ndr), del 5,6%: il contributo più ampio a tale flessione viene dalla componente interna dell'energia".
Ma per interpretare correttamente le tendenze a breve periodo si usa
guardare agli ordinativi, ossia alle commesse che le aziende ricevono e
cui faranno fronte nei prossimi mesi. Ma anche qui è notte fonda: "Per
gli ordinativi totali, si registra una diminuzione congiunturale del
3,6%, sintesi di un aumento dello 0,7% degli ordinativi interni e un
calo del 9,0% di quelli esteri". Sottolineiamo il dato delle esportazioni, ancora una volta...
"Nel confronto con il mese di gennaio 2014, l'indice grezzo degli ordinativi segna una variazione negativa del 5,5%".
Vedremo nei prossimi giorni se gli altri settori (prima-agricoltura e
servizi) hanno registrato andamenti diversi, talmente positivi da
compensare la caduta nel settore industriale. Ma è in genre piuttosto
difficile che ci possa essere "crescita economica" con il settore
industriale che cala; e da otto anni.
La Reichlin era comunque giustamente preoccupata perché, anche in
attesa di dati molto più positivi di questi, comunque la disoccupazione
europea "fisiologica" veniva prevista intorno al 10%. Un dato abnorme,
che "proprio normale non è". E chiedeva alle istituzioni dell'Unione
Europea, nonché agli altri decisori dell'area, di mettere al centro
dell'attenzione la necessità di creare occupazione, perché un esercito
di disoccupati quelle dimnsioni, peralto distribuito in modo molte
ineguale sul piano territoriale e su quello generazionale, è certamente
un problema sociale suscettibile di diventare politico.
Ma se addirittura la produzione industriale scende...
Il rapporto completo dell'Istat: Fatturato_e_ordinativi_dellindustria_-_27_mar_2015_-_Testo_integrale.pdf376.03 KB Le serie storiche: Fatturato_e_ordinativi_dellindustria_-_27_mar_2015_- _Serie_storiche.zip14.45 KB
VITERBO - Sabato pomeriggio alle 17.30, appuntamento con gli speciali.
Ospite
al Consorzio delle biblioteche Diego Fusaro. Studioso della “filosofia della
storia” e delle strutture della temporalità storica, presenta il suo ultimo
libro “Il futuro è nostro” (Bompiani 2014).
Un
colpo di frusta alla retorica della realtà come situazione immutabile,
all’abitudine di prenderne atto anziché costruirne una migliore. Sostiene
Fusaro, come il primo compito di una filosofia resistente sia
quello ripensare il mondo come storia e come possibilità, creare le
condizioni per cui gli uomini si riscoprano appassionati ribelli in cerca di un
futuro diverso e migliore.
A
partire da questo pensiero in rivolta, si può combattere il fanatismo
dell’economia: e, di qui, tornare a lottare in vista di una più giusta “città
futura”, un luogo comune di umanità in cui ciascuno sia ugualmente libero
rispetto a tutti gli altri.
Opportunità
da cogliere, spinta da un sistema economico che, a differenza dei
regimi del passato, non pretende di essere perfetto: semplicemente nega
l’esistenza di alternative.
L’appuntamento
si terrà presso la sala conferenze “Cardarelli” del Consorzio. Viale Trento
18/e.
Tesoro al lavoro sul Def, tagli spesa per scongiurare rialzi Iva
Articolo pubblicato il: 26/03/2015
Il Tesoro al lavoro per la preparazione del Def.
Il testo va presentato alla Camera il 10 aprile, quindi l'obiettivo è
di portarlo in cdm qualche giorno prima di quella scadenza. Dopo il via
libera parlamentare il Documento di economia e finanza approderà a
Bruxelles, entro il 30 aprile, come di prassi per tutti i paesi europei
nel quadro del monitoraggio sull'andamento dei bilanci.
E nell'elaborare le stime e far quadrare i conti, la mission che il
Mef ha ben in mente è scongiurare, se il rischio si palesasse, che nel
2016 scattino le clausole di salvaguardia. Per questo dovrebbe ricorrere
ad un nuovo giro di vite ai rivoli della spesa pubblica.
La migliorata congiuntura economica, tra l'impatto del Qe della Bce, il
calo dei prezzi petroliferi e i ribassi dell'euro che spingono l'export
sono una boccata d'ossigeno per l'economia che tuttavia potrebbe non
essere sufficiente.
Da qui la possibilità di una nuova tornata di spending review per
evitare aumenti automatici di Iva e accise che rischiano di avere
ricadute sulle tasche delle famiglie per 842 euro l'anno, secondo i
calcoli di Adufbef e Federconsumatori Sul fronte della crescita nel
documento dovrebbe esserci un rialzo, probabilmente lieve, della stima sul pil rispetto al +0,6% nel 2015 delle ultime previsioni del governo.
Già il governatore di Bankitalia Ignazio Visco al Forex di febbraio
ha parlato di una revisione verso l'alto della crescita italiana a
(+0,5% nel 2015) e anche l'Ocse di recente ha elevato l'asticella del
prodotto interno lordo a +0,6%: in entrambi i casi però si partiva da
valori più bassi di quelli del governo (+0,4%). Ottimista sulla crescita
anche il Centro studi Confindustria che ieri ha previsto un aumento del
prodotto interno lordo dello 0,2% nel primo trimestre con prospettive
di un ulteriore miglioramento.
Nel Def e in particolare il Pnr, il programma nazionale di riforme, il governo metterà nero su bianco lo stato dell'implementazione delle riforme
dell'agenda Renzi, sia quelle istituzionali che economiche sulla scorta
del lavoro fatto nell'ultimo anno e che ha visto tra gli altri
interventi anche il via libera al Jobs Act. Nel documento si terrà
inoltre conto anche del nuovo piano di investimenti della Commissione Ue
e dell'intesa dei leader europei sulla flessibilità per escludere
queste spese dal calcolo del deficit. Si farà anche il punto sulle
privatizzazioni.
L'obiettivo del governo resta quello di proseguire con la vendita di
quote di società pubbliche per ricavare somme pari allo 0,7% del Pil
l'anno per tre anni. Il tutto con l'obiettivo di tagliare l'alto debito
pubblico come richiesto dalle norme Ue.
«O
questa cosa riesce a decollare entro 4/8 settimane o non ce la si fa».
Così diceva il 12 marzo Andrea Guerra a Giovanni Minoli su Radio 24,
a proposito della banda larga. O, meglio, dell’operazione che avrebbe
permesso a Telecom Italia di guidare la realizzazione del Piano per la
banda ultra-larga, la soluzione preferita dal consigliere economico del
premier Renzi. Ma mentre passano i giorni, nessuna soluzione è vicina.
Dal ministero dello Sviluppo economico
confermano che la causa principale è lo stop arrivato dal ministero
dell’Economia e delle finanze: è in dubbio la copertura per il 2015
Prima di tutto, manca il decreto attuativo dello Sblocca Italia
relativo proprio al piano per lo sviluppo della connessione a Internet
ad alta velocità (30 Mb e 100 Mb). Dal ministero dello Sviluppo
economico confermano che la causa principale è lo stop arrivato dal
ministero dell’Economia e delle finanze, che sta scrivendo il decreto
attuativo assieme al Mise. La Ragioneria dello Stato vuole vederci
chiaro sull’ammontare del delta negativo tra minore Ires e maggior
gettito Iva. Il problema della copertura non è sull’intero piano di
sviluppo, previsto in cinque anni: da qui al 2020 i sei miliardi di euro
di dote promessi ci dovranno essere. Il motivo di preoccupazione
riguarda il 2015: se gli operatori presenteranno piani per troppi
progetti, ci sarebbe un problema di copertura e si dovrebbe decidere
quali avrebbero la precedenza.
Non è l’unica incognita: a oggi non è stato chiarito a quanto
ammonterà il credito di imposta per gli interventi di stesura della
fibra. Il decreto Sblocca Italia parla di un credito che può arrivare
fino al 50%. Ma sarà realisticamente attorno al 40%, se non al 30 per
cento. A decidere dovrà essere il Cipe.
Oggi non è chiaro l’orientamento della
Commissione europea sull’eventuale presenza di aiuti di Stato. La
risposta potrebbe arrivare tra un anno
Così come oggi non è chiaro l’orientamento della Commissione europea
sull’eventuale presenza di aiuti di Stato. A essere in bilico non è
tutto il piano, ma solo i finanziamenti che riguardano le aree più
sviluppate. Nelle aree chiamate bianche (quelle nei cluster D, C e B2,
ovvero soggette a fallimento di mercato totale e parziale) non ci
dovrebbero essere problemi da parte dell’Ue. Più problematico il
discorso nei cluster B1 e soprattutto A, cioè le aree (soprattutto nelle
grandi città) dove gli investimenti degli operatori starebbero in piedi
anche senza incentivi. Se per le aree A con la copertura a 30 Mb è
scontato il no dell’Europa, nelle stesse aree la copertura con 100 Mb
potrebbe essere considerata finanziabile. Per avere una risposta chiara
da Bruxelles su questo punto, dicono dal Mise, potrebbe passare anche un
anno, anche se il governo ha chiesto che la Commissione si esprima
prima dell’entrata in vigore del decreto attuativo. I conti non tornano,
calendario alla mano, anche perché il tempo stringe.
In queste condizioni di incertezza, gli operatori devono presentare le proprie offerte per le varie aree entro il 31 marzo
In queste condizioni di incertezza, gli operatori devono presentare
le proprie offerte per le varie aree entro il 31 marzo. Cioè con quasi
certezza prima che ci sia il decreto attuativo. Rispondendo alle domande
dei giornalisti, il 25 marzo il sottosegretario del Mise Antonello
Giacomelli ha detto che il decreto sarà pronto “nei prossimi giorni”.
Quello che ragionevolmente succederà è che gli operatori selezioneranno
le aree a tappeto, in attesa di capire come sarà il decreto attuativo.
Al momento sono esclusi slittamenti di questa deadline.
Quello che ragionevolmente succederà è
che gli operatori selezioneranno le aree a tappeto, in attesa di capire
come sarà il decreto attuativo
La scadenza più importante è però quella del 31 maggio. È a quella
data che le generiche manifestazioni di interesse si dovranno tramutare
in piani di sviluppo concreti, che saranno vincolanti. Il contesto dovrà
essere chiarito prima e magari con anticipo, per dare il tempo alle
aziende di predisporre i singoli progetti.
Non che gli operatori stiano dando una mano a sbrogliare la
questione. La soluzione che sembrava più probabile, perché sponsorizzata
da Andrea Guerra in più occasioni, era l’entrata di Telecom Italia in
Metroweb, la società che ha già cablato Milano negli anni scorsi e che
per sopportare uno sviluppo su scala nazionale avrà bisogno di un
aumento di capitale da realizzare attraverso di uno o più soci. L’ex
monopolista ha deciso di non presentare un’offerta di fronte
all’impossibilità di controllare Metroweb con il 51% delle azioni. Nella
partita si è inserita Vodafone, che ha firmato una lettera d’intento
con F2i, azionista di Metroweb. Come socio potrebbe entrare anche Wind.
Le condizioni di Vodafone sono state chiare: gli altri soci privati in
Metroweb devono avere pari peso e il controllo della società deve
restare a F2i, Cdp o un altro soggetto pubblico. Un chiaro no al piano
di Telecom.
Oggi, 26 marzo, a Venezia si terrà un cda di Telecom Italia il cui
ordine del giorno è stato cambiato e impostato proprio sulla questione
della banda larga. Si dovrebbe quindi capire se l’ex monopolista troverà
una soluzione intermedia - come il congelamento dei diritti di voto per
la quota eccedente la maggioranza - o se andrà avanti per la sua
strada. «Non esiste un solo caso al mondo in cui una soluzione
consortile abbia funzionato» ha detto l’ad di Telecom Marco Patuano nei
giorni scorsi ad Affari & Finanza di Repubblica. In realtà,
fanno notare persone vicine alla questione, c’è spazio per una corsa a
due, con Telecom da una parte e Metroweb (con Vodafone e Wind)
dall’altra. Perché il piano di sviluppo della banda ultralarga prevede
sia una copertura da 30 Mb (che sarebbe coperta dalla tecnologia di
Telecom, con la fibra che arriva fino alle cabine e il rame che arriva
fino alle case) sia una copertura da 100 Mb, la soluzione di Metroweb
che porta la fibra fino alle singole case. Per la copertura a 30 Mb
l’obiettivo è il 45% quest’anno, il 75% nel 2018 e il 100% nel 2020. Per
quella a 100 Mb gli obiettivi sono minori: 1% quest’anno, 40% nel 2018 e
85% nel 2020.