L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 23 maggio 2015

Grecia, gli euroimbecilli all'angolo qualsiasi decisioni prendano, hanno perso

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Paul De Grauwe: “I creditori vogliono spingere la Grecia verso il default. Ora tutto dipende dalla BCE”

“Siamo a un punto di svolta: se si afferma il principio che l’unione monetaria non è permanente, ripartiranno le speculazioni”.
L’economista belga Paul De Grauwe, docente alla London School of Economics, è stato uno degli analisti che meglio di chiunque altro, nel 2009, ha anticipato la crisi che stava per abbattersi sull’eurozona quando la Grecia ha svelato la sua vera situazione finanziaria. Da allora è stato anche dei critici più implacabili della sua gestione.
L’Eurogruppo accusa la Grecia di essere irrazionale nel rifiutarsi di cedere alle sue richieste.
È pura propaganda. È evidente ormai da anni che l’austerità imposta alla Grecia ha devastato l’economia del paese e non ha fatto non nulla per ridurre il rapporto debito/PIL, ma nonostante questo i creditori insistono che la Grecia deve continuare sulla stessa strada. È questo ad essere irrazionale. E quando il governo si rifiuta di farlo, lo accusano di essere irrazionale. È il mondo alla rovescia. Alcune delle riforme che si chiedono alla Grecia, come la riforma del sistema fiscale, sono sensate. Ma altre, come insistere sulle privatizzazioni nel mezzo di una depressione economica, sono assurde.
I negoziatori europei si lamentano del fatto che quando il governo greco si dimostra disposto a negoziare su un punto poi non è in grado di presentare delle proposte alternative, in parte perché non hanno esperti propri e non si fidano della macchina amministrativa.
Può essere. È un governo nuovo e con poca esperienza alle spalle, inutile negarlo. Ma questo non è un buon motivo per asfissiarlo. Yanis Varoufakis non ha aiutato molto in questo senso, è vero. Ma se guardo al contenuto del programma di salvataggio, comprendo la resistenza del governo greco. In seguito alla ristrutturazione che è stata fatta, ritengo che oggi il debito greco sia sostenibile, ma solo a patto che si permetta al paese di tornare a crescere. Oggi la Grecia ha un problema di liquidità, ma le nazioni creditrici non hanno intenzione di dargliela. Vogliono imporre le loro condizioni, che sono molto ideologiche. Ho il sospetto che vogliano rovesciare il governo.
Si sta spingendo la Grecia verso il default?
Mi pare ovvio. Direi che c’è anche chi sta cercando di spingere il paese fuori dall’eurozona. Il ruolo della BCE sarà determinante. Alla fine sarà essa a decidere se un default della Grecia dentro l’euro porterà alla fuoriuscita del paese dalla moneta unica, che è un prospettiva terrificante. Resta da vedere se sarà disposta a garantire la liquidità necessaria affinché il sistema bancario greco non sia travolto dal default. Se lo fa, la Grecia può anche rifiutarsi di pagare, senza che questo si trasformi necessariamente in un dramma. Il nodo della questione è totalmente politico, l’economia non c’entra niente. È chiaro che si sarebbe dovuto fare una ristrutturazione del debito molto più ampia di quella che è stata fatta, perché quello che è avvenuto è anche responsabilità dei paesi creditori, delle banche europee che hanno inondato di liquidità la Grecia. Questa ristrutturazione non è avvenuta e adesso i creditori vogliono imporre alla Grecia delle condizioni politiche che non hanno alcun fondamento economico.
L’eurozona è più preparata oggi per un’eventualità di questo tipo di quanto non lo fosse qualche anno fa?
Nel breve, sì. Non c’è nessuna ragione per cui un default o anche un’uscita della Grecia dall’euro debba avere implicazioni rilevanti per paesi come il Portogallo, l’Irlanda o la Spagna, giacché oggi esistono garanzie finanziarie a sufficienza. Il problema è nel lungo termine. Arriveranno altre crisi… e se si afferma il principio che l’unione monetaria non è permanente, ripartiranno le speculazioni.
Se un default della Grecia non porta alla sua fuoriuscita dall’eurozona, come avviene nelle altre unioni monetarie, non sarà un segno della maturità e della resistenza del progetto?
Tutto dipende dalla capacità dell’eurozona di circoscrivere quello che avviene in Grecia. Se lo Stato della California dichiara la bancarotta, la cosa è gestibile perché non va ad influire sul sistema bancario della California, che gode delle garanzie del sistema federale. Per questo negli Stati Uniti non c’è alcun rischio di effetto domino, ossia che una crisi sovrana si trasformi in una crisi bancaria. La questione è se questo si possa evitare in Grecia o meno. Se non sarà possibile, la Grecia non avrà altra scelta che uscire dall’eurozona. Il paese non può permettersi di lasciare che le sue banche falliscano, poiché questo trascinerebbe giù tutto il resto dell’economia, producendo maggiore disoccupazione ed instabilità politica. Il nodo della questione, dunque, è se la BCE sarà disposta a sostenere il sistema bancario greco in caso di default dello Stato sul debito pubblico.

http://www.eunews.it/2015/05/22/paul-de-grauwe-creditori-vogliono-spingere-la-grecia-verso-il-default-e-rovesciare-il-governo-di-syriza-ora-tutto-dipende-dalla-bce/35810

Ucraina, la colonia europea statunitense da altri soldi per sostenere la guerra

Ucraina: da Ue altri 1,8mld euro per assistenza economica

Siglato Memorandum, riforme in cambio di prestiti

22 maggio, 19:22

Ucraina: da Ue altri 1,8mld euro per assistenza economica Ucraina: da Ue altri 1,8mld euro per assistenza economica
BRUXELLES - La Ue e l'Ucraina hanno siglato oggi a Riga il Memorandum d'intesa e un accordo per prestiti nell'ambito del terzo piano di assistenza macroeconomica che porterà nella casse di Kiev altri 1,8 miliardi di euro.

L'accordo è stato siglato dal vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, dal ministro delle finanze ucraino Natalie Jaresko e dal Governatore della banca centrale ucraina Valeria Gontareva.

L'accordo fissa le condizioni che l'Ucraina dovrà rispettare per avere i fondi, ovvero un piano di riforme ambizioso che va dalla gestione dei conti pubblici alla trasparenza, dall'ambiente per le imprese all'energia, al settore finanziario. Tali riforme aiuteranno il Paese a raggiungere le priorità di medio termine descritte dall'accordo di associazione Ue-Ucraina.

http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2015/05/22/ucraina-da-ue-altri-18mld-euro-per-assistenza-economica_5a11d576-ebd5-4131-bebe-204542ee4782.html

Ucraina, la colonia statunitense stretta nella morsa dei debiti

Ucraina: protesta anti crisi a Kiev

Contro la crisi. Tensione e tafferugli davanti al parlamento

Tensione e tafferugli a Kiev, dove centinaia di persone stanno manifestando davanti al parlamento per protestare contro la crisi e i crescenti costi dei prestiti, bruciando anche pneumatici. Per ora gli agenti in assetto anti sommossa sono riusciti a contenere la folla. I manifestanti chiedono tra l'altro l'approvazione della legge che ristruttura i prestiti privati in valuta straniera, consentendo di ripagare in grivnie ad un tasso pre crisi, ossia 5 grivnie per dollaro, contro le 20 attuali.

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2015/05/21/ucraina-protesta-anti-crisi-a-kiev_dce7abe3-9cf6-4fd5-85be-de7fb9f88d1f.html

Siria, la Rivoluzione a Pagamento, Isis parte integrante, ha il sostegno umano, militare e finanziario, proviene dalla Turchia, dal Qatar, dall’ Arabia Saudita e dalla Giordania

IL J’ACCUSE DEL LIBANESE KANDIL: LA TURCHIA E’ IL GRANDE FINANZIATORE DELL’ISIS


Secondo l’analista, l’Isis sarebbe sostenuta finanziariamente dalla Turchia che provvede a smerciare il petrolio siriano e iracheno attraverso società, alcune delle quali legate alla leadership, che prendono tangenti sulle vendite. Un’operazione che avverrebbe sotto gli occhi degli Stati Uniti e dell’Onu  ogni ora di ogni giorno.
libanese kandilGhaleb Kandil è un giornalista, direttore dell’Agenzia di stampa New Orient News, analista politico e membro della commissione per l’audiovisivo libanese,  presidente del Centro Nuovo Medio Oriente per gli studi strategicidi Beirut. Si definisce «di sinistra, progressista, arabista e a favore dell’autodeterminazione dei popoli».  Ospite in Italia dell’ “Associazione Amici del Libano” è stato in visita a Roma nella sede del nostro giornale Futuro Quotidiano, dove ha parlato di Stato Islamico, chiamandolo sempre Daesh, nell’accezione negativa utilizzata dagli arabi, del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan, di Arabia Saudita, della politica perseguita in Medio Oriente dagli Stati Uniti e del ruolo della Cia, dell’Asse della Resistenza, di Yemen, e ha raccontato di come la Palestina sia, per lui e per molti libanesi, “come la sposa rapita e stuprata il giorno delle nozze”. È stato un incontro nel corso del quale sono stati toccati diversi punti e che fa comprendere appieno come la questione mediorientale sia qualcosa di complesso e ramificato, con grandi interessi economici in ballo, oltre che di dominio del territorio,  e nella quale non esistono “buoni e cattivi” , nè una sola verità.  Data la lunghezza e la diversità degli argomenti affrontati,  l’intervista sarà pubblicata in tre puntate. In questa prima si parlerà di Siria e di Libano. La prossima sarà dedicata all’effetto farfalla della situazione nella regione, mentre la terza all’Arabia Saudita e all’ Iran. I protagonisti di questo racconto sono  Erdogan, Bashar al Assad, Saad Hariri, la famiglia reale saudita, Hassan Rouhani, la Cia, il Daesh, Israele. Attori non protagonisti, ma coinvolti in primo piano sono Vladimir Putin, l’Afghanistan, lo Yemen, il Pkk, Alexis Tsipras. Ha collaborato il giornalista Samir al Qaryouti.
Lo Stato Islamico ha appena preso Palmira. Che cosa succederà secondo lei? Il responsabile dei Beni Culturali in Siria dice che le statue sono state portate in salvo. C’è speranza che si salvi il resto del sito archeologico? Palmira è un punto strategico, che cosa sta dando la spinta all’Is di andare avanti? Si sta potenziando la sua forza di attacco? Come mai?
L’esercito sta combattendo lo Stato Islamico su ogni fronte della battaglia. Quello che non viene riportato è il flusso di danaro, di armi e di uomini armati verso la Siria, tramite il confine turco e giordano e, in misura minore, dal Libano. Il comandante della resistenza siriana ha rivelato che nell’ultima battaglia di Kalamon sono stati smascherati il contrabbando di armi e soldati dal Libano verso la Siria e che questo sostegno umano, militare e finanziario, proviene dalla Turchia, dal Qatar, dall’ Arabia Saudita e dalla Giordania. Ogni volta che arriva questo supporto, lo Stato Islamico fa un passo avanti.
Chi finanzia lo Stato Islamico?
Oggi Isis vuol dire Turchia; l’Isis è sostenuta finanziariamente dalla Turchia. Come accade? Lo Stato Islamico ruba il petrolio siriano e iracheno, lo trasporta tramite camion verso la Turchia, lo vende dai porti turchi a clienti americani e israeliani. So quello che dico. I denaro viene pagato attraverso società turche, alcune delle quali riconducibili a parenti di Erdogan. Il gruppo che è al  potere in Turchia prende la sua tangente e il resto di quei soldi finisce nelle casse dell’Isis. Questa operazione è in corso sotto gli occhi degli Stati Uniti e dell’Onu. E accade ogni ora di ogni giorno. Dal Qatar e dall’Arabia Saudita poi un flusso di finanziamenti arriva all’Is  ma anche ad al-Nusra e ai Fratelli Musulmani, che insieme hanno costituito Jaish al Fath (L’esercito della conquista). Dopo la riconciliazione, sotto la supervisione Usa, fra Arabia Saudita e Turchia, quest’estate hanno radunato le loro forze per organizzare una nuova escalation di attacchi contro la Siria.
La Siria come sta affrontando la battaglia contro gli integralisti?
L’esercito siriano agisce secondo i propri piani. Ha una lista di priorità dei suoi obiettivi, adeguata alleproprie capacità umane e pratiche. Cerca di contenere queste offensive e si prepara a lanciare adeguate controffensive. Secondo la mia personale previsione, l’esito della battaglia di Kalamon avrà la parola decisiva per la sorte di quest’azione dell’esercito siriano. Le montagne del Kalamon arrivano al nord della Siria e da lì si può addirittura vedere la Palestina. Questa battaglia sarà una svolta strategica che scatenerà la forza militare di decine di migliaia di soldati siriani che sono ora concentrati nella zona.
Sarà una svolta positiva nella lotta all’Is?
Sì, sicuramente.
Palmira, in questo scenario militare, come s’inquadra?
Palmira è un punto importante per la prossima controffensiva dell’esercito siriano. Durante la battaglia di Kessab, gli integralisti sono rimasti nella città fra i due e i tre mesi allargandosi ad altri villaggi intorno. Dopodiché l’esercito siriano ha lanciato controffensiva e ha ripreso in mano tutto. L’esercito siriano è resistente, forte e al suo fianco, in tutte le sue battaglie, ha la resistenza libanese. E questo è importante.
Il Libano, quindi, sostiene la Siria?
La resistenza libanese, difendendo la Siria difende la sua scelta di essere la resistenza. Perché i terroristi che attaccano oggi la Siria hanno sott’occhio il Libano. Il pericolo è rappresentato da questi kandilintegralisti, taqfiri (integralisti totali che rifiutano qualsiasi differenza dalle loro idee e considerano kuffar, nemici e miscredenti, chi non la pensa come loro – nota di traduzione di Al Qaryouti).  Di questo pensiero wahabita taqfiri integralista  soffre l’intera regione. Noi scommettiamo sui Paesi dell’Europa del Sud come l’Italia e tutti i nostri partner nel bacino del mediterraneo, perché sono interessati come noi a difendersi dai pericoli prossimi. Tutta la costa mediterranea orientale ha una caratteristica (Libano, Siria, Palestina), ovvero quello di ospitare diversità religiose e culturali, di tutelare la multietnicità. Lo stato laico siriano si prende cura di questa diversità fra le culture che esistono in questi Paesi. Quando l’Iraq ha avuto guerre e distruzioni, chi è che ha accolto i cristiani dell’Iraq? La Siria. Chi è che ha accolto i musulmani e i cristiani libanesi durante la guerra in Libano? La Siria. Questo Stato che si chiama Siria viene punito per quale colpa? Quello di salvaguardare la propria indipendenza.
Per quanto riguarda soluzione crisi siriana, quali tempi sono previsti?
Io sono contro tutte le previsioni di quelli che in Iran dicono o affermano che l’eventuale firma dell’accordo nucleare con gli Stati Uniti sarà la chiave magica di tutti i problemi della regione. Più contatti e maggiore comunicazione fra i due Paesi permetteranno certo la discussione di tante questioni. Ma tutte le soluzioni nasceranno dai pesi e dagli equilibri locali e dentro l’area. Oggi la strategia Usa e dei suoi alleati è quella di una guerra di logoramento. Bisogna fermare ogni attività terroristica, ogni rifornimento di soldi e di armi ai terroristi. Se accadesse l’esercito siriano ci metterebbe pochi mesi per spazzarli via tutti. Chi è che sta impedendo la risoluzione o l’applicazione della risoluzione del consiglio di sicurezza Onu? Gli Stati Uniti. Riuscirà l’Iran a imporre a Washington a rinunciare a questo progetto? Non credo. Ci vorrebbe uno sforzo più ampio. Non basta l’ Iran, insieme alla Russia o alla Cina. Speriamo si aggiungano voci europee.
Una delle soluzioni proposte è la divisione in cantoni della Siria: uno stato sunnita, uno sciita, uno cristiano…
In Siria non ci sono i presupposti per una divisione o una spartizione. In Siria c’è una grande massa sunnita popolare che è al fianco del governo. Il presidente Assad non gode solo del consenso alauita o cristiano ma anche all’appoggio della comunità sunnita, perché in Siria c’è un vero stato nazionale, a differenza dell’Iraq. E poi c’è, da parte di Assad e del suo governo, una forte volontà politica a mantenere salda l’unità della nazione anche a costo di una lunghissima guerra.
Che notizie si hanno di padre Dall’Oglio?
Sta a Raqqa.
Tornando al Libano, Francesca Paci della Stampa ha parlato di mina inesplosa. Lei è d’accordo?
libanoNoi in Libano abbiamo un detto: chi vuole o chi desidera seriamente fare esplodere la situazione non lo può fare e chi può farlo non lo vuole fare. Senza la battaglia di Kalamon, Beirut sarebbe diventata una nuova Baghdad. L’esercito siriano, per fortuna, è riuscito a chiudere tutto il confine nord del Libano. Le forze del 14 marzo di Saad Hariri hanno scommesso su una cosa sola, ovvero la rapidità del crollo dello Stato siriano e hanno costituito basi di partenza per i terroristi nel Libano. Hanno portato navi piene di armi nei porti libanesi e hanno spinto alcune forze di sicurezza ad aiutare gli integralisti. In questo clima e sotto la supervisione di Jeffrey Feldman (l’ambasciatore Usa a Beirut), hanno tentato di accendere un conflitto interno in Libano tramite una guerra fra sunniti e sciiti. Il leader della Resistenza, Hassan Nasrallah ha sottolineato l’importanza del ruolo dell’esercito libanese nel mantenimento della sicurezza nel Libano e ha resistito a qualsiasi risposta a differenze confessionali mobilitando la popolazione su questi obiettivi. Quando hanno rapito i pellegrini sciiti, stavamo per assistere a un vulcano di massacri, ma Nasrallah ha subito parlato alla nazione in un discorso televisivo: «non toccate nemmeno uno dall’altra parte» ha detto e la gente si è adeguata con la massima disciplina fino alla liberazione degli ostaggi. Quando gli occidentali hanno fatto un calcolo di equilibri locali, hanno visto che se spingono quelli del 14 marzo a scontrarsi con l’8 marzo (Hezbollah e altri) rischiano di ripetere un’altra esperienza fallimentare. Quindi, quelle basi del terrorismo che hanno creato nel Libano hanno perso ogni funzione. Gli apparati americani hanno ricevuto informazioni precise, secondo le quali  molti terroristi si sarebbero infiltrati dal Libano nei Paesi europei. Quando hanno visto che il risultato è questo, gli americani hanno accettato la formazione del nuovo governo libanese. C’era un veto ufficiale americano alla partecipazione degli Hezbollah al governo, dichiarato da Kerry a Doha. Caduto il veto, si è formato questo governo, con un compito primario, smantellare le cellule terroristiche nel Libano. Si è cominciato ad arrestare i terroristi secondo le informazioni di provenienza americana.
Alessandro Di Liegro

Africa, come NON far nascere profughi e migranti, l'Italia lavora in Senegal


Fotovoltaico in Senegal, donne e tecnologia le chiavi per lo sviluppo dell’Africa

Un progetto italiano di Green Cross per portare l'energia solare nei villaggi rurali

[22 maggio 2015]



Lo dice con un sorriso: «Finalmente potrò prendermi cura delle donne che vivono nelle aree rurali e aiutarle a far nascere i loro bambini». Lei è Amma Sall, responsabile del centro sanitario del villaggio di Gouriki Samba Diom, nella regione di Matam, in Senegal, dove l’Ong Green Cross ha appena installato un impianto fotovoltaico per fornire l’energia necessaria all’illuminazione e al funzionamento delle apparecchiature elettriche.

In occasione della Giornata mondiale dell’Africa del 25 maggio, l’associazione ambientalista fondata da Gorbaciov raggiunge un nuovo significativo obiettivo del progetto “Freddas – Terre di confine”, avviato in Senegal con il contributo della Cooperazione italiana allo Sviluppo e il sostegno di L’Erbolario.

Storie come quella di Amma dimostrano quanto l’impiego di tecnologie sostenibili, insieme all’impegno delle donne, sia fondamentale per il futuro dell’Africa, anche per le piccole realtà locali come il villaggio di Gouriki Samba Diom, dove sono le donne a dover crescere i figli, lavorare la terra e portare avanti l’economia familiare. È a loro che il progetto “Freddas” si rivolge.

In Senegal Green Cross ha già realizzato impianti per l’irrigazione, reso coltivabili 400mila metri quadrati di terreno, assicurato i mezzi di sussistenza a 158 famiglie. Di recente, grazie anche al supporto dei tecnici ENEA, ha installato due impianti fotovoltaici da 100 kWp e 50 kWp, che oltre al centro sanitario alimentano i sistemi di irrigazione goccia a goccia e le celle frigorifere che permettono la conservazione dei prodotti.

Ma grazie al progetto è stato soprattutto possibile mettere in discussione la scarsa presenza femminile negli incarichi più importanti: ora le donne sono in netta maggioranza nel comitato di gestione del progetto, partecipano ai processi decisionali e ricoprono ruoli di responsabilità all’interno del villaggio, come presidente, tesoriere e vicepresidente. Per di più, è a loro che sono affidati anche la commercializzazione dei prodotti agricoli e l’incarico di viaggiare alla volta dei mercati regionali a bordo di carri a trazione animale forniti dall’Ong.

«Le donne di Gouriki sono molto volonterose – dichiara Elena Seina, coordinatrice delle attività di genere di Green Cross Italia -: seguono con costanza i nostri diversi corsi di formazione, da quelli teorici sulla gestione dei risparmi a quelli più pratici sull’utilizzo delle tecnologie installate. Un impegno importante, che dimostra la loro voglia di migliorare e di pensare al futuro».

 - See more at: http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/fotovoltaico-in-senegal-donne-e-tecnologia-le-chiavi-per-lo-sviluppo-dellafrica/#sthash.OB8sCqS0.dpuf

Francesco e i gesuiti

Il mistero Bergoglio

Il gesuita argentino che parla al cuore delle persone e rompe i tabù millenari di Santa Romana Chiesa,dimostra di avere tutte le caratteristiche per rivoluzionare il mondo cattolico.


Pronto? Signora Rosalba buongiorno, sono Papa Francesco". La signora Tomassoni di Pesaro, mamma di un giovane imprenditore ucciso nel giugno scorso, stentava a credere che non si trattasse di uno scherzo. Al telefono c'era il Papa. Lo stesso Papa che ha telefonato a un ragazzo di Pinerolo affetto da distrofia muscolare, a una donna argentina vittima di uno stupro, alla commessa di una libreria di via della Conciliazione a Roma.

Le telefonate del Papa sono diventate un caso giornalistico. Quello che ha fatto il Pontefice è, rispetto a tutti i suoi predecessori, qualcosa di eccezionale, ma diventa meno eccezionale se ci fermiamo a riflettere sul fatto che il Papa è un gesuita al 100%.
 
Papa Francesco e i suoi "compagni" (così si autodefiniscono i gesuiti) da 473 anni rappresentano il nucleo più anticonformista e rivolto al sociale di tutta la Chiesa Cattolica Romana: un'avanguardia di cultura, di integrazione e di apertura al dialogo anche al di fuori dei confini della Chiesa, che non ha eguali rispetto a tutti gli altri ordini religiosi.

Nel mezzo millennio della loro esistenza, i gesuiti sono stati guardati con sospetto, spesso tenuti ai margini del potere ecclesiale o, addirittura, perseguitati (come nel Sei-settecento durante la guerra dei Guaranì che li vide reagire militarmente ai tentativi spagnoli di oppressione degli indios del Paraguay) o esiliati (nel 1773, su richiesta dei "cattolicissimi" re di Portogallo, Spagna, Francia e Napoli, la Compagnia venne sciolta dal Papa Clemente XIV e verrà riammessa nel corpo della Chiesa nel 1814).

I gesuiti sono stati sempre una presenza scomoda nell'universo cattolico. Hanno investito nella cultura, nella scienza e nel sociale come elementi pratici di apostolato semplice e accessibile. Al secondo processo contro Galileo Galilei nel 1621, si schierarono a difesa dello scienziato pisano, accusato di eresia per il suo saggio sul Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Il gesuita Melchior Inchofer, un grande matematico, tentò di salvarlo dagli strali del Santo Uffizio dichiarando che tutte le accuse contro di lui erano "inconsistenti".

Padre Matteo Ricci da Macerata, inviato alla fine del Cinquecento in Cina per compiere apostolato, trascorse vent'anni a studiare la lingua, percorse tutto il difficilissimo cursus studiorum che consentiva l'accesso al mandarinato e divenne consigliere dell'Imperatore. Oggi è sepolto a Pechino in uno dei recinti imperiali con il nome di Li Madou Xitai.
 
Nonostante i loro successi in campo teologico, scientifico, filosofico ed educativo, per quasi cinquecento anni i gesuiti sono stati tenuti accuratamente lontani dalle leve del potere della Chiesa di Roma. Perché? Perché sono intellettualmente onesti e sufficientemente spregiudicati da mettere in crisi, se vogliono, qualunque centro di potere, laico o religioso, non con la violenza ma con l'esempio e con il ragionamento.

Guardiamo come si è comportato Papa Francesco di fronte alla possibilità di un attacco armato americano e francese contro la Siria. Invece di fare appello al pacifismo di maniera che spesso caratterizza gli appelli "contro la violenza", il Papa ha contribuito in modo fondamentale a fermare l'escalation militare con una semplice e dura accusa di carattere politico: "le guerre fanno comodo soltanto ai mercanti di cannoni". Che sia un uomo fuori dal comune lo dimostra il fatto che al termine dell'angelus che chiudeva una veglia di digiuno per la pace, ha augurato "buon appetito" ai 250mila fedeli presenti in Piazza San Pietro.

Insomma, chi è Bergoglio? Un eccentrico buontempone? Un uomo semplice che si diverte a fare impazzire la sua scorta? Niente di tutto questo. Papa Francesco è soltanto un lucidissimo "cervello gesuita". Se visitiamo il bellissimo sito web della Compagnia (www.gesuiti.it), troviamo nelle numerose schede chiare e sintetiche tutti i fondamenti teoretici che sono alla base del comportamento quotidiano del Papa gesuita.

Il Papa rifiuta di andare a vivere nei lussuosi appartamenti pontifici? Ecco cosa dicono i gesuiti: "Noi ci immergiamo nel cuore del mondo, le nostre case sono spesso situate nel cuore delle città piuttosto che in campagna o in luoghi isolati, sono residenze piuttosto che conventi o monasteri. Anche il nostro modo di vestire è inusuale. a seconda delle circostanze valutiamo come è più appropriato presentarsi alla gente. La nostra missione nasce dall'ascolto attento e discreto del contesto in cui viviamo".

Il Papa saluta la piazza dicendo "buonasera"? Fa filtrare attraverso la voce di un suo collaboratore che il celibato dei preti non è un dogma? Ecco la teoria ufficiale della Compagnia: "La nostra concezione del mondo è decisamente ottimistica: tutto può essere trasformato in occasione favorevole per aprirsi alla grazia, anche le contraddizioni e gli errori. andare a fondo nelle questioni non significa trovare una risposta a tutto, significa dialogare pazientemente con le domande che in ogni epoca abitano nel cuore dell'uomo.".

Sono strani i gesuiti. Nel 1660 un gesuita laureato in Fisica ha inventato la distillazione delle vinacce, quindi l'acquavite e i suoi derivati. Nel 1683 i gesuiti hanno piantato le prime vigne in California, producendo il pregiato Novitiate Jesuit Wine Black Muscat. Sul loro sito , lo sfondo della sezione storica è rappresentato da un affresco greco antico che raffigura atleti nudi in gara, mentre la sezione dedicata al fondatore della Compagnia, Sant'Ignazio, ha come sfondo l'immagine dell'atleta nero Jessie Owens, ai blocchetti di partenza della gara dei 100 metri piani alle Olimpiadi di Berlino.

Sono strani i gesuiti. Se scorriamo gli indici della loro rivista mensile "La Civilità Cattolica" (edita nel 1850, la prima rivista pubblicata in Italia in assoluto) troviamo trattati, tutti nello stesso stile semplice, chiaro e sintetico, gli argomenti più strani e disparati: dall'arte contemporanea alle recensioni cinematografiche, dalla politica cinese alle ultime scoperte della fisica, dalla storia alla politica alla letteratura alla medicina. Una rivista "religiosa", piena di argomenti laici, con una peculiarità: per una norma interna mai violata, sulla rivista possono scrivere soltanto padri gesuiti. È la dimostrazione di come per comprendere il mondo e tentare di migliorarlo, la Compagnia imponga ai suoi religiosi standard culturali, scientifici e accademici decisamente straordinari.Ed è proprio alla "sua" rivista che il Papa ha concesso un'intervista, per alcuni versi straordinaria, nella quale non ha esitato ad affrontare temi spinosi come l'aborto e il divorzio in termini decisamente "rivoluzionari".

Un ordine che individua nella cultura uno strumento di apostolato non poteva non dedicare le sue energie all'istruzione non soltanto primaria e secondaria, ma anche universitaria e accademica. Nelle università, nei licei e nelle scuole rette dai gesuiti, i padri sono coinvolti nell'insegnamento di tutte le materie, a tutti i livelli. Non si limitano all'insegnamento della religione o della teologia, ma operano a tutto campo. Tutti i comportamenti, le parole e le riflessioni scritte del nuovo Pontefice sono coerenti con le regole della Compagnia e con i suoi quasi cinquecento anni di storia. Bergoglio è un gesuita a tutto tondo, e se non interverranno imponderabili fattori esterni e paralizzanti reazioni conservatrici della Curia Romana, "rivoluzionerà" dalle fondamenta la Chiesa di Roma così come l'abbiamo finora conosciuta.

Intanto, negli ultimi mesi le donazioni alla "Caritas" in America Latina sono cresciute del 30% e, secondo un sondaggio "Demopolis" commissionato da "La Repubblica", Papa Francesco ha il sostegno del 97% dei cattolici (e fin qui niente di strano), ma anche del 67% di non cattolici e di non credenti. Dopo sei mesi di "lavoro", non è poco.

Fonte: LookoutNews

http://italintermedia.globalist.it/Detail_News_Display?ID=82374&typeb=0&Loid=226&Il-mistero-Bergoglio

venerdì 22 maggio 2015

il governo Renzi non ha cultura politica, deve andare a casa e fare ripetizioni

Un Paese ci vuole? La stizza di 16 grandi vecchi contro l'Italia renziana

Pubblicato:
CAMILLERI
Se i quarantenni si sono presi il potere - come è normale che sia - brandendo la brutta parola "rottamazione" come una clava nei confronti delle generazioni precedenti, non potranno mai vivere in quel Paese colto, curioso, libero e pieno di fermento che hanno vissuto loro. Lo pensano, chi più chi meno in maniera esplicita, i sedici grandi saggi - appartenenti a una certa élite culturale, civica e imprenditoriale italiana - intervistati dalla giornalista Silvia Truzzi per il Fatto Quotidiano. Interviste ora raccolte in un libro da titolo Un paese ci vuole edito da Longanesi. Un fastidio contro la nuova classe dirigente che percepiscono grossolana e senza un'idea di Paese. Mentre loro hanno toccato con mano la ricostruzione dell'Italia alla fine del fascismo prima e la crescita della Repubblica dopo.
I grandi vecchi - e il vecchio in questo caso è un valore per la memoria lucida che conservano di una certa Italia - sono Andrea Camilleri, Luciana Castellina, Guido Ceronetti, Pietro Citati, Gherardo Colombo, Massimo Fini, Vittorio Gregotti, Claudio Magris, Dacia Maraini, Piergaetano Marchetti, Piero Ottone, Giampaolo Pansa, Stefano Rodotà, Giovanni Sartori, Emanuele Severino, Gustavo Zagrebelsky.
Ma cosa manca oggi, o meglio cosa si è perso o addirittura cosa è peggiorato, in quel "paese che serve", come scriveva Cesare Pavese ne "La luna e i falò" a cui si è ispirata Truzzi per il titolo del suo libro. Cominciamo dalla cultura e, di conseguenza, dall'ignoranza. E tanta colpa sta nella borghesia. Lo scrittore e professore Claudio Magris, dal Caffè San Marco di Trieste dove usa lavorare, non ha dubbi: "Oggi la società italiana è sempre più una pappa gelatinosa - spiega -, una specie di Lumpenbourgeoisie, di borghesia intellettualmente pezzente anche quando è benestante, che non ha nulla a che vedere con la borghesia classica". Un mondo culturale che ha smarrito anche la grande letteratura: "Ormai - afferma il critico Pietro Citati - le librerie e le classifiche sono intasate per lo più di robaccia".
Tale smarrimento culturale ha colpito inevitabilmente anche la classe politica. Dice il presidente emerito della Corte Costituzionale, Gustavo Zagrebelsky: "La classe dirigente - intendo coloro che che stanno nelle istituzioni, a tutti i livelli - è decaduta a un livello culturale imbarazzante". La ragione secondo il giurista è semplice: "Di cultura politica la gestione del potere per il potere non ha bisogno. Sarebbe non solo superflua, ma addirittura incompatibile, contraddittoria". E poi arriva il paragone, lapidario, con i politici che hanno guidato la ricostruzione dell'Italia: "Parri, Nenni, De Gasperi, Einaudi, Togliatti, per esempio - afferma Zagrebelsky -. Se li mettiamo insieme non è perché avessero le stesse idee, ma perché ne avevano, e le idee davano un senso politico alla loro azione".
Dalla mancanza di cultura e di senso civico il passo verso il menefreghismo e la maleducazione è breve. A ricordarcelo è il giornalista Massimo Fini, senza giri di parole, come sua abitudine: "Siamo un paese maleducato - afferma -. Le persone si fanno continuamente sgarbi senza neanche rendersene conto, non esiste il rispetto dell'altro". Secondo lo scrittore Andrea Camilleri - che l'autrice ci ricorda va a trovare una volta all'anno - "la febbre è alta. Siamo in un momento di decadenza - dice il creatore di Montalbano -: la crisi della politica rappresenta la crisi della società".
In queste belle interviste - ognuna accompagnata da almeno una citazione di qualche grande romanziere o poeta, uno su tutti il Proust della Recherche - c'è tanto altro. Leggere il libro di Silvia Truzzi è sicuramente un'esperienza intellettuale per gli spunti che i protagonisti ci offrono. Ci sono ritratti formidabili delle antiche parrocchie politiche, di personaggi illustri visti da molto vicino, del mondo universitario terremotato dal '68 e poi dal '77, degli stravolgimenti della storia. Ma c'è anche una presa di distanza dal presente che nasconde qualche punta di snobismo e un po' di stizza verso la nuova generazione che senza chiedere permesso si è presa legittimamente il potere nel paese che, ci voglia o meno, nel bene e nel male, c'è già.

http://www.huffingtonpost.it/giacomo-galanti/stizza-grandi-vecchi-classe-dirigente_b_7349576.html

Scuola pubblica, uno spaccato per capire la protesta degli studenti e dei professori contro la sua distruzione

Secca bocciatura della riforma nell’istituto dove insegna la moglie del premier


ANSA

 
 
 
 
 
 La moglie del premier, Agnese Landini, insegna italiano e latino all’istituto Ernesto Balducci di Pontassieve (Firenze)
21/05/2015
INVIATA A PONTASSIEVE
Per capire a chi piace Agnese Renzi e a chi no, alla scuola di Pontassieve dove insegna, l’istituto superiore Ernesto Balducci, basta ascoltare come parlano di lei in sua assenza. Se dicono «la Landini», è ok. «La first lady», invece, è pollice verso. E ieri all’assemblea degli insegnanti della val di Sieve che si è tenuta proprio alla Balducci «first lady» era in gran voga. Lei, l’Agnese, non c’era. Un’assenza giustificata dal part time, ma anche dall’opportunità di non mischiarsi ai colleghi per discutere di buona scuola. Anzi «cattiva scuola» come dicono in molti in questa assemblea che ha prodotto un documento durissimo. Perché questo istituto sulla via Aretina, dove la moglie del premier insegna italiano e latino è diventato, almeno mediaticamente, il fortino della resistenza ad oltranza contro la riforma liquidata ieri dalla Camera. Il documento che gli insegnanti firmano non lascia dubbi: «L’assemblea si pronuncia a favore anche delle proteste più radicali fino allo sciopero degli scrutini di fine anno».

«La Landini non sarebbe comunque venuta all’assemblea», dice una sua collega. «Dopo quello che è successo a novembre quando ci siamo riuniti in collegio docenti per dare tutti il nostro parere sulla riforma». Cosa è successo? «Chiedete al professore Federico Gattolin, lui è un sindacalista e può parlare più liberamente di me, sa qui con questa storia dei dirigenti scolastici che diventeranno padroni delle nostre vite bisogna stare attenti». Lui, Federico Gattolin, come la signora Renzi insegna italiano e latino, ed è il rappresentante Unicobas. «A novembre abbiamo discusso in collegio docenti e la Landini ha preso la parola per chiarire che anche se non ha avuto nessuna responsabilità nel testo vi si riconosce pienamente», spiega il professore. E lo aiuta un collega che ricorda come la Landini sia stata dura in quell’occasione, «prima facendo cenno con le mani di stringere quando Gattolin controbatteva alle sue parole e poi pregandolo seccamente di non offendere quando ha detto che “il governo effettivamente non era in mala fede perché apertamente assoggettato ai poteri forti”. Come se fosse lei il governo». Gattolin è comprensivo: «Non è in una posizione facile, ma da allora non è più intervenuta. E lo apprezzo».

Da allora però sono successe altre cose come la protesta dei suoi studenti, classe seconda B, che invece di fare le prove Invalsi hanno deciso di scarabocchiare i fogli. «La prof non c’entra con la nostra protesta. In questa scuola è da anni che si boicottano gli Invalsi», spiega una ragazza che chiede di non rivelare il nome. «Siamo a fine anno, gli scrutini sono vicini, sa com’è…». «Noi non siamo crocette», la interrompe Giulia. «Siamo persone e non è giusto, sia per noi che per i nostri insegnanti, essere giudicati in questo modo». Il preside della scuola, Giulio Mannucci, ha accusato i ragazzi di averlo fatto per la notorietà, annunciando che valuterà come rispondere a questa disubbidienza. «Ci provasse solo», dicono in coro gli studenti che ieri hanno cinto la scuola Balducci con una catena umana. «Una catena per difenderla da una riforma che non vogliamo, un gesto di solidarietà alla scuola pubblica», chiarisce Ettore Macerini della rete degli studenti medi. «Era simbolico farla qui dove insegna la moglie di Renzi. E stessa cosa abbiamo fatto a Firenze, al Dante, la scuola del premier».

«Alla Landini - dicono le sue studentesse - abbiamo spiegato come la pensiamo, lei ci ha detto che non è d’accordo, spiegandoci a sua volta le sue ragioni. “Se non volete che la scuola venga valutata, ci ha detto, poi non potete lamentarvi”». La punizione del preside? «Dovrebbe punire metà della scuola. E poi nell’ufficio di presidenza non sono d’accordo con lui. Ci provasse». 

http://www.lastampa.it/2015/05/21/italia/politica/via-alle-proteste-pi-dure-ma-allassemblea-dei-colleghi-la-first-lady-non-si-presenta-cjJvPOUJm68MuMkpp7uXIL/pagina.html

il governo Renzi del corrotto Pd deve andare via non ha titolo per decidere niente

Politica e giustizia, la nuova contesa tra poteri


L’ Associazione nazionale magistrati critica il governo: sulla giustizia riforme timide e incoerenti. La Corte dei conti punta l’indice contro le Province, o meglio contro i ritardi nell’attuazione della legge Delrio, con effetti distorsivi sul bilancio dello Stato. Il Consiglio superiore della magistratura duella con l’esecutivo a proposito delle misure anticorruzione. Infine Armageddon, la battaglia totale: quella ingaggiata dalla Consulta, con la sentenza n. 70 che demolisce i conti pubblici. Un bollettino di guerra che si limita, peraltro, a registrare gli scontri dell’ultima settimana. Ma se viaggiamo a ritroso, fin dal battesimo del governo Renzi, le pagine di questo bollettino diventano un trattato militare.

Storia vecchia, si dirà. Dopotutto la rissa fra politica e giustizia costituisce il lascito indelebile della Seconda Repubblica. No: storia nuova. Giacché fin qui ne offrivamo due chiavi di lettura, però sbagliando la scelta degli occhiali. Da un lato, Berlusconi, con i suoi conflitti d’interesse, con le sue sfuriate quotidiane contro i giudici. Dall’altro lato, la fragilità della politica, divisa in coalizioni ballerine, incapace d’assumere qualsivoglia decisione. È la legge fisica dell’ horror vacui , che vale altresì nella fisica delle istituzioni: se un potere lascia libero il proprio spazio vitale, un altro potere finirà per occuparlo. Da qui la funzione di supplenza della magistratura, da qui il suo ruolo politico. Ma sta di fatto che adesso Berlusconi è ridotto all’impotenza, che il governo esprime viceversa una leadership potente, e tuttavia fra politica e giustizia volano ceffoni. Come prima, più di prima. D ev’esserci perciò un’altra spiegazione, un’altra causa di questa malattia degenerativa. Non è troppo difficile scoprirla: basta fissare gli occhi su ciò che rimane immobile nel nostro calendario, sugli elementi del passato che si riflettono pari pari nel presente. Quali? La crisi economica, la diseguaglianza che morde al collo le categorie più deboli, il deficit di Stato. Sta tutta qui la radice dello scontro. Perché i giudici sono sentinelle dei diritti, è questa la loro specifica missione.

Ma i diritti costano. Non soltanto i diritti sociali: sanità, istruzione, previdenza. Anche le libertà tradizionali espongono un cartellino con il prezzo, anche la sicurezza, dato che per garantirla bisogna garantire lo stipendio dei poliziotti o dei pompieri. Decidendo sulla tutela dei diritti, il potere giudiziario finisce quindi per decidere sulla distribuzione delle risorse pubbliche, che spetterebbe viceversa alla politica. Poco male, quando le vacche sono grasse. Molto male, se ne restano carcasse ossute, pelle senza polpa.

Democrazia e crisi economica: ecco la questione. Quanti diritti possiamo ancora permetterci? E chi stabilisce la loro gerarchia? Infatti i diritti sono sempre in competizione fra di loro: se proteggo la libertà d’informazione, sacrifico la privacy; se difendo le cavie animali, disarmo la ricerca medica. Ma la nostra società degli egoismi ha generato un’inflazione di diritti - dell’automobilista, del militare, dello spettatore, del turista. E ogni volta politica e giustizia bisticciano su chi ne sia il tutore. Per uscirne fuori, ciascuno dovrebbe calarsi un po’ nei panni altrui. Serve maggiore sensibilità politica nel potere giudiziario, serve maggiore sensibilità giuridica nel potere politico. E servono canali di comunicazione, strutture di collegamento. In questo tempo di crisi, anche la vecchia separazione dei poteri è diventata un lusso. 

http://www.corriere.it/editoriali/15_maggio_21/politica-giustizia-nuova-contesa-poteri-92d4adcc-ff79-11e4-8e1b-bb088a57f88b.shtml

TTIP, Stati Uniti un paese in decomposizione, si agrappa a tutto per mantenere supremazia

Qualcuno ha finalmente letto l’accordo commerciale segreto di Obama e ha ammesso che il TPP “danneggerà anche gli Usa”


maggio 21 2015

L’amministrazione Obama si vanta di essere la più trasparente di sempre

C’è un enorme paradosso che circonda quello che dovrebbe essere il coronamento del secondo mandato di Obama, il Partenariato Trans Pacifico (TPP), un disegno di legge il cui contenuto è praticamente sconosciuto a tutti e lo sarà fino alla sua approvazione.

Questo non è il paradosso: il paradosso è che nell’ottobre 2009, il segretario stampa della Casa Bianca ha detto che ” il presidente è tornato ad un atteggiamento di trasparenza e di etica che non ha accompagnato nessun altro mandato …. il Presidente crede fermamente nella trasparenza … “

Eppure mentre tutti sembrano avere un parere sulla formulazione finale del TPP, soprattutto Elizabeth Warren e la sua cerchia di democratici progressisti che sono emersi come i critici più accesi del disegno di legge, la verità è che nessuno lo ha realmente letto per la semplice ragione che chiunque abbia familiarità con il suo testo potrebbe essere incarcerato qualora rivelasse i suoi contenuti.

Davvero l’amministrazione più trasparente di sempre, commenta il blog americano ZeroHedge.

Gli unici che non si preoccupano di esternare pubblicamente il proprio parere e di avere accesso al testo sono gli unici che hanno familiarità con i contenuti del TPP perchè lo hanno redatto: le multinazionali americane i cui azionisti saranno i maggiori beneficiari del TPP.

Eppure qualcuno sembra avere finalmente letto il TPP di Obama: quel qualcuno è Michael Wessel, consulente parlamentare e commissario della U.S. Trade Deficit Review Commission, oltre che consulente per il commercio estero per la campagna presidenziale Kerry-Edwards e per la campagna di Obama nel 2008.
Wessel ha scritto un articolo su POLITICO intitolato “Ho letto l’accordo commerciale segreto di Obamal. Elizabeth Warren ha ragione ad essere preoccupata”. Mentre uno può o non può essere d’accordo sul se l’economia degli Stati Uniti trarrà beneficio da un accordo commerciale che promette di avvantaggiare solo le grandi multinazionali, dovrebbe essere unanime che la trasformazione dell’America in uno Stato klepto-fascista controllato da corporazioni è catastrofica non solo per la repubblica, ma per la gente d’America, o almeno per quelli che non sono tra lo 0,001% che beneficerà del TPP.

Da POLITICO, Michael Wessel:
Ho letto il testo del TPP fornitomi da alcuni consulenti del governo, e ho dato al presidente un mio parere su come questo accordo commerciale potrebbe danneggiare questa nazione. Ma non posso condividere le mie critiche con voi.
Io posso dire che Elizabeth Warren ha ragione nel criticare l’accordo commerciale. Dovremmo essere molto preoccupati per ciò che è nascosto in questo accordo commerciale, e in particolare come l’amministrazione Obama sta mantenendo la segretezza delle informazioni anche a quelli di noi che dovrebbero fornire consigli.

Quello che posso dirvi è che l’amministrazione è ingiusta nei confronti di coloro che stanno sollevando domande corrette sui danni che il TPP farebbe. Per l’amministrazione, chiunque metta in discussione il loro approccio viene bollato come un protezionista o peggio, un disonesto. Criticano in generale il lavoro organizzato, nonostante il fatto che i sindacati siano stati la forza primaria in America a spingere per regole forti per promuovere opportunità e posti di lavoro. E si allontanano le persone come me che credono che, in primo luogo,un accordo commerciale dovrebbe promuovere gli interessi dei produttori nazionali e dei loro dipendenti.

A questo proposito, l’attuale TPP non è all’altezza . Non soddisfa l’obiettivo di promuovere la produzione nazionale e la creazione di posti di lavoro.
Interrogativi pervadono quasi ogni capitolo della proposta di accordo, compreso il lavoro e l’ambiente, la clausola investitore-Stato, la proprietà intellettuale e altri temi. Le risposte a queste domande riguardano le decisioni di investimento delle nostre aziende e i posti di lavoro che derivano per il nostro popolo. I nostri rappresentanti eletti dovrebbero abdicare il loro dovere costituzionale se non riescono a sollevare domande.
Il senatore Warren dovrebbe essere lodata per il suo coraggio e il Segretario Clinton per aver sollevato una nota di cautela, e incoraggio tutti i funzionari eletti a sollevare queste importanti questioni. I lavoratori americani non possono permettersi accordi commerciali e politiche commerciali fallimentari”.

Fonte: L’Antidiplomatico

http://www.informarexresistere.fr/2015/05/21/qualcuno-ha-finalmente-letto-laccordo-commerciale-segreto-di-obama-e-ha-ammesso-che-il-tpp-danneggera-anche-gli-usa/ 

Centri Sociali al servizio del terrorismo di stato per insaurare la strategia della tensione

21 mag 2015

Centri sociali, antagonisti, anarchici, violenti, chi li paga?

Il fatto che esistano costoro, sempre ben organizzati che… protestano su comando, fa crescere il sospetto che dietro ci sia qualcuno che li utilizzi, in un certo senso li lasci fare in cambio di favori … politici e non solo.
La strategia della tensione è ben nota come realtà politica, basta prendere un pugno di imbecilli, convincerli di essere gli unici a capire la realtà e mandarli allo sbaraglio a lanciare uova e pomodori, a rompere vetrine, a .. difendere i diritti non si sa di chi.
Le motivazioni e gli slogan non sono originali, ma molto vecchi, da anni Settanta, ma ripetuti in modo insensato.
Li stanno usando in tanti per fini ben precisi?
Senza loro Salvini non sarebbe al 20% delle potenziali preferenze degli elettori, per esempio.

http://notizienews1.blogspot.it/2015/05/centri-sociali-antagonisti-anarchici.html 

Governo Renzi, impedire la formazione di teste pensanti, distruggere la scuola pubblica, d e v e a n d a r e v i a

“In futuro lo Stato non potrà finanziare la scuola pubblica statale”

Giovedì, 21 Maggio 2015 
 Risultati immagini per nicola morra

Denuncia del senatore del M5S Nicola Morra: è tutto scritto in una delle 136 pagine del Def 2015 votato un mese e mezzo fa. Mentre oggi in Italia si spende il 3,7% del Pil per l'istruzione e nel 2020 dovremmo scendere al 3,5%, Spagna e Portogallo, colpite dalla crisi più che in Italia, investono il 5,4%. Col ddl ‘La Buona Scuola’ si continuano a prendere in giro le persone: i fondi del “merito” andranno ad un docente ogni venti.
"In una delle 136 pagine del Def 2015 che mi sono dovuto leggere, ho trovato un'affermazione che dovrebbe far accapponare la pelle e che stranamente nessuno ha rilevato: 'in un prossimo futuro lo Stato non potrà finanziare la scuola pubblica statale'”. È forte la denuncia di Nicola Morra, senatore M5S, fatta all'Itis Monaco di Cosenza nel corso di un incontro con le famiglie degli studenti e i docenti dell’istituto.
Già oggi, sostiene Morra, la situazione dei finanziamenti pubblici alla scuola è da allarme rosso. "In Italia puntualmente ogni anno si taglia vergognosamente su scuola e istruzione. Il Documento di economia e finanze votato un mese e mezzo fa al Senato lo prova", ha tuonato Morra. Per poi aggiungere: "mentre oggi in Italia si spende il 3,7% del Pil per l'istruzione - ha aggiunto Morra - e nel 2020 dovremmo scendere al 3,5%, Spagna e Portogallo, banchè colpite dalla crisi anche più gravemente che l'Italia, investono attualmente circa il 5,4% e la media europea è del 5%, mentre la Germania spende addirittura il 6%. Il Governo e Renzi continuano con le 'truffe' semantiche ai danni dei cittadini".

"Lo dimostrano i continui cambi del testo della riforma, con la quale si è scambiato il merito con la produttività. Si continuano a prendere in giro le persone come è riportato nell'ultima versione del testo riconoscendo il merito ad un docente ogni venti".
Per il ‘grillino’, la conclusione è inevitabile: “a gente che ragiona in questa maniera e poi dà anche i soldi alla scuola privata, non ho che da chiedere di tornare a casa prima possibile”.

http://www.tecnicadellascuola.it/item/11690-in-futuro-lo-stato-non-potra-finanziare-la-scuola-pubblica-statale.html

Ucraina, colonia degli Stati Uniti

Capire la Russia, tra globalisti e sovranisti

L’assalto Usa all’Ucraina e l’attacco a Putin da parte della sinistra politicamente corretta. Ma anche troppo fascismo e antifascismo nel libro di Paolo Borgognone


Alexandr Dugin ed Alain de Benoist, Marine Le Pen e Giulietto Chiesa, Matteo Salvini e Costanzo Preve.
Passando per il leader ungherese Orban. Tutti uniti, nel libro di Paolo Borgognone, “Capire la Russia” (Zambon editore), nell’apertura nei confronti di Vladimir Putin e delle scelte strategiche di Mosca. Ovviamente i personaggi sono molto diversi tra loro, spesso per nulla in sintonia. Ma il giovane ricercatore piemontese, in un corposo volume di 680 pagine, analizza dichiarazioni e prese di posizione.
Un libro sicuramente di parte, e Borgognone non fa nulla per smentirlo, ma estremamente interessante poiché documentatissimo. Con ampio spazio dedicato, inevitabilmente, alla vicenda dell’Ucraina. Ed anche in questo caso affiorano documenti importanti, pressoché ignoti in Occidente. A partire dagli accordi sottoscritti ancor prima delle rivolte per consegnare a gruppi petroliferi americani la gestione e l’estrazione degli idrocarburi nel Donbass. La cui popolazione andava drasticamente ridotta, con espropri ed espulsioni. Ed altri accordi, sempre con gli Usa, riguardavano lo sfruttamento dell’agricoltura e delle altre risorse minerarie.
Ma “Capire la Russia” offre anche spunti esilaranti quando Borgognone racconta le vicende dei leader delle rivolte anti putiniane a Mosca. Lady elegantissime ed impellicciate, attente al look perché attraverso l’abbigliamento di marca intendevano offrire al sottoproletariato urbano l’immagine di un futuro da consumatori compulsivi anche in Russia. Leader che spariscono al momento delle vacanze nelle località più chic del pianeta.
Ampio spazio è dedicato all’Italia, con una informazione asservita ai voleri della lobby che sogna il pensiero unico e l’unico ordine mondiale. Con bordate contro il quotidiano La Stampa – ricordando le accuse di paranoia a Putin, colpevole di lavarsi tutti i giorni – ma con un esplicito apprezzamento per la correttezza del Giornale e di Fausto Biloslavo. Apprezzamento che, probabilmente, spiazza l’autore. Convinto che l’onestà intellettuale sia solo da una parte. E ad appesantire il volume è anche l’eccessivo e continuo riferimento al fascismo ed al nazismo. Comprensibile in Putin che si sente assediato e che deve raggruppare i russi contro l’offensiva internazionale. Ma ridicolo per quanto riguarda l’Italia, l’Ucraina, l’Ungheria.
Se Orban, in nome degli interessi di Budapest, supera l’aggressione sovietica del ‘56, sarebbe il caso che gli avvenimenti conclusi 70 anni fa non venissero tirati in ballo ogni volta che fa comodo. Perché le analisi basate su fascismo ed antifascismo sono inadatte a spiegare l’attuale conflitto tra globalismo e sovranismo.
Alessandro Grandi
Think tank “Il Nodo di Gordio”
www.NododiGordio.org

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/capire-russia-globalisti-e-sovranisti-1131599.html 

Africa, come nascono profughi e migranti, corruzione e mantenimento del potere con la forza e l'inganno, Burundi

La crisi in Burundi non è etnica ma politica

21-05-2015  di Giulio Albanese
fonte: Città Nuova Un tentato di colpo di Stato guidato dal generale Niyombare ha voluto rovesciare il presidente Pierre Nkurunziza che punta a un terzo mandato violando gli accordi di pace che prevedevano l’alternanza. Brogli e violenze gli hanno garantito il potere ma la popolazione è stanca


Tensioni in Burundi Cosa effettivamente sta avvenendo in Burundi? Per ragionare sull’oggi, occorre tornare indietro con la moviola della Storia. Com’è noto, la scorsa settimana, vi è stato un tentativo di colpo di Stato guidato dal generale Godefroid Niyombare, con l’intento di rovesciare il presidente Pierre Nkurunziza.

In realtà, mentre scriviamo, sebbene il golpe sia fallito, c’è ancora molta incertezza sul futuro e il rischio è che il Burundi torni ad essere lacerato da una sanguinosa conflittualità interna, come già avvenuto in passato. Va ricordato che la guerra civile burundese risale al 1993, quando venne ucciso il primo presidente democraticamente eletto, Melchior Ndadaye. Da allora sono morte oltre 350mila persone (secondo alcune fonti, addirittura 400mila). La maggioranza degli antropologi e gli storici ritiene del tutto infondate le descrizioni degli Hutu e dei Tutsi come due distinti "gruppi etnici" e di conseguenza in lotta. La loro contrapposizione costituisce un chiaro esempio degli effetti perversi del colonialismo sulla vita delle popolazioni dell’Africa contemporanea, dove la radicalizzazione delle differenze è diventata motivo di conflitto tra gruppi in precedenza capaci di condividere la stessa lingua, lo stesso territorio, le stesse istituzioni politiche e gli stessi valori.

Dopo anni di lunghe sofferenze, comunque, nell’agosto del 2000, un accordo fra i gruppi politici del Burundi stabilì una serie di scadenze per la ristabilimento della democrazia. Successivamente, nel 2003 venne firmato un “cessate il fuoco” fra il governo di Bujumbura, allora guidato da Pierre Buyoya (Tutzi), e il gruppo ribelle Hutu più numeroso, il “Conseil National pour la Défense de la Démocratie-Forces pour la défense de la démocratie” (Cndd-Fdd). Nello stesso anno il leader del Frodebu (partito della maggioranza Hutu), Domitien Ndayizeye, prese il posto di Buyoya come presidente del Paese. Tutto questo rientrava nei cosiddetti accordi di Arusha (Tanzania) che prevedeva la creazione di un periodo transitorio di tre anni durante il quale per i primi 18 mesi sarebbero stati al governo i Tutsi, mentre per i restanti 18 gli Hutu (maggioritaria).

Nel frattempo, l’ala più estremista dei ribelli Hutu, il gruppo Forces Nationales de Libération (Fnl), continuò a rifiutare qualunque forma di accordo. Nel maggio 2004, visto il proseguire dei combattimenti, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, con la risoluzione 1545 stabilì la costituzione della missione “United Nations Operation in Burundi” (Unob) con l’invio di forze di peacekeeping per sostenere il processo di democratizzazione disegnato negli accordi di Arusha.

Nel febbraio del 2005 venne approvata la nuova Costituzione seguita poi dalle agognate elezioni e nomina del nuovo presidente, il leader del Cndd-Fdd Nkurunziza, il quale si è poi rivelato inadatto al ruolo. Coinvolto in molti scandali (poi insabbiati) ha assunto gradualmente un atteggiamento dittatoriale. Sta di fatto che gli accordi di pace non sono stati propriamente rispettati visto che Nkurunziza, tra brogli elettorali e violenze sottaciute, è stato eletto per due volte consecutive. E come se non bastasse, ora punta ad un terzo mandato.

Il golpista generale Niyombare, godendo del sostegno di diversi ufficiali dell’esercito, della polizia e della gran parte della popolazione burundese, aveva scritto lo scorso dicembre al capo dello Stato, chiedendogli di rinunciare al terzo mandato, destabilizzante e incostituzionale, ma che soprattutto avrebbe potuto innescare un conflitto nazionale. Niyombare era stato capo di stato maggiore dell’esercito fino al dicembre dello scorso anno, quando assunse il ruolo di capo del Servizi segreti (Snr). A febbraio era stato poi destituito dall’attuale presidente. Pare, infatti, che egli avesse scoperto documenti estremamente compromettenti su alcune esecuzioni contro i civili e su degli scandali finanziari di fondi pubblici oggetto di appropriazione indebita.
La pace è, comunque, a rischio ancora una volta per l’interesse di pochi. Non si tratta di una lotta etnica anche se qualcuno – nella fattispecie Nkurunziza - sta gettando benzina sul fuoco. A questo punto, non v’è dubbio, che un ruolo importante ricade sulla Chiesa cattolica e in generale sulla società civile. Pare ormai certo che l’omicidio delle tre missionarie saveriane, avvenuto nel settembre del 2014, abbia avuto una connotazione politica. La palese opera di depistaggio delle inchieste relative all’omicidio delle religiose avrebbe innescato una battaglia politica tra Nkurunziza, appartenente alla setta cristiana dei “rinati” e la Chiesa cattolica, quest’ultima determinata a contribuire ad un radicale cambiamento del regime, in favore della democrazia.

http://www.cittanuova.it/c/446920/La_crisi_in_Burundi_non_etnica_ma_politica.html

Grecia, uscire dall'Euro e rilanciare l'economia un esempio illuminante da annichilire gli euroimbecilli

Il vero incubo dell'Europa? Grecia salva con la dracma

Il timore è che Atene riesca a reggersi sulle proprie gambe innescando la fuga di altri Paesi dall'Unione monetaria


Olanda, Finlandia e Portogallo lo dicono apertamente: non abbiamo intenzione di aiutare la Grecia che sta raschiando il fondo del barile in cerca di qualche spicciolo inesistente.
Altri Paesi europei sono della stessa opinione ma non lo confessano: tergiversano, prendono tempo, nicchiano. Gli incontri tra Alexis Tsipras e alti esponenti finanziari dell'Ue si susseguono incessantemente, ma non arrivano a capo di nulla. Trattative oziose. Tempo perso. Ogni tentativo di avere una goccia di plasma da una nazione dissanguata è velleitario. Ci si domanda come mai non si ponga fine una volta per tutte al tormentone greco. La risposta c'è ma nessuno osa fornirla. Ed è questa: se la Grecia va in default (cioè in fallimento) e non restituisce i prestiti a chi glieli ha concessi, se esce dall'Ue e dall'euro e poi riesce a risollevarsi da sola, con le proprie forze (o debolezze), è peggio.
Perché? Sarebbe la dimostrazione che per certi Stati non è un vantaggio, ma una iattura, rimanere attaccati al trenino di Bruxelles. I difensori della moneta unica, coloro che da anni predicano l'irreversibilità dell'euro e la necessità di tenere compatto il continente, verrebbero sbugiardati. Nel qual caso aumenterebbe il timore che altri Paesi, dopo quello di Tsipras, minaccino di salutare l'Unione dando il via allo sgretolamento dell'Ue, con grave pregiudizio per l'economia tedesca e non solo per quella.
Insomma, se da una parte molti governi sono stanchi del tiremmolla della Grecia (che non ha un soldo, e le cui promesse di pagare i debiti sono chiacchiere gratuite), e sono contrarie all'idea di mettere ancora mano al portafogli per tappare buchi ellenici, dall'altra c'è chi è terrorizzato all'ipotesi che l'abbandono di Atene sia l'inizio della disgregazione. Le conseguenze della quale al momento non sono valutabili, né in termini politici né in termini monetari. Qualsiasi scelta sia fatta nella presente congiuntura apre le porte a incognite. Dare ancora quattrini ai greci significa buttarli nella pattumiera, dato che essi non potranno restituirli, come non li hanno restituiti fino adesso, in assenza di un'economia in grado di produrre reddito a sufficienza. Non aiutarli comporta il rischio, a breve termine, di spingerli fuori dall'Unione provocando il cosiddetto effetto domino, ossia la caduta di vari altri Paesi barcollanti e poco convinti di ottenere benefici stando aggrappati all'Ue.
D'altronde è da ingenui pensare che la Grecia sia in grado di rialzarsi, avendo il problema di saldare subito tante pendenze, l'ultima delle quali è costituita da 300 milioni da versare entro il 5 giugno al Fondo monetario internazionale. Da tasche vuote non si attinge nulla.
L'economia ellenica è poca cosa: turismo, pastorizia, qualche piccola impresa e alcuni armatori importanti che, al primo segno di inasprimento fiscale, se ne andrebbero altrove per non essere spremuti. In una situazione del genere è impensabile una ripresa in sintonia con il resto d'Europa. Le previsioni non possono che essere nere. Anche perché il partito di maggioranza, Syriza, è fermamente deciso di restare coerente con il programma elettorale, che esclude la sottomissione alla (ex) Troika. E allora? C'è chi spera nella morte (default), confidando nella rinascita lontano da Bruxelles e senza il peso dell'euro, nella consapevolezza che la moneta o è l'espressione di un popolo oppure è rifiutata dal medesimo.

http://www.ilgiornale.it/news/economia/vero-incubo-delleuropa-grecia-salva-dracma-1131822.html 

Agricoltura, i coltivatori vogliono bene alla loro terra

agricoltura biologica nutrire il pianeta
In Italia sempre più agricoltori scelgono il biologico. Per rispettare l'ambiente e ripristinare la fertilità dei terreni è necessario optare per un agricoltura più sostenibile e l'Italia da questo punto di vista si sta distinguendo. L'Italia è al secondo posto in Europa e al quinto nel mondo per superficie 
Secondo le statistiche fornite dal Sinab, in Italia la tendenza del biologico è positiva sia in termini di superficie coltivata che per il numero di aziende, dato che in Italia troviamo 46 mila produttori e oltre 52 mila operatori. 

L'agricoltura biologica ha davvero il potenziale per trainare il Paese fuori dalla crisi, dato che il suo fatturato continua a crescere ed è arrivato a 3,5 miliardi di euro. L'indagine condotta dall'Ispra conferma quanto l'agricoltura biologica vinca su quella convenzionale, in termini di biodiversità, di qualità delle acque e del suolo, di bilancio di gas serra, di uso e consumo delle risorse quali suolo, acqua ed energia. L'agricoltura biologica è fondamentale per proteggere la biodiversità di animali e piante. 

Come ricorda l'Ispra, nei terreni biologici, dove è proibito l'uso di fertilizzanti, pesticidi e erbicidi di sintesi, è possibile rilevare un numero doppio di specie vegetali rispetto a quelli convenzionali, fino al 50% in più di ragni, il 60% in più di uccelli e il 75% in più di pipistrelli.
Una questione fondamentale nel dibattito sul contributo dell'agricoltura biologica per il futuro dell'agricoltura mondiale e della sicurezza alimentare è se l'agricoltura biologica sarà in grado di produrre cibo a sufficienza per sfamare il mondo. Il confronto tra la produttività dell'agricoltura biologica e di quella convenzionale ha un ruolo centrale in questo dibattito. 

L'analisi di Ispra dimostra che la produzioni dei suoli biologici è in media l'80% della produzione dei suoli convenzionali. Ma la variazione è sostanziale. Il divario di rendimento organico differisce in modo significativo tra i gruppi di colture (3% per il raccolto di frutta e il 35% per la verdura) e le regioni del pianeta. D'altra parte, lo studio mostra che i terreni sottoposti a forme intensive di agricoltura sono soggetti ad un calo della fertilità e della capacità produttiva.
Le stime dicono che quasi il 40% dei terreni coltivati intensivamente andrà perso entro il 2050. Al contrario, i suoli organici tendono a mantenere le proprietà biologiche, fisiche e chimiche nel corso del tempo, contribuendo a mantenere la produttività e garantire la sicurezza alimentare a lungo termine. Ecco dunque un motivo fondamentale per incoraggiare la diffusione dell'agricoltura biologica e naturale nel nostro Paese nel mondo. Dovrà essere proprio l'agricoltura biologica a nutrire il Pianeta.
Marta Albè