L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 4 luglio 2015

Grecia è una storia per ridere se non ci fosse in mezzo milioni di vite umane


GRECIA: LA GRANDE TRUFFA!


Visto che solo nelle ultime quattro giornate abbiamo avuto oltre 72.000 pagine lette sul nostro blog è bene approfittarne per fare un piccolo passo indietro e raccontare l’origine della crisi greca che va ben oltre i luoghi comuni come abbiamo visto in …

GRECIA:FACT CHECKING …

Come sempre utilizziamo una fonte “autorevole” ovvero il vice presidente della BCE Constancio…
” Tra gli stessi vertici c’è chi come Vítor Constâncio, vice-presidente della Banca centrale europea, ha recentemente dichiarato nel corso di un convegno ad Atene: «Penso che, per avere una storia più accurata riguardo le cause della crisi, dobbiamo guardare non solo alle politiche fiscali: gli squilibri si sono originati per lo più nella crescente spesa del settore privato, finanziata dal settore bancario dei Paesi debitori e creditori. Al contrario dei livelli del debito pubblico, il livello del debito privato è aumentato nei primi sette anni dell’euro del 27%. L’aumento è stato particolarmente pronunciato in Grecia (217%), Irlanda (101%), Spagna (75,2%), e Portogallo (49%), tutti paesi che sono stati sottoposti a grandissimo stress durante la recente crisi. La crescita repentina del debito pubblico, d’altra parte, è iniziata solo dopo la crisi finanziaria. Nel corso di quattro anni, i livelli del debito pubblico sono aumentati di cinque volte in Irlanda e di tre in Spagna» Sole24Ore…
La sintesi grafica ve la propongo qui, alcuni di Voi l’hanno già vista a Bologna…


… ma soprattutto qui, questo è un grafico FONDAMENTALE!



Per salvare le banche tedesche e francesi, gli Stati europei sono dovuti intervenire socializzando le perdite.
L’Italia che era rimasta ai margini di questa orgia è quella che ha sostenuto più di tutte le banche tedesche e francesi concedendo prestiti ai fondi ESM per salvare non la Grecia ma la Germania e la Francia, ricevendo in cambio nulla, o meglio un attacco speculativo in piena regola.
Questa storia si è ripetuta in Irlanda, in Spagna e Portogallo, con l’aggiunta delle banche inglesi e americane.



Infatti se tornate al primo grafico, potete osservare che il governo inglese dopo quello americano è quello che ha socializzato maggiormente le perdite con i contribuenti.
Mentre media e televisioni in Italia terrorizzavano il popolo italiano, Icebergfinanza scriveva….
“Questo è quello che abbiamo scritto nell’agosto del 2011 (…) un punto di vista sulla crisi del debito europeo e la crisi greca, è che si tratti di un tentativo elaborato dal governo tedesco per conto delle sue banche per ottenere indietro i loro soldi senza richiamare l’attenzione su ciò che stanno facendo.
Il governo tedesco dà i soldi al fondo di salvataggio dell’Unione europea in modo che possa dare i soldi al governo irlandese in modo che il governo irlandese può dare indietro denaro alle banche irlandesi così le banche irlandesi possono rimborsare i loro prestiti alle banche tedesche.Datemi una leva e vi distruggerò il mondo
Per sei mesi nel 2009 ho scritto che l’unica soluzione era nazionalizzare il sistema finanziario globale, tecnicamente fallito! In molti dicevano che non era possibile, politici, economisti ed analisti, ma mentivano spudoratamente!
Ecco la prova …

La Crisi Bancaria Svedese degli inizi anni ’90 … – 

I costi della crisi
Il processo di aggiustamento svedese viene spesso preso di riferimento come
modello di successo per la gestione di crisi finanziarie e bancarie in quanto
evitò casi di bank-run e il sistema bancario continuò a funzionare senza alcun
fenomeno di credit crunch. L’aspetto fondamentale che viene spesso citato a
supporto del “modello svedese” fu il costo sostenuto dai contribuenti.
Inizialmente il costo per salvare il sistema bancario fu pari al 3,6% del PIL o 65
milioni di corone, l’equivalente attuale di 18.3 milioni di dollari, determinando un
notevole aumento del deficit di bilancio e del debito pubblico. Il deficit di bilancio
nel 1993 raggiunse il 12% del PIL; tale deficit fu principalmente dovuto ai
generosi stabilizzatori automatici svedesi. Ciononostante oggi si calcola che il 9
costo finale dell’operazione per i contribuenti sia stato sostanzialmente
nullo, se non addirittura leggermente positivo (Jonung, 2009).1 È questo un
risultato che non ha quasi precedenti in altri casi di gestioni di crisi finanziarie.
Questa riduzione dei costi effettivi sostenuti fu dovuta alla liquidazione da parte
delle AMC degli asset che avevano ereditato dalle banche in crisi. Tali asset
furono venduti alcuni anni dopo quando il sistema si era stabilizzato e il valore
di questi asset era tornato su un livello normale. Il Governo e i contribuenti
guadagnarono sulla differenza del valore degli asset. In questo modo fu
ampiamente perseguito l’obiettivo di minimizzare i costi sostenuti dai
contribuenti, alla base dell’intervento del Governo.

Abbiamo più volte scritto che l’unica soluzione ormai rimasta ora, è quella della ristrutturazione del debito e la storia insegna che l’altra via naturale è il default di massa.

DEFLAZIONE DA DEBITI: COSA POTREBBE ACCADERE

Nel caso della Grecia loro arrivano solo ora…
Fmi: per salvare la Grecia interventi sul debito e 50 miliardi in tre anni
Se vincono i si il Governo greco si dimette e si va a nuove elezioni, nuovo periodo di incertezza e 3.2 miliardi della ECB che scadono al 20 di luglio, se vincono i no…
Quello che è chiaro è che l’economia greca è in trappola in questa unione monetaria e non ha alcuna possibilità di restarvi. Loro i Vostri politici, passeranno i prossimi mesi a raccontarvi di come dobbiamo tirare fuori altri soldi per salvare la Grecia, come hanno fatto in tutti questi anni nascondendovi la verità.
Dopo aver votato per la fesseria del fiscal compact e il pareggio di bilancio in piena depressione ora hanno sottoscritto l’ultimo tassello della crisi che verrà …

Alla Camera il sì definitivo al ‘bail in’ sino a 100.000 euro 

… tra l’indifferenza e l’ignoranza generale!
I depositi e i risparmi NON VANNO TOCCATI, si deve mettere le mani solo nelle tasche di azionisti ed obbligazionisti i quali hanno sottoscritto capitale di rischio.
Chiaro il concetto?
Televisioni e quotidiani, sistematicamente diffondo solo un lato della medaglia, quella che a loro più interessa o meglio interessa i loro padroni, i loro editori.
A noi non resta che la consapevolezza e cercare di diffonderla il più possibile.

In Libia furono i bombardamenti umanitari della Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Italia, nello Yemen sono bombardamenti umanitari della coalizione sunnita l'effetto il medesimo stroncare l'identità nazionale pe ridurla a quella tribale


Yemen: ‘chi altri offende, sé non sicura’

Fallite le trattative per la pace, il paese sprofonda nel silenzio della comunità internazionale
Yemen: ‘chi altri offende, sé non sicura’


Di Lama Fakih. IRIN News. (24/06/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.
La dimostrazione più tragicomica del fallimento delle trattative per un accordo di pace in Yemen, a Ginevra, tra i rappresentanti del governo, dei capi tribali e dei ribelli sciiti Houthi, è stato il lancio di una scarpa contro un esponente di spicco di questi ultimi, durante una conferenza stampa. Un gesto che la dice lunga sulla complessità del conflitto in Yemen, ulteriormente complicato dai bombardamenti della coalizione sunnita, a guida saudita, iniziati il 26 marzo. Ennesima riprova, se mai ce ne fosse bisogno, del fatto che per porre fine a una guerra l’unica opzione da scartare è, appunto, un intervento armato.
A nulla sono valsi gli appelli di Human Rights Watch, secondo cui “lo Yemen è stato definitivamente messo in ginocchio dalla guerra”. Né l’allarme sulla crisi alimentare e idrica, lanciato dal ministero dell’Ambiente yemenita e dalla FAO. I raid della coalizione sunnita continuano a colpire obiettivi civili, mentre la comunità internazionale continua a preferire il ruolo di spettatrice.
La guerra in Yemen, inizialmente tra il governo di Sana’a e gli Houthi, è solo uno dei risvolti di un conflitto che attualmente interessa, più o meno direttamente, un’area che va dall’Europa al Medio Oriente. Scontro che affonda le proprie radici nella dialettica tra oppressori e oppressi, ma che si ammanta di pretestuose prese di posizione ideologiche o religiose. All’integralismo religioso armato dietro cui si celano i cartelli del jihad in Medio Oriente e in Africa, fanno eco, nell’Occidente “evoluto” movimenti e formazioni che esprimono mentalità xenofobe (in generale, si potrebbero definire “eterofobe”, ovvero di paura e quindi rifiuto del “diverso da sé”), neofasciste e “involute”. Questo il risultato di una globalizzazione fondata sulla logica del profitto, della sopraffazione e dello sfruttamento, di cui la Grecia è vittima tanto quanto l’Iraq, la Siria, la Libia o lo Yemen (mutatis mutandis). Alla base si trova sempre una presa di posizione per il diktat anziché per il dialogo e l’analisi obiettiva, per cui il debito “odioso” è solo una versione falsamente edulcorata della violenza, più esplicita, dell’invasione armata.
In Yemen, milioni di civili sono a corto di cibo e, secondo le stime delle Nazioni Unite, la guerra ha provocato finora più di 1400 morti e 3400 civili. Per loro, come per i milioni di profughi che attraversano il Mediterraneo, la comunità internazionale non ha risposte, né proposte pertinenti, se non l’indifferenza. I bombardamenti della coalizione a guida saudita, intanto, continuano a colpire obiettivi civili (scuole, ospedali, la città vecchia di Sana’a), mentre l’UNICEF denuncia che milioni di bambini non vengono neanche più vaccinati, per scarsità di farmaci ma anche perché manca la corrente necessaria a far funzionare gli ospedali. I principali centri urbani sono ridotti a città fantasma e i civili che riescono a fuggire (molti non possono, a causa dell’inagibilità delle strade e della scarsezza di carburante), approdano in Gibuti, Somalia e Oman. Persino l’ingresso degli aiuti umanitari nel paese è estremamente difficile, essendo gli aeroporti fuori uso e il confine con l’Arabia Saudita, ovviamente, chiuso.
A minaccia globale, a rigor di logica, dovrebbe corrispondere una reazione altrettanto globale. Poiché la violenza, finora, non ha prodotto altro che l’avvicendarsi di oppressori, di diverso colore politico ma sempre signori della guerra, sarebbe forse il caso di iniziare a pensare a una smilitarizzazione generalizzata. Dei paesi, ma soprattutto delle coscienze. Chi altri offende, sé non sicura, scriveva Leonardo da Vinci.
Lama Fakih è Consulente Esperto di Amnesty International.

Grecia, come era prevedibile la troika ha chiuso deliberatamente le banche per manipolare il voto del popolo

La troika sta facendo tutto quanto in suo potere per manipolare il referendum greco. Martin Armstrong

La troika sta facendo tutto quanto in suo potere per manipolare il referendum greco. Martin Armstrong
 

In un'intervista televisiva, Yanis Varoufakis ha detto molto chiaramente,  "Questo è un momento molto buio per l'Europa. Hanno chiuso le nostre banche per il solo scopo di ricattarci e ottenere una vittoria del "si", una soluzione non sostenibile che sarebbe un male per l'Europa ".
 
Devo ammettere, scrive Martin Armstrong sul suo blog, che la maggior parte dei politici non sono nemmeno vicino alla verità, ma Varoufakis sembra essere il solo ministro delle Finanze che capisce che le richieste della troika non sono plausibili per nessuna nazione.

Il ricatto e la guerra economica mossa contro la Grecia è volta solo ad assicurarsi che la Gran Bretagna non lasci l'UE, scrive Armstrong. La  SOLO cosa che ha salvato la Gran Bretagna è stato lo sforzo di Maggie Thatcher di tenere la Gran Bretagna fuori dall'euro perché sapeva fin troppo bene dove avrebbe portato il paese. Anche la Polonia è una società anti-euro. Un britannico che non vota per uscire dalla UE e le maniglie della Troika ignora gli eventi mondiali e il gioco di potere politico in corso.
 
I leader dell'Unione europea non si recherà ad Atene fino a dopo il referendum. Hollande vuole una risoluzione rapida perchè teme che la prospettiva di una 'Frexit'  stia guadagnando slancio. Obama vuole una risoluzione perchè teme che la Grecia sarà costretta nelle braccia della Russia,  un colpo mortale per la NATO.



Eppure in tutto questo, non c'è speranza, perché chi ha il potere è  all'oscuro. La Troika  si rifiuta di risolvere la crisi dell'euro, perché vede solo il proprio tornaconto ed è convinta di poter imporre la sua volontà su tutto il popolo. La troika sta facendo tutto quanto in suo potere per manipolare il referendum greco e far sembrare che il popolo greco vuole Bruxelles. La troika ha deliberatamente chiuso le banche per punire il popolo greco, e per mostrare loro ciò che significherebbe uscire dall'euro. Questo sembra essere il loro unico mezzo per deviare la crisi verso un'orchestrata vittoria del " SI " che equivarrebbe ad un suicidio economico. La troika cercherà di manipolare il referendum come ha fatto con le elezioni scozzesi.. Come disse Stalin, "Coloro che votano non decidono nulla. Quelli che contano i voti decidono tutto. " 

Governo, senatori e deputati del corrotto Pd siete vergognosi per come avete trattato i precari e la scuola pubblica


Immagine lettera su La Buona Scuola

inviata in redazione - Cari deputati e senatori che avete detto sì alla riforma, e soprattutto caro Matteo Renzi, innanzitutto mi complimento vivamente con coloro che tra di voi hanno ideato questa diabolica strategia: prima avete utilizzato il piano delle 100mila assunzioni come cavallo di Troia per far approvare il vostro abominevole DDL "BuonaScuola", e poi, con un cambio dell'ultim'ora del testo del maxiemendamento, siete riusciti a trasformare tali assunzioni in un licenziamento di massa, nemmeno lontanamente paragonabile a quello della legge Gelmini!
Spezzerete e manderete sul lastrico decine di migliaia di famiglie per fare cassa sulla scuola! Lo avete fatto con l'inganno e nel più assoluto silenzio dei media, cosicché molti docenti precari ancora non sanno quale disgrazia si sta per abbattere sulle loro teste...
Ma andiamo con ordine. Nelle prime due versioni del maxiemendamento si faceva riferimento al fatto che tra i neoassunti, quelli che non avrebbero trovato posto nella propria provincia, sarebbero stati obbligati a sceglierne un'altra; nella seconda versione in particolare si chiedeva ai candidati di indicare nella domanda di assunzione (soltanto) cinque province in ordine di preferenza. Nella versione approvata al senato invece, si evince che avranno il diritto ad essere assunti nella propria provincia soltanto i docenti che occuperanno i posti vacanti derivanti dai pensionamenti di quest'anno, tutti gli altri invece, che rientrano nel piano straordinario, saranno inseriti in una graduatoria nazionale e potranno essere assunti in qualunque provincia di tutte le regioni italiane! Molti di noi quindi saranno costretti a trasferirsi a centinaia o anche a migliaia di chilometri di distanza, senza alcuna apparente possibilità di tornare a casa, visto che dopo la prossima mobilità straordinaria non ne sono previste altre!
Siamo tutti d'accordo sul fatto che, se il posto di lavoro non esiste nel luogo in cui viviamo, occorre essere disposti a trasferirsi altrove; ma perché il governo si è arrogato il diritto di far trasferire persone che hanno sempre lavorato nella propria città, con contratti annuali, per giunta? Le graduatorie sono sempre state PROVINCIALI e sarebbero state riaperte tra due anni; perciò si tratta di un vero e proprio abuso. Chi ha avuto la possibilità di spostarsi, lo ha già fatto anni fa: in questo modo ha potuto prendere il ruolo, per poi chiedere la mobilità che gli permetteva di tornare a casa. Chi invece non ha avuto tale possibilità, è rimasto precario nella propria provincia, con tutti i disagi e i sacrifici connessi a tale condizione. E adesso, dopo tanti anni, quando ormai il sogno dell'assunzione stava per diventare realtà, la nostra vita viene completamente sconvolta da una legge che nessun insegnante ha voluto, e che invece viene fatta passare come un regalo piovuto dal cielo per 100mila persone!
Per questo motivo ho parlato di licenziamento di massa. Molti di noi non hanno potuto trasferirsi, e non potranno farlo tuttora, per motivi oggettivi. Siamo persone di età compresa tra i 30 e i 55 anni (circa); questo significa che la maggior parte di noi si è già creato una famiglia e una vita che non può lasciare: abbiamo un mutuo da pagare, dei figli da mantenere, dei genitori anziani da accudire. Molti di noi, già adesso, con i nostri miseri stipendi di docenti precari, facciamo fatica a far quadrare i conti e ad arrivare in fondo al mese. Come faremo a trasferirci, dovendo così pagare oltre ad un mutuo, anche un affitto? Con quali soldi potremo pagare le bollette, la baby-sitter per i nostri figli oppure la badante per i nostri genitori? Come faremo, in tempo di crisi, a vendere le nostre case e a sperare che il coniuge possa trovare un altro lavoro nella nuova città? Chi ha un secondo lavoro autonomo (molto pochi in verità) rifiuterà l'assunzione, tutti gli altri saranno costretti a una separazione forzata, con conseguenti ricadute molto gravi, sia dal punto di vista affettivo che economico.
Stavo per dimenticare una cosa importantissima: nel testo dell'emendamento è specificato esplicitamente che chi rifiuterà l'assunzione verrà estromesso dalle graduatorie e che i posti rimasti scoperti a causa di tale rifiuto da parte degli aspiranti, NON VERRANNO RIMPIAZZATI. Ecco come farete a riempire le casse dello stato sacrificando i precari, cari amici del PD!
A tutto ciò si aggiunge anche un'altra enorme criticità: in questo piano di assunzioni viene data la precedenza agli idonei delle graduatorie di merito del concorso 2012 rispetto agli abilitati delle graduatorie ad esaurimento. Teniamo conto del fatto che queste persone non hanno vinto alcun concorso (infatti appunto sono idonei, e non vincitori) e che una buona percentuale di loro non ha mai messo piede in un'aula scolastica. Quasi tutti i precari presenti nelle graduatorie ad esaurimento invece sono abilitati SSIS, quindi hanno superato una selezione con valore concorsuale in ingresso, si sono specializzati frequentando un corso post-universitario di durata biennale con laboratori ed esami, hanno superato uno o più esami di abilitazione finali, in seguito hanno lavorato per anni nelle scuole del Paese. Quindi per quale assurdo motivo gli idonei dovrebbero avere il diritto di precedenza, in barba a qualsiasi criterio meritocratico? Infine, molti di noi non hanno partecipato al concorso, che era bandito a livello regionale, soprattutto perché non avevano la possibilità di trasferirsi in un'altra città; e adesso a coloro che vi hanno partecipato viene concesso il diritto di scegliere per primi la provincia? Oltre al danno anche la beffa!
Consideriamo adesso le terribili conseguenze della riforma dopo il trasferimento. I neoimmessi si troveranno nell'albo di un'altra provincia, ad aspettare le chiamate dei Dirigenti Scolastici; ma non avendo mai lavorato nelle scuole di quella provincia, per quale ragione un Dirigente dovrebbe reclutarli nel suo Istituto? E' ovvio che preferirà assumere docenti che conosce già e che hanno dimostrato precedentemente di essere competenti e volenterosi. Quindi i neoimmessi potrebbero essere assegnati d'ufficio nelle scuole "peggiori", cioè quelle in cui nessuno degli altri insegnanti è voluto andare. Inoltre, le regole della "BuonaScuola" prevedono che i nuovi assunti nel piano straordinario siano immessi nel cosiddetto organico funzionale, per essere adibiti al potenziamento dell'offerta formativa; non avranno quindi una cattedra come tutti i loro colleghi, ma saranno considerati "docenti di serie B", al completo servizio dell’utenza e del Dirigente.
Qualcuno a questo punto potrebbe rispondermi che purtroppo il "lavoro sporco" qualcuno lo deve pur fare, senza rendersi conto però che i precari storici hanno già fatto una lunga gavetta e che adesso doveva essere arrivato il momento della stabilità. Ma l'aspetto più grave e vergognoso di questo sistema è il seguente: non sarà più possibile chiedere la mobilità in un'altra provincia, non sarà più possibile chiedere il trasferimento in un altro istituto, non sarà più possibile passare dall'organico funzionale all'organico di diritto (cioè diventare un "docente di serie A"). Ognuno dovrà rimanere a tempo indeterminato nella posizione in cui è stato messo d'impero, senza nessun criterio meritocratico nè possibilità di miglioramento della propria condizione lavorativa, come si farebbe nel peggiore dei regimi autoritari. E questo si evince senza nemmeno doversi soffermare sulla questione dell'"unico uomo al potere" nella figura del Dirigente Scolastico, e della "scuola-azienda" (argomenti già ampiamente discussi da tutto il mondo della scuola negli ultimi mesi).
In queste condizioni, i nuovi assunti dovranno anche sostenere l'anno di prova. Parrebbe che con i nuovi criteri, in primis il comitato di valutazione che affiancherà il Dirigente, la selezione dei candidati diventerà molto più rigida di quanto non sia stata fino ad ora. E questo potrebbe essere anche un bene, se non fosse che i precari storici sono stati già ampiamente selezionati in precedenza, se non fosse che i criteri di valutazione saranno assolutamente soggettivi, e se non fosse che il mancato superamento dell'anno di prova provocherà il licenziamento in tronco. E così altre famiglie finiranno in mezzo alla strada.
Ma non crediate che i precari rimasti fuori dal piano di assunzioni se la passeranno meglio, anzi, l'esatto contrario. E' opinione comune di qualche sindacato che il potenziamento sia stato inventato ad hoc per far approvare la riforma, ma che verrà eliminato via via nei prossimi anni poichè i neoassunti potranno essere utilizzati negli incarichi e nelle supplenze destinate ai precari, nonchè nei posti che si libereranno con i prossimi pensionamenti. Inoltre, grazie alle deleghe in bianco presenti nel DDL, il governo potrebbe intervenire, tra le altre cose, sugli stipendi (diminuendoli) e sull'orario di lavoro degli insegnenti (aumentandolo). Di conseguenza i precari rimasti nelle graduatorie potranno perdere del tutto le loro opportunità di lavorare (ed ecco che magicamente appariranno altri licenziamenti!).
Anche i docenti di ruolo verranno privati di molti diritti, tra i quali la libertà di insegnamento, e la qualità della didattica ne risentirà moltissimo, ma ci vorrebbe troppo tempo per approfondire queste questoni. Vorrei solo far sapere che tutti gli insegnanti, di ruolo e soprattutto precari, sono fermamente contrari alla riforma perché le loro condizioni di lavoro e di vita potrebbero peggiorare drasticamente. Chi ne avrà la possibilità, cambierà mestiere, chi non ce l'avrà, crollerà insieme alla scuola pubblica.
Ho scritto questa lettera per poter dire al PD: ma siete proprio sicuri di aver fatto la cosa giusta? Siete proprio sicuri che gli insegnanti, e soprattutto i precari, se ne staranno con le mani in mano a subire questi soprusi? Io direi di no, anzi è molto semplice prevedere quello che succederà. Gli insegnanti più "forti" continueranno con le loro proteste, sia in piazza, sia a scuola da settembre, generando il caos; invece gli insegnanti più "deboli", e soprattutto coloro che saranno costretti a tirare la cinghia e a lavorare in istituti fatiscenti e pericolanti, lontani dalle proprie case e famiglie, perderanno del tutto la motivazione, si deprimeranno e si metteranno spesso in malattia.
Così tutti, ma proprio tutti, dai Dirigenti scolastici alle famiglie, e anche i componenti del governo, finalmente capiranno che questa non è affatto la Buona Scuola. Una scuola non si rende "Buona" dando più potere al Dirigente, nè costringendo i dipendenti a lavorare in luoghi che non hanno scelto, nè utilizzando ricatti e punizioni di tutti i tipi. Una scuola "Buona" si potrà avere soltanto quando gli insegnanti potranno svolgere il proprio lavoro serenamente, percependo uno stipendio adeguato; quando potranno lavorare in scuole ben attrezzate, in un ambiente gradevole e collaborativo; quando non dovranno continuamente temere gli attacchi di un Super-Preside e di un governo autoritario.
Una insegnante precaria esasperata

venerdì 3 luglio 2015

Gli euroimbecilli hanno perso, o la Grecia esce dall'Euro o il debito deve essere ristrutturato in continuo

Paul De Grauwe, LSE: “Il debito greco è stato già cancellato in parte, ma ora basta con l’austerità, la Grecia puo’ tornare a crescere”

03/07 
A due giorni dal referendum in Grecia Euronews ha incontrato il Professore
Paul de Grauwe che insenga alla London School of Economics e all’Università di Lovanio

Audrey Tilve, Euronews:
“Se, alla fine, la Grecia dovesse lasciare la zona euro, sarebbe una calamità dal punto di vista strettamente finanziario?”

Paul De Grauwe, London School of Economics:
“Sarebbe certamente un disastro per la Grecia. Ma la sua domanda è se sarebbe una calamità per la zona euro. A breve termine, penso che sia gestibile. Ora abbiamo una serie di strumenti che eliminano una potenziale contaminazione. Il problema si pone a lungo termine. Se la Grecia lascia l’Unione, vorrà dire che l’Unione monetaria non è permanente, quindi significa che in futuro, quando ci saranno nuovi shock economici, una recessione per esempio, la domanda sorge spontanea: dove è la parte più debole, quale paese potrebbe uscire? e questo destabilizzerà la zona euro.”

Audrey Tilve, euronews:
“Vorrei farle commentare dei numeri che lei conosce bene, quelli dei paesi più esposti al debito greco. La Germania, con 56 miliardi di euro, la Francia, 42 miliardi, l’Italia, ecc 37 miliardi. Questi paesi potranno recuperare questi soldi?”

Paul De Grauwe, London School of Economics:
“Di sicuro non completamente. In realtà, dobbiamo sottolineare il fatto che ci sono state già delle perdite, quindi le somme che abbiamo visto, sono importi nominali. Abbiamo fatto delle ristrutturazioni implicite. E’ stata estesa la scadenza del debito ed è stato notevolmente ridotto il tasso di interesse. Se si calcola il valore attuale di quello che la Grecia dovrebbe ripagare in futuro, si arriva a un importo che è notevolmente inferiore a quegli importi nominali che abbiamo visto lì. Così le perdite sono state già sostenute ma i governi non osano dire ai contribuenti.

Audrey Tilve, euronews:
“Vuol dire che c‘è già stata la cancellazione del debito?

Paul De Grauwe:
“Il debito greco è già stato cancellato, secondo i miei calcoli, del il 50% circa”.

Audrey Tilve, euronews:
“A che cosa servirà tutto questo se non si trova una soluzione al problema di fondo della Grecia oggi: l’incapacità o almeno la grande difficoltà della Grecia nel raccogliere le tasse, il malfunzionamento di un’amministrazione in cui vi è corruzione e clientelismo. Perché non c‘è stato alcun progresso su questi punti negli ultimi 5 anni, dal momento in cui gli europei hanno dato fondi alla Grecia?”

Paul De Grauwe, London School of Economics:
“Ma ci sono stati progressi in alcuni settori comunque. Si è fortemente ridotto il numero dei funzionari pubblici, si è riformato il sistema pensionistico”

Audrey Tilve, euronews:
“Non c‘è un catasto, gli armatori non sono tassati …”

Paul De Grauwe, London School of Economics:
“Ci sono tante altre cose da fare, ma il problema più evidente è che con l’austerità che è stata imposta in Grecia, l’economia è caduta nel baratro.

Audrey Tilve, euronews:
“Che cosa bisognerebbe fare perché la Grecia non sia piu’ dipendente dagli aiuti e tornasse ad un’economia sostenibile?

Paul De Grauwe, London School of Economics:
Bisogna fermare i programmi di austerità che non hanno funzionato, che hanno avuto l’effetto di ridurre la capacità della Grecia di pagare il suo debito, e di fare aumentare la disoccupazione ecc.

Audrey Tilve, euronews:
“Sarebbe sufficiente`? C‘è un settore industriale in Grecia? E’ un paese che importa molto”

Paul De Grauwe, London School of Economics:
“Ma la Grecia ha avuto tassi di crescita in passato, certo una parte di questa crescita era insostenibile, ma in precedenza la Grecia ha conosciuto periodi di crescita, quindi dire che la Grecia non può crescere, non ha senso.

Audrey Tilve, euronews: Paul De Grauwe, grazie.
 

Grecia, gli euroimbecilli sono impenitenti ignoranti e inadeguati, senza idee e senza scrupoli

Giulio Sapelli su Crisi Grecia: “Occidente suicida con Merkel e suoi vassalli. Vedo nero”

Docente di Storia Economica alla Statale di Milano, il professor Sapelli di recente è più volte intervenuto sulla crisi dell’Unione Europea e della crisi di leadership che il Continente vive, stretto tra personalità dalla visione miope e dalla cultura storica evanescente. Ieri Romano Prodi – sulla stessa lunghezza d’onda – ha evocato ‘Sarajevo’ e scenari nefasti come quelli precedenti alla Prima Guerra Mondiale
 
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Mlano – Quanto la cancelliera tedesca Angela Merkel e “i suoi vassalli” stanno facendo in relazione alla Grecia “è suicida per l’Occidente”. Al contrario, servirebbe una presa d’atto generale, “una conferenza internazionale con Cina e Russia, per risolvere la questione greca, che è una questione geostrategica“.
Giulio Sapelli non usa mezze parole o parafrasi per esporre il suo pensiero sulla crisi greca, che considera un aspetto della più generale crisi di leadership politica dell’intera classe dirigente europea, messa all’angolo dalla rigidità tedesca espressa dalla ex comunista Merkel. Docente di Storia Economica all’Università Statale di Milano, saggista e consulente aziendale con la Sapelli & Partners, Sapelli considera quanto sta avvenendo molto grave.
“In altri tempi – continua il suo ragionamento – come quando nel 1932 la Grecia fece default, si tenevano delle conferenze internazionali, dove tutte le potenze si riunivano e tentavano di risolvere i problemi del debito greco, che è una cosa secolare“. Debiti che venivano scadenzati in modo diverso e con maggiore dilazione.
La Grecia ha una lunga storia di crisi finanziarie, che risalgono alla sua storia degli ultimi 150 anni. “Non appena il Paese conquistò l’indipendenza dall’Impero Ottomano, i default si susseguirono” – ricorda Sapelli intervistato dall’Adnkronos. “Si arrivò al punto di affidare il sistema bancario greco alle banche inglesi, ma erano soluzioni frutto di conferenze internazionali”. Questo per un motivo semplice: “La Grecia è lì, sullo Stretto dei Dardanelli, davanti alla Turchia”, ricorda, e il conflitto greco-turco “è secolare, ma in epoca contemporanea inizia nel 1974, con l’invasione turca di Cipro, come ho spiegato nel mio libro ‘Southern Europe: Politics, Society and Economics Since 1945′, recentemente ripubblicato”.
“Pochi ricordano – rileva Sapelli – che il presidente della Repubblica di Cipro, la parte greca, e quello della parte turca si sono abbracciati, perché stanno preparando un trattato per dare alla Russia una base a Cipro“.
In realtà, al momento in ballo c’è la concessione di un accesso ai porti ciprioti come base di rifornimento e non come base vera e propria per le navi della Flotta Russa del Mediterraneo e del Mar Nero.
Tuttavia, secondo lo storico “in altri tempi la questione sarebbe stata affrontata con un approccio geopolitico, non dal punto di vista dei conti della serva“, come obbliga a fare la Germania della signora Merkel, che esercita un’egemonia non statuita da alcuno dei trattati su cui si regge l’impalcatura ‘costituzionale’ dell’UE.
Se la Grecia – ricorda Sapelli – “facesse veramente default, non è vero che non succederebbe niente. Dimenticano tutti che i debiti oggi sono tutti collateralizzatisi appoggiano sui derivati. E quando ero presidente dei comitati audit cercavo di impedire queste nefandezze”. Pertanto “l’onda d’urto sarebbe immensa, arriverebbe fino in Cina. Non è il Pil che conta, ma la collateralizzazione del debito e il debito greco è molto collateralizzato. Far fare default alla Grecia è pericolosissimo“.
Più o meno quanto affermato ieri a ‘la Repubblica’ da Romano Prodi, che – seppur con toni più morbidi – ha riconosciuto che la “Grecia potrebbe essere la nostra Sarajevo”, evocando scenari nefasti che riportano al panorama politico internazionale precedente alla Prima Guerra Mondiale.
Gli Usa – continua il ragionamento di Sapelli – stanno cercando di mediare, ma vivono in “una contraddizione: serve un accordo con i russi. Premono sulla Merkel, sui baltici e sui polacchi perché siano più morbidi, ma hanno in corso una guerra fredda con Vladimir Putin, per la quale il leader russo dà loro tutti i motivi del mondo, intendiamoci”. In Medio Oriente “combattono l’Isis, ma poi cercano l’accordo con l’Iran, con il risultato che i sauditi appoggiano l’Isis ancora di più”. 
Insomma, la crisi greca, per Sapelli, “è una prova del grande disordine internazionale ed europeo. Io la vedo molto male”.
Provando a tradurre in un linguaggio meno politicamente corretto, potremmo dire certamente che Obama, Merkel, i leader ucraini e quelli europei (soprattutto del Nord Europa) sono degli imbecilli matricolati, degli impenitenti ignoranti (di certo in storia) e del tutto inadeguati a governare fenomeni così complesso come quelli che l’attuale contingenza storica pone.
Tra gli inadeguati Sapelli mette anche il premier greco Alexis Tsipras, che ha fatto “un errore tattico” a indire un referendum, perché se vince il ‘no’, “passa per un messaggio anti euro e le Borse si innervosiscono“. Se invece vince il sì, “i tedeschi lo costringerebbero a dimettersi e metterebbero un loro fantoccio come Antonis Samaras. Va ricordato che costrinsero Georgios Papandreou alle dimissioni: fanno fare a Tsipras la fine che hanno fatto fare a Silvio Berlusconi, parliamoci chiaro“.
Insomma, “siamo di fronte a persone senza idee, ma purtroppo senza scrupoli“, dice Sapelli, e in Europa assistiamo a “un crollo terribile della leadership. Quindi, purtroppo vedo nero“, finisce per dire con chiarezza lo storico dell’economia.

2015 crisi economica, Cina, il mercato finanziario ha di fatto divorziato con la realtà, il titolo valutato 85 volte contro il guadagno dell'azienda


Pudong, il distretto finanziario di Shanghai, il 26 giugno 2015.
  • 02 Lug 2015 

È esplosa la bolla finanziaria cinese


È stato un giovedì nero per la borsa di Shanghai, il più importante mercato finanziario cinese, e la finanza globale si risveglia con un altro fronte d’instabilità oltre al caos greco. Alla chiusura delle contrattazioni, lo Shanghai composite index ha perso il 3,5 per cento dopo aver toccato perdite superiori al 6 per cento durante la seduta, scendendo per la prima volta da oltre due mesi sotto la soglia psicologica dei quattromila punti. 

Considerando anche la piazza di Shenzhen, la seconda borsa cinese, più di 1.400 aziende il 1 luglio hanno registrato il segno meno. Dal 12 giugno a oggi, l’indice su cui si scambiano i maggiori titoli del gigante asiatico ha perso il 24 per cento del suo valore, una cifra pari a 2.400 miliardi di dollari, l’equivalente all’intera borsa di Parigi. 

Il tonfo avviene dopo una corsa senza precedenti da quando la Cina ha aperto le sue borse alle contrattazioni, una crescita ininterrotta durata 935 giorni che ha condotto l’indice di Shanghai a rialzi fino al 150 per cento, pari a 6.500 miliardi di dollari, nel solo anno precedente al 12 giugno. Sospinti dall’euforia, nel maggio scorso sono stati aperti 12 milioni di nuovi conto-titoli, una cifra più alta dell’intera popolazione greca. Oggi sono 90 milioni i cinesi che giocano in borsa, tre milioni in più degli iscritti al Partito comunista cinese, che nel 2014 erano 87,8 milioni. L’Asian Financial Review ha notato che, al termine di questo rialzo, un titolo mediano sulle piazze cinesi era valutato 85 volte i guadagni attesi dall’azienda, contro una media del 21,2 registrata a Wall street lo scorso 30 giugno. 

Con prospettive di crescita economica non esaltanti per l’economia cinese nel suo complesso, non erano in pochi a suggerire che il mercato finanziario aveva di fatto divorziato dalla realtà. Nei giorni scorsi, la Banca mondiale aveva avvisato il governo cinese sulla necessità di riformare il settore finanziario, definendolo distorto. “Forti correzioni nel valore dei titoli sono uno dei fattori di rischio per le prospettive di crescita perché queste correzioni, o comunque la volatilità finanziaria, possono avere effetti negativi sui consumi”, ha spiegato uno degli economisti dell’istituzione di Washington, Karlis Smith. 

Nelle scorse settimane, il governo di Pechino è più volte intervenuto con l’obiettivo di tamponare le perdite, prima tagliando i tassi di interesse attraverso la banca centrale e, successivamente, cercando di rassicurare gli investitori attraverso un rilassamento dei regolamenti sull’utilizzo di denaro prestato per acquistare titoli. I mercati, per ora, non hanno reagito come sperato. 

Saranno dunque i prossimi giorni a determinare se siamo di fronte a uno dei più grandi crack della storia finanziaria recente o a una correzione temporanea, se il governo sarà in grado di intervenire adeguatamente (come ha spesso fatto dal 2008), e se esiste un rischio di contagio, per ora limitato visti i risultati leggermente positivi delle altre piazze asiatiche

http://www.internazionale.it/opinione/nicolo-cavalli/2015/07/02/cina-shanghai-borsa 

Renzi un veleno a lungo assorbimento per l'impuntamento infantile di Napilitano che non ci ha fatto votare

Della Valle: anche Matteo Renzi ha cominciato a girare a vuoto. Non è quello che ci serve


  di MF-Dow Jones 

«Premesso che Matteo Renzi è un amico, la verità è che il premier deve assolutamente cambiare registro. È infatti finito mani e piedi nella pozzanghera della vecchia politica e non è quello che vogliamo». Lo ha affermato il patron di Tod's, Diego Della Valle, intervenendo in occasione della 15ma edizione del Milano Fashion Global Summit 2015, convegno organizzato dal gruppo Class Editori, dal titolo «Mangia come ti vesti».


Della Valle ha aggiunto: «Non voglio aprire polemiche ma, anzi, mi dispiace purtroppo ammetterlo: credo che questa sia un'esperienza governativa che è arrivata alla fine».

Secondo Della Valle «rivediamo i riti della vecchia politica che non ci aspettavamo: si sono tutti ingabbiati tra di loro, vivono con sotterfugi e piccoli ricatti. Io avevo avvertito Matteo Renzi, a suo tempo, di stare attento che, se non si arriva molto preparati alla premiership, si rischia di finire come stiamo adesso vendendo in modo molto chiaro».

Il patron di Tod's ha chiamato in causa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dicendo: «Il Presidente della Repubblica dovrebbe prendere atto che c'è un Governo, che oggi è in assoluto affanno, che è stato messo lì dal precedente Capo di Stato e non riesce a fare le cose che aveva promesso per mille motivi».

Della Valle ha poi aggiunto: «È ripartita la liturgia inconcludente della vecchia politica. Ecco perchè oggi ci vuole un Governo di persone che sappiano fare quello che serve e che ci portino al 2018 quando finalmente andremo a votare potendo scegliere» le persone che vogliamo.

Altrimenti, ha spiegato l'imprenditore marchigiano «ci prendiamo in giro tra di noi e facciamo il gioco di tutti i politici, che vorrebbero far passare in camera caritatis il fatto che gli italiani qualche giorno fa hanno votato molto poco, qualcuno è stato votato pochissimo, e che quindi c'è la necessità, da parte del popolo, di vedere qualcuno che possa risolvere i problemi».

A chi gli chiedeva se questo qualcuno deve arrivare dal mondo dell'imprenditoria, Della Valle ha risposto: «Deve arrivare dal Presidente della Repubblica che deve prendere atto della situazione». Della Valle inoltre ha evidenziato che «non si può andare a votare ora perchè ci sono troppe emergenze, ma non si può andare avanti con un Governo che non può, per i più vari motivi, fare le cose. C'è bisogno di gente competente con dei curricula validi, per fare le cose che servono. Non mettiamo nei punti chiave gli amici e gli amici degli amici senno è tutto come prima».

http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=2000233&codiciTestate=1&titolo=Della%20Valle:%20anche%20Matteo%20Renzi%20ha%20cominciato%20a%20girare%20a%20vuoto.%20Non%20è%20quello%20che%20ci%20serve 

Renzi in stato confusionale

Ferruccio De Bortoli contro Matteo Renzi, terzo affondo: clone di Berlusconi, meschino, opportunista e anche grasso

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DE BORTOLI RENZI

Ferruccio De Bortoli contro Matteo Renzi, terza puntata. L'ex direttore del Corriere della Sera lancia un altro affondo contro il presidente del Consiglio dalle pagine della rivista Linus, che torna in edicola con una nuova veste e un nuovo direttore, Giovanni Robertini.

Prima c'era stato l'editoriale sul quotidiano di via Solferino in cui De Bortoli aveva criticato duramente Renzi, la sua gestione del potere, l'ego ipertrofico, il suo voler essere uomo solo al comando, un "maleducato di talento", con un attacco anche alle ombre che circondavano il Patto del Nazareno. Poi l'editoriale sul Corriere del Ticino con il commento alle elezioni regionali che avevano fatto "abbassare un po' le penne" al premier. Quindi il nuovo affondo dalle pagine di Linus contro il "clone di Berlusconi", riportato oggi sulle pagine del Fatto Quotidiano.

De Bortoli suona un'ennesima sveglia al premier. "Parla di sé in terza persona. È fantastico. Lui pensa che per governare basti raccontare una bella storia al Paese". Il renzismo, secondo il giornalista, è "un prodotto di sintesi del berlusconismo di sinistra. È la dimostrazione di come il Pd, che ha sempre combattuto Berlusconi, sia stato conquistato da un suo clone. Ultimamente però inizia a battere qualche colpo a vuoto, tanto da sembrare in uno stato quasi confusionale". Ma il "paradosso finale", prosegue De Bortoli, è che "siamo costretti a sperare che Renzi resista e impari a governare". 

Renzi diventa anche "meschino" quando si parla di Roma e di Mafia capitale, in quanto reo di non aver difeso Ignazio Marino, dopo aver scelto "un chirurgo genovese che non sa nulla di politica, una sorta di Forrest Gump". Marino tuttavia "è stato il candidato di Renzi alle primarie. Va perciò difeso. Non è buona norma - scrive De Bortoli - scaricare i propri candidati nel momento in cui non ti servono più. Lo trovo meschino". Questo perché "se ti limiti a scaricare chi non ti conviene più non sei uno statista, sei un'opportunista". 

Meschino, opportunista e anche grasso. "L'Italicum, un mostro - scrive De Bortoli - è stato disegnato come un abito su misura per un premier con la tendenza alla pinguedine".
Infine, parole dure contro il Pd - destinato "alla scissione, a meno che prima non imploda il renzismo" - e dolci contro il Movimento 5 Stelle - "pensavo fossero destinati a sparire e invece stanno conoscendo una seconda giovinezza. Con in più che si intravede una classe dirigente".

Comunione e Liberazione, Sistema di potere e soldi offre la sua passerella agli impresentabili

Comunione e liberazione, chi andrà al Meeting di Rimini (non solo Renzi e Carrai)

03 - 07 - 2015 Giovanni Bucchi
Comunione e liberazione, chi andrà al Meeting di Rimini (non solo Renzi e Carrai)
Dopo il grande rifiuto dell'anno scorso, il premier sarà all'evento di Cl con ben 5 ministri. Tra gli ospiti anche il suo fedelissimo Carrai e una schiera di imprenditori e manager. Niente palco per i parlamentari ciellini Lupi, Mauro e Formigoni...
Cinque ministri, il vicepresidente e un giudice emerito della Corte costituzionale, una lunga lista di manager e imprenditori di successo, economisti, giuristi, docenti universitari, giornalisti, oltre agli uomini di punta della Chiesa di Papa Francesco. Ma soprattutto il premier Matteo Renzi, lui che l’anno scorso – forte del 40,8% alle elezioni europee – aveva deciso di snobbare quel palco preferendogli l’adunata dei “suoi” scout, ma che quest’anno ha deciso di esserci proprio come i suoi predecessori Enrico Letta e Mario Monti. Che sia l’edizione del riavvicinamento del Meeting per l’Amicizia tra i popoli alla politica (sempre che se ne sia allontanato) è presto per dirlo, di sicuro la presenza di certi esponenti del governo a partire dal presidente del Consiglio è destinata ad accendere i riflettori sulla 36° edizione della manifestazione di Comunione e liberazione a Rimini.
IL GOVERNO IN POMPA MAGNA
I vertici del Meeting si erano mossi per tempo. Avevano messo in campo tutte le diplomazie e i contatti a loro disposizione pur di strappare un sì al premier. Si è scomodata nei giorni precedenti alla conferenza stampa di ieri sera a Roma pure la storica presidente della Fondazione organizzatrice, Emilia Guarnieri, scesa nella capitale in anticipo proprio per andare a bussare alla porta di Palazzo Chigi. E alla fine Renzi ha detto di sì. Interverrà martedì 25 agosto alle 13 in Fiera a Rimini in un incontro dal titolo “L’Italia e le sfide del mondo”. Insomma, potrà dire quel che gli pare, dialogando con la stessa Guarnieri e con Giorgio Vittadini, fondatore della Compagnia delle opere e oggi al vertice della Fondazione per la Sussidiarietà.
Decisive per arrivare a questo risultato le relazioni avviate coi vertici del governo da alcuni uomini vicini a Cl, a partire dal sottosegretario all’Istruzione, Gabriele Toccafondi (Ncd), fiorentino come il premier e per il quale ha lavorato come collaboratore alla Camera Stefano Pichi Sermolli, l’attuale capo ufficio stampa del Meeting; un altro fiorentino di area ciellina è Raffaele Tiscar, vicesegretario generale alla presidenza del consiglio, così come è vicina al Movimento pure Chiara Lanni, moglie del sindaco di Firenze Dario Nardella. Ma soprattutto (e non è certo un caso) al Meeting sarà presente un altro amico di Cl come Marco Carrai, il renzianissimo manager e imprenditore; interverrà in qualità di presidente di Cambridge Management Consulting Labs Srl a un dibattito sulla tecnologia.
Non sarà comunque solo il Meeting del premier. Oltre a lui sfileranno sul palco di Rimini anche i ministri Giuliano Poletti, Pier Carlo Padoan, Gianluca Galletti, Maurizio Martina e Graziano Delrio. Non Stefania Giannini, titolare del dicastero all’Istruzione, tema molto caro a Cl.
GLI ALTRI POLITICI CHE CI SONO. E QUELLI CHE MANCANO
Ci sarà il governatore della Lombardia, Roberto Maroni della Lega Nord, e il sindaco di Torino Piero Fassino (Pd) in qualità di presidente dell’Anci. Non mancherà il consueto appuntamento dell’Intergruppo della Sussidiarietà con Raffaello Vignali (Ap-Ncd), Marco Donati (Pd), Guglielmo Vaccaro (Misto) e Antonio Palmieri (Fi). Quindi il vicepresidente del Parlamento europeo e tra i leader emergenti di Forza Italia, Antonio Tajani, e due ex presidenti della Camera dei deputati come Luciano Violante e Fausto Bertinotti, quest’ultimo chiamato a ragionare sul tema di questa edizione (“Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?” da una poesia di Mario Luzi). Figura tra i presenti anche un verdiniano doc come Ignazio Abrignani, vicepresidente della Commissione Attività produttive alla Camera.
Chi invece non parlerà al Meeting saranno i parlamentari ciellini Maurizio Lupi, Roberto Formigoni e Mario Mauro, tre esponenti un tempo avvezzi a intervenire dal palco del Meeting da qualche anno tenuti alla larga.
MANAGER, IMPRENDITORI, ECONOMISTI E GIURISTI
La platea dei grandi manager e imprenditori è come sempre particolarmente folta: si va dal presidente del gruppo Sea, la società che gestisce gli aeroporti milanesi di Linate e Malpensa, Pietro Modiano, al vicepresidente di Abi, Miro Fiordi, fino all’ad di Finmeccanica Mauro Moretti e all’ad e dg di Enel Francesco Starace, da tempo ospiti fissi del Meeting. E ancora l’ad di Ferrero spa Frederic Thil, il presidente e ceo di Etihad Airways e vicepresidente di Alitalia Sai, James Hogan, Brunello Cucinelli, Nerio Alessandri di Technogym, Carlo Tamburi, l’ad di Ferrovie dello Stato Michele Mario Elia, il presidente di Autostrade per l’Italia Fabio Cerchiai, l’ad di Wind Maximo Ibarra e quello di Sky Italia Andrea Zappia, il patron di Micoperi (l’azienda che ha risollevato la Costa Concordia) Silvio Bartolotti e il presidente di Sorgenia Chicco Testa. Sul fronte sindacale, ci sarà la leader della Cisl, Annamaria Furlan, su quello degli alti funzionari sarà la volta invece dell’ex consulente per la spending review del governo e ora tornato all’Fmi, Carlo Cottarelli. Senza dimenticare la cooperazione: da quella bianca, con il presidente di Federsolidarietà Confcooperative, Giuseppe Guerini, a quella rossa, con il presidente nazionale di Legacoop, Mauro Lusetti. Chiudono il cerchio due giuristi di primo piano nel panorama nazionale, come il vicepresidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia, e il presidente emerito Sabino Cassese.

http://www.formiche.net/2015/07/03/renzi-chi-ci-sara-chi-al-meeting-rimini/

Isis/al Qaeda sono 30/40.000 mila, il nemico è l'islamismo e non l'islam

Terrorismo 

Wael Farouq: «I musulmani d’Occidente sono l’arma per sconfiggere l’islamismo dell’Isis»


 
Stefano Arduini

Il professore musulmano che insegna anche all’università Cattolica di Milano: «La paura degli occidentali è giustificata, ma se ci si ferma qui si fa un favore all’islam politico che in fondo è un’ideologia simile al fascismo e al nazismo». L’intervista

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Weal Farouq

Egiziano, musulmano, classe 1974, Wael Farouq è, fra i tanti altri impegni, professore di lingua araba all’American University e docente di Scienze Islamiche alla Facoltà Copto-Cattolica di Sakakini del Cairo. A Milano insegna “Scienze linguistiche e lingue straniere” all’Università Cattolica. A lui, nel giorno dell’arresto della cellula dell’Isis a Inzago in provincia di Milano, abbiamo chiesto come interpretare l’escalation di stragi di matrice islamista che ha portato al terribile triplice attentato del 26 giugno.
  
 Professore, i cittadini occidentali si sentono sempre di più sotto assedio da parte di un nemico quasi invisibile. Sbagliano?
No, non posso dire che sbaglino. È un atteggiamento giustificato. Non posso dire che il popolo occidentale è impreparato e non capisce le dinamiche del terrorismo. Il terrorismo oggi non è una struttura chiara, è un’ideologia. L’Isis rappresenta un grande pericolo perché non è né un'organizzazione né una persona, ma un'ideologia che agisce come un virus ed esiste già l'ambiente adatto perché possa attivarsi e fare grande danno. Basta poco per produrre un disastro. Basta uno che soffra di questa ideologia, che non sappia come riempire di senso la sua vita, basta che questa persona vada su internet e si procuri una bomba. È semplice. In questo senso tutti sono pericolosi, e per questo è giustificato il senso del pericolo. Ma fermarsi a questa constatazione è ancora più pericoloso.


In che senso?
Se ci fermiamo alla paura, l’effetto sarà quello di generare ancora più terrorismo. Occorre capire da dove viene questo terrorismo. Occorre distinguere fra musulmani e islamisti.

L’Isis rappresenta un grande pericolo perché non è né un'organizzazione né una persona, ma un'ideologia che agisce come un virus ed esiste già l'ambiente adatto perché possa attivarsi e fare grande danno


E come si fa?
I musulmani sono le persone di fede islamica. Gli islamisti sono quelli che trasformano la religione in ideologia e sono pronti a morire e uccidere per renderla dominante. Una persona che prega, digiuna e rispetta la propria tradizione religiosa è un musulmano, ma una persona che considera la propria tradizione religiosa come un progetto politico per purificare le altre tradizioni (che ritiene corrotte) è un islamista. L’islam politico non è una scelta che si fa per se stessi, è una scelta che si cerca in tutti i modi di imporre agli altri. Solo i musulmani possono fermare gli islamisti.
  Ma in concreto gli occidentali che strumenti hanno per distinguere?
In questi ultimi anni è diventato chiaro anche agli occhi degli europei chi sono le persone, le strutture e le organizzazioni che diffondono l’ideologia islamista, chi sono i religiosi e chi sono gli ideologici. Teniamo presente che quella islamista è un’ideologia nata e cresciuta nel secolo scorso. Il mondo occidentale attraverso il potere economico e coloniale fino ad ora ha sempre utilizzato questa ideologia per fini politici ed economici. I Fratelli Musulmani hanno avuto un grande aiuto dalla Compagnia del canale di Suez. I Fratelli Musulmani sono stati l’arma degli inglesi contro il partito laico, liberale e secolarizzato che voleva l’indipendenza dell’Egitto. Questa è storia, questi sono fatti. E la stessa cosa è avvenuta in India contro Gandhi e così è nato il Pakistan. Clinton ha confessato che Al Qaeda è stata creata dagli Stati Uniti. Isis stessa: ci sono tanti giornalisti e generali che dicono che è una creazione americana. Ben inteso: non sto dicendo che quello che sta facendo oggi Isis è responsabilità degli occidentali. Sarebbe un grave errore pensarlo. La violenza che vediamo oggi è presente nel pensiero dell’islam politico. Ed è stata utilizzata dal potere occidentale. Ma attenzione occorre intendersi quando parliamo di Occidente.

Il mondo occidentale attraverso il potere economico e coloniale fino ad ora ha sempre utilizzato questa ideologia per fini politici ed economici


Lei cosa intende?
In Europa vivono milioni di musulmani che lavorano e sono integrati: pagano le tasse e sono cittadini europei. Ma al tempo stesso in Occidente vivono anche criminali islamisti. E i cosiddetti esperti commettono un crimine quando dicono che c’è un islam moderato e un islam radicale. Questa distinzione non esiste. Ci sono i musulmani e c’è l’islam politico, che non può essere per natura moderato. Come non si può definire un nazismo o un fascismo moderato, lo stesso vale per l’islam politico. Noi dobbiamo combattere l’islam politico così come abbiamo combattuto i fascisti e i nazisti. Ma non si può combattere il nazismo sostenendo il fascismo. Quello che non è più accettabile è il buonismo di chi dice dobbiamo rispettare l’altro pensando che l’altro sia l’islam radicale. L’altro sono i musulmani, non gli islamisti. Posizioni come la sua che tipo di seguito hanno nelle opinioni pubbliche dei paesi di fede musulmana?
L’islam politico è caduto in Tunisia con le elezioni e in Egitto con la rivoluzione. La caduta dell’islam politico è la più grande eredità che ci hanno lasciato le Primavere arabe e adesso quando un musulmano vuole insultare un altro musulmano gli dice “sei un fratello!”. Come tantissime sono le barzellette musulmane sull’islam politico.

Noi dobbiamo combattere l’islam politico così come abbiamo combattuto i fascisti e i nazisti. Ma non si può combattere il nazismo sostenendo il fascismo. Quello che non è più accettabile è il buonismo di chi dice dobbiamo rispettare l’altro pensando che l’altro sia l’islam radicale. L’altro sono i musulmani, non gli islamisti.


Manuel Valls in Francia parla ormai apertamente di guerra di civiltà, lei cosa ne pensa?
I responsabili di questa guerra contro la civiltà non sono solo musulmani. Sono anche i cristiani che vendono le armi all’Isis, e i cristiani che comprano il petrolio dell’Isis. E ancora i cristiani che non fanno nulla. Ehud Barack qualche giorno fa in un’intervista al Jerusalem Post ha detto che se vogliamo veramente possiamo finire l’Isis in due giorni. Del resto stiamo parlando di 30/40 mila soldati senza aerei e senza carri, ma solo col kalashnikov. Chi può credere che l’occidente non sia in grado di fermare l’Isis? Non è una guerra di civiltà perché non solo i criminali sono sia occidentali sia islamisti, ma anche le vittime sono sia occidentali sia musulmane. Le vittime musulmane del terrorismo sono 10 volte di più di quelle occidentali. Questa è una guerra fra il bene e il male.

Se fosse un occidentale oggi andrebbe in vacanza in Tunisia?
No, l’obiettivo del terrorismo in Tunisia è uccidere gli occidentali. Questo ormai è evidente. È parte dell’ideologia fascismo-islamista. Lo ripeto: l’islam politico non è la medicina è il sintomo della malattia.


E se fosse un leader di un paese europeo, qual è il primo provvedimento che prenderebbe?
Sono sicuro che tutti i servizi segreti di tutti i Paesi occidentali sanno dov’è il pericolo. Non ho capito perché non agiscano.


Come fa ad essere così sicuro?
Senta, negli anni 80 quando è partito il movimento dell’islam politico, il paradiso degli islamisti era l’Europa. Londra, l’Italia. Sono venuti qui perché in Egitto, per esempio c’era la tortura. E giustamente sono stati accolti. Ma l’intelligence li conosce. La domanda da farsi è perché hanno così tanta presa qui in occidente.

I musulmani europei sono la chiave per battere gli islamisti. Questi musulmani sono un vantaggio, non una minaccia, se capiamo che essi non rappresentano l'Islam in Europa, ma sono europei musulmani


Lei come lo spiega?

Il nodo non è la povertà o la mancanza di istruzione è l’assenza del significato della vita di cui soffrono tanti ragazzi di fede musulmana e di formazione culturale europea. I media italiani che legano la condizione di miseria o di ignoranza al terrorismo, sono la cassa di risonanza dell’ideologia dell’Isis. Perché veicolano tutti i messaggi dell’Isis. Io per esempio se fossi un leader europeo non permetterei la messa in onda delle immagini dell’Isis. L’obiettivo della propaganda islamista sono ragazzi appena maggiorenni o poco più che ventenni. Il terrorista della spiaggia tunisina era un ragazzo che andava in discoteca, che ballava la break dance. Eppure l’Europa avrebbe una grande opportunità.

Quale?
Qui da noi vivono 20 milioni di musulmani europei a tutti gli effetti occidentali. Ma vivono in ghetti, sono invisibili. Questa è una falsa integrazione. Un’Europa fedele ai suoi principi dovrebbe rendere visibili questi suoi cittadini, nella società civile, nell’università, nei partiti politici, nel governo. Integrazione significa visibilità. I musulmani europei sono la chiave per battere gli islamisti. Questi musulmani sono un vantaggio, non una minaccia, se capiamo che essi non rappresentano l'Islam in Europa, ma sono europei musulmani. Pensiamo a un ragazzo nato qui, che parla italiano, ma non la lingua dei genitori, che guarda film italiani, che mangia cibo italiano, che legge libri italiani: come possiamo dire che non sia un occidentale? Di fede musulmana, ma è un occidentale. Distinguere fra occidente e islam è un errore, forse il più grave pregiudizio che si sta compiendo in Europa. L’islam europeo è un dono che stiamo ricevendo e potrebbe essere un grande vantaggio per l’umanità. È a loro che dobbiamo chiedere di dare l’esempio. La prima linea di resistenza contro l'Isis sono gli europei musulmani. L'Islam europeo è l'unico vaccino che può immunizzare l'Europa contro il virus dell'Isis. Oggi invece dettano legge gli islamisti radicali. Questo perché l’Europa tratta questi 20 milioni come individui invisibili (ma non come persone con una loro fede, la loro cultura) o solo come musulmani (ma non cittadini occidentali) e quindi come nemici. È una morsa da cui dobbiamo uscire. Questo il problema dietro cui si cela la soluzione.