Dopo l’euforia dell’Expo
Mario Vitiello
A
qualche giorno dalla fine dell’Expo, è possibile iniziare a fare alcuni
bilanci dell’evento che ha occupato la scena politica e sociale
milanese (e a tratti anche nazionale) negli ultimi cinque anni. Expo è un evento complesso, che riguarda la città di Milano e probabilmente l’intera nazione,
che interessa molti settori, e ancora oggi sono tante le domande
aperte, molti i rischi incombenti – non tutti noti – e innumerevoli le
ferite che si devono ancora rimarginare. Per questo è necessario
premettere qualche informazione riguardo gli assetti delle società che
governano Expo, per comprendere quali siano le criticità e le contraddizioni presenti sullo scenario milanese (ma non solo) per i prossimi anni.
La proprietà delle aree è di Arexpo Spa,
la società che ha comperato il milione di metri quadri su cui si sta
svolgendo l’evento. Li ha acquistati da Cabassi, da Fondazione Fiera e
da Poste Italiane, pagandoli uno sproposito (grazie ad una speculazione
tipo “mani sulla città” garantita dalla giunta Moratti), indebitandosi
con le banche (principalmente Intesa San Paolo per circa 160 milioni) e
con la stessa Fondazione Fiera (per circa 50 milioni di euro). La gara indetta negli scorsi mesi per trovare un compratore per le aree del sito è andata deserta, e in molti stanno pensando a cosa fare di queste aree, che per il momento sembrano interessare a tutti ma che nessuno vuole.
A meno che non intervenga un soggetto “forte”, sia sotto il profilo
politico sia sotto quello finanziario, che garantisca la realizzazione
di nuove opere, nuove infrastrutture Expo Spa è la società che ha
costruito l’Expo e che sta gestendo lo show.
I compiti di Expo S.p.A. sono in sintesi: organizzare e gestire
l’Evento; redigere il piano finanziario dettagliato delle opere
essenziali; gestire i finanziamenti pubblici degli enti finanziatori;
stipulare i contratti relativi alla gestione operativa dell’Evento ed
acquisire i proventi, nel rispetto del dossier di candidatura e
successive modificazioni; redigere alla chiusura dell’Evento un
rendiconto finanziario generale, da sottoporre all’approvazione del
Ministero dell’Economia e delle Finanze; (da wikipedia).
Expo Spa ha realizzato il sito e
ha gestito il processo costruttivo dei padiglioni “standard”, ha
stipulato i contratto con i paesi ospiti, sta gestendo il management di tutto lo svolgimento, sta percependo proventi di vario tipo (pubblicità, merchandising, …) e sta incassando il denaro proveniente dalla vendita dei biglietti.
Ad oggi non è chiaro a nessuno quale sia il bilancio definitivo di Expo
Spa. Certo è che erano attesi 29 milioni di visitatori, e forse si
arriverà a 20 milioni. Il masterplan prevedeva che l’accesso
costasse 30-32 euro, mentre fin dal mese di aprile erano sul mercato
biglietti a 20 euro, che diventavano 10 euro per le scuole. Dal mese di
giugno i visitatori serali (comunque contati nel conto complessivo)
entrano con 5 euro. Molti paesi non stanno pagando i creditori, tra cui
gli Stati Uniti. Si può affermare, senza timore di grosse smentite, che
Expo produrrà un importante passivo che dovrà essere ripagato
dall’unico soggetto capace di una operazione di questo genere e portata:
il ministero dell’Economia, cioè lo Stato tramite Cassa
Depositi e Prestiti. Questa voragine inoltre avrà sicuramente
ripercussioni sul bilancio del comune di Milano, sull’economia
dell’intera regione ed in generale sul “sistema paese”.
Sul piano politico (e delle politiche) Expo è una specie di buco nero.
Tutti si sono improvvisamente scoperti “expottimisti”, a partire
ovviamente dal Pd e dalla giunta del sindaco Pisapia, che ha ereditato
l’Expo quando ne avrebbe volentieri fatto a meno ma che non a saputo
dire l’unico “no” che avrebbe dato un senso al suo mandato. L’euforia
da Expo è stata venduta con gran dispiegamento di forze, ed alla fine
il mantra che ripete ossessivamente “Expo è un successo” si è affermato con modalità orwelliane.
La saldatura tra Comunione e Liberazione e Pd nella gestione di tutta l’area metropolitana è oramai definitiva. Sotto i profilo culturale Expo si è rivelato essere esattamente quello che molti avevano sempre temuto: la materializzazione di una specie di Disneyland in versione padana, con una dose rilevante di kitch e una enorme capacità di imporre il pensiero unico dell’”Expo felice”.
In questo ambito, occorre riconoscerlo, ha dato una grossa mano il
contribuito di (pare) circa 50 milioni elargito da Expo alle maggiori
testate e giustificato sotto la voce “comunicazione istituzionale”. Gli
effetti sul turismo sono contraddittori, in città il flusso dei turisti è
sicuramente aumentato e le statistiche dicono che i visitatori sono
raddoppiati rispetto al 2014.
Però
Milano non è una città turistica, e raddoppiare un numero piccolo non è
un gran risultato … È ormai chiaro però che Expo si è rivelato un
competitore con la città. Expo ha
funzionato da attrazione verso il sito espositivo, con grandi afflussi
concentrati nei weekend e lunghe code agli accessi, e da dissuasione
rispetto alla città: molti ristoratori lamentano un calo delle
presenze in centro, molti esercizi commerciali fuori dalle rotte verso
Expo non hanno registrato alcun incremento di clientela. Sul
piano della legalità Expo ha avuto il pregio di far emergere il peggio
del peggio della corruzione, della connivenza tra settori dello stato,
con manager incaricati di gestire la cosa pubblica e criminalità
organizzata. Soprattutto ha dimostrato, per quanto fosse
già chiaro, che la macchina del “grande evento”, così come è pensata,
genera un diffuso agire criminale. Ormai è chiaro che non esiste una “grande opera” sana e pulita,
le grandi opere per definizione sono un precipitato di criminalità e di
connivenza tra impresa, stato ed organizzazioni malavitose, tanto da
rendere difficile distinguere i confini tre questi soggetti.
Il dopo Expo per ora assomiglia a un qualcosa a metà tra un film con Fantozzi e un film di Fellini. Sicuramente subiremo con violenza la narrazione del successo di Expo,
e si userà il numero di visitatori per giustificarlo. Invece i numeri
reali del bilancio verranno tenuti nascosti almeno per tutta la campagna
elettorale, che si svolgerà nella prossima primavera.
L’unico soggetto che ne uscirà bene sarà, come al solito, Fondazione
Fiera Milano (Ffm) che venderà la sua quota in Arexpo allo Stato,
incasserà le plusvalenze e non dovrà nemmeno preoccuparsi delle
bonifiche, delle dismissioni e di qualsiasi cosa riserverà il dopo-sito.
L’area di Expo rischia di rimanere abbandonata a se stessa per i
prossimi mesi e forse per i prossimi anni. Tutti resteranno fermi in
attesa che vengano definiti gli accordi tra i poteri forti, che per
l’area milanese in questa fase significano l’intreccio tra Fondazione
Fiera, Ferrovie dello Stato, che sta per trasformare gli ex scali
ferroviari in nuove speculazioni edilizie, Aler, che procederà con la
svendita del patrimonio immobiliare pubblico, l’Università, che tenterà di diventare l’ennesimo agente del Real Estate. Uno scenario ad elevato rischio di bolla speculativa,
perché a Milano non esiste nessun bisogno reale, cioè capace di
suscitare mercato, di nuove edificazioni o di nuovi interventi, che
finiranno per moltiplicare i fallimenti di Santa Giulia o di City Life.
Infine si devono considerare i
progetti infrastrutturali, che trovano nuova forza dallo Sblocca Italia,
e che incombono sull’area metropolitana e in particolare sul Parco Sud (trivelle, discariche e stoccaggi di idrocarburi).
Questi progetti confermano la gigantesca menzogna di Expo rispetto al
tema dell’esposizione: cibo, filiera corta, alimenti a km zero,
agricoltura sostenibile e periurbana etc., e dimostrano l’inutilità della Carta di Milano,
spacciata come “High Agreement” quando in realtà nessuno sa cosa ci sia
scritto e finirà dimenticata. Expo è stato e sarà un furto alla
collettività. È stato realizzato con risorse pubbliche che hanno drenato
le casse del Comune, della Regione e domani anche dello Stato.
Expo inoltre non ha ridistribuito ricchezza. Al contrario ha generato limitatissimi ritorni economici diffusi, mentre invece ha prodotto enormi plusvalenze per pochi soggetti collocati in posizione strategica.
Expo infine è stata la vittoria della logica emergenziale, violenta e
privatistica di concepire l’economia e più in generale i rapporti
sociali in questa fase di crisi. L’unica risposta accettabile, che
peraltro potrebbe solo in parte restituire quanto sottratto negli scorsi
anni, consiste nel convertire il sito per restituirlo alla città ed al
territorio.
Il dopo Expo deve diventare un
luogo sociale, deve restituire alla città le aree e le infrastrutture,
deve diventare bene comune e patrimonio di tutti i cittadini, deve
sdebitarsi per tutto quello che è stato sottratto a Milano e al paese. Ma
questo non è ancora sufficiente. È necessario che anche l’intero
processo decisionale su cosa fare dell’Expo sia oggetto di una
valutazione e di una decisione partecipata. Un
dispositivo di partecipazione attiva in cui i cittadini possano
esprimere un punto di vista che di sicuro sarebbe differente da quello
di Fiera, Expo e Compagnia delle Opere
http://www.sinistrainrete.info/societa/6017-mario-vitiello-dopo-l-euforia-dell-expo.html