L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 28 novembre 2015

Incapaci, corrotti, ladri, vampiri del pubblico

edificio ceduto ai ‘maghi’ della finanza

Il Tesoro ‘regala’ il palazzo e ci paga l’affitto

LATINA, VIALE NERVI 270 - Il quartier generale del Tesoro ex proprietario oggi "inquilino"
LATINA, VIALE NERVI 270 - Il quartier generale del Tesoro ex proprietario oggi "inquilino"

Cedere casa, in nome del risparmio, ma restarci spendendoci ancor più per l'affitto. E per giunta mettendo a repentaglio l'immobile che era a garanzia per altri. Gli altri sono i lavoratori italiani. Lo scellerato proprietario è lo Stato, nientedimeno che il Fisco, il presunto custode della legalità tributaria, dei conti pubblici e non solo. I privati sono soggetti dediti al business finanziario, edilizio e persino dell'azzardo.

CON LA SCUSA DEI RISPARMI...
Parliamo del quartier generale degli Uffici Ced, il centro elaborazione dati, dei Dipartimenti delle Finanza e del Tesoro per il centro Italia. È il posto dove finiscono tutte le nostre dichiarazioni dei redditi. Una importantissima sede del Ministero dell'Economia a Latina, in viale Pier Luigi Nervi n. 270, che ospita pure la Ragioneria territoriale dello Stato. Ebbene, questo strategico immobile era prima di proprietà dello Stato, che ora invece ci si ritrova come 'inquilino', dopo averlo ceduto per fare cassa al fine di abbattere l'imponente debito pubblico. Certe operazioni, purtroppo, sono di solito collegate alla cosiddetta finanza creativa, quella che ha quasi distrutto l'economia mondiale coi titoli finanziari tossici (i famigerati 'derivati'). Nel 2004 l'immobile fu ceduto dal Ministero dell'Economia al prezzo di circa 7,5 milioni di euro. L'ulteriore assurdità è che finora non solo si è disfatto di un prezioso pezzo di patrimonio pubblico di ben 14.500 metri quadrati, ma non si vedono i presunti risparmi che motivarono la cessione. L'affitto costa al Tesoro, e quindi ai cittadini, oltre 715mila euro l'anno. Quindi ad oggi lo Stato, cioè noi tutti, abbiamo speso oltre 7 milioni e 800mila euro in affitti, vale a dire più di quanto il Ministero incassò dalla cessione 11 anni fa. E meno male che si tratta dei 'cervelloni' della contabilità statale. Senza dimenticare che il patrimonio statale dovrebbe servire anche a garantire le pensioni degli italiani: se dovessero mancare i soldi per pagarle, si vende quello e si fanno campare i pensionati.

CHI C'È DIETRO? 
Dal 2004 dunque il proprietario dell'immobile in discorso si chiama Fondo immobiliare Beta e le cifre qui indicate si trovano nelle sue relazioni semestrali. Quest'ultimo è stato costituito dalla società IDeA FIMIT SGR attraverso il conferimento di immobili dell'INPDAP, l'istituto di previdenza dei dipendenti pubblici recentemente confluito nell'INPS. Gli azionisti di IDeA FIMIT sono il gruppo De Agostini (editoria, costruzioni, 'gioco' d’azzardo e finanza) che ha una quota del 64,3%, l’Enasarco (Ente nazionale per l’assistenza degli agenti e i rappresentanti di commercio) con il 6% e l’Inps (Ente nazionale di previdenza sociale) con il 29,7% delle azioni. Tra i loro affari, c'è anche la stratosferica cementificazione di uno degli ultimi pezzi di Agro romano presso il Parco dell'Appia Antica e la zona del Divino Amore, attraverso la controllata Ecovillage Tre Srl: un nuovo paese per circa 15mila abitanti, su 50 ettari di terreno pieno di vincoli agricoli, paesaggistici, archeologici in aree classificate ad alto rischio idrogeologico. Per non parlare dello strano iter seguito per il progetto: un accordo programmatico-politico tra l'ex governatore Renata Polverini e l'ex sindaco di Marino Adriano Palozzi, poi 'calato' in Consiglio comunale con il placet trasversale dei politici della Regione.

LO STATO “OSPITE” 
La società di gestione del risparmio IDeA FIMIT, specializzata proprio nei fondi comuni di investimento immobiliare, gestisce edifici in gran parte ceduti da enti pubblici per fare cassa: tra questi ci sono anche l’INPS e l’Enasarco. Ha in mano oltre il 22,5% del mercato nazionale superiore e un portafoglio di 9 miliardi di euro. Fino al giorno del suo arresto per la truffa sanitaria, nel CdA della GTech - ex Lottomatica, appartenuta al gruppo De Agostini che guida IDeA FIMIT, sedeva Antonio Mastrapasqua, “mister 25 poltrone”, espertissimo di finanza creativa, già Presidente dell’INPS e Vicepresidente esecutivo di Equitalia. Quello stesso Inps socio di IDeA FIMIT. Quale sia il vantaggio finale che le casse pubbliche dovrebbero ottenere da queste operazioni è tutt’altro che chiaro.

Il caso ex Icos: 2,5 milioni buttati
A circa 400 metri dall’edificio ceduto dal Ministero dell’Economia alla IDeA FIMIT a Latina, c’è l’ex Icos, un immobile acquistato nel 2003 dal Comune di Latina, per 2,5 milioni di euro. L’acquisto è avvenuto attraverso una stranissima asta fallimentare, dove si era presentato un acquirente privato che aveva rilanciato l’offerta fino al limite massimo che la Giunta Comunale  aveva già deliberato di spendere. L’idea, patrocinata dall’allora Provveditore Regionale alle Opere Pubbliche Angelo Balducci (quello della “cricca del G8” per intenderci) era di farne la sede della Guardia di Finanza, in modo da liberare Palazzo M,  per destinarlo a sede universitaria. Sull’intera vicenda era stata aperta un’inchiesta che è terminata lo scorso anno in un nulla di fatto per intervenuta prescrizione del reato: in quasi 10 anni non si è riusciti neanche ad arrivare alla sentenza di primo grado. 

http://www.ilcaffe.tv/articolo/19135/il-tesoro-regala-il-palazzo-e-ci-paga-l-affitto

Il corrotto Pd ha fatto una sanatoria per prendere ancora soldi, il messaggio è chiaro le regole della convivenza sociale si devono ignorare tutti i cittadini possono farsi regole per se stessi

Rimborsi elettorali, la Camera si appresta a pagare i partiti: Fraccaro (M5S), “Erogazioni illegittime e incostituzionali”

Rimborsi elettorali, la Camera si appresta a pagare i partiti: Fraccaro (M5S), “Erogazioni illegittime e incostituzionali”
Camera
La ripartizione dei finanziamenti va avanti a Montecitorio. Nonostante la diffida di Giulietto Chiesa per conto dei Riformatori per l’Ulivo. Sette milioni al Pd, 4 al Pdl, 1 alla Lega. Senza contare i contributi ad una cinquantina di partitini e liste minori. Tra cui quelle ispirate ai governatori Serracchiani, Zingaretti, Crocetta e Maroni. E senza alcun controllo effettivo sulla regolarità dei bilanci. Il parlamentare grillino: "Diffido i membri dell’Ufficio di presidenza dal procedere al pagamento, ne risponderanno davanti a un giudice"
 
Il record, alla cassa, sarà tutto del Pd: 7 milioni, 375 mila, 990 euro e 94 centesimi. Ossia ben 3 milioni più del Pdl, che non arriverà manco a quota 4 e mezzo. La Lega Nord si fermerà a 1,2 milioni, più o meno quanto la lista “Monti per l’Italia” (648 mila euro) e Sel (661 mila) messi insieme. Poi, ecco i 752 mila euro di Scelta Civica, i 315 mila di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale, i 253 mila dell’Udc, fino ad arrivare ai pochi spiccioli, 496 euro, di Ladins Dolomites. Totale per il 2015: 45,5 milioni di euro.

FUORI CONTROLLO E’ questa la ripartizione provvisoria dei rimborsi elettorali che Montecitorio sta per erogare ai partiti senza alcun tipo di controllo grazie alla contestatissima legge 175, la cosiddetta «Boccadutri card», approvata lo scorso 14 ottobre.  Un’erogazione «indebita e illegittima», come ha denunciato il giornalista ed europarlamentare Giulietto Chiesa per conto dei Riformatori per l’Ulivo, diffidando la Camera dei Deputati a procedere a pagamenti previsti da una legge «potenzialmente incostituzionale». I vertici di Montecitorio hanno ricevuto la diffida due settimane fa, ma «i membri dell’ufficio di presidenza non ne sono neppure stati informati», accusa il deputato M5S Riccardo Fraccaro, che dopo aver letto la denuncia di Chiesa sul ilFattoquotidiano.it  chiede una convocazione urgente dell’organo per discutere la vicenda. “Pure io diffido i membri dell’ufficio di presidenza dal procedere al pagamento”, avverte Fraccaro: “Li invito a valutare attentamente il rischio di essere chiamati a rispondere di persona davanti a un giudice se procederanno a erogazioni illegittime e incostituzionali”.

CAMERA IN CONFLITTO La patata è bollente. Anzi, di più: l’ufficio di presidenza della Camera  – presieduto da Laura Boldrini e composto da 8 deputati Pd, 3 di M5S, 2 di Fi, 2 di Area popolare, 1 ciascuno per Sel, Centro democratico, FdI, Scelta civica, Lega, Misto – è infatti da sempre l’organo deputato a deliberare sulla ripartizione dei rimborsi elettorali e a procedere alla loro liquidazione. Traduzione: «I partiti che ne fanno parte hanno sempre finanziato se stessi senza alcun tipo di controllo esterno», spiega Fraccaro, ricordando i grandiosi scandali, come i casi Lusi e Belsito, di un passato neanche troppo lontano. A poco, anzi nulla, è servita la legge 96 del 2012, che in epoca Enrico Letta aveva stabilito come, dal 2015 al 2017, il pagamento dovesse avvenire solo in seguito a controlli preventivi sui rendiconti a opera di un’apposita Commissione di garanzia e di controllo ospitata dalla Camera. «Un’altra presa in giro», sostiene Fraccaro, denunciando lo stratosferico «conflitto di interessi della Camera»: «Siamo di fronte a un abuso di posizione dominante, con i partiti che si spartiscono i soldi dei contribuenti per pagarsi la prossima campagna elettorale a discapito delle forze politiche che rinunciano al finanziamento e dovono competere con chi dispone liberamente di milioni di soldi pubblici».

GOVERNATORI IN LISTA Senza nessun controllo, oltretutto. I cinque magistrati che fanno parte della Commissione, obbedendo ora alla “sanatoria Boccadutri”, si stanno limitando a stilare una relazione «basata su un semplice esame formale dei bilanci 2013», spiega Fraccaro, «cioè senza poter controllare se le spese riportate sono state effettivamente sostenute oppure no. Uno scandalo». La relazione verrà consegnata all’ufficio di presidenza entro lunedì 30 novembre e nel giro di poche ore i finanziamenti verranno erogato a una cinquantina di partiti, tra cui Pd e Pdl faranno la parte del leone, portando a casa 12 milioni, mentre il Movimento 5 Stelle conferma che continuerà a rifiutare la sua quota, pari a 5,6 milioni. A dividersi le briciole ci sarà poi una giungla di sigle, da quelle note (Idv,18 mila euro; Grande Sud, 62 mila; La Destra, 25 mila; Partito Pensionati, 13.455) alle semi-sconosciute (la valdostana Alpe, 2.271 euro; Unione sudamerica emigrati italiani, 4.823 euro; Insieme per gli italiani, 529 euro), passando per le liste personali dei candidati governatori del 2013: 100 mila euro al Patto Civico per Ambrosoli e altrettanti al Megafono di Crocetta, 36 mila a Zingaretti Presidente, 12.300 alla lista Storace, 146 mila a quella di Maroni, 12.451 per Pittella, per finire coi 420 euro ai “Cittadini per Deborah Serracchiani presidente”.

POLITICA DROGATA Sarà l’ufficio di presidenza, materialmente, a votare l’erogazione di tutti questi contribuiti. E qui, avverte Fraccaro, sta il rischio giudiziario per chi prenderà parte al voto: «L’ufficio agisce come semplice ente pagatore. Perciò ricordo ai suoi membri che non sono coperti da nessun tipo di immunità nel caso in cui il pagamento dei rimborsi elettorali si rivelasse illegittimo e incostituzionale come sostiene Giulietto Chiesa nella sua diffida, cui sono pronto ad associarmi».Secondo l’avvocato di Chiesa, Francesco Paola, «siamo di fronte a una violazione dei diritti politici essenziali» dei cittadini e dei movimenti che si trovano a doversi muovere, in condizioni svantaggiate, in un panorama politico “drogato” dove pochi partiti, grazie ai soldi pubblici che loro stessi decidono in che modo auto-liquidarsi, si sono creati una posizione dominante e la difendono con le unghie e con i denti. I soldi dei cittadini, in pratica, vengono usati per alterare la par condicio politico-elettorale e violare il diritto comunitario in materia di affidamento dei fondi pubblici. «Non siamo davanti a una semplice questione di soldi, qui sono in gioco i diritti politici dei cittadini», conclude Fraccaro. «E per difenderli il Movimento 5 Stelle è pronto a ogni tipo di iniziativa dal punto di vista giudiziario».

Il salvataggio delle 4 banche non è raccontata in maniera pulita e corretta, c'è un'ambiguità di fondo che non viene cancellata

Banca Etruria, Marche & Co. Chi paga davvero il salvataggio

Banca Etruria, Marche & Co. Chi paga davvero il salvataggio
Azionisti, obbligazionisti subordinati, grandi banche che finanziano il fondo di risoluzione, la Cdp che attiva una garanzia, lo Stato che garantisce sgravi fiscali. Ecco chi e come partecipa direttamente o indirettamente al salvataggio delle 4 banche spacchettate con il decreto del governo.
IL COLPO PER GLI AZIONISTI
Ecco cosa ha significato per gli azionisti la messa in sicurezza di Banca Marche, CariFerrara, Banca Etruria e CariChieti voluta dal governo sulla scia della nuova legislazione europea sui salvataggi bancari: “Sono oltre 60 mila gli (ormai ex) soci della coop Banca Etruria e 44 mila quelli di Banca Marche, 22 mila quelli di CariFerrara. Ma anche i grandi investitori (Intesa Sanpaolo era azionista in B. Marche e Cr Chieti) hanno perso tutto, a cominciare della Fondazioni, che hanno visto andare in fumo circa 400 milioni pregiudicando in taluni casi gran parte del proprio patrimonio. In Banca Marche la Fondazione Cr Macerata ha bruciato 80,2 milioni, la CariPesaro 94,7 milioni, la Cr Jesi 48 milioni (più 15 milioni di bond), CariFano 21 milioni. In CariFerrara la fondazione omonima ha perso 72,4 milioni, e in CariChieti l’ente locale ha perso 77 milioni”, ha spiegato Fabrizio Massaro sul Corriere della Sera.
COME PIANGONO GLI OBBLIGAZIONISTI
A pagare il conto, in linea con le nuove norme Ue, sono anche una parte degli obbligazionisti: “È di 728 milioni di euro il controvalore dei bond subordinati emessi dalle quattro banche italiane “salvate”. Un controvalore ora azzerato”, ha scritto Vitaliano D’Angerio sul Sole 24 Ore. Ad essere coinvolte sono circa 5mila persone. Un esempio su tutte: “Banca Etruria l’abbiamo salvata io e mia madre che in una notte abbiamo visto evaporare 100mila euro. Soldi nostri, risparmi di una vita. Che ora sono diventati carta straccia”. È questa la testimonianza riportata da Il Giornale di due dei risparmiatori che hanno sottoscritto in passato un bond subordinato con la banca aretina. “Nella loro situazione – ha spiegato Camilla Conti sul quotidiano diretto da Alessandro Sallusti – secondo le stime dell’Associazione Amici di Banca Etruria guidata da Vincenzo Lacroce, sono circa 5 mila obbligazionisti subordinati, un terzo dei 15 mila bondisti delle 4 banche da salvare”, aggiungendo che “alle nove obbligazioni subordinate emesse dall’Etruria per un totale di 375 milioni si aggiungono infatti le quattro di Banca Marche (205 milioni) e le tre di Carife (148 milioni) per un controvalore complessivo di quasi 730 milioni di euro”.
IL RUOLO DEGLI SGRAVI FISCALI
Secondo la ricostruzione di Libero Quotidiano a perderci sarebbe anche lo Stato: “Il piano di salvataggio ha un impatto negativo sui conti pubblici (nonostante il «verbo» di palazzo Chigi): gli istituti recuperano sotto forma di sgravi Ires una parte dei 3,6 miliardi di aiuti girati via Nazionale. L’aliquota per la defiscalizzazione è pari al 27,5%. Ne consegue che quest’ anno lo Stato incasserà meno Ires per 990 milioni”. Per tirare le somme su questo aspetto bisognerà attendere la fine dell’anno, ha osservato Francesco De Dominicis su Libero, indicando tra gli aspetti di rilievo del salvataggio gli aiuti di Stato, spuntatati sotto forma di garanzia pubblica: “Lo dice ufficialmente una nota della Commissione Ue che ha comunque avallato il sussidio: ‘Il beneficio connesso a tale garanzia è di 400 milioni di ulteriore supporto del fondo di risoluzione. Tali interventi del Fondo di risoluzione costituiscono aiuti di Stato ai sensi delle norme europee sugli aiuti di stato’”.
I FINANZIAMENTI DELLE GRANDI BANCHE
Al salvataggio dei quattro istituti italiani concorreranno Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi e Mps, ciascuna in misura differente specificata da Andrea Di Biase su MF/Milano Finanza: “Intesa Sanpaolo ha fatto sapere che la quota di sua competenza sarà di 380 milioni di euro ante imposte. Per Unicredit il contributo straordinario, anche in questo caso da registrare nel quarto trimestre 2015, sarà pari a 210 milioni di euro, che si andranno ad aggiungere ai 90 milioni di contributo ordinario già spesati nel primo semestre. Ubi Banca dovrà accantonare entro fine anno circa 70 milioni (oltre ai 22,8 già messi a bilancio) come contributo da versare Fondo. In tutto, secondo quanto si apprende, il contributo di Ubi sarà pari a 91 milioni pre tasse. Mps dovrebbe versare invece 160 milioni in quattro anni, ma anticipati”.

Il salvataggio delle 4 banche ci è costata 1,7 miliardi sulla carta ma è conto presunto e da verifcare e in tutta questa alchimia lo stato sulla governace e strategie delle 4 banche salvate non decide niente

Ora che le 4 banche sono salve vi spieghiamo che significa e chi paga veramente

scritto da il 26 Novembre 2015

Econopoly pubblica un contributo al dibattito sul salvataggio di CaRiFe, Banca Marche, Banca Etruria e CaRiChieti. Questo scritto è stato messo a punto da due analisti finanziari che preferiscono rimanere anonimi e affidano le loro valutazioni al blog –
 
Come funziona l’operazione di messa in sicurezza di Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e CariChieti?
Le quattro banche in amministrazione straordinaria vengono sostanzialmente rilevate dal Fondo di Risoluzione, e cedono a quattro neocostituite Bad Bank il loro portafoglio crediti peggiore (Bad Loan) che ammonta a nominali 8,5 miliardi di euro già svalutati per circa il 60%. Il Fondo di Risoluzione gestisce il risanamento delle quattro banche, oggi definite Bridge Bank, ai fini del loro ricollocamento successivo sul mercato come Good Bank, mentre le Bad Bank saranno impegnate nel recupero dei Bad Loan.
Per la gestione di tutta l’operazione è stato anzitutto necessario riassorbire le perdite con l’azzeramento delle azioni e dei prestiti subordinati (quasi-capitale). Ma non è bastato, sono stati necessari altri 1,8 miliardi per ricapitalizzare le Bridge Bank perché potessero tornare ad operare, ed 0,1 milioni come capitale delle Bad Bank. Oltre a questo, la valutazione dei Bad Loan fatta dalle banche è stata riconosciuta ottimistica, ed è stata necessaria un’altra svalutazione per 1,65 miliardi. In aggiunta, il Fondo di Risoluzione pone 400 milioni a ulteriore garanzia del recupero dei Bad Loan (detta in soldoni, da quei 8,5 miliardi ci si aspetta di recuperare circa 1,1 miliardi, il 13%).
Conto totale dell’operazione: 4 miliardi.
Il Fondo di Risoluzione, appena nato, ha recuperato le somme necessarie attraverso due prestiti combinati concessi da Banca Intesa, Unicredit, e Ubi Banca.
Il primo prestito per 2,3 miliardi è in effetti una anticipazione di quattro anni di contribuzioni dell’intero sistema bancario al Fondo di Risoluzione. Entro fine 2015 tutte le altre banche verseranno la loro parte e il Fondo potrà restituire il prestito: prestito a brevissimo con rischio sostanzialmente nullo.
Il secondo è un prestito secco di 1,7 miliardi finanza la maggior svalutazione dei Bad Loan con scadenza a 18 mesi, ed è garantito fino a 400 milioni da Cassa Depositi e Prestiti.
DIciamo che non si tratta di un vero bail-in, in quanto il ripianamento delle perdite non è stato sopportato anche dai debitori senior e dai correntisti (questo rappresenta, rispetto alla soluzione bail-in, una traslazione dei costi di risoluzione in capo ad altri soggetti). Non è propriamente un bail-out, in quanto i fondi impiegati non arrivano dallo Stato. A ridosso dell’entrata in vigore il primo gennaio prossimo della normativa sul bail-in, è stata partorita una soluzione mista da definire, con un neologismo, bail-over.
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Le perdite sono sopportate per circa 1,7 miliardi da azionisti e finanziatori subordinati “cancellati” e per 2,3 dal sistema bancario complessivo. Il prestito secco di 1,7 miliardi è invece atteso venir recuperato dall’attività delle Bad Bank. Il costo per il contribuente risiede nella garanzia prestata da CDP (qualora ne fosse necessaria l’escussione) e nell’esenzione IRES sui contributi al Fondo di Risoluzione (0,65 miliardi sui 2,3 miliardi di cui sopra), cioè entro un massimo di 1,05 miliardi di euro. Il tutto, salvo sorprese.
A differenza di come viene generalmente presentata, l’operazione non si è conclusa ma è solo iniziata: occorrerà verificare da una parte l’effettivo recupero dei Bad Loan, e dall’altra la capacità delle Bridge Bank di recuperare un’operatività adeguata al profittevole ricollocamento sul mercato. Non solo: andrà verificata la presenza stessa degli acquirenti. Su quest’ultimo aspetto possiamo prospettare alcuni scenari: una aggregazione di soggetti “nuovi” rileva le Good Bank, nuove banche straniere entrano sul mercato italiano, oppure banche italiane (credibilmente, le tre che hanno anticipato i soldi al Fondo di Risoluzione) rilevano le Good Bank. Il primo è improbabile, il secondo è poco probabile, il terzo è il più realistico ed ha senso almeno per il fatto che sono state banche italiane a supportare l’operazione. Chi acquista, acquista nuove banche “ripulite e funzionanti”, sostanzialmente scaricando sul contribuente e sul sistema bancario in generale parte dei costi della “ripulitura”.
Interessante sarà se le performance di recupero delle Bad Bank fossero ancora più deludenti dell’atteso, oltre cioè quanto coperto dalla garanzia CDP. In quel caso non è chiaro chi pagherebbe la ricapitalizzazione necessaria. Le tre grandi banche hanno un credito verso il Fondo, eventualmente compensabile con il prezzo di acquisto delle Good Bank, e non è chiaro se questo troverà fondi chiedendo ancora un anticipo di contribuzioni presso tutto il sistema bancario, oppure – più probabile – attraverso una ricapitalizzazione con soldi pubblici.
In quest’ultimo caso, il conto per il contribuente sarebbe ancora più salato e rivelerebbe un fatto: oggi le tre grandi banche intervenute potrebbero in effetti aver definito un tetto alle perdite sul portafoglio peggiore (l’anticipo dei contributi al Fondo, decurtato dell’esenzione IRES), lasciando il rischio di maggiori perdite in capo al contribuente, cioè socializzando parte del ripianamento dei Bad Loan e riservandosi la possibilità di futuri acquisti con un piccolo “sconto” (il prestito da 1,7 miliardi, in tal caso, funzionerebbe ex post quasi come un acconto). Ma la componente bail-out di questo bail-over sarà chiara solo ex post.
Probabilmente questa operazione vuol lanciare due messaggi: una banca può – veramente – fallire ed è l’ultima volta che obbligazionisti senior e depositi privati (sopra i 100.000 euro) ne escono illesi. Quel che sopporta il contribuente, e il possibile assorbimento delle Good Bank nelle tre principali banche italiane, può essere il prezzo di quest’ultima concessione prima di un bail-in in versione full.

Diego Fusaro, la strategia della paura è voluta dal potere per impedire che ci sia opposizione

Il pensiero di Fusaro sul dopo-Parigi: “Vedrete, la paura diventerà strumento di dominio politico”
 
27 novembre 2015 ore 11:35, Andrea Barcariol
Il pensiero di Fusaro sul dopo-Parigi: “Vedrete, la paura diventerà strumento di dominio politico”
Il filosofo Diego Fusaro, intervistato da IntelligoNews, boccia l’operato di Hollande, critica Erdogan e analizza i futuri scenari geopolitici sulla base degli ultimi eventi.
 
Anche la Germania invierà i tornado in Siria. Si va verso la grande coalizione contro l’Isis. Che idea si è fatto di questa Europa a guida Hollande?

«E’ vero che il trattato di Lisbona prevede questa possibilità ma la Costituzione italiana, nell’art.11 la vieta. Come si vede ancora una volta la Costituzione è carta straccia rispetto ai trattati europei. Siamo al cospetto di un’aggressione militare che dietro l’etichetta dell’attacco al terrorismo va a colpire uno Stato sovrano, nazionale e legittimo come la Siria che era nel mirino da parecchio tempo e che ora può essere aggredita con una plausibile giustificazione. Peccato che questa lotta al terrorismo implichi il bombardamento di città siriane e di civili con una vera e propria strage terroristica analoga a quella subita dalla Francia».

La Meloni su facebook ha criticato l’atteggiamento “ipocrita” Renzi sostenendo che lui dice: “La guerra serve, ma fatela voi”. Cosa ne pensa?


«Bisogna capire quali saranno gli sviluppi. Se l’Italia entra in guerra sarebbe un evento gravissimo. Non c’è alcun motivo per farlo, a oggi nessuno ci ha minacciato o bombardato. Poi quello che dice la Meloni non mi interessa minimamente».

Hollande invece è passato dal “saremo spietati” a un atteggiamento più diplomatico. Denota debolezza?


«Le sue prime frasi sono sembrate quelle dei terroristi dell’Isis, perché è lo stesso stilema narrativo. Ora non so cosa vorrà fare Hollande che però leggo come il momento culminante della parabola dissolutiva delle sinistre passate da Marx alla giustificazione dei bombardamenti umanitari».

Un ruolo decisivo nella guerra all’Isis lo sta svolgendo Putin. Che conseguenza avrà l’abbattimento dell’aereo russo da parte della Turchia?

«E’ ancora presto per dirlo. Sicuramente la Russia ha subito un attacco ingiustificato che non credo sia stato casuale. Tutti sanno che c’è stato un piccolo contentino per la Turchia, il fatto che a dicembre l’Europa vaglierà ulteriormente la possibilità dell’ingresso nell’Ue. Speriamo che la Russia non ci caschi altrimenti si va verso un conflitto mondiale. Se la Grecia avesse fatto lo stesso trattamento alla Turchia ora non avrebbero più aerei».
 


L’Europa sta scoprendo la paura. Non pensa che sia una società troppo individualista per riuscire a far fronte comune?

«Sul tema della paura ci sono dei bei libri di Roberto Escobar che consiglio. In generale direi che gli uomini presi dalla paura sono disposti a rinunciare a molte cose in nome della sicurezza. La paura diventa quindi uno strumento di dominio politico per far passare norme. Per i prossimi due anni si parlerà solo dell’Islam e del terrorismo e non più della violenza terroristica dell’economia di mercato che genera suicidi e disoccupati. Il nemico sarà solo il terrorista islamico».

Crede che la tragica morte di Valeria Solesin sia stata strumentalizzata?


«Sì, come per le altre vittime di Parigi che sono state uccise una seconda volta tramite l’incorporazione ideologica della loro morte in un progetto geopolitico di bombardamento e di aggressione di un altro Paese, la Siria. Quei volti sono stati utilizzati per giustificare un atto imperialistico di aggressione».

http://www.intelligonews.it/articoli/27-novembre-2015/33761/il-pensiero-di-fusaro-sul-dopo-parigi-vedrete-la-paura-diventera-strumento-di-dominio-politico 

Corte Costituzionale, come si fa a non dare ragione a Grillo e al M5S mentre il corrotto Pd non si smentisce e continua gli inciuci

Critiche a Barbera e Sisto

Consulta, Grillo: il metodo degli inciuci ha fallito, votiamo per la trasparenza

Dopo l'ultima fumata nera per l'elezione dei tre giudici mancanti alla Corte Costituzionale, il Movimento Cinque Stelle sul blog del suo fondatore critica le scelte dei partiti («hanno optato per l'eterno inciucio»), difendendo la propria candidatura: Franco Modugno

Il fondatore di M5S Beppe Grillo.
Il fondatore di M5S Beppe Grillo.

ROMA - «Il metodo dei partiti, quello degli inciuci, per eleggere i tre giudici mancanti della Corte costituzionale ha fallito. L'unico metodo possibile è quello M5S, il metodo della trasparenza per il bene dei cittadini». E' quanto si legge sul blog Beppegrillo.it, voce ufficiale del Movimento 5 stelle, in una sorta di premessa (anonima, quindi riconducibile al leader e fondatore del movimento, titolare del sito) ad un post formato invece M5S Parlamento: pubblicato cioè a nome dei gruppi parlamentari stellati di Camera e Senato.
Fumata nera «Altra fumata nera ieri, a Camere riunite, per l'elezione dei tre giudici mancanti alla Corte Costituzionale. Questo - si legge nel comunicato M5S pubblicato in calce al testo di Grillo - è il risultato delle scelte dei partiti che, invece di optare per un voto trasparente insieme al Movimento 5 stelle, hanno optato per l'eterno inciucio allo scopo di piazzare due loro politici alla Consulta e poterne, così, controllarne l'operato. Ma gli è andata male».
Critiche su Barbera... «Il Pd, infatti, dopo le richieste del M5S di fare pubblicamente un nome che il Movimento potesse vagliare, a meno di 48 ore dal voto - si sottolinea nel comunicato congiunto dei gruppi M5S di Camera e Senato - ha tirato fuori quello del professor Barbera. Costituzionalista affermato, ha militato nelle fila del Pci-Pds- Ds, deputato alla Camera dal 1976 al 1994, con tanto di incarico da ministro dei Rapporti col Parlamento. Barbera si è espresso a favore della riforma renziana del Senato, dell'Italicum e da sempre ha sostenuto il 'premierato forte'. Sulla sua testa pende, poi, la questione ancora aperta dell'inchiesta della procura di Bari sui concorsi pilotati all'Università. Il suo nome è finito nelle cronache dei giornali - in contemporanea alla sua nomina fra i 35 saggi di Napolitano a inizio di questa legislatura - perché contenuto nelle informative della Guardia di Finanza. Ma di questa vicenda se ne sono perse le tracce».
...e su Sisto «Poche le parole da spendere, poi, su Francesco Paolo Sisto. Attuale deputato di Forza Italia, già presidente della commissione Affari costituzionali, capace - prosegue la nota - di sostenere con forza la legge elettorale, per poi cambiare idea quando anche Berlusconi l'ha cambiata. Candidato dell'ultima ora è stato anche Giovanni Pitruzzella, attuale presidente dell'Antitrust nonché avvocato amministrativista e docente di diritto Costituzionale all'Università di Palermo. Da presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha adottato numerosi provvedimenti di forte impatto economico e sociale, spesso a vantaggio di grandi aziende o dei 'poteri forti'. In suo studio legale ha assisto la Regione siciliana, sin dai primi anni novanta, sulle questione di costituzionalità in ambito regionale. Risulta che il suo studio abbia difeso in una causa civile Renato Schifani. Non ha mai svolto attività politica».
Il vincitore morale «Infine il vincitore morale, il Movimento 5 stelle. Si era detto: alti profili, personalità slegate dalla politica e dalla comprovata indipendenza. Gente come il professor Franco Modugno, scelto all'unanimità per un curriculum di altissimo livello e, soprattutto, per non essersi mai fatto acquistare dalla politica. Modugno i suoi voti li ha presi tutti, gli altri no. E al prossimo giro, se i partiti non vogliono continuare a fare pessime figure (già bacchettati dal presidente della Repubblica Mattarella), devono passare dal Movimento 5 stelle. O meglio, dal suo metodo: e saranno costretti, almeno una volta, a fare una cosa per il bene di tutti i cittadini».
(Con fonte Askanews)

http://politica.diariodelweb.it/politica/articolo/?nid=20151127_367245 

Rita Katz&SITE è la fonte del terrore, pesca e/o crea video di rivendicazioni, materiali si materializzano come faceva il nostro ex giornalista Renato Farina che per denaro forniva e pubblicava notizie false nell'ambito dei nostri servizi segreti



Giovedì sera un nuovo attacco da parte di un gruppo armato ha preso di mira i fedeli sciiti di una moschea del distretto di Bogra, nel nord del Bangladesh. La mattina seguente, il «solito» messaggio di rivendicazione di Daesh è stato diramato dai media, diffuso precedentemente dal SITE Intelligence Group: gli unici che si ostinano, credo a torto, a legare il terrorismo locale bangladeshi al progetto di terrore internazionale di Daesh.

LEGGI ANCHE: Cosa si può fare per il Nepal da adesso in poi (reprise)

L'attentato del distretto di Bogra, secondo quanto divulgato dai media bangladeshi, ricalca alla perfezione la dinamica di tutti gli attentati che nell'ultimo anno e mezzo hanno interessato il Bangladesh: pochi uomini armati di pistole o machete che attaccano o obiettivi «appariscenti» - intellettuali, progressisti, cooperanti stranieri - o, più di recente, minoranze di fedeli sciiti, in un paese a maggioranza schiacciante sunnita.
A Bogra c'è stata una sola vittima: il muezzin della moschea, 72enne. Gli altri fedeli, riuniti nella preghiera della sera, sembra siano tutti fuori pericolo.
Nella mattinata di oggi, puntuale, è arrivata la rivendicazione di Daesh, attraverso un messaggio su Twitter divulgato ai media dal SITE Intelligence Group, un'agenzia di intelligence privata con sede in Maryland, Stati Uniti. Tutte le rivendicazioni di Daesh, in tutti gli attentati di matrice estremista islamica in Bangladesh, sono sempre state confermate e diffuse esclusivamente da SITE, che insiste nel collegare l'aumento di violenze nel paese coi piani di terrore globale del sedicente Stato Islamico.
Il New Yorker, in un vecchio articolo, ha pubblicato un lungo ritratto di SITE e della sua fondatrice / direttrice, Rita Katz, diventata molto nota nella seconda metà degli anni Duemila occupandosi dell'attività telematica di al Qaeda: gli analisti di SITE si infiltravano sotto falso nome nelle chat dei jihadisti e ne ricavavano informazioni suoi prossimi attentati. Informazioni che SITE rendeva disponibili quasi immediatamente ai propri abbonati, a pagamento.
SITE non ha personale sul campo: agisce su internet, traducendo e selezionando informazioni che ritiene affidabili secondo un criterio sconosciuto. L'attività di SITE e di Rita Katz, in grado talvolta di anticipare le grandi agenzie statali di intelligence, ha destato in passato diverse critiche di islamofobia e, addirittura, di collaborazionismo incosciente coi terroristi. La divulgazione di rivendicazioni di attentati già commessi, infatti, contribuisce a diffondere il terrore nell'opinione pubblica, rischiando di prendere per vere delle rivendicazioni scritte a bella posta da attivisti online - di Daesh, nel caso bangladeshi -  che si appropriano ben volentieri del terrorismo altrui, portando acqua al proprio mulino.
È la tesi di Syed Tashfin Chowdhury, che su Asia Times ha escluso che Daesh possa essere attivo in Bangladesh, riconducendo i numerosi attentati degli ultimi tempi a una lotta intestina tra le sigle estremiste bangladeshi contro il governo di Dhaka, proprio mentre continuano a piovere sentenze - anche di morte - nel processo per crimini di guerra aperto dall'amministrazione in carica contro diversi «collaborazionisti» del Pakistan durante la guerra d'Indipendenza del 1971.
Come nota giustamente Chowdhury, il terrore bangladeshi è radicalmente diverso nella forma rispetto a quello di Daesh. Pochi uomini e poche vittime, rispetto alle carneficine di commando armati di tutto punto, pacchi bomba o attentati suicidi tipiche di Isis. Accmunare le due cose non fa altro che il gioco di Daesh, che già con l'ultimo numero del magazine patinato di Isis Dabiq - citato dalla brava Giulia Pompili proprio per quanto riguarda il Bangladesh -  raccontava del «ritorno del jihad nel Bengala». Quando il jihad in Bengala non c'è mai stato.
La strategia del terrore di Daesh, nel caso del Bangladesh, prevede l'appropriazione di attentati altrui con l'obiettivo di convincere l'opinione pubblica di una penetrazione di Isis in Bangladesh. Eventualità che esperti ed esponenti del governo di Dhaka continuano a escludere per le ragioni di cui sopra.
Ma le agenzie internazionali hanno fame di terrore e tutto, in tempi sconclusionati come questo, ricade nell'insieme Daesh, che ha maggiore appeal sul lettore. E, incidentalmente, aiuta la causa di Daesh.
Per questo, finché gli unici a unire Bangladesh e Isis saranno gli analisti di SITE - che vende le proprie indiscrezioni a privati, e più indiscrezioni ci sono più mercato c'è - qui si continuerà a sostenere che il terrorismo in Bangladesh non ha assolutamente niente a che vedere con Isis.
@majunteo

http://www.eastonline.eu/it/opinioni/elefanti-a-parte/bangladesh-daesh-e-l-unica-agenzia-privata-che-li-lega 

#derivati agli italiani è proibito sapere gli impicci e gli imbrogli che le istituzioni fanno con i nostri 159 miliardi di nostri soldi

Derivati sul debito? Muto devi stare

27 Novembre 2015 - 09:56

Con 159 miliardi di euro di contratti sottoscritti per stabilizzare il suo debito l'Italia è il Paese europeo più esposto nel settore dei derivati. Eppure non è dato sapere quali siano stati i contratti fin qui stipulati, nonostante l'esercizio dell'accesso civico da parte degli organi di informazione.

Insomma, se vuoi sapere qualcosa sul tema ne esci cornuto e pure mazziato. È il caso di Guido Romeo di Wired Italia che scrive, “chiedere informazioni allo Stato italiano è proibito, e pure sanzionato a suon di multe. È questo il senso della sentenza della Terza sezione del Tar del Lazio che mi ha condannato a pagare 1000 euro per spese legali al Ministero dell’Economia e delle Finanze al quale, lo scorso marzo, avevo chiesto copia di contratti e relativi “termsheet”, le condizioni che regolano i contratti che ha stipulato sul pachidermico debito italiano”.

Con 159 miliardi di euro di contratti sottoscritti per stabilizzare il suo debito l'Italia è il Paese europeo più esposto nel settore dei derivati

Ebbene, ma cosa ha fatto mister Romeo per meritarsi un trattamento del genere? Nel nostro Paese esiste uno strumento, l’accesso civico, che serve per sollecitare la Pubblica Amministrazione al rilascio di dati di interesse pubblico e che sono ancora invece chiusi nei cassetti. Viste le cifre la rilevanza pubblica della questione, dato che si parla dei soldi dei contribuenti, è fuori discussione. Non sembrano essere dello stesso avviso però il Ministero dell’Economia e il TAR.

Via Posta Certificata (la famosa PEC) Romeo chiede di avere accesso a quei documenti. Nessuno dal Mef si degna di rispondere e il nostro, da buon cronista e con l’assistenza dell’avvocato Ernesto Belisario, ricorre al Tar contro lo stesso Ministero.

La difesa del Mef, citata in sentenza è la seguente: “la divulgazione di tali contratti (a prescindere dalla riconducibilità di essi ad una specifica fattispecie coperta da riservatezza) avrebbe riflessi pregiudizievoli sulle attività in derivati poiché determinerebbe un svantaggio competitivo dello Stato nei riguardi del mercato e porrebbe in svantaggio competitivo gli stessi istituti di credito”. Insomma, conoscere questi contratti potrebbe essere uno svantaggio per lo Stato.

“La divulgazione di tali contratti (a prescindere dalla riconducibilità di essi ad una specifica fattispecie coperta da riservatezza) avrebbe riflessi pregiudizievoli sulle attività in derivati poiché determinerebbe un svantaggio competitivo dello Stato nei riguardi del mercato e porrebbe in svantaggio competitivo gli stessi istituti di credito” Sentenza della Terza sezione del Tar del Lazio

Scrive Romeo, e a ragione, che in queste ultime dieci righe di sentenza “ i giudici si lasciano andare a considerazioni di opportunità che hanno certamente più a che fare con la politica di palazzo che con l’indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo”.

Così arriva il due di picche per la conoscenza di tali contratti e in più Romeo deve 1000 euro al Ministero dell’Economia e delle Finanze per la copertura delle spese legali. Cornuti e mazziati pure noi nella speranza, scrive Guido su Wired, “nella speranza che il Freedom of Information Act promesso dal Ministro Madia lo scorso sabato all’Italian Digital Day arrivi entro Natale e sia all’altezza delle aspettative, cioè in linea con i dieci punti irrinunciabili individuati da Foia4Italy, l’iniziativa della società civile che lo scorso febbraio aveva proposto il primo testo”. 

2015 crisi economica, l'aumento dei tassi della Fed aumenterà i fattori di dis-equilibrio nel resto del mondo

Lo scenario economico globale non è più contrassegnato solo da fattori favorevoli. La frenata degli emergenti, che abbassa le stime per il commercio mondiale, la paura generata dagli attacchi terroristici, che alimenta una già elevata incertezza e modifica i piani di spesa, e l’escalation militare in Siria costituiscono
venti che soffiano contro un’economia europea che non viaggia certo a pieni giri, soprattutto in alcuni paesi. Tuttavia, rimangono prevalenti gli impulsi fortemente espansivi da tempo inquadrati, che anzi si sono irrobustiti attraverso un ulteriore calo del prezzo del petrolio e il nuovo arretramento del tasso di cambio dell’euro. Nel Mondo intero e in molte sue singole parti l’insidia maggiore continua a rimanere la deflazione: 24 paesi registrano variazioni annue negative dei prezzi al consumo, contro 2 nel 2014. La deflazione depotenzia l’azione della politica monetaria, aggrava il peso dei debiti e induce il rinvio degli acquisti. L’ampia capacità produttiva inutilizzata (sotto forma in particolare di elevata disoccupazione), la generale discesa delle quotazioni delle materie prime (che riflettono e insieme trasmettono le pressioni al ribasso dei prezzi), le aspettative degli operatori e le ricadute della concorrenza globale e dell’innovazione tecnologica continuano a spingere all’ingiù la dinamica inflattiva. Ciò terrà a lungo bassi i tassi di interesse, anche negli USA dove la FED si accinge ad abbandonare la soglia zero del costo del denaro, e giustifica ulteriori allentamenti da parte della BCE. In Italia l’economia stenta a prendere quota, come indicano i deludenti dati del terzo trimestre (ma che fine ha fatto l’ottima annata turistica?), appesantiti dai contraccolpi della debole domanda estera. Comunque, la domanda interna è più vivace e i primi indicatori qualitativi autunnali (fiducia, PMI) sono in miglioramento rispetto all’estate. In attesa che si faccia sentire la spinta del contenuto espansivo della Legge di stabilità.

APPROFONDIMENTO.  Il PIL italiano è salito in estate per il 3° trimestre consecutivo, ma a ritmo attenuato: +0,2% congiunturale, dopo il +0,3% del 2° e il +0,4% del 1°. La variazione acquisita per il 2015 è di +0,6%. In settembre l’anticipatore OCSE per l’Italia è ulteriormente avanzato (0,07% da 0,04%) e suggerisce che il recupero del PIL proseguirà anche nei prossimi trimestri.
L’attività industriale è salita dello 0,4% in ottobre (stima CSC), dopo il +0,2% in settembre, portando la variazione acqui-sita nel 4° trimestre a +0,4%. La componente ordini del PMI manifatturiero (Markit) segnala una robusta espansione: +1,4 punti su settembre (a 55,3), grazie sia alla domanda estera sia a quella interna, quest’ultima trainata soprattutto dai consumi. Le attese di produzione (ISTAT) sono più favorevoli (saldo a 14,0, da 11,3 nel 3°) e anticipano un più vivace andamento dell’attività per fine anno. Nei servizi il PMI segnala in ottobre un andamento analogo a quello registrato in settembre e nel 3° trimestre (indice a 53,4 da 53,3).
Rimane bassa la dinamica degli scambi mondiali, risaliti nel 3° trimestre (+1,1%) dopo la riduzione nei primi due (-0,8% nel 1° e -1,0% nel 2°). La crescita del commercio globale nei primi nove mesi del 2015 è pari allo 0,8% rispetto alla media 2014, nettamente inferiore a quella degli anni recenti, pur di crisi. Ha pesato soprattutto il calo degli scambi degli emergenti (-1,1%). Prospettive migliori dalla componente ordini esteri del PMI manifatturiero globale, tornata in ottobre in territorio espansivo (a 51,2).
In settembre le esportazioni italiane sono aumentate dell’1,7% a prezzi costanti su agosto, grazie al parziale rim-balzo delle vendite extra-UE (+5,3% dopo -7,9%) mentre quelle nei paesi UE si sono ridotte dell’1,0%. Il 3° trimestre ha registrato una riduzione dell’1,5% rispetto al 2°, con una stagnazione dell’export verso l’UE (+0,1%) e un crollo di quello verso i paesi extra-UE (-3,6%, il calo più forte dal 2009; -1,7% in valore la variazione mensile in ottobre). Segnali positivi dagli ordini: è salita a 55,8 in ottobre la relativa componente PMI (da 55,3).
La capacità produttiva inutilizzata in Eurozona è ancora sopra i livelli pre-crisi seppure in lenta diminuzione: secondo l’indagine trimestrale della Commissione europea presso le imprese, nel 4° trimestre del 2015 sarà pari al 18,5% (20,1% nella media 2014), più alta di 2,9 punti percentuali rispetto al 2007. Ben maggiore è il divario nella disoccupazione: a settembre il numero dei disoccupati in percentuale della forza lavoro era il 10,8%, in lento calo dal 10,9% dei due mesi precedenti, contro il 7,5% nel 2007.
L’output gap è stimato ancora ampiamente negativo sia nel 2015 sia nel 2016 (-1,8% e -1,1%, stime Commissione europea, da -2,6% nel 2014).
Anche in Italia sono ampie le risorse non impiegate, che creano una forte pressione all’ingiù sulla dinamica dei prezzi. Il grado di utilizzo degli impianti si ferma al 72,4% nel 3° trimestre (stime CSC), cinque punti in meno rispetto alla media 2000-2007. Il tasso di disoccupazione si attesta all'11,9%, sui livelli di inizio 2013 (11,8% in settembre) ed è quasi doppio rispetto ai valori pre-crisi.
I ribassi delle commodity sono un termometro del rallenta-mento mondiale. Il Brent è sceso a 45,3 dollari al barile a novembre (62,9 a fine 2014, -27,9%). Simile il calo dei me-talli: rame -22,8%, ferro -22,6%. In discesa anche i prezzi agricoli (mais -3,5%), nonostante l’impatto sui raccolti delle condizioni climatiche avverse in Sud America e Australia.
Il calo delle quotazioni nasce dalla frenata della domanda e dall’eccesso di capacità produttiva, accumulata negli anni di alti prezzi. L’offerta di petrolio resta abbondante, pur rallentata dai prezzi bassi che invece spingono i consumi: 1,7 mbg il surplus quest’anno. Per il rame nel 2015 la produzio-ne mondiale supera la domanda, che è in calo, di 41mila tonnellate. Vi sono eccezioni: la domanda di mais, pur fre-nando, sorpassa di 13 milioni di tonnellate un’offerta debole nella stagione 2015/16.
I minori prezzi colpiscono le economie esportatrici di materie prime (anzitutto: Brasile, Russia). Nell’Eurozona, con domanda interna ancora debole, i ribassi sono trasferiti a valle in minori prezzi dei beni finali, non solo energy, tenendo giù l’inflazione.
La dinamica annua dei prezzi al consumo è troppo bassa sia nell’Eurozona (+0,1% in ottobre; con +0,3% in Italia, -0,7% in Spagna) sia negli USA (+0,2%), per effetto degli energetici (-8,5% e -17,1%). La deflazione è già diffusa nel Mondo: il nu-mero di paesi con variazione annua dei prezzi negativa nel 2015 è salito a 24 (di cui 9 avanzati) su 189, da 2 nel 2011.
Al netto di energia e alimentari i prezzi USA crescono però dell’1,9% annuo. Nell’Eurozona, invece, la dinamica resta comunque bassa, sebbene in aumento (+1,1% in ottobre, +0,6% a gennaio; +1,9% nel 2007). Ciò riflette le deboli pressioni inflattive interne: +1,3% annuo a settembre per i prezzi alla produzione (netto energia e alimentari), da +2,0% nel 2011.
Le attese sui prezzi basate sui rendimenti di mercato sono scese sotto gli obiettivi delle banche centrali: nell’Eurozona l’inflazione implicita negli swap a 5 anni è a +1,7% a novembre (+1,9% a luglio); negli USA quella implicita nei titoli di stato de-cennali è a +1,6% (+1,9% a giugno). I consumatori si attendo-no ribassi dei prezzi in Italia e Spagna (-15 e -12 i saldi delle risposte) e marginali aumenti in Germania (+1).
La BCE è pronta a ulteriori stimoli monetari (più acquisti di titoli, taglio del tasso sui depositi oggi a -0,20%), già il 3 di-cembre, se le previsioni sui prezzi resteranno basse. Ciò è cruciale per sostenere la ripresa nell’Eurozona: la bassa inflazione riduce l’efficacia della politica di tassi nulli e non incentiva la propensione alla spesa.
Gli interventi della BCE sono già straordinari: da fine 2014 ha acquistato titoli per 568 miliardi (419 pubblici) e con 5 TLTRO ha prestato alle banche 400 miliardi a 4 anni a tas-so quasi zero (98 a istituti italiani). Ciò abbassa i tassi lunghi (1,52% il BTP decennale a novembre, 1,99% a fine 2014) e riduce il costo del denaro pagato dalle imprese (1,8% in Ita-lia a settembre, 3,5% a inizio 2014). Il credito però resta debole: in Italia -1,0% i prestiti alle imprese da fine 2014.
È ormai pari al 100% la probabilità che la FED decida il 16 dicembre il primo rialzo dei tassi, fermi a 0-0,25% da fine 2008. Tra i dati USA diffusi dopo l’ultima riunione c’è stato anche l’atteso ulteriore calo della disoccupazione (5,0% in ottobre, da 5,1%). La FED proseguirà l’aumento dei tassi in modo molto graduale e in base all’evoluzione del quadro.
L’euro è sceso a 1,06 rispetto al dollaro (-6,7% da metà ottobre, -22,1% da luglio 2014), ai minimi raggiunti lo scorso aprile. Il livello del cambio sconta sia il persistente gap di crescita dell’Eurozona rispetto agli Stati Uniti sia le attese di gran parte degli investitori di maggiore espansione della BCE e di inizio del rientro da parte della FED in dicembre.
Lo yuan cinese resta ancorato al biglietto verde, dopo la mini svalutazione in agosto. Molto fragili e volatili i cambi degli altri emergenti, soprattutto degli esportatori di commo-dity, per la revisione all’ingiù delle loro prospettive di cresci-ta e il rischio di fuga di capitali con il rialzo dei tassi USA: vicini ai minimi storici sul dollaro, ma in parziale recupero sull’euro, il rublo russo (-32,8% sulla moneta unica da luglio 2014), il real brasiliano (-23,5%) e la lira turca (-3,9%).
Il deprezzamento delle valute degli emergenti esporta defla-zione nel resto del Mondo. Nell’Eurozona ciò è in parte contrastato dalla debolezza della moneta unica: -4,2% in termini effettivi nominali da metà ottobre; -8,7% da luglio 2014.
La crescita della Germania è proseguita nel 3° trimestre, seppure rallentata rispetto al 2° (da +0,4% a +0,3%), per il marcato contributo negativo dell’export netto (-0,4%) che ha indotto una contrazione della produzione industriale. Segna-li positivi per il 4°: il PMI riaccelera in novembre nel manifat-turiero (+0,5, da 52,1 in ottobre) e allunga il passo nei servizi (+1,1, a 55,6).
La crescita è trainata soprattutto dalla spesa delle famiglie, come confermato anche dalle immatricolazioni auto (+1,1% annuo a ottobre). I consumi sono sostenuti dal rafforzamento del mercato del lavoro, con disoccupati in di-scesa (-2,2% in ottobre rispetto a settembre) e salari in crescita (+2,4% annuo nominale a settembre).
Gli indicatori di fiducia sull’attività economica non sembrano aver risentito significativamente degli scandali Volkswagen e Deutsche Bank. L’indice IFO sul business climate sale di 0,8 punti a novembre, in linea con l’inversione di rotta dell’indice ZEW che torna a crescere (da 1,9 di ottobre a 10,4) dopo 7 mesi di cali consecutivi.
Dopo il leggero rallentamento del 3° trimestre (+0,3% dal +0,4% nel 2°), il PIL dell’Area euro è atteso accelerare nuovamente. In novembre l’indice PMI composito segnala, in-fatti, un’ulteriore espansione dell’attività nell’area (54,4 da 53,9 in ottobre) ed è compatibile con una crescita del PIL pari a +0,4%/+0,5% nel 4° trimestre. Restano, però, le spin-te deflazionistiche: le imprese tagliano per il secondo mese consecutivo i prezzi (componente PMI invariata a 49,6).
Hanno allungano il passo sia il manifatturiero (PMI a 52,8 da 52,3 in ottobre), con un maggior aumento degli ordini esteri (52,8 da 52,7), sia i servizi (a 54,6 da 54,1), nei quali l’occupazione è cresciuta al ritmo più rapido degli ultimi 5 anni (52,8 da 52,3) e nonostante il rallentamento della Francia (51,3 da 52,7), primo effetto dell’attacco terroristico.
In prospettiva, la bassa inflazione e il lento ma graduale ca-lo dei disoccupati (-1,2 milioni in un anno a settembre) continueranno a sostenere i consumi e rafforzare la fiducia delle famiglie europee. Pesa, però, l’incognita delle conseguenze economiche della guerra terroristica.
Negli USA il rallentamento del manifatturiero (PMI a 50,1 in ottobre, da 50,2), causato dagli effetti sulle esportazioni del-la frenata delle economie emergenti e del dollaro forte, è più che compensato dall’ulteriore forte accelerazione dei servizi (59,1 da 56,9) dove, in alcuni comparti, come il commercio all’ingrosso, l’attività continua a crescere a ritmi record.
In ottobre l’occupazione non agricola (+271mila unità) e le vendite di auto (18,2 milioni, dato mensile annualizzato massimo da luglio 2005) confermano che l’espansione pro-segue robusta, trainata dalla domanda interna. Vi contribui-sce l’aumento della ricchezza delle famiglie, grazie anche al recupero dei prezzi delle case (+5,5% annuo in settembre).
Il Giappone è tornato in recessione (-0,8% annualizzato il PIL nel 3° trimestre, dopo il -0,7% nel 2°), a causa del calo degli investimenti (-5,0%, dopo -4,8%). Ciò nonostante, la banca centrale non ha allentato la politica monetaria. Una ripresa moderata sarà alimentata dagli attesi interventi di sti-molo del Governo e dal recupero dei salari (+0,5% mensile quelli reali in settembre, al 3° aumento consecutivo).
In Cina nel 4˚ trimestre prosegue la frenata dell’output industriale (+5,6% annuo in ottobre, ritmo più basso da marzo) e accelerano marginalmente le vendite al dettaglio(+11,0%, do-po il +10,9% in settembre). Cala l’export (-7,0%, dopo -3,8%) per effetto della debolezza della domanda globale, ma meno dell’import (-18,8%, dopo -20,4%), che risente della domanda interna fiacca e del calo dei prezzi delle commodity.
Tra i BRIC l’India è l’economia meno esposta ai rischi esterni e le riforme del Governo attirano investimenti dall’estero. Ma la produzione industriale ha rallentato a sorpresa (3,6% an-nuo in settembre, da +6,4% in agosto) e il PMI manifatturiero ha toccato in ottobre il minimo da 22 mesi (50,7).

La Russia è ancora in grave difficoltà: -4,1% annuo il PIL nel 3˚ trimestre (-4,6% nel 2˚); in ottobre -3,6% l’output industriale (-3,7% in settembre) e in area di contrazione il PMI dei servizi (47,8 da 51,3). In Brasile inflazione (+10,3% annuo in ottobre, massimo dal 2003) e disoccupazione (7,9%, al top dal 2009) spingono la fiducia dei consumatori verso nuovi minimi.

Siria&Parigi, i mass media fomentano la guerra con le mille e mille stupidagini che scaraventano in pubblico

La pace si costruisce con la pace

Inserita da il nov 27th, 2015
pace no muos“In Italia, decine di commentatori su giornali e tv esasperano, 24 ore su 24, l’allarme attentati offrendo il fianco alle dichiarazioni xenofobe. Crediamo che anche questa sia guerra. Noi ricordiamo che dopo 14 anni di “guerra al terrorismo” in Afghanistan, i talebani controllano più territori di prima mentre i civili afghani uccisi sono migliaia, centinaia di migliaia in Irak, altro paese sotto le bombe “umanitarie” occidentali; le bande sanguinarie dell’ISIS potrebbero essere sostenute dalle petromonarchie mediorientali per contiuare a destabilizzare territori da sottomettere alle richieste sempre più distruttive delle multinazionali; il popolo curdo è finora l’unico baluardo vero all’avanzata dell’ISIS: eppure, i curdi sono sotto l’attacco dei Turchi (e la Turchia è un paese della NATO); mentre Hollande, come fa da sempre e come ha fatto chi lo ha preceduto, bombarda le città “per vendetta”, si scaldano, con proclami basati sulla paura di noi civili, i motori degli aerei militari di altri paesi occidentali sempre per “esportare democrazia”, perché evidentemente nulla ci hanno insegnato i disastri umanitari e politici causati dalle guerre in Irak, Libia, Somalia, ex Jugoslavia…
Come attivisti No MUOS No War, chiediamo che tutti riflettano sulla guerra che avanza in occidente e sulle guerre nel mondo senza farsi condizionare dai dispacci militari sotto forma di notizie propinate da giornali e tv; che si aiuti per davvero la resistenza curda, anche liberando Ocalan e riabilitando il partito curdo dei lavoratori, PKK; che cessi immediatamente l’invio delle armi ai paesi come l’Arabia Saudita, interessata a sostenere i terroristi; che si avvii una politica di pace e non di destabilizzazione continua per gli interessi delle economie occidentali; che la NATO non sia al servizio degli interessi USA e che l’Italia esca dalla NATO, aprendo il processo di demilitarizzazione dei territori europei; che il MUOS di Niscemi, strumento di guerra come abbiamo sempre affermato, venga definitivamente smantellato.
Un’altra pace è possibile e ognuno di noi lavori per la pace”.

A cura del Comitato No MUOS No WAR Piazza Armerina

venerdì 27 novembre 2015

Siria&Parigi&Ankara la spavalderia di Erdogan si frantuma contro l'ira della russia

Siria, Turchia sospende i raid contro l'Is dopo l'abbattimento del jet russo

ADNKRONOS
ADNKRONOS
VENERDÌ 27 NOVEMBRE 2015 08:30 GMT
Ankara, 27 nov. (AdnKronos/Aki) - L'aeronautica militare della Turchia ha deciso la sospensione dei voli sulla Siria e quindi dei raid aerei che compiva nell'ambito della campagna militare coordinata con gli Stati Uniti contro il sedicente Stato Islamico (Is) dopo che l'abbattimento di un caccia russo da F-16 turchi ha provocato una crisi diplomatica tra Mosca e Ankara. Lo riferiscono fonti diplomatiche turche citate dal sito di Hurriyet a condizione di anonimato.
La sospensione della partecipazione di caccia turchi alle operazioni guidate dagli Usa contro l'Is rientra in una decisione presa con la Russia, che ha anche sospeso la sua campagna aerea vicino al confine con la Turchia.

Siria&Parigi&Ankara, Erdogan e la Fratellanza Musulmana hanno vinto l'elezioni a novembre usando bombe e terrore

Putin: Erdogan? Non diciamo che se ne deve andare, ma...

ASKANEWS
ASKANEWS
GIOVEDÌ 26 NOVEMBRE 2015
Mosca, 26 nov. (askanews) - Pesantissimo Vladimir Putin in quello che appare un attacco diretto a Recep Tayyp Erdogan, dopo l'abbattimento del jet russo e dopo un embargo, deciso da Mosca, che potrebbe portare un duro colpo all'economia di Ankara. Il leader del Cremlino ha messo chiaramente in dubbio che il governo turco non sia al corrente del traffico di petrolio al confine turco-siriano. Quel commercio che foraggia l'Isis. "Difficile crederci ma mettiamo che sia così", ha detto Putin in merito, per poi aggiungere che comunque i container arrivano al confine pieni e tornano indietro verso la Siria vuoti. "Noi lo vediamo ogni giorno" ha aggiunto. "Appare come un oleodotto vivente", ha sottolineato. "Noi li vediamo dall'alto. Vanno avanti giorno e notte". Poi per ben due volte, a sorpresa, è entrato nel merito del "destino" del presidente turco Erdogan, utilizzando le stesse parole che in genere si usano per il leader in bilico Bashar Assad: "Noi non diciamo che il presidente turco se ne deve andare. Lo deve decidere il popolo turco".