L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

lunedì 25 gennaio 2016

Siria&Parigi, Erdogan è il punto di riferimento della Fratellanza Musulmana, la Turchia sta applicando la sharia, ci sta sommergendo di profughi da lui stessi creati, lo paghiamo tre miliardi perchè regoli i flussi che regolarmente non fa mentre gli Stati Uniti continuano ad essere dei pazzi schizofrenici inaffidabili

Ma l'Occidente ha capito chi è davvero Erdogan?
Con lui contrastiamo ISIS e prepariamo i negoziati sulla Siria, dove dobbiamo far accomodare i rappresentanti del terrorismo che piacciono ad Ankara e Riad. [A.Negri]

ALBERTO NEGRI

domenica 24 gennaio 2016
megachip.globalist.it










di Alberto Negri


Come riciclare Erdogan? Per condurre questa operazione Obama ha scelto il suo vice Biden che un anno fa aveva accusato il presidente turco di essere connivente con l'Isis, per poi scusarsi sia pure con qualche incertezza. C'è da chiedersi se gli Stati Uniti, l'Europa, il cosiddetto Occidente, esistano ancora come nazione politica, morale o anche soltanto geografica. Più di un dubbio viene spontaneo dopo la visita del vicepresidente americano Joe Biden in Turchia.

Biden sostiene che gli Stati Uniti sono pronti a fare la guerra con la Turchia contro il Califfato. Anche i sassi della provincia di Antiochia sanno che Erdogan ha fatto passare migliaia di terroristi sull'"autostrada della Jihad" per abbattere Assad. E tutti abbiamo visto che gli Stati Uniti ben poco hanno fatto per combattere l'Isis negli ultimi due anni, al punto che non avevano neppure opposto un'obiezione quando il Califfato aveva conquistato Mosul nel giugno 2014. Se non avessero tagliato la testa a un cittadino americano, sollevando l'ira dell'opinione pubblica, Washington avrebbe lasciato fare.

È comprensibile che gli americani cerchino adesso di recuperare un alleato della Nato, lo stesso che peraltro ha esitato mesi prima di concedere la base aerea di Incirlik per i raid contro lo Stato Islamico e quando lo ha fatto ha preferito bombardare i curdi del Pkk e anche quelli siriani piuttosto dei jihadisti.

Biden ha fatto una distinzione tra il Pkk e Pyd, le forze curde siriane anti-Isis, gli eroi di Kobane per intenderci, ma questo non basta. Come non è sufficiente aver detto che la Turchia non rispetta gli standard democratici mettendo in carcere giornalisti e intellettuali. Il vicepresidente americano sta cercando di sommare le pere con le mele, come si diceva alle scuole elementari. Cioè tenta di salvare la capra, ovvero il ruolo di Erdogan nella Nato, e i cavoli americani, la palese contraddizione di avere condotto una finta guerra al Califfato che ha aperto le porte all'intervento della Russia a fianco del regime di Damasco.

Agli Stati Uniti adesso serve un autocrate come Erdogan, complice dei jihadisti, non per fare la guerra all'Isis ma per contrastare Putin in Siria. La realtà è che la Turchia ricatta gli Usa con la minaccia russa per ottenere un pezzo di territorio siriano che finora non è riuscita a conquistare servendosi del Califfato. 
È con questa bella compagnia, con queste idee brillanti, che facciamo la lotta all'Isis e ci prepariamo ai negoziati di pace sulla Siria dove dobbiamo fare accomodare i rappresentanti del terrorismo che piacciono ad Ankara e Riad. Siamo amici e alleati di coloro che ci mettono le bombe in casa, che hanno distrutto interi Paesi, provocato milioni di profughi e che alimentano la propaganda islamista radicale: ecco siamo noi i "nuovi" occidentali.


http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=84111&typeb=0&alberto-negri

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