feb 20, 2016
di redazione -
DON ALDO ANTONELLI E LE UNIONI CIVILI: “CATTO! QUEL PREFISSO MI DA FASTIDIO!”
“Il cattolicesimo infatti, usato come aggettivo ma soprattutto
come prefisso, tende, da un lato, a sacralizzare la visione ideologica
dei problemi con i quali volta a volta si coniuga e, dall’altro, a
paralizzare il dibattito silenziando la ragione nella morsa della “non
negoziabilità”. a parlare è Don Aldo Antonelli.
Di seguito un suo articolo pubblicato su www.adista.it
«Lo spettacolo andato in scena per settimane intorno alla legge sulle
unioni diritti civili, (è) stato tra i peggiori degli ultimi tempi. Una
questione che è nervi e sangue per migliaia di coppie omosessuali è
stata infatti trasformata in una Torre di Babele fatta di «canguri»,
inglesismi e «affidi rafforzati» capace di sgomentare qualunque normale
cittadino. E se a questo si aggiungono i trucchi e gli sgambetti ideati
per lucrare un qualche consenso elettorale, il quadro è completo».
Così scrive Federico Geremicca su La Stampa di Torino il
giorno dopo il sabotaggio dell’emendamento detto “super-canguro” da
parte del M5S. In effetti la discussione sulle unioni civili avrebbe
bisogno «di limpidezza e di rispetto reciproco, invece d’essere
posseduta da convenienze politiche, forzature ideologiche, intolleranze
religiose», così come lamenta Stefano Rodotà in un bellissimo servizio
apparso su La Repubblica del 20 gennaio scorso.
Ad accendere gli animi e a dividere all’interno di uno stesso partito
(il PD), c’è poi un prefisso che puntualmente ritorna nel gioco delle
parti, quando in Italia si tratta di legiferare su temi sì delicati ma
comunque urgenti e che non possono essere lasciati marcire
nell’immobilismo del “non-si-tocca”! E’ il prefisso “Catto”! E’ un
prefisso che mi allarma, mi mette in sospetto.
Il grande filosofo Augusto Del Noce affermava che l’aggettivo
cattolico unito a una qualsiasi espressione ideologica (liberalismo,
nazionalismo, comunismo, modernismo…) dava un risultato devastante. Il
cattolicesimo infatti, usato come aggettivo e soprattutto come
prefisso, tende, da un lato, a sacralizzare la visione ideologica dei
problemi con i quali volta a volta si coniuga e, dall’altro, a
paralizzare il dibattito silenziando la ragione nella morsa della “non
negoziabilità”.
Ora, di fronte a questo stallo, procedurale a livello politico e
concettuale a livello ideologico, si rende necessaria una doppia azione,
riguardante rispettivamente i due ambiti.
In prima istanza bisogna liberarsi dai continui depistaggi. Attorno
al problema delle unioni civili e dell’adozione coparentale, più
conosciuta come “step-child adoption”, si sono voluti introdurre, in
maniera capziosa e fraudolenta, il discorso dell’adozione in genere
delle coppie omosessuali e il problema dell’utero in affitto. La
maternità surrogata, vietata fin dal 2004, viene così evocata per
opporsi all’adozione dei figli del partner, penalizzando proprio quei
bambini che si dice di voler tutelare e tornando così a quella
penalizzazione dei figli nati fuori dal matrimonio eliminata dalla
civile riforma del diritto di famiglia del 1975; come ben ci ricorda
Stefano Rodotà nel servizio sopra citato.
In secondo luogo, last bat not least, è necessario andare oltre quel
cattolicesimo “italiano” socialmente condizionante, politicamente
imponente ma profeticamente fragile che si abbarbica attorno alla
dittatura della tradizione (con la “t” minuscola!), si satura di
enfiagione nella difesa della legge (con la “l” minuscola”) e distoglie
lo sguardo dall’uomo e dalla donna in carne ed ossa che il potere e la
storia hanno abbandonato lungo il ciglio della strada e, soprattutto,
non considera gli uomini e le donne semplici numeri per dimostrare
preconcetti teoremi..
Abbiamo urgente bisogno di riscoprire il cristianesimo della
Testimonianza che non sventola bandiere, non urla verità astratte, non
difende principi assoluti, non frequenta piazze tramutate in barricate.
È indispensabile riprendere una strada coerente con il fatto che si
sta discutendo di dignità e identità delle persone, in una Chiesa che fa
dell’accoglienza un luogo di rispetto per tutte le “diversità”,
«aprendo gli occhi difronte alle ingiustizie che impediscono il sogno e il progetto di Dio» (Papa Francesco).
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