Cosa succederà in Libia (e cosa farà l’Italia)
L'analisi del generale Mario Arpino, già capo di stato maggiore della
Difesa, dopo il bombardamento degli Stati Uniti contro Isis
Quali nuove dalla Libia? Tante, oppure nessuna: in una situazione
cosi fluida, ogni giudizio dipende infatti dalla visuale
dell’osservatore, e dai parametri usati dall’analista. In effetti,
quelle che in prima lettura sembrerebbero delle novità, in realtà non lo
sono. Si trappa di sviluppi che seguono un copione ampiamente previsto.
O, comunque, ampiamente prevedibile.
Potrebbe sorprendere, ma vale anche per l’attacco nei dintorni di
Sabratha degli F-15 E dell’Usaf, partito da una base della fedele Gran
Bretagna e già commentato ieri da Formiche.net.
Di nuovo c’è solo che questa volta l’attacco mirato è stato fatto con
due cacciabombardieri invece che con i droni. E’ un segno evidente che
l’attività intelligence che gli alleati stanno da tempo conducendo sul
territorio in terra e dal cielo (ma anche dal mare) sta cominciando a
dare frutti attendibili e il bersaglio era di interesse rilevante.
Interessante la collaborazione ex-post della municipalità locale,
evidentemente contenta di vedere che qualcuno sta cercando di far
sloggiare alcuni ospiti non graditi. E’ un buon segnale anche questo,
che sta a significare il vero stato d’animo dei comuni cittadini. Che,
anche in Libia, evidentemente sono migliori dei politici che dicono di
rappresentarli.
Al momento, quindi, la iattura di una fuga in avanti dei tre attori
più scalpitanti sembrerebbe scongiurata, ma vi è anche piena
consapevolezza che, se l’accordo interno tarda, qualcuno si potrebbe
stancare e passare all’azione. Ma solo contro l’Isis. E’ più che
evidente, ora, che si stanno svolgendo due agende parallele, che
tuttavia interferiscono e ritardano il processo: una interna, e l’altra
internazionale. Quella interna è condotta esclusivamente da attori
libici, quella internazionale dall’Onu, sotto la pressione del
“magnifici tre” sopra menzionati, con l’Italia che osserva e si muove
con apprensione, per comprendere quale sarà effettivamente il ruolo per
il quale, a dir il vero un po’ al buio, si è da tempo autocandidata.
Le due agende hanno finalità, ma forse è meglio dire priorità, tra
loro diverse. La prima tende a risolvere il rebus del nuovo governo, che
il Consiglio di presidenza ha già predisposto in formato ridotto (13
ministri e 5 sottosegretari di Stato) e sottoposto al parlamento di
Tobruk. L’esito lo sapremo nei prossimi giorni, sempre che si venga a
capo del cosiddetto “nodo Haftar”.
la seconda è premuta dall’urgenza di lanciare una grande operazione di
Peace-keeping (quella che dovrebbe essere affidata al coordinamento del
nostro Paese), dare nel contempo (o magari prima) un forte incremento
alla lotta all’Isis e nel contempo, contenere il flusso dei migranti
verso la Festung Europa (detto alla Merkel, ma per noi Fortezza Europa).
Un compito immane che, a mio modestissimoto avviso, avrà dei tempi di
sviluppo tipo Afghanistan.
Il cliché dell’Onu, purtroppo, sembra essere sempre lo stesso,
ritenuto buono per ogni situazione. Speriamo, almeno, che anche il
risultato non sia sempre lo stesso. E l’Italia? Trepidamente attende,
sapendo che, comunque vada, prima o poi dovrà assumere quel ruolo di
responsabilità per cui si è proposta. Certamente, i nostri militari
avranno già predisposto un certo numero di moduli di intervento, buoni
per ogni evenienza: il loro compito è quello di essere sempre pronti,
pianificare e presentare ai responsabili politici opzioni fattibili e
supportabili con le nostre risorse.
Di questo indispensabile processo la convocazione del Consiglio
Supremo di Difesa per il 25 febbraio potrebbe essere il primo passo.
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