Way Out, ecco perché Bankitalia critica la riforma voluta dal Palazzo Chigi
L'Huffington Post
|
Di
Giuseppe
Colombo
Una sorpresa amara che ora si è tradotta in malcontento. La
Banca d’Italia critica alcune scelte compiute dal Governo nella riforma
delle banche di credito cooperativo (Bcc), contenuta nel decreto varato
dal Consiglio dei ministri il 10 febbraio: la norma sulla cosiddetta
‘way-out’, cioè la possibilità per gli istituti con un patrimonio netto
sopra i 200 milioni di euro di restare fuori dal recinto comune della
holding, è foriera di problemi e instabilità. “Abbiamo lavorato tutti
insieme e poi il testo uscito dal Cdm non era quello che ci
aspettavamo”, spiega una fonte di via Nazionale all’Huffington Post.
Quella norma, voluta in prima persona dal premier Matteo Renzi, ha
trovato spazio nel testo del decreto durante la riunione notturna del
Consiglio dei ministri. A sorpresa e all’insaputa della stessa Banca
d’Italia. Il capo della Vigilanza di via Nazionale, Carmelo Barbagallo,
nel corso di un’audizione alla Camera, ora avverte: la mancanza di una
data di riferimento per la ‘way-out’ aumenta la possibilità per le
banche di andarsene per conto loro.
Lo scenario che potrebbe
prospettarsi e che non piace a Bankitalia è quello che vedrebbe la
creazione di mini gruppi di Spa legati a interessi locali mentre il
recinto della holding unica di fatto si troverebbe a raggruppare le
banche più povere e fragili. Un risultato che è il contrario di quello
che la Banca d’Italia aveva auspicato fin dall’inizio, sollecitando un
intervento del Governo in tutt’altra direzione. A metà dicembre,
intervenendo a ‘In mezz’ora’, il direttore generale Salvatore Rossi
aveva tracciato la road map comune tra la Banca d’Italia e il Governo:
“Le banche di credito cooperativo sono molte, molto piccole e iniziano
ad avere serie difficoltà a resistere in un sistema che si sta
globalizzando, difficoltà ad accedere al mercato dei capitali". La
soluzione era il modello francese “per riunirsi in un contenitore”. Un
concetto ribadito il 20 gennaio, dieci giorni prima del via libera al
decreto, dal governatore Ignazio Visco, che al Forex di Torino aveva
sollecitato un’iniziativa dell’esecutivo per una “significativa
integrazione” delle Bcc che si era fatta “più pressante”.
Sollecitazioni e auspici, quelli di via Nazionale, che ora sono sfumati.
Il tema preoccupa molto palazzo Koch anche perché la creazione di mini
gruppi di Spa riproporrebbe quegli stessi problemi che invece si voleva
superare con la riforma: rimanendo controllati da una coop, infatti, i
“condizionamenti e i gruppi di interesse locali o di singole
personalità” resterebbero in piedi. E ancora: una dimensione ridotta di
alcune Bcc creerebbe problemi alle stesse qualora fosse necessario una
ricapitalizzazione rapida.
Il filo rosso che legava la Banca
d’Italia al Governo si è spezzato. La premessa, quella della necessità
di aggregazione e di fusione nel sistema bancario, era la stessa. Di
fronte allo tsunami in Borsa la risposta doveva essere quella della
compattezza per rendere gli istituti meno fragili ai movimenti sui
mercati e più protetti dagli attacchi speculativi. La Banca d’Italia è
rimasta sulle sue posizioni, il Governo, al contrario, ha di fatto
azzoppato l’intento iniziale. Se le regole per l’apertura del cancello
restano vaghe le pecore più intrepide possono scappare e nel recinto
restano quelle più deboli.
Nessun commento:
Posta un commento