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’NDRANGHETA, COLLUSIONI CON UOMINI DELLO STATO
Mag 26, 2016
Ieri l’udienza di Aemilia durata sei ore. La preziosa testimonianza del luogotenente Calì che ha indagato sulle cosche. Inquietante al Policlinico di Roma: si tentò di impedire l’installazione di “cimici” nella stanza del boss
REGGIO – Alla fine delle sue sei ore di testimonianza, il luogotenente Camillo Calì, già in forza al reparto operativo dei carabinieri di Fiorenzuola, ha aperto un inquietante squarcio sulle protezioni che la ‘ndrangheta ha avuto, parliamo dell’inchiesta Aemilia, tra professionisti e forze dell’ordine. Alcuni degli uomini di queste ultime sono o sono stati a processo a Bologna, ma non tutti sono stati individuati. Calì ha citato un episodio: nel 2012, uno degli imputati del processo Edilpiovra telefona a un sottufficiale dell’arma, all’epoca in servizio a Reggio, per dirgli che doveva stare attento a quello che avrebbe detto al processo, nel quale il carabiniere è stato chiamato a testimoniare.
Il sottufficiale non sapeva ancora di essere stato citato come testimone, l’imputato lo aveva anticipato. Ma sono state intercettate altre telefonate che provenivano da caserme di polizia o di carabinieri, e non sempre è stato possibile identificare chi era al telefono con l’intercettato.
Del resto, Calì ha spiegato che i carabinieri di Fiorenzuola andavano molto cauti nell’avvicinarsi a questi luoghi, e a luoghi istituzionali, dopo l’esperienza sconcertante avuta, nel maggio del 2011, al Policlinico di Roma.
Qui, come si ricorderà dalle puntate precedenti, era stato ricoverato il boss Nicolino Grande Aracri, e qui era andato a trovarlo Romolo Villirillo, all’epoca uno sconosciuto che si era messo a frequentare i calabresi di Fiorenzuola. Da questo i militari avevano capito la sua importanza, e si erano messi a seguirlo. Una buona occasione investigativa: bastava mettere microspie e microtelecamere nella stanza del boss e in quella per amici e familiari.
I carabinieri di Fiorenzuola vanno a Roma, prendono contatti con alcuni colleghi (a lungo i carabinieri di Fiorenzuola agiranno da soli, per uno scrupolo investigativo che li obbligava a diffidare degli altri) e scoprono che ci sono difficoltà tecniche nel collocare le microspie nelle stanze già prenotate per Grande Aracri.
Parlano del problema con il direttore sanitario, che fa spostare la stanza e rinvia di un giorno l’intervento al quale il boss deve essere sottoposto. Ma un medico, saputo degli spostamenti, va dal direttore sanitario a chiedere spiegazioni e gli fa presente che dovrà vedersela con l’avvocato di Nicolino Grande Aracri.
Il medico, che risulterà poi in contatto con personaggi legati alle cosche, aveva subodorato le vere ragioni dello spostamento. E le intercettazioni successive mostrano che l’allarme è stato diffuso nell’ambiente interessato: «I carabinieri hanno messo la televisione», si sente dire.
Visto questo precedente, militari di Fiorenzuola decidono di star lontani da certi posti, per non bruciare le indagini.
Il luogotenente Calì è sembrato ieri un brillante studente sotto lungo esame, sempre preparatissimo su di un argomento che, per quanto riguarda i fatti che si stanno discutendo nell’aula bunker di Reggio, sono prevalentemente di mafia economica ed imprenditoriale. Ma questo particolare tipo “colletti bianchi” dispone, si apprende da un’intercettazione, anche di bombe a mano, di fucili calibro 24, minaccia i debitori di mandarli all’ospedale o, succede nel 2009 a Castelvetro, incendia la loro villa con 40 litri di benzina: l’esecutore è in albanese, pagato con 100 euro. Calì parlerà anche domani, prossima udienza.
Otello Incerti
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