La dottrina militare di Obama: i mercenari sostituiscono l'esercito
di
Andrea Spinelli Barrile
@spinellibarrile a.spinelli@ibtimes.com
06.06.2016
Operatore di sicurezza privato ascolta la radio durante il
turno di guardia a Camp Nathan Smith nei pressi di Kandahar in
Afghanistan. 7 maggio 2010.
REUTERS/NIKOLA SOLIC
L'eredità che il Comandante in capo Barack Obama lascerà al
suo successore è una linea di demarcazione molto netta tra il passato e
il futuro, in termini di assetto militare: la vera “dottrina Obama”, un termine coniato dalla rivista The Atlantic nel marzo scorso, riguarda un radicale cambio di rotta nella politica estera americana, un cambio che trasgredisce l'imperativo morale dell'egemonia americana sul mondo.
Fedele alla sua linea, chissà se dettata dal prematuro Premio Nobel
per la Pace riconosciuto al neo-Presidente americano appena eletto nel
lontano 2008, Obama ha progressivamente ritirato le truppe americane dall'Afghanistan e dall'Iraq
– salvo fare una lieve marcia indietro in tempi più recenti – e
inquadrato la politica militare in una forma più attendista e dialogante
in campo internazionale. Pensiamo ad esempio alla gestione delle crisi
in Medio Oriente, alle primavere arabe e ai tentennamenti
sull'intervento armato in Siria. Quindi è vero: Obama ha diminuito enormemente la presenza militare americana all'estero. C'è tuttavia un aspetto molto importante della “dottrina Obama”,
molto meno analizzato e praticamente assente nelle cronache
internazionali, che tuttavia non è sfuggito a qualche esperto analista
militare: riguarda l'uso senza precedenti di contractor fatto dall'amministrazione Obama, in italiano si parla di “mercenari”, per sostenere e guidare le missioni americane e straniere all'estero.
Se da un lato Obama ha ritirato le truppe a stelle e strisce
dall'altro ha assunto decine di migliaia di contractor per rimpiazzarli.
Attualmente in Afghanistan ci sono tre mercenari ogni soldato americano (28.626 unità mercenarie contro 9.800 soldati), una proporzione senza precedenti nella storia degli Stati Uniti, e in
Iraq i professionisti che supportano le operazioni del Pentagono e
della Difesa americana sono 7.773 a fronte di poco più di 4.000 soldati
regolari. Numeri che non comprendono i fornitori di servizi di
intelligence alla CIA o di altri servizi simili: l'ammiraglio Michael
Rogers, scriveva Foreign Policy
nel marzo scorso, durante una recente audizione al Senato degli Stati
Uniti ha affermato che i fornitori esterni di servizi di cyber sicurezza
rappresentano il 25 per cento della forza lavoro di tutto il Cyber
Command americano.
Il Washington Post, in un recente articolo nel quale cita un rapporto dell'Armed Services Committee della Camera dei Rappresentanti americana, si legge che in
Afghanistan la pesante dipendenza americana dalle società di sicurezza
professioniste sta erodendo sempre più le competenze delle unità delle
forze armate schierate nel Paese. Un esempio piuttosto
evidente, si legge nel documento, è nell'uso di professionisti civili
per la manutenzione dei mezzi dell'aviazione, scelta che ha azzerato le
competenze dei soldati e degli avieri dell'esercito. Un altro aspetto si
evidenzia nelle azioni sul campo: l'uso sempre più frequente di
contractor non sta solo erodendo le competenze militari e strategiche
più “spicciole” ma anche riportando indietro di anni i livelli di
conoscenza del territorio e della società afghana da parte dell'esercito
degli Stati Uniti. E gli effetti sono già visibili: da due anni i Taliban sembrano aver ritrovato nuove forze e nuove motivazioni al jihad contro “il diavolo americano”.
Tra il 1 gennaio 2009 e il 31 marzo 2016 1.540 contractor
sono morti in missione (176 in Iraq e 1.364 in Afghanistan) mentre nello
stesso periodo i soldati americani morti sul campo sono stati 1.301
(289 in Iraq e 1.012 in Afghanistan). Solo lo scorso anno i
contractor deceduti nei due paesi sono stati 58 mentre 27 sono stati i
membri delle forze armate rientrati in America avvolti nella bandiera:
meno della metà. In realtà, spiega il New York Times,
è molto difficile stabilire di quante aziende e di quanti uomini si
avvalgano gli Stati Uniti per sostituire le proprie forze armate: sono
le stesse aziende di mercenari a rilasciare dati con il contagocce, o
spesso a non rilasciarne affatto, mentre il Comando Centrale degli Stati
Uniti (CENTCOM) ha cominciato a diffondere qualche dato solo nel 2007.
Nel febbraio scorso il senatore repubblicano John McCain, avversario di
Obama nel 2008, Presidente della Commissione sulle Forze Armate del
Senato ha chiesto in forma ufficiale all'esercito di rendere noto il
numero esatto di contractor impiegati dal Dipartimento della Difesa ma
la risposta tarda ad arrivare.
Un altro elemento discutibile della dottrina Obama riguarda le
informazioni sul ruolo, la portata e le dimensioni dell'uso di
contractor quando si annuncia una campagna militare, informazioni che
non vengono mai fornite, nemmeno quando i cronisti si ricordano
di chiederlo. Anche il Congresso fino ad oggi ha agevolato l'allungarsi
delle ombre di mistero sui rapporti tra i contractor e le forze armate:
la supervisione delle loro attività fino ad oggi si è dimostrata molto
limitata, tranne in qualche caso in cui un operatore di sicurezza non
americano ha ucciso accidentalmente un membro delle forze armate USA o
per qualche caso di furto, frode e abuso di risorse dei contribuenti
americani.
L'eredità della dottrina Obama in materia militare è forse il lascito
più importante del primo presidente afroamericano della più grande
democrazia occidentale: eppure fino ad oggi nessuno ha posto
domande ai candidati alla Casa Bianca in merito alla loro opinione
sull'impiego di aziende private in scenari di guerra e questo è piuttosto emblematico di come il tema sia tenuto in scarsissima considerazione.
Secondo un operatore di sicurezza che ha chiesto a IBTimes Italia di restare anonimo “nei
prossimi 40 anni gli Stati Uniti potrebbero sostituire tutte le forze
armate impiegate all'estero appaltando la guerra a società private. O
almeno, questo è lo scenario che vedo io dall'interno”. Una contraddizione non indifferente per chi ancora oggi pretende di “esportare” valori democratici in tutto il mondo a colpi di bombardamenti.
Insomma, gli Stati Uniti sembrano andare in una direzione decisamente
opposta a quella di molti altri, a cominciare dall'Italia, che forse
esagera in maniera opposta. Il fu ministro della Difesa Ignazio La Russa
decise di inviare i militari italiani (come i fucilieri di Marina
Latorre e Girone) sui mercantili privati italiani che attraversano il
golfo di Aden con funzioni di antipirateria: soldati pagati dai
contribuenti mandati a tutelare gli interessi, seppur legittimi, di
imprenditori privati che non si sono fatti scrupoli a lasciarli al loro
destino una volta successo il pasticcio dell'Enrica Lexie. Nello stesso
ambito rientra anche la decisione del governo Renzi di inviare militari italiani a Mosul,
nel nord dell'Iraq, per proteggere l'appalto miliardario per il
restauro della diga aggiudicatosi dalla società italiana Trevi.
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