Aeroporto di
Napoli-Capodichino - Sono le 16.00 del pomeriggio quando, dopo sette ore
di ritardi dovuti a operazioni in corso sulla USS Dwight D. Eisenhower
cui siamo destinati, riusciamo a decollare. Un primo rullaggio verso la
pista non ci ha visti prendere il volo e tornare all'aerostazione della
base dell'U.S. Navy alle 13.00.
Il COD (Carrier Onboard Delivery, velivolo
per il trasporto di personale e/o materiali), ha ora nella pancia buia
in viaggio verso la portaerei statunitense un ristretto gruppo di
giornalisti, fotografi e cameramen (le figure si sovrappongono spesso).
Facciamo una piccola parentesi di medicina
aeronautica. Quello che causa mal d'aria (ma anche il mal d'auto) è
l'incoerenza tra ciò che percepiamo con i nostri tre principali centri
sensoriali: gli occhi, gli organi di equilibrio nell'orecchio interno ed
il fondoschiena. Immaginate ora di stare cinturati a quattro punti in
una carlinga buia e... coi sedili invertiti!
Significa che gli occhi trasmetteranno un'immagine
fissa ad un cervello che percepisce movimenti dagli altri centri
dell'equilibrio in maniera anomala perché solitamente il senso di marcia
è in avanti. Se poi ci si gira per sbirciare attraverso l'unico
minuscolo finestrino laterale il gioco è fatto: dopo 20 minuti i volti
sono coperti da sudore freddo e, di lì a breve, le bibite offerte in
aeroporto dai padroni di casa poco prima del decollo finiscono nei
sacchetti che sono stati consegnati meticolosamente a tutti prima della
partenza. Il peggior viaggio aereo che si possa sperimentare!
Gli addetti alla “stiva di carico” si muovono nel frattempo agevolmente e senza il minimo disagio per l'intero volo.
L'atterraggio
che ci è stato descritto come una “decelerazione tremenda” (in effetti
si passa da 150 km/h a 0 in un secondo) è assai meno impegnativo del
previsto. Il caschetto ed il sedile invertito fanno egregiamente il loro
lavoro. Dopo due ore di agonia in aria, anche la morte sarebbe stata
ben accolta pur di far terminare il supplizio.
Siamo sulla “IKE”. Il portellone del COD si apre.
Squadre con casacche dai colori accesi si destreggiano attorno ai
velivoli. Un F/A-18 sfila dietro al portellone mentre attendiamo luce
verde per lasciare il velivolo.
Appena mettiamo piede sul ponte di volo ci rendiamo
subito conto che quella non è una visita ad una semplice nave che
transita nel Tirreno tra la Sardegna e la penisola, è il vascello di un
Paese abituato a sfruttare appieno i propri assetti bellici. In pace
come in guerra.
Nel giro di un'ora veniamo accolti dalla formidabile
squadra “Media”, ci vengono consegnati i bagagli che avevamo lasciato
sul COD, ci viene assegnato un alloggio con relativa chiave magnetica e
veniamo rifocillati in una delle numerose mense che sfamano
quotidianamente le quasi seimila (!) persone tra equipaggio della nave e
componente di volo (approx 3500+2500).
La cinematografia americana ci ha abituato a
considerarli come un popolo di individualisti. In realtà quel che
caratterizza gli uomini che abbiamo di fronte è la sincera capacità di
lavorare in squadra. I team della nave lavorano con una straordinaria
armonia in un gigante che non lascia intravedere mai un intoppo. Come
confida Chiara, la nostra accompagnatrice che lavora da poco al
Consolato USA a Napoli, lavorare con loro è estremamente motivante: ottima organizzazione e sempre un piano B, C e D per qualsiasi evenienza.
Per i corridoi, non ci si imbatte mai in un ingorgo
di persone. Si percorrono chilometri con l'unico accorgimento di restare
su di un lato quando ci si ferma per lasciare libero il transito.
Quando torniamo sul ponte sono ancora in corso decolli di F/A-18.
Una dopo l'altra le catapulte a vapore fanno
decollare cacciabombardieri. Nuvole bianche di condensa percorrono il
ponte ad ogni lancio. Ad un cenno della nostra guida dobbiamo
inginocchiarci per resistere al getto d'aria dei jet che decollano. Gli
unici apparecchi ammessi sono macchine fotografiche e videocamere dotate
di lacci sicuri e saldi, niente cellulari per le riprese: un “oggetto
volante” su un ponte di volo in piena attività come quello potrebbe
creare un disastro. Pensiamo ad un telefonino risucchiato dalla presa
d'aria della turbina di uno di quei bestioni.
Già quei “bestioni”... È qui che realizzo
l'ineguatezza del termine “portaerei” per descrivere genericamente il
tipo di unità su cui mi trovo. Ne esistono al mondo di tre principali
categorie: quelle CATOBAR (con catapulta per il lancio e cavi d'arresto
per l'atterraggio degli aerei), le STOBAR (dotate di trampolino per il
decollo e cavi d'arresto) ed infine le STOVL (dotate di trampolino ma
con atterraggio verticale dei velivoli).
La differenza abissale non è tanto nella conseguente
stazza della nave quanto nei velivoli imbarcati, la vera “potenza di
fuoco”. Gli F/A-18 che sono sulla Eisenhower sono cacciabombardieri che
possono decollare a pieno carico di combustibile e sopratutto di armi.
Quello del peso del combustibile è comunque un valore facilmente
gestibile in quanto durante una missione si effettuano anche tre o
quattro rifornimenti in volo.
I velivoli presenti su portaerei STOVL, come i nostri
cari vecchi AV-8B Harrier II+, sono invece velivoli multiruolo con
grosse limitazioni in termini di autonomia e carico bellico. La
tecnologia potrà anche migliorare le prestazioni con i prossimi F-35 B
ma saranno pur sempre aerei tremendamente differenti dalla versione
imbacata (F-35 C).
Forse sarebbe più corretto definire le CATOBAR “basi mobili”. Assieme al potenziale distruttivo dell'ammiraglia, un Carrier strike group come quello dell'USS Dwight D. Eisenhower, somma quello di incrociatori lanciamissili (USS San Jacinto, USS Monterey), cacciatorpediniere (USS Roosevelt, USS Mason, USS Nitze, USS Stout)
e di uno o due sottomarini (ma non si dice mai). I sottomarini sono
ovviamente “nucleari”: per star dietro a navi che viaggiano a 30 nodi
(55 km/h) serve un certo “esubero di spinta”. Alle anzidette va aggiunta
la nave rifornitrice USNS Arctic.
Scendiamo in coperta.
In una delle sale dedicate al briefing/debriefing dei
piloti una cordiale e preparatissima liutenant Bates ci descrive i
velivoli imbarcati sulla “IKE” partendo dalla storia dei cosiddetti
“Gypsies” (Zingari), la sua squadriglia dei “Fighting Swordsmen” (AC
sulla coda) che ha preso praticamente parte a tutti i conflitti a
partire dalla seconda guerra mondiale. Gli altri tre squadroni del Carrier Air Wing three sono quelli dei “Gunslingers”, dei “Sidewinders” e dei “Wildcats”.
Gli F/A-18 F Super Hornet sono la versione più
evoluta ed equipaggiata della macchina prodotta da Boeing e le domande
sulle dotazioni che vengono poste dal più preparato e pignolo tra noi
giornalisti ricevono solo risposte positive.
Sembra un episodio dell'infanzia quando si
scambiavano le figurine: “ce l'ho, ce l'ho, ce l'ho...”, non si sente
solo il “manca”.
Quanto l'F/A-18 sia una macchina straordinaria,
matura ed ancora moderna (è un velivolo di gen. 4,5 che potrebbe venir
scelto dal nuovo governo canadese al posto degli F-35A) ci viene
confermato dalla soddisfazione dei piloti per il prolungamento del
mantenimento in servizio richiesto dalla U.S. Navy.
Soddisfazione per l'arrivo dell'F-35? Certo. Ma non
vogliamo mettere in difficoltà con domande “politicamente scorrette”: è
evidente che il bireattore oggi imbarcato non potrà mai essere
sostituito dal monomotore stealth di Lockheed Martin. L'F/A-18 cederà
quasi certamente il testimone ad un F/A-XX fra vent'anni.
Lasciamo l'aula per una nuova maestosa destinazione.
L'enorme hangar in cui ci addentriamo fa comprendere
perché la componente aerea è composta da oltre 2000 uomini. Se pensiamo
che per ogni ora di volo di un F/A-18 ne servono circa sedici di
manutenzione, comprendere il perché dell'organico è facile.
Attorno ai velivoli squadre di tecnici si alternano
per preparare alla prossima missione i caccia ma anche gli aerei da
trasporto, da sorveglianza e gli elicotteri.
Sulla Eisenhower sono presenti 78 velivoli ad ala fissa o rotante così suddivisi:
4 squadriglie di F/A-18 (SuperHornet ed Hornet)
1 squadriglia di E/A-18 (versione per la guerra elettronica)
1 squadriglia di E-2C (AWACS)
1 squadriglia di MH-60R Seahawk (elicottero multiruolo con capacità ASW/ASuW)
1 squadriglia di MH-60S Seahawk (elicottero multiruolo)
1 squadriglia di C-2A (aereo da trasporto, il nostro COD!)
Dopo aver assistito dall'alto dell'“isola” ad una serie di atterraggi notturni possiamo ritirarci negli alloggi.
L'imbarazzo,
con relativo avvertimento al mio compagno di stanza, per l'essere un
russatore bestiale ha breve durata: i decolli e gli atterraggi si
protraggono per tutta la notte ininterrotti. Sembra di dormire sotto al
ponte di lancio e le vibrazioni prodotte, dalla catapulta prima e dai
cavi d'arresto poi, si avvertono con decisione. A tratti è difficile
perfino parlarsi nell'alloggio.
Il giorno seguente ci svegliamo fortunosamente
mezz'ora prima dell'orario dell'appuntamento: nessuno dei due occupanti,
tra sonno accumulato e rumore di fondo, ha sentito le due sveglie
puntate un'ora prima... Abbiamo la disponibilità di un bagno con doccia
comune sul ponte ad una cinquantina di metri dall'alloggio. Girare da
XXL con un accappatoio taglia M (ma c'è sempre lo scarto di almeno una
misura rispetto ai nostri standard) lungo corridoi “notturni”
attraversando alcuni portelloni di una portaerei nucleare in ciabatte da
doccia (!) è un ricordo che porterò con me a lungo. Fortunatamente non
incrocio nessuno nel tragitto.
Su navi i capi responsabili della ristorazione sono
rispettati quanto e forse più di un ammiraglio. E con missioni lunghe
sette mesi è facile comprenderne il motivo! La colazione è eccellente.
Raggiungiamo il ponte di volo in cui, dopo i lavori di manutenzione notturna, vengono schierati i velivoli.
Sullo sfondo il Vesuvio e la baia di Napoli in cui
entriamo tra gli sguardi ammirati delle imbarcazioni che ci scorrono
accanto, navi da crociera comprese. La protezione è garantita dal volo
costante attorno alla IKE di un Seahawk, oltre che naturalmente dalle
imbarcazioni della Polizia di Stato e della Guardia Costiera.
È proprio alla presenza di altri giganti del mare che
si apprezza l'immensità di una classe Nimitz: oltre 330 metri per 41 di
altezza.
Ora che le attività in acque territoriali italiane si
sono placate abbiamo la possibilità di goderci quella splendida pista
d'atterraggio. Da lì a breve veniamo raggiunti da alcuni comandanti del
Gruppo Navale.
Il primo ufficiale superiore che incontriamo è il
comandante del Destroyer Squadron 26 (le unità di supporto e protezione
della USS Eisenhower), capt. Scott Switzer.
Nel 2008 un sottomarino italiano inquadrò durante
un'esercitazione la portaerei gemella della IKE, la USS Theodore
Roosevelt. Per sette anni l'imbarazzante episodio rimase un segreto tra
alleati.
Nel 2015, quando ci riuscirono i francesi, durante la COMPTUEX 2015, lo sbandierarono immediatamente con un “è stato il primo sottomarino ad aver affondato una super-portaerei americana a propulsione nucleare” (salvo poi cancellare il comunicato dal sito del Ministero della Difesa d'oltralpe).
La protezione di una portaerei è un lavoro sempre più duro?
Il comandante Switzer risponde: “Sicuramente il
nostro compito non è semplice. Al momento tuttavia schieriamo alcune tra
le migliori navi, dotate dei migliori aquipaggiamenti e con i migliori
equipaggi al mondo. L'addestramento del personale di bordo è stato
portato ai massimi livelli. Sono certo che possiamo svogere il nostro
compito senza problemi.”
Incontriamo quindi il comandante del Carrier Air Wing 3, capt. Jeffrey Anderson.
La presenza di due portaerei nel Mediterraneo (l'altra è la USS Harry S. Truman),
conferma, è un evento insolito anche se l'attività della portaerei su
cui siamo fa parte di un avvicendamento normale programmato da tempo.
Il teatro interessato (ufficialmente) dalla USS
Eisenhower dovrebbe essere quello siro-iracheno, quello occupato
dall'ISIS: uno schieramento che negli ultimi cinque mesi ha ricevuto
efficaci dotazioni antiaeree che hanno portato all'abbattimento di
diversi aerei ed elicotteri, sopratutto in territorio siriano.
Chiediamo quindi se non tema che qualche “stupido” dimentichi di non far fuoco su di loro.
L'espressione del comandante Anderson da simpatica e scherzosa si fa estremamente seria.
“Prendiamo tutte le possibili precauzioni
affinché i nostri aerei e gli equipaggi operino in maniera sicura. Non
voglio affermare di non essere preoccupato per la minaccia. Quel che
posso dire di sicuro è che facciamo tutto il possibile perché i nostri
equipaggi, addestrati costantemente ad affrontare ogni evenienza,
tornino illesi.”
Dulcis in fundo incontriamo il comandante dell'Eisenhower Carrier Strike Group, contrammiraglio Jesse Wilson.
Racconta dell'importanza del programma “Great Green Fleet” - “un'iniziativa
avanzata dal segretario alla Marina USA nel 2009 per rendere meno
dipendente dai combustibili fossili la forza armata. La Marina Militare
italiana ha condiviso questo obiettivo. L'accordo rappresenta una pietra
miliare in una strada che sarà seguita da molte altre nazioni.”
Sorridente e deciso sembra un personaggio da film.
Con voce profonda e sicura rappresenta ottimamente quell'incredibile
arma in attesa (?) del prossimo bersaglio. Lo
fa sopratutto quando chiedo se “la portaerei” - oggi il più formidabile
strumento bellico sullo scenario - possa nell'arco di poche decadi
divenire quello che sono state le corazzate all'inizio della seconda
guerra mondiale.
“Dice bene quando sottolinea l'incredibile capacità
militare di una portaerei. Con i suoi velivoli e le navi che la
circondano può arrivare praticamente ovunque sul pianeta. Questa
capacità rappresenta la pace sovrana degli Stati Uniti. Andiamo ovunque ed operiamo, senza il permesso di alcuno. Questo rimarrà immutato per molti anni a venire. L'iniziativa dedicata all'uso di combustibile verde non farà altro che migliorare l'autonomia delle nostre navi.”
Chiediamo se non sia preoccupato dei forti investimenti cinesi in missili (ipersonici) cosiddetti Carrier Killers.
“Non abbiamo paura di nulla. È una questione di
organizzazione: questo Strike Group è addestrato ad affrontare, in
termini offensivi e difensivi, ogni tipo di minaccia. Siamo pronti!”
Da eccellente comunicatore ci saluta sorridendo con un “Grazi!”.
Dopo l'ultimo pasto a bordo della nave invidiamo un
po' quelli che restano a bordo, anche se i “sette mesi!” sono espressi
dall'equipaggio con un po' di malinconia per le famiglie o gli amici
lasciati a casa.
Prima
di lasciare la nave alcuni colleghi reclamano l'acquisto di alcune
patch dei reparti di volo imbarcati. C'è chi le colleziona e chi inizia
in questo momento. Per l'operazione finiamo in una sala briefing piloti.
Mentre alcuni si avventano su uno scatolone pieno di stemmi sgargianti,
io non posso fare a meno di notare una cartina appesa ad una lavagna. È
parzialmente coperta da una mappa dell'Italia ma è evidente – tra
Egitto e Tunisia – cosa celi la nostra penisola.
Chiedo di potermi fare una foto “con
la cartina italiana”. Il PAO, forse distratto, forse per una messa in
scena predisposta per essere colta dai giornalisti..., mi lascia fare.
Nonostante si sia sempre parlato di missione contro l'ISIS nel teatro mediorientale (ma pronti a qualsiasi richiesta alternativa di intervento), l'obiettivo celato dallo stivale “appare” essere chiaramente la Libia.
Avviandoci verso il pontile per lo sbarco assistiamo
all'ennesima dimostrazione di efficienza: nella parte terminale
dell'hangar vengono allestite sette file con delle transenne. Al termine
siedono addetti alla registrazione, ognuno dotato di portatile, che
permetteranno a migliaia di uomini e donne, smarcandosi, di visitare
Napoli.
I marinai
sono spesso ragazzi alla prima esperienza all'estero. Con la Marina
statunitense di certo in pochi anni il mondo lo gireranno tutto.
Saliti (dopo lunghi tentativi di attracco) sul
battello che ci accompagna in porto abbiamo la riprova della verginità
turistica di quei ragazzi...
“Ma guardate quest'acqua. - esclama uno vicino al parapetto - È... gialla!”
Altri due marinai si avvicinano ed al passaggio di alcune buste di plastica esclamano sconcertati - “Oddio guarda lì!”
Osservo la scena con distacco. All'orizzonte la USS Dwight D. Eisenhower si allontana.
(foto: Difesa Online / Fabrizio Villa)
http://www.difesaonline.it/evidenza/approfondimenti/difesa-online-vi-porta-bordo-della-portaerei-uss-dwight-d-eisenhower
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