Cappello: Torna “su questi schermi”
dopo una lunga assenza Il Poliscriba. Ce ne rallegriamo e lo ringraziamo
di cuore per essersi rifatto vivo. Il suo articolo non poteva
riguardare che la Brexit e i suoi effetti in Europa. Buona e intensa
lettura …
Eugenio Orso
Il
capitalismo del XXI° secolo tende ad una accentuata logica esclusiva ad
escludendum, con l’effetto di marginalizzare sempre più vasti strati del
tessuto sociale, che vengono progressivamente esclusi dai nuovi
equilibri socio-economici.(…) L’emarginazione conduce all’isolamento sia
individuale che collettivo di masse umane che non si riconoscono nelle
istituzioni, in quanto prive di un ruolo attivo nella società sia nel
campo economico che in quello politico.
Cit. da Dialoghi sull’Europa e sul Nuovo Ordine Mondiale di Costanzo Preve e Luigi Tedeschi
La Brexit ha affondato il Titanic UE, un
iceberg le cui proporzioni nascoste, quelle al di sotto dei flutti del
populismo di Farage, che suscita i malumori nelle highlands profonde e
sprofondate in un indicibile revanscismo post-kulako, per certi versi
incontestabile, verranno fuori nei prossimi 2/7 anni.
Tale è il periodo della transizione, il
tempo concesso all’establishment inglese per tirarsi fuori dalle secche
burocratiche dell’unione europeista a impianto franco-tedesco, con
codazzo renziano, anch’esso ormai in fase di smantellamento dopo le
sconfitte elettoral-comunali di Roma e Torino.
Transizione lenta o veloce, si vedrà, per
dimostrare che le vecchie generazioni non hanno sottratto a quelle
nuove il diritto a una vita simile alla loro, fondata su un lavoro
continuo e ben retribuito, consumo, famiglia e pensione, secondo le
regole di solidarietà che il vecchio continente aveva imposto come
modello opposto al neoliberismo sfrenato di stampo yankee.
Ci sarà un effetto domino?
Ceeeerrrto che ci sarà!
Il problema che si pone oggi dalle parti
di Juncker, non è perseguire o meno la minaccia – “ Chi è fuori, è
fuori”- , ma rinunciare alle politiche in salsa iper-burocratica con
contorno di sodalizi bancari irrinunciabili, che hanno danneggiato la
ripresa economica, tenendo al guinzaglio le amministrazioni statali
attraverso la moneta unica, il taglio alle spese sociali, i mancati
reinvestimenti dei vari quantitative easing elargiti alle banche e alle
loro fondazioni e la riduzione costi quel costi dei debiti pubblici
(peraltro mai avvenuta).
Salvo poi regalare ai mercati
internazionali – al netto di obbligazioni spazzatura, che traduciamo in
cambiali, ormai a rendita negativa per gli aderenti al patto unionista –
tassi positivi a doppia cifra per chi dall’esterno vuole impadronirsi
delle fragili economie periferiche europee, i famosi/famigerati PIIGS.
L’amletico dilemma del Leave or Remain,
dopo anni di marcio berlinese, è stato sì spazzato via da una esigua
maggioranza degli OUT, ma ha pericolosamente inclinato il mattoncino che
segna l’inizio della caduta-domino del IV° Reich economico-finanziario
che ha annientato buona parte della classe media europea.
Dissoluzione socio-economica favorita da
spinte irrazionali di buonismo, inclusione immigratoria e regalie
“interessate” di miliardi agli stati debitori periferici – leggi Grecia –
senza nessuna riflessione seria in merito alla compromissione
dell’impianto democratico che, sotto i colpi dei nascenti
neo-nazionalismi, rischia di franare rovinosamente sulle schiaccianti
discrepanze reddituali che nessuno vuole chiamare differenze di classe.
Pensavo che Cameron fosse una persona
seria e Renzi un millantatore, come è facile dimostrare che le mele
cadono dagli alberi per effetto della gravità.
Purtroppo il primo, non rispettando
l’esito del referendum, sembra non voglia dimettersi, lasciandosi
irretire dalle sirene della petizione contro i Leave, volendo
capricciosamente non accettare la sconfitta referendaria, stralciando la
promessa di collaborazione costruttiva con gli antieuropeisti,
accettando il piagnisteo dei neofinanzieri della City che minacciano un
esodo di massa per un dove ancora da decidere (forse Basilea?) e la
protesta delle generazioni giovani.
In realtà, protesta di giovani londinesi
di cui un buon 45% è rappresentato da figli di immigrati di prima e
seconda generazione provenienti dalle ex colonie del Commonwealth, gli
stessi che hanno votato l’islamico neo sindaco di Londra Sadiq Khan, che
potrebbe essere la testa di ponte della definitiva islamizzazione
europea, motivo per il quale è fondamentale rimanere agganciati
all’Unione.
Per quanto riguarda il secondo, oltre ad
aver affittato a spese degli italiani pagine sul Guardian per
manifestare la sua volontà anti-brexit (e chi gliel’ha chiesto?) insiste
con proclami mazziniani del genere “ w l’Italia! w l’Europa!“,
sottoponendo a dura prova le cellule grigie di chi, diversamente dai
piddioti elettori del PD che ci rimettono milioni di euro di tasca
propria alle primarie, fingendo che il loro leader sia stato eletto da
qualcuno, ha compreso da un pezzo che la direzione del fiorentino
affabulatore, sintetizzabile con il suo slogan quasi junckeriano:
“Andremo avanti a colpi di maggioranza!”, non può funzionare.
Che sia il suo ex-amico Serra o il suo
nemico all’antimonio baffino stalinino dalemino, lo smacchiatore, la
legalista Bindi o il delator-traditor Verdini a farlo cadere rapidamente
dalla Torre di Pisa, corroborando altresì la bontà della relatività
ristretta galileiana, non importa.
Per quanto ci è dato sapere e capire,
anche l’Italia si ritrova nella stessa condizione diacronica e
distopica, di una nazione in controtendenza al diktat Merkel-Hollande.
Pare evidente che l’implosione dell’Unione Europoide stia avvenendo, come fu per altri imperi, dalle periferie verso il centro.
La risposta centripeta di un
accentramento tedesco – trainata quasi esclusivamente dall’export e da
conflitti anti-Putin, inutili e dannosi, forieri di altre defezioni
dall’Unione a est – diretta verso le medesime periferie in crisi con il
Trattato di Lisbona, contro quella centrifuga disgregazione dell’area
ovest e sud dell’Europa – quest’ultimo confine equivalente alle spinte
barbariche di romana memoria – non è sufficiente nel lungo periodo.
La guerra valutaria che inizierà tra
dollaro-sterlina ed euro spezzerà numerosi contratti tra stati e
impatterà significativamente contro il prossimo Trattato TTIP tra USA e
Ue (forse il motivo ombra che ha soffiato contro la City che non era
assolutamente d’accordo per l’uscita dall’UE).
Al di fuori dei principi newtoniani di
caduti dei gravi, è ovvio considerare la Brexit come un principio di
difesa, l’innalzamento di un muro virtuale non molto dissimile dai
concreti muri di prossima erezione (scusate la fallocrazia
isolazionista), sui confini che segnano i margini di pressione degli
esodi incontenibili d’Africa e Medio Oriente. Ma l’uscita del Regno
Disunito – Scozia, Irlanda del Nord, Londra dei becchini banchieri e dei
pro-sharia, docet – è un attacco all’Europa ottusa, che non sembra aver
appreso nessuna lezione dalla storia.
Il nazismo storico di cui ancora si
sparla a sproposito nei consessi unionisti per scongiurare le varie EXIT
da questa Europa a 27, è stato il risultato di politiche economiche
sbagliate, della crisi capitalistica del ’29, non uno scontro tra
identità nazionali.
L’anacronistico e ridicolo sventolare lo
spauracchio di future guerre fratricide a causa dell’effetto a cascata
della Brexit o Frexit o Grexit che sia, non fa leva sull’addome dei
popoli europei, ma sulla loro irritazione nei confronti di un sistema
unificante che riduce ad un mare magnum insignificante: differenze
culturali e lingustiche, identità nazionali, sistemi di produzione,
stili di consumo e di vita, in una ridda cartacea di lacci legislativi
atti a una redistribuzione di ricchezza dal basso verso l’alto in
maniera evidentemente accelerata e forzatamente unilaterale: dal
cittadino europeo ai burocrati, dai burocrati alla BCE con il
beneplacito dei mercati, del Fondo Monetario Internazionale e delle
strapagate agenzie di rating.
Cosa esprime di positivo questo Nuovo
Ordine Mondiale che esige un’Europa unita a forte connotazione
transnazionale in ossequio alla globalizzazione ultraliberista che
aspira a un bipolarismo popolo-élite, poveri-ricchi, analfabeti-colti e
che desidera abbassare lo standard di vita dei popoli europei
mischiandoli coercitivamente con milioni di immigrati?
Sicuramente è un’espressione contabile,
che dovrà ridimensionare la sua fredda algebra passando per le forche
caudine del disordine anarchico referendario.
Ascoltare i rammarichi degli unionisti è
come trovarsi in coda al feretro di un progetto europeo immaturo,
bagnato dai pianti di false prefiche, un disegno che nel federalismo e
in una lingua comune avrebbe potuto riuscire là dove la moneta unificata
ha fallito per ovvi motivi d’interesse germanico.
E, a meno di imposizioni totalitarie
anticostituzionali, o militari – guerre civili o separatiste – la Gran
Bretagna, in barba a tutti i sondaggi ha tracciato la via ad una congiura delle polveri
che potrebbe eufemisticamente far saltare il Parlamento Europeo il
quale non esprime più la volontà dei popoli, ma l’arroganza speculativa,
cieca e assassina dei mercati finanziari.
Sempre che la risicata vittoria dei leave non sia stata l’ennesima manovra occulta elitista.
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