9 giugno 2016, di Alberto Battaglia
Dopo la delusione delle elezioni amministrative Matteo Renzi deve fare i conti con un altro dato poco rassicurante: secondo un sondaggio di EuroMedia Research
gli italiani contrari alla riforma costituzionale renziana sono il
52,1%, escludendo gli indecisi, mentre i favorevoli sono il 47,9%. Il
referendum costituzionale di ottobre sarà un appuntamento decisivo per
la permanenza in carica del governo, ma l’impressione è che il blocco
antirenziano, che va dalla sinistra alla Lega Nord, passando per i 5
Stelle, stia polarizzando a suo favore tutte le antipatie verso il
premier. A pronunciarsi per il “sì” alla riforma, come prevedibile, sono
in maggioranza gli elettori del Partito democratico del Nuovo
centrodestra, le forze di governo; la barricata del “no”, invece, ha una
composizione assai più promiscua. E’ ancora presto per capire se la
scelta strategica del presidente del Consiglio, quella di trasformare il
voto sulla riforma in un plebiscito nei suoi confronti, garantirà la
risposta sperata.
La prospettiva di un impasse istituzionale in caso di vittoria del “no” preoccupa anche le agenzie di rating con Fitch
che ritiene il voto “fondamentale per determinare se la spinta alle
riforme continua o va in stallo”. E’ evidente che il fronte finanziario
tifa per una trasformazione istituzionale in un senso più risoluto
dell’iter legislativo. I contrappesi democratici necessari dopo la
caduta del fascismo rendono più vulnerabile il Paese, rallentandone le
decisioni. Come ricorda il Giornale, già nel 2013 Jp Morgan aveva
scritto in un documento interno che le costituzioni dei Paesi
mediterranei andrebbero modificate in quanto presentano “esecutivi
deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei
confronti delle Regioni; tutele costituzionali dei diritti dei
lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul
clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche
sgradite dello status quo”.
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