14 giugno 2016
Il
tribunale di Caltagirone ha stabilito che l'opera, parte di un sistema
di comunicazione militare statunitense su cui in passato le chiese
locali avevano espresso dubbi, non può essere costruita nel parco
naturale dove si trova il cantiere
Il
mese di giugno potrebbe aver messo la parola "fine" sulla storia del
Muos di Niscemi, una tra le più importanti e ambiziose opere militari
statunitensi in territorio italiano. Secondo il tribunale di
Caltagirone, i lavori del Muos non possono continuare perché vige il
divieto di costruire. Secondo la giudice Cristina Lo Bue l'area,
considerata parco naturale, è sottoposta a un vincolo ambientale che ne
determina l'«inedificabilità assoluta». Tutto fermo, dunque. Ma per
quanto? Secondo il giornalista siciliano Antonio Mazzeo, che segue le alterne fortune dell'opera e del territorio sin dall'inizio, non è detto che la vicenda finisca qui.
Muos è l’acronimo di Mobile User Objective System. Di che cosa si tratta?
«Stiamo parlando di un nuovo impianto di
telecomunicazioni satellitari di proprietà e uso esclusivo delle forze
armate degli Stati Uniti d’America, realizzata all'interno di una
riserva naturale, una sughereta, in provincia di Caltanissetta, a
Niscemi, dove tra l'altro è già operativa da una trentina d'anni una
delle principali installazioni di telecomunicazioni con i sottomarini
della marina militare statunitense. Si tratta di uno dei quattro
terminali terrestri che hanno proprio il compito di mettere in rete i
cosiddetti “utenti mobili”, cioè i sistemi d'arma e d'attacco, i
sottomarini, i cacciabombardieri e i droni, che rappresentano la punta
avanzata dei nuovi strumenti di guerra degli Stati Uniti d'America».
L’ultimo mese ha portato con sé due eventi
significativi a proposito del Muos: partiamo dal primo, una sentenza
del Consiglio di giustizia amministrativa di Palermo a favore del
Ministero della Difesa.
«Legambiente, alcune amministrazioni comunali e il
coordinamento dei comitati No Muos avevano posto in sede amministrativa
il problema dell'illegittimità degli atti autorizzativi concessi dalla
Regione Sicilia, che è responsabile nella gestione della riserva
naturale. Con questi atti si sono poste le condizioni per poter
realizzare gli impianti in un'area inedificabile. In primo grado il
Tribunale Amministrativo Regionale di Palermo aveva dato piena ragione
ai proponenti, tra l'altro affidando anche una valutazione sull'impatto
elettromagnetico di questa struttura alla facoltà di Ingegneria di Roma,
mentre un mese fa, in secondo grado, questa sentenza è stata ribaltata.
Ce lo si poteva aspettare, perché nel corso del procedimento è cambiata
anche la questione sottoposta al contendere da parte dei giudici: i
proponenti avevano posto il problema dell'illegittimità degli atti
amministrativi, mentre di fatto è cambiata la valutazione ponendo il
problema eventuale della sicurezza e delle emissioni elettromagnetiche
di questo impianto».
Un altro filone giudiziario è quello che
invece all’inizio di giugno ha portato a uno stop dei lavori. In questo
caso che cos'è successo?
«Dobbiamo tornare indietro di oltre un anno: il
primo aprile 2015 il tribunale di Caltagirone, che è competente dal
punto di vista penale rispetto all'area di Niscemi, aveva emesso un
provvedimento di sequestro degli impianti del Muos ritenendo fondate le
denunce più volte presentate dai comitati No Muos, dall'associazione
antimafia Rita Atria e dagli amministratori comunali di Niscemi e degli
altri comuni limitrofi alla base, attraverso le quali si denunciava la
natura abusiva delle opere, realizzate all'interno di un'area dove non
poteva essere costruito assolutamente nulla. Di fronte a questo
provvedimento, ovviamente, il Ministero della Difesa ha presentato
diversi ricorsi che sono stati respinti sia dal tribunale della libertà
di Catania sia direttamente dalla Corte di Cassazione.
Il ministero della Difesa, ricevuta la sentenza
della Cga di Palermo che gli aveva dato ragione in seconda istanza,
aveva richiesto al Tribunale di Caltagirone di sbloccare il decreto di
sequestro, ma la richiesta è stata respinta, perché si ritiene che gli
impianti siano comunque abusivi e proprio per questo bisognerà attendere
anche la sentenza di un procedimento penale che è stato avviato e che
vede imputati i titolari delle società di costruzione che hanno
realizzato il Muos. Questo procedimento penale è stato avviato e la
prima udienza è prevista per la fine di luglio».
Questa sentenza blocca in modo definitivo la costruzione del Muos?
«Dal punto di vista tecnico dovrebbero bloccare
tutto senza appello, però sul piano politico il discorso è molto
differente. Da più settori, infatti, si richiede un atto di autorità da
parte del Governo, che dichiarando il Muos opera strategica potrebbe
bypassare i tribunali. Emettendo un'ordinanza che imporrebbe d'autorità
l'apertura degli impianti e la loro consegna alle forze armate
statunitensi si andrebbe però a creare un conflitto giuridico di
competenze tra poteri differenti, e questo va tenuto in considerazione».
Da chi arrivano queste spinte verso una forzatura?
«Sicuramente gli Stati Uniti stanno invitando a
percorrere questa strada, perché con il completamento della stazione
terrestre di Niscemi potrebbero “chiudere” questo sistema, composto da
quattro terminali terrestri, di cui tre già operativi, e da cinque
satelliti, di cui tre già attivi in orbita. Per la marina militare
statunitense è fondamentale accelerare un processo che la vede già
profondamente in ritardo non soltanto per i sequestri della procura di
Caltagirone, ma anche per il fatto che molti dei ritardi sono dovuti a
errori progettuali da parte della società appaltatrice, la Lockheed
Martin, la principale azienda mondiale nella produzione di armi, nonché
produttrice in Italia dei cacciabombardieri F-35».
Il Muos e gli F-35, prodotti molto
differenti sia per iter che per dimensione, raccontano la stessa storia,
quella delle servitù militari in territorio italiano. Ma davvero sono
strategiche per il nostro Paese, anche in termini di ricadute
occupazionali?
«Onestamente mi sembra proprio di no. Tra l'altro
si fa sempre più concreto il sospetto che in fondo la disponibilità a
violare le normative urbanistiche e ambientali e mettere a rischio la
sicurezza e la salute delle popolazioni siciliane sia notevole e sia
dovuta proprio al pressing fatto dal complesso militare e industriale
per ottenere almeno una parte di queste grandi commesse, che tra l’altro
sono molto discusse per quello che riguarda il funzionamento, anche in
sede strategica militare. Se nello specifico pensiamo agli F-35,
ricordiamo che l'operazione ha un costo non inferiore ai 10 miliardi di
euro e una ricaduta minima dal punto di vista occupazionale. Per
capirlo, basta vedere come sono aumentati enormemente i fatturati del
complesso militare e industriale italiano, penso in particolare a
Finmeccanica Leonardo, ma come contemporaneamente sia crollato il numero
di occupati di questa industria».
Quali sono le forze della società civile in campo?
«Purtroppo, soprattutto in Sicilia, tolti alcuni
amministratori, i comitati No Muos e le realtà territoriali, cioè quelli
che dal basso hanno costruito una resistenza reale all’opera, non hanno
trovato sostegno in sede politica, né nell’Assemblea regionale
siciliana né in Parlamento. Sono veramente pochissime le forze politiche
che hanno sostenuto in sede parlamentare le richieste del movimento No
Muos, nonostante le prese di posizione dei sindaci. Ci sarebbe davvero
bisogno di un dibattito di alto profilo, perché sono tanti i
costituzionalisti che hanno posto il problema che, al di là
dell'illegittimità degli atti amministrativi, il Muos e tutta una serie
di infrastrutture militari statunitensi sul nostro territorio pongono
seri problemi di violazione di almeno tre articoli della nostra
Costituzione: l'articolo 11, l'articolo 80 e l'articolo 87».
In seno alle chiese c'è stata qualche presa di posizione?
«Sì, sicuramente figure come il vescovo di
Caltagirone e quello di Piazza Armerina, che hanno più volte espresso il
proprio disappunto e hanno richiesto una revisione delle decisioni,
sono importanti. Anche le chiese valdesi e metodiste, che sono presenti
particolarmente nella zona sudorientale della Sicilia, sono state attive
nella mobilitazione del basso. Tuttavia, se guardiamo alla scala
regionale e nazionale, ed è necessario farlo perché il progetto ha
dimensioni geostrategiche globali, ecco che purtroppo anche nel campo
delle chiese cristiane è mancato l’impegno. Strano, perché il Muos è
strettamente legato a un altro grande progetto che è quello della dronizzazione
della guerra, cioè della sua totale automatizzazione, un tema che pone
enormi problemi etici, sociali e politici. Negli Stati Uniti sono
diverse le chiese che stanno ponendo il problema dell’illegittimità
morale dell'uso dei droni, mentre purtroppo in Italia è un argomento
ancora poco sentito e poco discusso, e soltanto alcune realtà cristiane
come quella dei Comboniani lo stanno ponendo con insistenza».
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