
(© Imagoeconomica) Laura Cioli.
Ma il Corriere della sera e l’intera Rcs non erano un disastro?
E Urbano Cairo - come peraltro Andrea Bonomi se avesse vinto lui - non aveva fatto un azzardo a metterci le mani sopra?
Ora invece scopriamo che, nel secondo trimestre del 2016, ha guadagnato quasi 20 milioni.
E poco importa se il semestre rimane in rosso e le prospettive, dopo questa “stressata” dei conti, sono ancora di perdita, sempre che Cairo non riesca in fretta a metterci una pezza.
Bastano questi tre mesi “miracolosi” per consentire al management e al consiglio di amministrazione di Rcs di uscire trionfanti al cospetto del nuovo padrone che avanza.
Talmente mirabolanti da consentirle di portarsi a casa, in nove mesi di sudatissimo impegno, una buonuscita di 3 milioni e 750 mila euro.
Qualcosa come 13.400 euro per ciascuno dei 280 giorni di lavoro (sic), festività comprese, che si aggiungono allo stipendio - non ci è dato sapere a quanto ammontasse - già percepito.
E poi uno se la prende con Consoli e Zonin!
Il Pd pensa di far fuori Campo Dall'Orto: ma chi l'ha messo in Rai?
Antonio Campo Dall'Orto.
Leggo quel che Antonello Giacomelli del Partito democratico, sottosegretario (competente, debbo dire) alle Comunicazioni, dichiara ad Annalisa Cuzzocrea de la Repubblica - «non credo che in Rai sia avvenuta alcuna epurazione» - e mi cascano... gli occhi.
Poi, però, pagato il tributo al premier Matteo Renzi (sia mai che lottizza, al massimo a farlo è Luca Lotti), tira fuori un paio di giudizi saggi e dunque condivisibili: «L’errore fatto con le nomine dei telegiornali è lo stesso fatto per le reti: dovevano arrivare dopo un progetto complessivo che ancora non si vede. Avrei preferito un piano industriale solido e convincente e un piano editoriale innovativo prima delle scelte sui nomi. Serve un altro passo». Ah, ora ci siamo.
AUTOCRITICA, QUESTA SCONOSCIUTA. Ma l’obiettivo di Giacomelli qual è? Basta leggere che «Campo Dall’Orto ha tutti i poteri e le prerogative per fare le scelte... mancano gli atti di indirizzo e di programmazione che danno corpo all’idea di trasformazione profonda del servizio pubblico» e si capisce subito che il colpo mortale che il sottosegretario ha in canna è per il direttore generale della Rai.
Ma caro Giacomelli, chi l’ha nominato l’uomo che non molla perché è zen (autodefinizione dichiarata a Vanity Fair, la sua Bibbia)? Un pizzico di autocritica, no?
Fortis, l'economista (sic) con allucinazioni da ripresa
Marco Fortis.
Ma Marco Fortis ci è o ci fa?
Vi confesso che non sono in grado di rispondere a questa impegnativa domanda, che non ho mai avuto il coraggio di girare allo stimabile professor Alberto Quadrio Curzio, che da anni lo supporta (sopporta?).
Da secoli, una volta alla settimana, su Il Messaggerooppure in qualche convegno, l’economista (sic) cui paga lo stipendio la Fondazione Edison (è vicepresidente del consiglio di indirizzo, del consiglio di amministrazione e del comitato scientifico), sforna un giudizio brillante o una previsione rincuorante sull’economia italica.
Al servizio del governo di turno: oggi Renzi, ma ieri Letta, Monti, Berlusconi-Tremonti, Prodi e via rinculando.
L’ultimo contributo “di regime” è questo: “Quattro buone notizie sostengono la ripresa”, titola il Caltagiornale di Roma.
PREZIOSE ESTERNAZIONI. Ma basta scorrere un po’ di titoli di queste preziose esternazioni - da «Siamo alla svolta cresciamo come la Germania» a «C’è una domanda forte che vale la ripresa» - per capire che non si tratta di un colpo di sole agostano.
Per esempio nel 2015 l’uomo Fortis di nome e di fatto diceva niente meno che «la ripresa è alle porte. Basta critiche preventive», oppure che «consumi e Sud, la ripresa è cominciata davvero»; poi minacciava «ecco come le agenzie di rating sbagliano sull’Italia», per finire con una uscita, «Finalmente si sente l’effetto del bonus 80 euro», di cui Renzi si sarà sicuramente lamentato per quel «finalmente» che lasciava presagire che la sua genialata ci avesse messo troppo a dispiegare i suoi benefici effetti. Altro che gufi!
Ps. A proposito di Edison, come mai il capo della comunicazione Andrea Prandi ha lasciato Foro Buonaparte 31? Intoccabile con da Bruno Lescoeur, che è dall’aprile del 2011 che per conto di Électricité de France ha presidiato la controllata italiana, Prandi evidentemente non lo era più per il nuovo amministratore delegato Marc Benayoun, in carica da gennaio. Infatti il divorzio si è consumato.
Stai sereno Renzi, nel think tank di Bremmer c'è pure Letta...
(© Ansa) Enrico Letta e Matteo Renzi.
Si chiama Ian Bremmer, politologo americano 46enne, il nuovo incubo di Renzi.
Lui è il fondatore e presidente del think tank Eurasia Group, ricca società di consulenza con sedi a New York, Washington e Londra, e una rete di esperti in 90 Paesi di cui si analizza il rischio politico ed economico.
Un guru (definizione dell’Economist) le cui opinioni, tra discorsi pubblici, apparizioni televisive e articoli scritti per la rivista Time, fanno in modo crescente tendenza, e orientano investimenti e mercati finanziari.
Bremmer, che è anche global research professor alla New York University, ha pensato bene di ingaggiare nel board dei senior advisor di Eurasia un certo Enrico Letta: sì proprio quello che doveva «stare sereno».
E già questo sarebbe più che sufficiente per destare diffidenza e sospetto in Renzi.
DOWNGRADE DELL'ITALIA. Ma l’allarme rosso è scattato quando il premier ha saputo che nei report di Eurasia c’è un downgrade dell’Italia, seppure nel medio-lungo termine.
Apparentemente il giudizio di Bremmer sembra favorevole al governo: teme che non passi il referendum (perché si scaricherebbero su quel voto tutte le insoddisfazioni maturate nei confronti di Renzi) e pronostica un disastro se i pentastellati dovessero conquistare Palazzo Chigi.
Ma sono proprio queste due ipotesi, seriamente prese in considerazione da Eurasia, che hanno fatto venire l’orticaria a Matteino nostro. Che ai suoi ha detto: «Mi ci gioco le... che è stato Letta a suggerire quei giudizi».
Ma no, Matteo, che vai pensando, stai sereno!
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