
Un tempo. Remotissimo. In cui la società era essenzialmente matriarcale, cioè una forma di esclusività del tutto femminile dove il potere di generare della donna era al primo posto in ogni funzione primaria e secondaria. Questo tempo non è storico, quindi poco documentabile. Appartiene ad epoche nelle quali la civiltà è ancora lontana e con essa le arti, la scienza e la scrittura. Un tempo, dunque, prima della Storia perciò preistorico del quale si sa poco o nulla, almeno dal punto di vista del dimostrabile e del consueto. Ma non per quanto riguarda il suo legame con la Poesia. La Poesia fu, al tempo in cui domina incontrastata la Grande Madre primordiale, suono, parola, ritmo; suono del Principio, parola che conduce al Divino e nel Divino abita; ritmo assoluto e incessante dell’Universo.
Penso spesso(e, devo dire, sempre con una nostalgia struggente)a questa età matriarcale in cui la danza, la parola, il ritmo erano la vita e la morte. Erano ogni cosa. Ed erano tutto.
Sì… un’età delle Madri in cui non vi era potere sul mondo, ma forse potenza soltanto. Non coercizione dell’essere e delle cose ma solo incanto, stupore, meraviglia, sentimento ed emozione spontanei nati da una inconscia visione poetica del visibile e dell’invisibile. Poesia e mondo primordiale della Grande Madre, realtà oscura dalla potenza inaudita. Poesia concepita, sentita, vissuta quale essenza propria ed esclusiva dell’uomo, sola prospettiva reale e ideale che lo conduce e lo ri-conduce alla sua vera dimora abitativa. Poesia libera, sciolta, esperita sia nella lontananza che nella prossimità delle cose, al di fuori e al di là di qualsiasi credo o colore politico, condizionamento sociale, mentale o psicologico.
Come si può immaginare(o provare a farlo)quel tempo e quel mondo lontanissimi? Difficile oggi. Gli stessi poeti, credo, abbiano difficoltà a farlo. Potrebbe sembrare addirittura un qualcosa di assurdo. Di mai esistito. Eppure qualche reminescenza la si riscontra nel Faust di Goethe, nell’Eneide di Virgilio, nell’Odissea di Omero, nelle tragedie di Sofocle, nelle opere di Shakespeare. In quella”discesa” nel regno della Grande Madre che il protagonista deve compiere per forza se vuole salvarsi esso stesso e salvare l’umanità. La Grande Madre: terribile eppure dolce, foriera di un mondo e di un’era dove la Poesia plasma gli esseri, le cose, la vita, la morte, ciò che si conosce e ciò che è sconosciuto. Un tempo. Remotissimo. Del quale, forse, i poeti, per primi, e gli uomini hanno sempre avuto e hanno nostalgia… una struggente nostalgia.
Il tempo della Grande MadreUn tempo, sì
remotissimi sogni
remotissimo percepire
visioni oltre l’umano
e il divino esperire del Cosmo.
Madre, dispensatrice di vita e morte
Madre, protezione calore
amore gratuito per tutto
e verso tutti
suono, parola, ritmo
la notte e la luna piena
nel cielo misterioso e vasto.
Mai sarà colmata
l’attesa di questo tempo felice
nella ancor più remota tortuosità
del divenire.
Francesca Rita Rombolà
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