L’intreccio tra le crisi in Siria e in Ucraina
Lo scorso 13 febbraio, a ridosso della riunione dell’ISSG
(International Syria Support Group) di Monaco e della proposta di
cessate-il-fuoco in Siria, il Presidente Obama ha telefonato a Putin
sollecitandolo a non ostacolare l’invio di aiuti umanitari nelle zone
sotto attacco da parte dell’esercito siriano, ed ipotizzando poi un
costruttivo ruolo che potrà giocare la Russia non appena cesseranno i
raid aerei contro i ribelli “moderati”.
La telefonata però non si è limitata a questo ed è continuata su
tutt’altro argomento. Come spesso avviene nelle trattative, dopo aver
formulato la richiesta (cioè l’invio di aiuti nelle zone controllate dai
“moderati” e la cessazione dei raids aerei) Obama ha messo sul piatto
della bilancia anche qualcos’altro.
Nel sito della Casa Bianca (Press Secretary),
nelle note stampa, viene infatti riportato che subito dopo la questione
siriana Obama ha parlato della situazione in Ucraina, raccomandandosi –
dice la nota – che i filo-russi diano piena osservanza agli accordi di
Minsk riguardo il cessate-il-fuoco, l’accesso agli osservatori
dell’OSCE, ricordando infine quanto sia importante che venga rapidamente
raggiunto un accordo perché siano svolte le elezioni
nell’Ucraina-orientale ovvero nella regione separatista del Donbass, e
che in base agli accordi di Minsk II si sarebbero dovute tenere entro il
2015, ma rinviate sine-die.
Sul versante russo, il sito del Cremlino (Events)
riporta sostanzialmente gli stessi contenuti della telefonata, sia pure
mettendo l’accento su altri aspetti quali, ad esempio, il richiamo di
Putin alla necessità di intensificare il comune impegno nella lotta al
terrorismo evitando, da parte degli Stati Uniti, di adottare due pesi e
due misure.
Riguardo
la questione ucraina, Putin ha poi messo debitamente in chiaro le
richieste russe. Capovolgendo le affermazioni di Obama, Putin ha
precisato che è in realtà l’Ucraina a dover dar piena osservanza agli
accordi di Minsk, in particolare per quanto riguarda lo stabilire
contatti diretti con l’autoproclamata repubblica, proclamare
un’amnistia, approvare una riforma costituzionale sull’autonomia di quel
territorio e porre in essere le modifiche legislative previste.
Condizioni per così dire accettabili, dato che si tratta, da parte
russa, di chiedere l’applicazione di quanto già era stato sottoscritto
nei precedenti accordi e finora non attuato.
Si può dunque parlare, a questo punto, di una sorta di patteggiamento
tra Stati Uniti e Russia? Della possibilità di un accordo in cui, nel
richiedere un alleggerimento della pressione militare sui “moderati” in
Siria, venga offerto in cambio un analogo atteggiamento verso gli
insorti dell’autoproclamata Repubblica di Novorossiya? E prima ancora di
questo – ed è una domanda fondamentale – la questione siriana e la
questione ucraina pesano entrambe nello stesso modo negli scenari
internazionali?
Secondo Vadim Karasev,
direttore del centro studi con sede a Kiev IGS (Institute for Global
Strategy), è l’Ucraina in realtà il centro attorno a cui gravita
l’attenzione della diplomazia internazionale, nonostante che alla 52^
Conferenza sulla Sicurezza di Monaco – concomitante con la riunione
dell’ISSG – i temi principali siano risultati la crisi siriana e la
migrazione verso l’Europa.
In effetti, negli ambienti diplomatici, è buona norma che gli
argomenti, tanto più sono scottanti, tanto più siano trattati in maniera
riservata, lontani dai rumors giornalistici, lasciando spazio e margine
di manovra ai negoziati, e quindi non vi sarebbe nulla di straordinario
nel fatto che, anche se non pubblicizzate, delle trattative possano
comunque essere in corso, ed ai massimi livelli.
Senonché
le condizioni non sempre si equivalgono bilanciandosi da una parte e
dall’altra, ed obbligando tutti a trovare una situazione di compromesso.
Vi sono anche situazioni in cui una parte ritiene di essere la più
forte e poter dettar legge, ed in questi casi la trattativa diviene
allora una sorta di ultimatum, in cui la “parte forte” prospetta
l’aggravamento di una certa situazione qualora le sue richieste non
venissero accolte.
In altri termini, il collegamento fatto da Obama nella sua telefonata
a Putin potrebbe intendersi in questo modo: o in Siria accogliete le
nostre richieste, o la situazione in Ucraina è destinata ad aggravarsi.
A
questo secondo quadro sembrano anche adattarsi le dichiarazioni del
Segretario di Stato John Kerry, rilasciate pressoché in contemporanea
con la telefonata di Obama, a margine della Conferenza di Monaco. In
termini molto secchi, Kerry ha infatti accusato la Russia
di ripetute aggressioni verso la Siria e verso l’Ucraina, stabilendo
quindi una volta di più un legame tra i due scenari che però, lungi da
indicare il possibile avvio di un compromesso, sembra piuttosto indicare
il leit-motiv di una definitiva condanna della Russia, di cui viene
dimostrata “l’aggressività” in Siria prendendo a riferimento l’Ucraina e
viceversa.
“La
Russia ha una sola e semplice scelta”- ha concluso Kerry parlando della
situazione ucraina – “Implementare integralmente gli accordi di Minsk
oppure continuare a subire dannose sanzioni economiche”.
Siccome, come ha detto Putin nel corso della telefonata,
l’implementazione riguarda anche l’Ucraina, se ad essa non viene chiesto
nulla, si pongono in questo modo le basi per uno stallo definitivo o,
per vederla in altra prospettiva, per mettere la Russia con le spalle al
muro e senza via d’uscita dalle sanzioni, scopo che probabilmente è
quello che si vuole raggiungere per ottenere altri risultati ancora.
La linea d’intransigenza statunitense è seguita anche dai maggiori
leader europei. Il Primo Ministro francese Valls ha chiesto che in Siria
“la Russia smetta di bombardare i civili”, la Cancelliera Merkel s’è
detta -“scioccata e inorridita per i bombardamenti russi sulla Siria”-
ed il Primo Ministro britannico Cameron ha drammatizzato che -“in un
mondo in cui la Russia sta invadendo l’Ucraina e uno Stato canaglia come
il Nord Corea sperimenta armi atomiche, dobbiamo alzarci in piedi e
resistere insieme all’aggressione”-
Dal
canto suo la NATO continua l’allargamento ad est, ed è di questi giorni
la notizia (11 febbraio) che sono in corso avanzate trattative di
partenariato con la repubblica caucasica della Georgia ed il cui esito,
in un non lontano futuro, potrebbe dar luogo a imprevedibili
sviluppi-“Invitiamo la Russia”- ha infatti affermato il
Segretario Generale NATO Stoltenberg -“a far retromarcia sul
riconoscimento dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud come stati
indipendenti (nel 2008 la Georgia invase l’Ossezia del Sud provocando un
intervento militare russo e successivo riconoscimento dell’indipendenza
delle due regioni, ndr). L’Abkhazia e l’Ossezia del Sud sono parte
della Georgia”-.
Un analogo partenariato esiste anche con l’Ucraina,
preludio ad un formale ingresso nell’alleanza ed anche in questo caso
foriero di imprevedibili sviluppi, stante il reciproco obbligo di
intervento militare in caso di aggressione ad uno dei paesi membri (art.
5 del Trattato di Washington).
Infine,
il 12 febbraio, è stato firmato senza troppi clamori un accordo con la
Serbia, in cui quest’ultima accetta l’immunità e la libertà di
circolazione di personale NATO nel suo territorio.
Tutto ciò non impedisce comunque al Presidente Vladimir Putin di
essere fiducioso e dopo tutto questo di dichiarare, in sede di
conferenza stampa assieme al Presidente ungherese Orban, che prima o poi
i rapporti con l’Europa torneranno normali. Washington permettendo,
naturalmente.
Foto: Ap, Reuters, NATO, RT, Novosti e Moscow Times