L’Europa delle crisi. Le alternative di Euromemorandum
11 marzo 2016
La crisi economica, la sfida democratica, le migrazioni,
la disoccupazione giovanile e il Trattato transatlantico. Un’analisi a
tutto campo delle crisi che attraversano l’Unione. E qualche proposta
per ripartire. Un’anticipazione del Rapporto

La ripresa economica in Europa è debole e fragile, le prospettive
continuano a essere quelle di una crescita molto lenta con elevati tassi
di disoccupazione. Anche se nella maggior parte dei paesi la produzione
ha ripreso a crescere, in molti stati membri dell’Europa orientale e
meridionale essa rimane ancora sotto il livello del 2007. Serve un forte
stimolo macroeconomico, che rilanci la crescita e l’occupazione. La
politica monetaria è stata rafforzata in senso espansivo attraverso il
quantitative easing; tuttavia, nell’attuale contesto macroeconomico
segnato da basse aspettative e domanda debole, ciò non basterà a
favorire la ripresa. Il cosiddetto Piano Juncker, per le stesse ragioni,
non fornirà lo stimolo necessario all’economia, mentre la nuova
interpretazione del Patto di Stabilità e Crescita, che pur porta un
qualche progresso, si tradurrà solo nella riduzione della pressione
fiscale nei paesi in crisi, anziché generare un sostanzioso impulso
fiscale.
È necessaria un’espansione economica coordinata, incentrata sul
rilancio dell’occupazione attraverso la realizzazione di investimenti
che promuovano l’ambiente, attenti all’ottica di genere; l’attacco alla
spesa sociale deve finire. La moneta unica deve essere integrata con una
politica fiscale a livello federale, che sia in grado di operare
efficacemente in chiave di stabilizzazione anticiclica a livello
regionale, nazionale e federale e, al tempo stesso, di operare
trasferimenti di risorse tra le regioni più ricche e quelle più povere.
La politica fiscale dovrebbe essere fortemente progressiva ed integrata
da un’assicurazione europea contro la disoccupazione, che operi quale
fondamentale stabilizzatore automatico. Le politiche strutturali e
regionali della UE dovrebbero essere rafforzate ed estese, soprattutto
mediante un grande programma di investimenti pubblici e privati,
finanziato dalla Banca Europea degli Investimenti e incentrato, in
particolare, sui paesi in deficit e su quelli a basso reddito.
La sfida democratica
A gennaio 2015, dopo aver sperimentato l’impatto devastante sulla
produzione e sull’occupazione di ripetuti programmi di austerità, gli
elettori greci hanno eletto un nuovo governo guidato da Syryza. Il nuovo
esecutivo ha cercato di raggiungere un compromesso onorevole con le
istituzioni europee; tuttavia, man mano che proseguivano le trattative,
la posizione comunitaria si è irrigidita sulle condizioni fortemente
restrittive già stipulate nei precedenti memorandum.
A luglio, il premier Tsipras è stato costretto ad accettare condizioni
particolarmente restrittive per ottenere un nuovo prestito e, nonostante
l’opposizione di molti parlamentari di Syryza, il partito ha conservato
la maggior parte dei suoi seggi nelle successive elezioni politiche di
settembre. Se i termini del Memorandum difficilmente potranno essere
soddisfatti, le rigide condizioni imposte alla Grecia fungono da monito
per tutti gli altri paesi a non sfidare l’ordine neoliberale.
Le vicende della Grecia evidenziano il crescente deficit democratico
all’interno della UE e il modo in cui si cerca di costituzionalizzare la
politica economica, sottraendola alla deliberazione democratica e ai
legittimi meccanismi di scelta sociale. La narrazione dello “stato di
emergenza” è stata usata per promuovere atti giuridici che violano il
diritto costituzionale degli stati della periferia dell’eurozona e
rafforzano le istituzioni europee meno rappresentative, la Banca
Centrale Europea, i vertici dell’Eurozona e i consigli dell’Eurogruppo
che operano secondo regole non scritte. Il Rapporto dei Cinque
Presidenti afferma di voler promuovere maggiore prosperità e solidarietà
in Europa ma, in realtà, le proposte ivi contenute serviranno a
consolidare il carattere tecnocratico della governance UE.
La spinta a costituzionalizzare la politica economica testimonia il
profondo timore della democrazia da parte delle classi dominanti della
UE. Per la stragrande maggioranza di cittadini, tuttavia, la democrazia
non rappresenta solo un valore politico in sé, ma anche una forza
economica propulsiva. Il consenso democratico costituisce un potente
collante che riduce l’incertezza economica. Gli investimenti pubblici
sono necessari per dimostrare l’impegno politico nel promuovere priorità
democratiche e per influenzare le aspettative degli operatori
economici. Due esempi di tali priorità democratiche immediate sono la
transizione a un’economia a basse emissioni di carbonio e la convergenza
economica degli stati membri a basso reddito verso gli standard
comunitari.
Migrazioni, mercato del lavoro e cambiamento demografico nella UE
Le drammatiche immagini delle migliaia di migranti che tentano di
entrare nella UE ha scosso i cittadini europei e diviso i paesi sul modo
in cui la situazione va affrontata. Gli attuali flussi migratori hanno
sollevato, ancora una volta, dubbi circa l’effettiva necessità da parte
del sistema economico dell’utilizzo di lavoratori migranti. I dati
mostrano chiaramente il positivo contributo dei lavoratori migranti,
oltre che al miglioramento delle loro stesse condizioni, all’economia
dei paese ospitanti.
Le politiche migratorie europee sono dettate principalmente da
considerazioni relative al mercato del lavoro, nell’ottica del progetto
del Mercato Unico. Il principio della “libera circolazione” contenuto
nel Trattato di Maastricht è divenuto lo strumento strategico per il
controllo e la gestione della migrazione e degli spostamenti sia dei
cittadini UE che di quelli di paesi terzi. La “libertà di circolazione” e
il concetto di “parità di trattamento” sono principi cardine nel
Funzionamento dell’Unione Europea ma le direttive comunitarie li hanno
subordinati alla condizione che i cittadini migranti non diventano un
“peso” per il paese ospitante.L’attuale dibattito sul diritto alla
protezione sociale dei migranti in tutti i paesi UE riguarda la
solidarietà e la ridefinizione delle frontiere di una comunità sociale
europea. Il progetto di moneta unica, privo di solidarietà e unione
fiscale, ha rivelato la fragilità dell’unione di paesi aventi una moneta
unica ma strutture economiche differenti – la persistente crisi in
Grecia è solo un esempio di queste contraddizioni. La solidarietà
fiscale, per dare sostegno ai cittadini migranti della UE, potrebbe
aiutare l’Unione a superare la sua crisi attuale. Un’Europa solidale
(anziché caratterizzata dall’austerità) crea un contesto migliore per
tendere la mano alle centinaia di migliaia di persone che scappano dalle
guerre in Africa e in Medio Oriente, senza dar luogo a derive populiste
contro l’immigrazione. La UE deve assolutamente sostenere il principio
della “libera circolazione”, forse l’unica area che tocca direttamente i
cittadini europei, i quali sperimentano la diversità culturale e la
cittadinanza di un’Europa, auspicabilmente, inclusiva e solidale.
La disoccupazione giovanile nella UE
Anche se la crisi sociale nella UE è complessiva, interessando tutti
gli aspetti dei rapporti di lavoro e tutte le forme di prestazione
sociale, EuroMemorandum quest’anno si concentra sulla disoccupazione
giovanile, uno dei più gravi problemi che la UE si trova ad affrontare,
che mostra con tutta evidenza il fallimento delle classi dirigenti
europee nel tutelare il futuro dell’Unione. Anche se la disoccupazione
giovanile è aumentata in tutta la UE (con la sola eccezione della
Germania), i tassi maggiori si sono registrati nei paesi soggetti alle
clausole imposte dalla Troika. Il rapido aumento dei NEET (giovani che
non studiano, non lavorano e non stano svolgendo attività di formazione
professionale) mostra che, oltre ai disoccupati, ci sono milioni di
giovani economicamente inattivi, con pochi o nessun collegamento con il
mondo del lavoro, e che il problema è ancora più serio per la fascia di
età compresa tra i 25 e i 34 anni rispetto a quella tra i 16 e i 24
anni. L’avvio del programma comunitario Garanzia giovani ha costituito
un elemento positivo ma eccezionale nella politica sociale UE, inoltre
il suo finanziamento è del tutto inadeguato nei paesi maggiormente
colpiti. Quello di cui c’è bisogno, sia nel caso della disoccupazione
giovanile che nel più vasto ambito delle politiche sociali, è un
capovolgimento delle priorità, in modo tale che le norme in materia di
concorrenza e di finanza pubblica siano subordinate agli obiettivi
sociali e saldamente ancorate ai diritti sociali.
La sfida del TTIP e il Partenariato Orientale
Il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP)
nella sostanza non tratta di commercio, ma di regolamentazione, andando a
intervenire sulla sfera delle scelte sociali e delle preferenze
collettive. Andrebbe ad incidere sul sistema di regole a tutti i
livelli, offrendo agli investitori stranieri privilegi speciali
attraverso il meccanismo di risoluzione delle controversie tra
investitori e stati (ISDS). Il modo antidemocratico adottato nelle
procedure negoziali, la permeabilità a lobby e interessi speciali, la
mancanza di trasparenza, hanno originato una forte opposizione. La
risposta della Commissione è stata ambigua, la proposta di un meccanismo
ISDS solo apparentemente rivisto, che non risolve i reali problemi
sottostanti, e un nuovo documento di politica commerciale che promette
un nuovo sistema valoriale solo a parole, risultando invece incentrato
sulla spinta all’ulteriore estensione di quell’approccio, noto come
coalizione dei volenterosi, attraverso il quale i paesi ricchi intendono
imporre agli altri la liberalizzazione spinta e la deregolamentazione.
In combinazione con il piano comunitario “Better Regulation Package” del
2015, il TTIP sarebbe in grado di distorcere, ritardare e bloccare i
progetti di regolamentazione ancor prima che raggiungano il Parlamento
Europeo e il Consiglio. La regolamentazione è vista solo come un costo
per le imprese, tralasciando i benefici, che in realtà sono un multiplo
dei costi. Da questo punto di vista, l’accordo Comprehensive Trade and
Economic Agreement (CETA) raggiunto fra Europa e Canada va anche oltre
il TTIP in ambiti chiave e non deve essere ratificato. Tra le più gravi
previsioni di entrambi i trattati sono la blindatura del processo di
privatizzazione dei servizi pubblici e il divieto di acquisti pubblici
orientati allo sviluppo locale. Il TTIP potrebbe portare un colpo fatale
all’integrazione europea: il mercato unico sarebbe diluito in un
mercato transatlantico e la prospettiva di approfondire l’integrazione
economica europea verrebbe continuamente rimessa in discussione.
L’approccio alternativo alla politica commerciale UE qui proposto
darebbe un contributo positivo sia al modello sociale UE sia alla
costruzione di un ordine economico internazionale basato sul rispetto
reciproco e sulla cooperazione. In tal senso, EuroMemorandum individua
“buone pratiche regolatorie” alternative. IL Partenariato Orientale (PO)
sta inducendo rapporti sempre più asimmetrici con la UE, processi di
deindustrializzazione dei paesi dell’Europa orientale, l’allargamento
delle divisioni interne all’Europa e alla UE. I connessi accordi di
associazione colpiscono direttamente la Russia, e potrebbero innescare
reazioni dalle conseguenze imprevedibili. È urgente la messa in campo di
una politica alternativa di partenariato, che contribuisca a uno
sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile e che inneschi forti
dinamiche di crescita regionale.