EUROPA / Lettera da Parigi
5 MAGGIO 2016
Un reportage sulle recenti mobilitazioni a Parigi contro la legge sul lavoro, con alcune considerazioni sulla loro portata, le loro problematiche, le repressioni della polizia e le prospettive della lotta di classe. Dal sito Brescia Anticapitalista
Lettera da Parigi.
Ho avuto la fortuna di essere a Parigi durante le giornate di mobilitazione del 28 aprile e del 1° maggio scorso contro la legge sul lavoro. Il 28 aprile era sciopero generale (sia del privato che del pubblico): a Parigi, alla partenza, c’erano 15-20.000 persone (un numero probabilmente più vicino a 15mila che a 20mila), ma poi lungo il percorso si sono aggregati un po’ di altri lavoratori. Penso di non sbagliare dicendo che all’incirca era un corteo di 20mila persone. La Prefettura ha dato la cifra, riduttiva, ma non distante dalla realtà, di 15mila. Il 1° maggio c’era, ad occhio, tra il doppio e il triplo delle persone presenti il giovedì prima: anche qui una valutazione di 50mila manifestanti penso non sia troppo distante dalla realtà. La Prefettura ha dato la cifra ridicola (vachement ridicola, come dicono i francesi) di 17mila persone; la CGT di 70mila. Considerando che l’Île-de-France conta circa 12milioni di abitanti non sono numeri straordinari. E’ vero che in generale le grandi città sono i luoghi dove le mobilitazioni incontrano più difficoltà, rispetto ai centri medi e piccoli: in un altro grande centro, a Lione, il 1° maggio secondo la locale Prefettura c’erano 2mila persone, per gli organizzatori 5mila (Lione, come città, ha circa mezzo milione di abitanti). Comunque rispetto alla giornata di mobilitazione del 31 marzo il trend nazionale è in discesa: da 390mila/1milione di manifestanti il 31 marzo a 170mila/500mila il 28 aprile (dati rispettivamente della Prefettura e della CGT). Il 1° maggio per la Prefettura ci sono stati 84mila manifestanti a livello nazionale, mentre non sono a conoscenza di dati nazionali forniti dalla CGT. Ma naturalmente pensare che tutti i trend debbano essere sempre di tipo lineare è una sciocchezza…
Quali prospettive per queste mobilitazioni? Il Parti de Gauche ha distribuito un volantino in cui sostanzialmente dà l’indicazione di votare Mélenchon alle Presidenziali del 2017. Lutte Ouvrière aveva un manifesto che si concludeva con le parole “i lavoratori devono far sentire la loro voce!”. Un analogo manifesto della CGT recitava “Indignatevi! Mobilitatevi! Iscrivetevi alla CGT!”. Un po’ meno generici e vaghi i trotskisti sia del NPA sia di Ensemble! (parte costituente del Front de Gauche), che, insieme a Solidaires e agli anarchici della CNT, propagandano la “grève reconductible”: uno sciopero indetto un giorno dopo l’altro, in pratica uno sciopero prolungato in settori che riescono a reggerlo, lavorando alla loro generalizzazione. Che i lavoratori francesi siano pronti a questa prova di forza è tutto fuorché sicuro: non c’è in corso una “febbre degli scioperi” in Francia, a cui dare indirizzo e corso nazionale unitario attraverso la proclamazione della “grève reconductible”; nelle piccole realtà in cui si sono avute in queste settimane esperienze positive di scioperi radicali era in piedi un lavoro da anni di sindacalismo combattivo – nella stragrande maggioranza delle situazioni è difficile immaginare che la situazione di arretratezza possa essere superata in un pugno di giorni.
Quello che mi ha colpito delle manifestazioni parigine è che erano molto piacevoli: tutti molto “indignati”, ma non per questo queste manifestazioni erano anche mezza festa, mezza passeggiata in cui trovarsi “tutti insieme”. Niente a che vedere con lo sciopero, inizio anni ’50, descritto in un bel libro riedito in questi giorni in Francia (Louis Oury, Les prolos): “Giovedì 5 maggio, in una mattinata di primavera, ci ritroviamo in quindicimila metalmeccanici raggruppati sul terrapieno di Penhoët. Appollaiato sulla piattaforma di un vagone, per alcuni momenti sono rimasto sconvolto dall’impressione di potenza espressa da quindicimila uomini riuniti per un comune scopo, per una lotta vitale. Il potenziale di violenza mi faceva un po’ paura, anche se mi sentivo solidale con i miei compagni. Quindicimila maschi che dominano la dura materia per lunghi anni e si dichiarano apertamente pronti a prendere per le palle il direttore e i suoi aggiunti se non dànno loro i mezzi per vivere decentemente, questo mi faceva l’effetto di una doccia ghiacciata. Tanto più che le lezioni di catechismo sono sempre vive nella mia memoria, soprattutto « … panem nostrum quotidianum de nobis hodie ». Il pane quotidiano? A dire il vero gli operai non vogliono che glielo si dia, ma vogliono strapparlo, ottenerlo con la forza, per una semplice questione di dignità, per « non dover calar le braghe davanti al padrone »”.
Ecco: i quindici-venti mila uomini e donne riuniti a Parigi il 28 aprile non davano nessuna impressione di potenza, per una “lotta vitale” comune. E’ un “universo” diverso da quello inizio anni ‘50. Quello che si è perduto è la disponibilità, o la volontà, e la capacità di battersi – come classe contro una classe che le si fronteggia. E “battersi”, in ultima analisi, vuol sempre dire “menare le mani”. E’ il collettivo “potenziale di violenza” che emanava dalla manifestazione metalmeccanica francese di decenni fa. Sembra che oggi non ci sia da “prendere per le palle” nessuno – direttori, governanti, poliziotti; ma solo, ciascuno, votare per qualcuno o prendere la tessera di qualcun altro, pacificamente, come è di buon gusto in una società citoyenne, dove tutt’al più di classi si può discutere in modo amabile, l’importante è che non diventino delle realtà che facciano l’effetto di una “doccia ghiacciata”. A me le manifestazioni parigine, per quanto piacevoli e simpatiche, sono sembrate delle belle passeggiate fatte solo per far vedere che CGT e FO esistono e “hanno i numeri”. Niente a che vedere con la lotta di classe.
Se CGT e FO, per far vedere che esistono, devono far appello alle passeggiate di massa, altre strutture – di dimensioni minuscole – per far vedere che esistono devono inscenare degli happening, da un lato assolutamente innocui, ma dall’altro con un forte impatto mediatico. Sto parlando dei famosi cagoulés (persone con passamontagna in testa), i casseurs (il vocabolario recita un buffissimo “rompitutto”), che hanno inscenato gli “scontri” con la polizia, sia il 28 aprile che il 1° maggio. Ridimensiono quello che è successo: sono stati lanciati all’indirizzo della polizia un po’ di sanpietrini e di bidoni dello sporco (non quelli enormi e di metallo di Brescia, ma quelli minuscoli e di plastica, che se vuoti possono essere sollevati da un bambino), e qualche vetrina rotta. Qui non è in gioco nessuna classe, ma solo (piccole) dinamiche di (piccoli) gruppi. Nessun obiettivo, scopo. Nessuna controparte reale (le controparti preferite sono, non a caso, quelle simboliche). Che la polizia gradisca queste sceneggiate, e giochi al loro stesso gioco, è testimoniato dal fatto che talvolta, impaziente, ricorra ad alcuni falsi cagoulés per riscaldare l’ambiente, e “chiamare in scena” quelli veri, perché finalmente lo spettacolo inizi (è successo così il 1° maggio: dopo la manifestazione sono state pubblicate alcune foto di cagoulés in rapporti molto amichevoli con la polizia), e trasmissioni televisive, giornali e personalità possano finalmente indignarsi dei “violenti”. Alla fine, burocrati sindacali e cagoulés non si differenziano più di tanto, nel loro approccio alle classi: si potrebbe dire che, finalmente, hanno realizzato l’ “unità del movimento”!
La classe lavoratrice francese è in un terribile momento. Borghesia, governo, poliziotti e pennivendoli sono scatenati contro di lei, a favore di una “riforma” del Code de travail che avrà impatti disastrosi sulle condizioni di vita e di lavoro di chi sgobba tutti i giorni per arrivare a fine mese. Addirittura le condizioni per i lavoratori francesi saranno peggio di quelle italiane (i francesi vogliono sempre primeggiare, e chissà quanto si sono rosi il fegato negli ultimi anni a vedere che l’Italia era in testa nella classifica delle controriforme contro il lavoro). In particolare, Le Monde non ha pubblicato una riga sullo sciopero generale del 28 aprile, prima del suo svolgimento: lo sciopero era una non-realtà, che come fantasma ha preso la sua rivincita – il giorno dopo era Le Monde a essere davvero una non-realtà, non uscito a causa dello sciopero. In generale, quanto avvenuto il 1° maggio è stato particolarmente rivoltante: in pratica Prefettura e polizia hanno annullato il corteo. In Boulevard Diderot, dopo che erano iniziate alcune azioni dei cagoulés, la polizia ha ritenuto che bloccarli e versare un po’ d’acqua fredda su queste “teste calde” era troppo pericoloso, e ha ritenuto che bloccare tutto il corteo era più semplice e facile. Sitôt dit sitôt fait. Tutto fermo per un’ora. I manifestanti, che all’inizio non avevano apprezzato particolarmente l’happening dei cagoulés, hanno capito che il problema era invece la polizia, e hanno iniziato anch’essi a lanciare quel poco che c’era. Ma l’effetto è stato nullo: i poliziotti francesi sono particolarmente buffi, conciati come gli antichi centurioni romani, caschi, pettorine, copri spalle, copri avambraccio, proteggi-palle, copri stinco. Da fermi reggono sanpietrini e bidoncini dello sporco senza problemi. Il vero problema per loro è se devono muoversi: con vento a favore fanno i 100m in non meno di 30 minuti. Poi la Prefettura ha comunicato ai sindacati che potevano entrare in Place de la Nation per un’altra via: così un pezzo di corteo è riuscita ad arrivarci verso le 18.30. E qui c’è stato il vero coup de théâtre: la Prefettura ha ordinato – esattamente alle 18.30 – che la Place de la Nation doveva essere sgomberata. Ti abbiamo fatto sudare sette camicie per arrivarci? Appena arrivato, sciò, vattene via subito. Un po’ di manifestanti si sono fermati, nonostante tutto: la polizia ha deciso di svuotare in parte i propri magazzini di lacrimogeni, e ha affumicato oltre alla piazza tutti i quartieri circostanti. Poi, lentamente, 3.000 poliziotti sono avanzati nella piazza e sono riusciti ad avere la meglio di poche centinaia di “irriducibili” senza nulla in mano. Lo spettacolo era riuscito tanto bene che è stato replicato la sera a Place de la République. Vi piace vincere facile, eh?, recitava una volta una simpatica pubblicità. Tanta prova di eroismo poliziesco non è stata invece dimostrata nella lotta al terrorismo. Proprio in questi giorni è uscito un rapporto d’inchiesta sui fatti del 18 novembre scorso a Saint Denis, una freddissima giornata che ho vissuto in diretta. Quel giorno la polizia francese (addirittura le sue unità d’élite) sparò per ore contro un caseggiato dove, in un appartamento, c’erano due terroristi e una ragazza. Gran parte della zona nord di Parigi era bloccata. L’unica arma a disposizione dei tre era una pistola che sparò in tutto undici colpi, oltre a una cintura esplosiva che servì ai due terroristi per suicidarsi. Reparti della polizia scambiarono gli spari di altri reparti della polizia come se fossero provenienti dai terroristi (anche un cane poliziotto venne ucciso da “fuoco amico”). Nessuno ebbe il coraggio di entrare nel caseggiato prima di sette ore, dopo aver sparato tra i 1.500 e i 5.000 colpi (nessuno dei quali colpì i terroristi, morti da tempo), lasciando morire asfissiata la ragazza sotto i detriti. Se l’inefficienza e l’inettitudine della polizia belga nella lotta al terrorismo è oramai diventata un luogo comune a livello mondiale, bisogna dire che quella francese non ha nulla da invidiare a quella belga. Queste polizie non sanno far altro che reprimere i lavoratori, se non “vincono facile” non vincono. Stesso ragionamento potrebbe esser fatto per gli “stati d’emergenza”: del tutto inutili nella lotta al terrorismo, sono invece utilissimi nella lotta a chi si oppone a borghesie e governi.
I mass media, dopo il 28 aprile e il 1° maggio, hanno naturalmente urlato a squarciagola contro i “violenti” e chi non li condanna. Lo “stile” usato in questi articoli e programmi televisivi riesce addirittura a superare in grettezza le campagne mediatiche italiche. Il livello della propaganda è talmente squallido da ribaltarsi e diventare ridicolo. Il simbolo di questo è Valls, un primo ministro la cui nullità e la cui idiozia superano perfino quelle del nostro premier (i soliti francesi che vogliono primeggiare in tutto…). Gli unici problemi in Francia non sono lavoro, terrorismo, ecc. ecc., ma cagoulés e casseurs, e chi non li condanna (in primis “La nuit debout”, alla fine tutti i manifestanti anti-legge sul lavoro), potenziali cagoulés e casseurs. Ho detto che a mio avviso i casseurs del 28 aprile e 1° maggio si riducono a piccoli gruppi che si autoperpetuano in questo modo. Ma il continuo arretramento della condizione lavorativa (anche grazie alla “riforma” Valls-Hollande) farà sì che pian piano diventi espressione di settori sociali ridotti alla disperazione, sia dal punto di vista reddituale, sia dal punto di vista esistenziale. In modo intermittente, fiammate di rivolte senza prospettive incendieranno qui e là la Francia. E’ una storia conosciuta: è la storia delle banlieues e della loro rabbia, la cui ultima impressionante testimonianza fu quella del novembre 2005. Una prefigurazione per ampi settori della classe dei lavoratori, se nel frattempo non si arresta l’offensiva borghese. Ma la distinzione tra “violenza” come happening e violenza come espressione di strati sociali disperati è una distinzione che non concerne i mass media francesi: per loro la Repubblica è citoyenne, e ciascuno si comporta in una logica esclusivamente individualistica, sottoposta al diritto (penale, in questo caso), e in cui il “sociale” non c’entra per definizione. Valls è un bravo cittadino e per questo non farebbe mai queste cose. E’ una storia vecchia come il cucco, messa in berlina dal famoso e bel film di John Landis, Una poltrona per due. Chi scommette un euro che Valls, senza più il rolex, neanche un soldo, un vestito decente, maltrattato e preso a botte dalla polizia, con tutti gli amici che lo abbandonano, la moglie che non ne vuole più sentire niente di lui, senza casa, senza sapere come fare a mangiare la sera di questo stesso giorno, ecc. ecc. diventi un delinquente, un volgare casseur, come un poveraccio qualsiasi? Nel film naturalmente Valls diventa casseur, ma grazie all’organizzazione tra proletari (il Valls divenuto nullatenente, un accattone, una prostituta e un domestico) e alla loro intelligenza (cambiando il film aggiungerei: eccetto quella di Valls) niente più violenza senza prospettiva e senza scopo: alla fine riescono ad averla vinta e a distruggere i due esponenti della più arrogante élite finanziaria del paese, e godersi la meritata ricchezza in un’isola paradisiaca.
In questo frangente drammatico, quale prospettiva per la classe lavoratrice francese? Personalmente penso che non ci siano né scorciatoie, né sostituti più o meno temporanei, alla lotta della classe lavoratrice contro la borghesia. La classe lavoratrice non è ancora disposta e capace a battersi come lo era un tempo? Verrà battuta ancora una volta, e nulla per ora la salverà, né Mélenchon, né i burocrati della CGT e di FO, né l’attivismo di tanti piccoli gruppi, né le idee illuminate di tanti intellettuali, né un fantasmatico “movimento”, né un governo “veramente” di sinistra (si vedano i percorsi di tanti governi, dal PT brasiliano al Syriza greco). Crederlo è mantenere le illusioni presenti, illusioni che portano i lavoratori a pensare che non sia davvero necessario battersi – ci penseranno altri per loro. La classe lavoratrice ritroverà la sua strada, se non oggi, domani, o dopodomani, solo quando queste illusioni si dissiperanno, e anziché émeutes vi sarà senso di potenza collettiva, organizzazione, intelligenza e humour. A mio avviso come rivoluzionari il nostro primo compito è proprio dissolvere queste illusioni (quando invece molte organizzazioni “rivoluzionarie” le ricreano, pur in buona fede, in ossequio allo spirito del tempo, per vie laterali) e aiutare, nella piccola misura realisticamente possibile, i lavoratori a ritrovarsi (ritrovarci). L’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi: con tutti i pro e tutti i contro che questo comporta.
(lettera firmata) Parigi, 2 maggio 2016