L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 14 maggio 2016

Le Forze Armate fiore all'occhiello di ogni paese in piena tempesta, governo incapace e pasticcione

Difesa, Roberta Pinotti traballa

Il caso (archiviato) dei voli di Stato nel 2014. I presunti Rolex regalati dal Kuwait. E la guerra nelle Forze armate. Il ministro vacilla. Renzi pensa alla Finocchiaro.

di Alessandro Da Rold
13 Maggio 2016


(© Ansa) Roberta Pinotti con Matteo Renzi.
La guerra interna alle Forze armate italiane - esplosa dopo l'inchiesta di Potenza suTempa Rossa con ledimissioni del ministro Federica Guidi e poche settimane prima della nuova tornata di nomine in Guardia di finanza e polizia - arriva a toccare i vertici del dicastero della Difesa, con il ministro Roberta Pinotti sempre più traballante in seguito agli articoli di Dagospia sui regali dal Kuwait dopo la commessa da 8 miliardi per 28 caccia Eurofighter.
Volano gli stracci tra il quotidiano online di Roberto D'Agostino e il ministero, tra querele e nuovi dettagli sui Rolex ricevuti in dono dagli emiri.
Dagospia ha parlato anche di momenti di alta tensione con il premier Matteo Renzi, durante un confronto che viene confermato da fonti parlamentari e della stessa Difesa anche a Lettera43.it, tanto che già circolerebbero possibili sostituti della Pinotti in un futuro rimpasto di governo da fare dopo le elezioni amministrative 2016: i nomi sono quelli di Anna Finocchiaro e Vasco Errani.
CONFLITTO A COLPI DI DOSSIER. Ma rumor e indiscrezioni a parte, le bordate contro il responsabile della Difesa sono, a detta degli addetti ai lavori della Forze armate, nient'altro che il risultato della guerra a colpi di dossier che si è consumata negli ultimi anni.
Un conflitto che si è incrociato con il risiko delle nomine e le polemiche sul Libro bianco voluto dal governo, con i veleni sull'ex capo di Stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi e nell'ultima settimana pure sull’ex capo di Stato maggiore dell’aeronautica Pasquale Preziosa.
Quest'ultimo, sin dal 2014, come ha scritto il Corriere della sera, avrebbe tramato contro Carlo Magrassi e le sue possibili aspirazioni di carriera nell'Arma.
LA VICENDA DEL «GENERALE D'ORO». Il punto, sottolineano fonti qualificate aLettera43.it, è che Magrassi è diventato nel 2015 il nuovo segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, uno dei generali più importanti in Italia, tanto da essere soprannominato «il generale d'oro» perché custode della cassa degli armamenti.
Quindi perché tirare fuori proprio adesso questa vicenda su Preziosa, tra i protagonisti del successo della commessa in Kuwait e uscito di scena non senza polemiche proprio con il ministro della Difesa?
Con l'arrivo di Renzi e senza Napolitano Forze armate in subbuglio
(© Ansa) Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro della Difesa Roberta Pinotti in visita al contingente italiano in Libano.

Misteri e veleni che si sommano a quelli emersi dall'indagine sul petrolio lucano, con il coinvolgimento di Valter Pastena, potente burocrate del ministero di via XX Settembre, architetto dellalegge Navale da 5 miliardi di euro su cui aveva insistito proprio De Giorgi.
In fin dei conti dall'arrivo di Renzi a Palazzo Chigi e dopo l'addio di Giorgio Napolitano al Colle, negli ambienti di esercito, marina e aeronautica non c'è stato un momento di tranquillità.
Va ricordato che Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, è stato in passato ministro della Difesa.
E al suo fianco ha al momento Rolando Mosca Moschini, già consigliere militare di Napolitano e ora segretario del Consiglio supremo di Difesa presieduto proprio da Mattarella.
PRESSIONI DIETRO LE NOMINE. Non è un segreto che Moschini avrebbe spinto per Luciano Carta come nuovo numero uno delle Fiamme gialle, mentre Renzi ha preferito Giorgio Toschi, a quanto pare gradito anche a Gianni Letta e a Denis Verdini.
E allo stesso tempo non va dimenticato che Napolitano ha saputo imporre Alessandro Pansa come nuovo numero uno del Dis, anello di congiunzione tra Palazzo Chigi e i nostri servizi segreti.
QUEL MALEDETTO LIBRO BIANCO. In sostanza la guerra delle Forze armate continua e tocca i sempre più fragili equilibri delle correnti politiche che governano il Paese, in un settore così sensibile come questo tra le commesse milionarie della Finmeccanica di Mauro Moretti e di Fincantieri dove è in arrivo come presidente proprio Giampiero Massolo, uscito dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. 
Di sicuro la maggior parte delle polemiche ruota intorno al Libro bianco varato dal governo, che ha di fatto stabilito la predominanza dell’autorità politica nella scelta dei vertici militari.
Su quel libro hanno lavorato la stessa Pinotti, Mosca Moschini e pure Fausto Recchia, capo della segreteria del ministro e amministratore delegato della Difesa servizi Spa, la società creata ai tempi di Ignazio La Russa che dovrebbe valorizzare gli asset, marchi e terreni delle Forze armate.
PINOTTI CE LA FARÀ ANCORA? A quanto pare nell'inchiesta su Potenza dovrebbe essere ascoltato dai magistrati anche Recchia, che è stato pure consigliere politico di Arturo Parisi ai tempi del governo Prodi, dal 2006 al 2008.
«La Pinotti ha già superato il presunto scandalo sui voli di Stato alla fine del 2014», ha spiegato una persona informata che vuole mantenere l'anonimato, «ora mi pare che le polemiche e i dossier su di lei siano aumentati». 


Acqua pubblica - Alto Calore - il corrotto Pd dimostra ancora una volta il suo volto fatto di clan, clientele, consorterie, famigli, cordate

Alto Calore, eletto il presidente senza i capitribù

Il Pd passa la patata bollente. Ora si aspettano i progetti per il futuro

alto calore eletto il presidente senza i capitribu
Riconfermato Lello De Stefano. Si è astenuto anche GambacortaAvellino.  
Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima. E così il parapiglia nato intorno al nome del presidente di Alto Calore, si conclude con il risultato più paradossale di tutti. Non il più inaspettato. Ne abbiamo ascoltate davvero di tutte e i colori. E quindi la conferma di Lello de Stefano non ci fa proprio cascare dalle nuvole.

Insomma, ha prevalso anche stavolta la logica dei capitribù. O, meglio, i loro silenzio assenso.
ALTO CALORE: E' RIMASTO SOLO IL NOME
Con il silenzio di questa mattina a via Tagliamento, infatti, il Pd è riuscito a confermarsi, una volta ancora, un' eterogenea accozzaglia di personalismi, dove lo status dei protagonisti della contesa (i magnifici quattro in foto) pesa più degli interessi dei cittadini.
Poco importa se sul tavolo, come posta in palio, c'era e continua ad esserci la gestione del bene più prezioso della provincia irpina, l'acqua. E se le questioni da risolvere sono tante e incombenti: su tutti la montagna di debiti contratta negli anni da Alto Calore, l'esubero esorbitante di impiegati al suo interno, e sopratutto l'emergenza idrica con la quale la provincia potrebbe confrontarsi con l'estate ormai alle porte.
Nessuno in questi giorni ha parlato di un piano per concretizzare la gestione di un ente che si dovrà confrontare con l'arduo compito di assicurare la miglior fornitura possibile dei servizi idrici, non solo all'Irpinia ma a un distretto territoriale che ingloba anche il Sannio.
E ORA CHE SI FA?
Dubbi ribaditi anche dagli stessi sindaci in assemblea oggi. Il Pd aveva l'occasione di mostrarsi compatto prediligendo una soluzione diversa, magari proprio quella tecnica auspicata da Bonavitacola. Hanno preferito lavarsi le mani lasciando la patata bollente ad altri. Ora le mani che la gestiranno sono di nuovo quelle di De Stefano. Che ha sempre espresso la sua predilezione per la gestione privatistica dell'ente con la fusione con Gesesa scatenando un putiferio fra molti di quei sindaci che ora l'hanno votato. Insomma, dopo il tuoni del temporale la bonaccia, senza passare per alcuna tempesta.Gattopardescamente.

Andrea Fantucchio

PTV news 13 maggio 2016 - Dilma: lotterò contro il golpe

#No3GuerraMondiale - i governanti della Polonia e Romania si sentono soddisfatti di essere servi degli Stati Uniti attraverso la Nato

Scudo Usa in Polonia e Romania, Putin: costretti a reagire

Varsavia, 13 mag. (askanews) - Ieri l'inaugurazione del primo pezzo di scudo antimissile Usa in in Romania, oggi la prima pietra di una seconda struttura in Polonia: il sistema di difesa americano (e sotto l'egida Nato) prende forma in Europa dell'Est e la Russia promette di reagire. Lo ha fatto Vladimir Putin, annunciando misure per "porre fine alla minacce" rappresentate dalla struttura missilistica americana nell'Est europeo, a conferma dell'intenzione del leader del Cremlino di rilanciare. I rumours mediatici danno per probabile il dislocamento di batterie missilistiche Iskander-M nell'enclave russa di Kalinigrad, incuneata tra la Polonia e la Lituania: questi hanno una gittata sino a 500 chilometri e Varsavia è situata 280 chilometri più a Sud. La stessa base di Redzikowo da Kalinigrad dista solo 250 chilometri. Un vero scenario da guerra fredda.
"Anche se siamo entrati nella Nato anni fa, ora vediamo come la Nato stia entrando davvero in Polonia", si è compiaciuto il presidente polacco Andrzej Duda, prima della cerimonia di posa della prima pietra del nuovo impianto nella base aerea di Redzikowo, nel Nord del Paese. Come già a Deveselu, qui sarà dislocato un sistema di intercettori nell'ambito del più ampio progetto di scudo europeo sotto egida nato, previsto in piena operatività nel 2018.
Gli Usa e la Nato insistono che l'obiettivo è contrastare le minacce balistiche di corto-medio raggio (dai 300 ai 3.500 chilometri di gittata) dai cosiddetti "Paesi canaglia" come l'Iran, mentre la Russia è convinta di essere obiettivo prioritario del progetto. E oggi Putin è tornato a fare notare che le ragioni ufficiali non reggono più, dopo l'accordo con Teheran sul suo programma nucleare.
Obiettivo diretto o meno, la Russia si sente minacciata in termini di sicurezza, perchè le nuove strutture antimissile modificano l'equilibrio della deterrenza nucleare, riassunta ai tempi della guerra fredda nel concetto di Mutual Assured Destruction (Mutua distruzione assicurata, Mad): data la Mutua distruzione assicurata, non ci può essere un attacco.
"Certo, stiamo facendo tutto il necessario da parte nostra per il mantenimento di questo equilibrio strategico di potere che è la garanzia più affidabile contro la comparsa di conflitti militari su larga scala" ha dichiarato Putin. "Non possiamo permettere che ciò accada e non lo vogliamo". Per il presidente russo è anche una questione di non incassare senza rilancio, per cui, concorda la stampa russa, qualcosa sul piatto delle tensioni con gli Usa e la Nato dovrà per forza mettere.
Lo scudo antimissile americano era stato già motivo di forti tensioni all'epoca del presidente George Bush Jr, promotore del progetto. Poi Barack Obama ha promesso modifiche, le ha apportate, ma senza cambiare la sostanza per Mosca, che vede come fumo negli occhi l'avanzatissimo sistema di intercettazione aerea e missilistica già pronto in Romania e altrettanto per i 24 missili SM-3 e i sistemi anti-aerei di fabbricazione Usa destinati alla Polonia.
La struttura polacca "è un contributo al sistema di difesa missilistica della Nato", ha dichiarato il vicesegretario alla Difesa Usa Robert, presente alla cerimonia a Redzikowo. "Una volta completato, nel 2018, sarà in grado di difendere l'arco centrale e settentrionale della Nato".

#No3GuerraMondiale - la Nato continua a schierare sistemi missilistici, una volta era contro l'Iran e ora?!?!

Scudo Usa in Europa Est, Putin: costretti a bloccare minacce

Mosca, 13 mag. (askanews) - La Russia sta facendo tutto il possibile per mantenere un equilibrio strategico dei poteri e non permetterà la comparsa di eventuali conflitti militari su larga scala. Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin, evidentemente commentando gli elementi di Scudo Usa dislocati in Romania, a cui si dovranno aggiungere altre strutture in Polonia. Il capo del Cremlino ha aggiunto che chi ospita il sistema di difesa anti-missile dovrebbe capire: "hanno vissuto comodamente, ma ora siamo costretti a bloccare le minacce".
"Certo, stiamo facendo tutto il necessario da parte nostra per il mantenimento di questo equilibrio strategico di potere che è la garanzia più affidabile contro la comparsa di conflitti militari su larga scala" ha dichiarato. "Non possiamo permettere che ciò accada e non lo vogliamo", ha detto Putin durante un incontro con i vertici militari.
Putin ha inoltre sottolineato che la minaccia nucleare da parte dell'Iran, che prima giustificava i piani Nato, non c'è più, dopo l'accordo con Teheran sul suo programma nucleare, ma la creazione di un sistema di difesa missilistica degli Stati Uniti è ancora in corso.
Putin ha ricordato che il sistema di difesa missilistico in Romania è stato collocato sotto il pretesto "per la prevenzione di missili nucleari da parte dell'Iran".

Ucraina - la propaganda dei mass media occidentali è da criminali

SULLA LISTA DEI GIORNALISTI BANDITI DALL'UCRAINA

13/05/16 
Nel febbraio 2015 mi sono recato in Ucraina per un reportage sulla guerra nel Donbass. Regolarmente accreditato presso il Ministero degli Interni del governo di Kiev, per mezzo della cosiddetta tessera ATO, mi sono diretto verso la zona del fronte.
Dopo alcuni giorni trascorsi nel versante governativo ho deciso di trasferirmi nella parte separatista; per fare ciò sono salito su un normale autobus di linea e dopo aver oltrepassato senza problemi 3 check point gestiti da militari ucraini e 4 gestiti da milizie separatiste sono finalmente giunto a Donetsk.
Dopo due giorni trascorsi a Donetsk sono stato arrestato dalle forze di sicurezza della DNR in quanto trovato ad operare senza i documenti di accredito rilasciati dalle loro autorità e condotto nella base del battaglione Vostok. Dopo essersi accertati che non fossi una spia sono stato rilasciato con l’invito a munirmi della documentazione necessaria per continuare ad operare sul territorio da loro amministrato, cosa da me prontamente eseguita il giorno successivo.
Nei giorni seguenti ho attraversato altre due volte il confine tra le due amministrazioni in entrambi in casi senza alcuna conseguenza.
La pubblicazione della lista con i nomi dei giornalisti accreditati presso la DNR (v. articolo su repubblica.it) è un atto scriteriato oltre che illegale in quanto lesivo della privacy degli operatori dell’informazione.
Definire inoltre i giornalisti “collaboratori dei terroristi” denota un totale disprezzo della libertà di stampa e meriterebbe una denuncia per diffamazione da parte di tutti gli organi di stampa coinvolti.
Al di la di questo riprovevole episodio c’è da dire infine che numerosi di quei giornalisti inclusi nella lista, me compreso, risultano banditi dal suolo ucraino per periodi che vanno dai 3 ai 5 anni con conseguenti danni arrecati alla loro professione.
Spero che al più presto l’Unione Europea prenda provvedimenti nei confronti del governo di Kiev almeno con una richiesta di chiarimenti.
Giorgio Bianchi

Caro Giorgio, neanche a farlo apposta, leggo la tua lettera dopo aver appena intervistato l'ambasciatore ucraino a Roma. Le sue, come leggerete a breve, sono state parole di elogio verso l'Ucraina in termini di democrazia e libertà. Spero che il governo ucraino valuti a breve il gravissimo autogoal e ritorni sui suoi passi.
Andrea Cucco
(foto: Giorgio Bianchi)

Italia - i pilastri del paese devono poggiare sull'autonomia energetica Pulita (eolico offshore, rinnovabili in generale), industria ed agricoltura ma non fa parte del bagaglio dei cialtroni al governo ne del corrotto Pd

L’Italia è un Paese di bed&breakfast. Senza una politica industriale

  
di Francesco Bonazzi

L’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, che annuncia un ambizioso programma di produzione elettrica con il fotovoltaico, alla faccia dell’Enel. Francesco Starace, Ad del colosso elettrico, che si butta nella fibra ottica e fa concorrenza ai privati di Telecom Italia. Ferrovie dello Stato che, anziché scorporare la rete dal servizio viaggiatori e marciare più spedita verso la privatizzazione promessa, si lancia in un’improbabile fusione con l’Anas per dare vita a una centrale appaltante da far tremare i polsi. Finmeccanica che gira il mondo a vendere armi in totale autonomia e che ha appena piazzato una fornitura di Eurofighter al Kuwait, Paese sospettato non solo dagli Stati Uniti di fare il doppio gioco con l’Isis. L’Ilva espropriata alla famiglia Riva e affidata a commissari che non ne vengono a capo e aspettano il cavaliere bianco straniero. Tutte facce di una stessa medaglia, la totale assenza di una politica industriale comprensibile. Come se un Paese che è ancora miracolosamente l’ottava economia del Pianeta potesse campare di agricoltura e turismo.

ORDINE SPARSO – A due anni dalla tornata di nomine nelle principali aziende pubbliche, voluta da Renzi all’insegna del cambiamento e delle quote rosa, la sensazione è che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sia totalmente tagliato fuori, e che più o meno lo stesso valga per il ministero dello Sviluppo economico, dov’è appena arrivato Carlo Calenda. Ma anche Palazzo Chigi controlla poco le persone che ha nominato. L’unico che finora ha dimostrato di meritare, numeri alla mano, la fiducia accordata è il gran capo di Poste Italiane, Francesco Caio, che ha portato il gruppo in Borsa con successo. Ma la sua nomina fu voluta da Enrico Letta e Giorgio Napolitano. E Caio è rimasto molto autonomo. Stesso discorso per Mauro Moretti, spostato da Fs a Finmeccanica, che come dicono al ministero dell’Economia, “se il Governo gli dice di fare una cosa, lui fa il contrario”. All’Eni, Descalzi ha avuto un’iniziale copertura di Renzi sulle inchieste giudiziarie, ma ora la pressione delle toghe è minore e da qualche tempo il Cane a sei zampe ha ripreso a fare quello che ha sempre fatto: comportarsi come un’entità a parte. E l’intervista di ieri del suo capo al Corriere della Sera, in cui si annunciava la svolta sulle energie rinnovabili, conferma che ha mille progetti, tutti molto autonomi. Alcuni sono un’evidente sfida all’Enel, ma del resto non sarebbe la prima volta che i due colossi energetici si pestano i piedi. E poi se Renzi costringe Enel a intervenire nella partita della fibra ottica, che si vuole giocare in campagna elettorale, il segnale è che tutto è permesso.
CONSIGLIERI – Già, ma adesso che l’ex ad di Luxottica Andrea Guerra ha lasciato Palazzo Chigi, e visto che i ministri contano poco o nulla, con chi si confronta Renzi quando deve prendere decisioni di politica industriale? I maligni dicono che il suo consigliere occulto sia Sergio Marchionne, il gran capo di Fca al quale Renzi ha consentito una fuga soft dall’Italia, in cambio dell’appoggio dei suoi giornali al governo. Poi c’è l’ex McKinsey Yoram Gutgeld, di stanza a Palazzo Chigi come consigliere economico, che però è più forte sui temi macroeconomici anche se non disdegna i rapporti con le banche d’affari. Ma soprattutto c’è il banchiere Claudio Costamagna, issato sulla tolda di Cassa Depositi e Prestiti dal premier e vero depositario di tutte le (confuse) istanze di intervento statale nell’economia. La Cdp dovrebbe custodire il risparmio postale degli italiani e investire in modo prudente nelle infrastrutture. E invece rischia di diventare il bancomat del Governo, come dimostra il salvataggio di Saipem.

Milano elezioni - Il bugiardo Sala non ha titolo per candidarsi, le sue bugie sono enormi e gravi


Sala inadeguato e bugiardo: Expo? Una voragine da 400 milioni



Milano 14 Maggio – In riferimento all’Expo Sala aveva dichiarato “I conti tornano. Chiunque metta in dubbio il successo di Expo, fa disinformazione”. Ma l‘obiettività dei conti parla di una musica ben diversa e, a ben vedere, ridimensiona le capacità del manager Sala e la sincerità dell’uomo. Con una disamina puntuale Fabio Rubini su Liberoquotidianodimostra che i conti finali sono pesantemente in rosso. Ne proponiamo l’Articolo:

“A distanza di quindici giorni, in effetti, a leggere il documento di liquidazione della società Expo Spa, abbiamo fatto un bel salto sulla sedia. È accaduto quando l’occhio è caduto sui 406,8 milioni di euro di «debiti ancora da liquidare a fine 2015». E la mente è corsa a quando lo stesso Sala disse (il 23 dicembre 2015 al Fatto e il 20 gennaio 2016 durante un confronto con gli altri candidati) che il bilancio dell’Expo non sarebbe stato in rosso.

Il documento, invece, dice il contrario. Per la precisione spiega poi che sui 406,8 milioni di rosso, 148,8 sarebbero compensati da crediti di pari importo verso gli stessi soggetti, per un rosso totale di 258 milioni. Una cifra ascrivibile ai debiti verso fornitori (al 18 febbraio ne erano stati pagati 59 milioni). Fornitori che hanno creduto in Expo e che ora si vedono presi per la gola. Più di un’azienda, come Libero ha più volte documentato, a seguito dei ritardi nei pagamenti ha dovuto portare i libri in tribunale, altre hanno dovuto ricorrere a cassa integrazione e a licenziamenti. E non è tutto, perché nel documento non sono comprese le possibili controversie cui Expo può andare incontro, come ad esempio la difficile trattativa con i gestori dei parcheggi esterni che non sono minimamente rientrati dall’investimento e che chiedono risarcimenti milionari. E ancora i costi di smantellamento e di bonifica del sito, non ancora quantificati del tutto. Numeri e contenziosi che spiegano anche il nervosismo crescente di Sala, che ai numerosi errori di compilazione dei documenti e al caso spinoso della sua possibile incandidabilità, deve ora aggiungere i debiti sempre negati, ma messi nero su bianco dai liquidatori, di Expo Spa.

Tornando al documento di liquidazione si legge poi che complessivamente (vale a dire dal 2009 a fine 2015) l’Expo è costato 2.254,7 milioni di euro così ripartiti: 1.258,7 milioni di contributi pubblici, 944 milioni di ricavi gestionali e 168,9 milioni di ricavi vari. Capitolo crediti: a fine

2015 erano 279,3 milioni, non tutti esigibili. Per questo è stato accantonato un fondo di svalutazione pari a 59,7 milioni. I restanti 219,6 sono compensati per 148,8 dai debiti nei confronti dei medesimi soggetti. Mentre i crediti netti esigibili ammontano a 70,8 milioni (32,9 già incassati al 18 febbraio).

Capitolo biglietti: in totale ne sono stati emessi (non venduti) 21.476.957, di cui 5.432.090 solo con gli ingressi serali a 5 euro. Facendo un rapido calcolo per pareggiare i conti dell’Expo solo con la vendita dei biglietti il costo medio di un solo tagliando avrebbe dovuto essere di più di 100 euro. Cifra ovviamente improponibile per una kermesse popolare come l’Esposizione Universale. A parziale consolazione di Sala restano i 23 milioni di patrimonio netto che i più ottimisti salutano come un grande risultato.

Come detto i numeri sopra descritti smentiscono le previsioni trionfali di Sala. Previsioni fatte un po’ incautamente. Nessuno, infatti, né prima né durante, né dopo la manifestazione, aveva preteso dal commissario unico Giuseppe Sala un bilancio in pareggio o addirittura in utile. Ma è stato proprio lui, con le sue dichiarazioni un po’ frettolose, a generare un’aspettativa sui conti che invece è andata delusa.

Ultima postilla: questi numeri sono ancora parziali. La partita dei costi dell’Esposizione universale si chiuderà solo con la definitiva liquidazione di Expo Spa. Solo allora capiremo veramente a quanto ammonta il «buco» dell’Esposizione Universale targata Beppe Sala. confermata la teoria secondo la quale Sala sarebbe ancora nei suoi pieni poteri di commissario, sancirebbe non solo la sua ineleggibilità, ma anche la sua incandidabilità con decadenza immediata sua e delle liste che lo appoggiano. (…)

DIEGO FUSARO: Il capitale distrugge la famiglia. Hegel e la comunità fam...

venerdì 13 maggio 2016

Clima&inquinamento - non è salutare vivere in città

Allarme inquinamento, le città sono sempre più insalubri
Il nuovo rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità svela che l’inquinamento è aumentato dell’8% a livello globale negli ultimi cinque anni


(Foto: Dirk Meister/Getty Images)

Gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità sono tornati a parlare. E le novità sono piuttosto allarmanti: stando all’ultimo aggiornamento del Global Urban Ambient Pollution Database, il rapporto contenente i dati relativi all’inquinamento urbano misurato in 3mila città in 103 diverse nazioni, infatti, oltre l’80% delle persone che vivono nelle aree urbane in cui si esegue il monitoraggio è esposto a livelli di inquinamento che eccede lesoglie di sicurezza. Il problema riguarda tutte le regioni del mondo e in particolare modo le città più povere e disagiate, quelle del Medioriente, del Sud-Est asiatico e del Pacifico occidentale.

“L’inquinamento dell’aria è la più grande causa di malattia emorte”, ha commentato Flavia Bustreo, assistente direttore generale del Family, Women and Children’s Health dell’Oms.“Quando l’aria insalubre avvolge le nostre città urbane, la parte più vulnerabile della popolazione – i più giovani, i più anziani e i più poveri – è quella più colpita”. Stando ai nuovi dati, i livelli di particelle più piccole di 2,5 micron (i famigerati Pm2.5) sono particolarmente alti in India, nazione che ospita ben 16 tra le 30 città più inquinate al mondo. In Cina la situazione sembra essere leggermente migliorata – nella top 30 ci sono solo cinque città. Per quanto riguarda i Pm10, particelle di 10 micron di diametro, leggermente meno pericolose dei Pm2.5, le nazioni più inquinate sono India, Nigeria, Arabia Saudita e Pakistan.

Il triste primato di città più inquinata al mondo va a Onitsha, grande porto commerciale della Nigeria sudorientale, in cui si sono registrati livelli di Pm10 di circa 600 microgrammi per metro cubo. Tanto per rendere l’idea, la soglia di sicurezza raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità è di 20 microgrammi per metro cubo. Anche le principali città italiane, purtroppo, non se la cavano troppo bene: a Roma, Milano, Torino e Napoli, infatti, i livelli di Pm2.5 e Pm10 sono oltre le soglie di sicurezza. Ecco i dati:

Roma
Pm2.5: 19 µg/m3
Pm10: 29 µg/m3

Milano
Pm2.5: 30 µg/m3
Pm10: 37 µg/m3

Torino
Pm2.5: 16 µg/m3
Pm10: 24 µg/m3

Napoli
Pm2.5: 20 µg/m3
Pm10: 35 µg/m3

Pd corrotto - un governo del fare soprattutto con il malaffare, e ogni tanto costretto a perdere qualche pezzo

Povero Renzi, ogni ministro un pasticcio
Boschi, Delrio, Guidi: scandali e veleni martellano a ripetizione tutto l'esecutivo. Rapporto complicato, quello tra Renzi e i giudici

Massimo Malpica - Gio, 12/05/2016 -

Rapporto complicato, quello tra l'esecutivo e i giudici da quando Matteo Renzi è a Palazzo Chigi.


L'ultimo episodio in ordine di tempo è lo «schiaffo» arrivato dalla procura di Potenza, con la convocazione «a sorpresa» del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, per essere ascoltato dai pm titolari dell'inchiesta sul petrolio in Lucania, proprio in concomitanza con il consiglio dei ministri. Renzi ha abbozzato, ostendando nonchalance, ma le incursioni delle toghe sul suo governo, con effetti - diretti o collaterali - sui suoi ministri, sono state tante, e non sempre indolori. Ne sa qualcosa Maurizio Lupi, costretto a dimettersi dal Mit anche se non indagato a marzo dello scorso anno per l'inchiesta sulle Grandi opere della procura di Firenze che ipotizzava episodi corruttivi nei lavori per la Tav. A mettere all'angolo l'ex ministro delle infrastrutture e trasporti soprattutto le intercettazioni, in cui si parlava di orologi e vestiti regalati a Lupi e a suo figlio, e i rapporti con il grande burocrate dei lavori pubblici, Ettore Incalza, al quale, secondo i pm, il ministro (che ha sempre rivendicato la correttezza del suo operato) avrebbe chiesto una mano per trovare un lavoro al figlio. Nella bufera fino alle dimissioni, più recentemente, c'è finita anche Federica Guidi, fino al mese scorso titolare del ministero dello Sviluppo Economico.

A costringerla al passo indietro, anche qui, l'imbarazzo per le intercettazioni telefoniche nell'inchiesta sul petrolio di Tempa Rossa, in Lucania, che pure non la vede tra gli indagati. In particolare le telefonate tra il ministro e il compagno, Gianluca Gemelli, indagato, nelle quali i due fanno riferimento a un emendamento che per la procura avrebbe favorito le società petrolifere per le quali Gemelli intendeva lavorare con le sue aziende. Sull'emendamento, peraltro, la Guidi dice che è d'accordo nel riproporlo anche Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme, che sul punto è già stata ascoltata dai pm di Potenza come persona informata sui fatti, ribadendo la correttezza del suo operato. Pochi mesi fa, sempre la Boschi s'era trovata al centro delle polemiche in seguito al crac di Banca Etruria - della quale suo padre Pierluigi era stato vicepresidente - e al conseguente decreto salvabanche varato dal governo che aveva inguaiato i risparmiatori. Mentre la procura di Arezzo indagava sul management della banca (compreso suo padre, da marzo indagato per bancarotta fraudolenta con gli ex colleghi del cda), il ministro a dicembre aveva difeso se stessa e la sua famiglia in Aula, prima del voto sulla mozione di sfiducia presentata contro di lei dal M5S (e respinta). Anche il successore di Lupi al Mit, Graziano Delrio, ha avuto grattacapi a margine dell'inchiesta «Aemilia» della procura di Bologna, sulle infiltrazioni della 'ndrangheta al nord. Delrio, non indagato, fu sentito dalla Dda come persona informata sui fatti a fine 2012, da sindaco di Reggio Emilia, per un suo viaggio di tre anni prima in Calabria, a Cutro, paese del boss Nicolino Grande Aracri, e città natale di molti emigrati nel Reggiano. Episodio tornato attuale grazie a un'intercettazione dell'inchiesta sul petrolio di Potenza, dove uno degli indagati, Valter Pastena, parla al compagno della Guidi, Gemelli, di un «dossier» sul ministro: «Finito sto casino usciranno le foto di Delrio a Cutro con i mafiosi». Anche tra i sottosegretari c'è chi ha problemi con la giustizia. Come Vito De Filippo, indagato dai pm di Potenza per Tempa Rossa (ma sarebbe prossima l'archiviazione), o come Giuseppe Castiglione, indagato per il centro d'accoglienza di Mineo. Quello sul quale, secondo il ras delle coop Salvatore Buzzi, sarebbe potuto «cadere il governo».

Bernie Sanders - ha sdoganato il termine socialismo toccando anche punti sostanziali contro il neoliberismo

Primo piano
Usa. Primarie: Sanders vince in West Virginia, ‘lotterò fino all’ultimo delegato’
11 maggio 2016

di Guido Keller –



Le primarie democratiche nel West Virginia sono state vinte da Bernie Sanders con il 51% dei voti, contro il 37% di Hillary Clinton.
A pesare nello stato Usa sono state le uscite della Clinton contro l’industria di estrazione del carbone, uno degli assi portanti dell’economia locale, mentre Sanders è riuscito a fare suoi i voti dei minatori e dei loro famigliari.
Clinton continua comunque ad essere nettamente in vantaggio sul numero di delegati, 1.600 circa contro 1.500, ma per la nomination è necessario arrivare alla soglia dei 2.383 delegati su 4.764.
Dall’Oregon, dove si trova in vista della votazione del 17 maggio, Sanders ha comunque ammesso che la sua campagna “deve arrampicarsi su una salita ripida”, pur ribadendo l’intenzione di “combattere per ogni voto in Oregon, Kentucky, California e i due Dakota”.
Parlando della necessità di tenere unito il partito, il senatore socialista del Vermont ha affermato che “Ho un messaggio per i delegati a Filadelfia. Se con Hillary Clinton abbiamo molte differenze, su una cosa siamo d’accordo: dobbiamo sconfiggere Donald Trump”, “Trump non diventerà presidente perché il popolo americano sa che la nostra forza è la diversità”.
I prossimi appuntamenti per Sanders e Clinton sono il 17 maggio in Oregon, il 24 maggio nello stato di Washington e il 7 giungo in California, Montana, New Jersey, New Messico, South Dakota e North Dakota.
Dalla parte repubblicana Trump è ormai il solo in corsa, dopo che gli altri candidati si sono ritirati: gli ultimi Ted Cruz, stracciato in Indiana da Trump con 52 delegati su 57 il 4 maggio, e John Kasich il giorno dopo. L’eccentrico miliardario ha preso i delegati in palio in West Virginia, anche lì puntando sui produttori del carbone, e in Nebraska, dove ha aggiunto i 36 delegati alla sua quota destinata a raggiungere i 1.237 delegati per la nomination del Grand Old Party.
Per lui i prossimi appuntamenti sono il 17 maggio in Kentucky e Oregon, il 7 giugno in California, Montana, New Jersey, New Messico, North Dakota e South Dakota, e il 14 giugno a Washington D.C.

Mass Media - i giornali italiani al servizio delle banche

“Quotidiani influenzati dalle banche”: Zingales spara sulla stampa

I quotidiani italiani sono influenzati dalle banche? Se lo chiede in un report Luigi Zingales. E la risposta è sì. Ecco perché




I quotidiani italiani sono influenzati dalle banche? Se lo chiede in uno report Luigi Zingales, professore della University of Chicago Booth School of Business e firma di alcuni giornali.

La risposta alla domanda, a quanto pare, è sì: tanto più i giornali sono indebitati e tanto più parlano bene di Atlante (il fondo d'investimento che servirà a sostenere le banche italiane nelle proprie operazioni di ricapitalizzazione) e male dellariforma delle Popolari. In linea con i grandi istituti del Paese e in direzione opposta alla stampa internazionale.

La versione della stampa italiana (e delle banche) è sul piatto opposto della bilancia rispetto aigiornali esteri. Più delle parole può un grafico. L'Italia è rappresentata dai blocchi verdi: come si nota, l'atteggiamento nei confronti di Atlante (a sinistra) èestremamente positivo. Quello nei confronti del decreto Popolati (a destra) scende sotto lo zero. I giornali esteri sono in blu. E l'orientamento è esattamente opposto.


Fin qui, l'evidenza di una visione comune tra quotidiani italiani e banche. Perché? Ci sono alcuni giornali con istituti nell'azionariato, certo. Ma Zingales va oltre. Parte da una tabella che registra se un giornale guadagna (vedi Roe) e quanto leverage abbia (cioè quanto sia dipendente dai capitali altrui). Su dieci testate, sei (Corriere della Sera, Sole24Ore, Il Messaggero, Il Giornale, Libero e Il Mattino) hanno un Roe negativo e quattro (Repubblica, QN, La Stampa e Il Fatto Quotidiano) positivo.

Il dato più interessante è però quello sulla leva. La classifica dei più indebitati è guidata da Il Giornale, seguito da QN e Corriere della Sera.


E' bastato incrociare diagramma e tabella per scoprire una certa relazione tra il livello di indebitamento (con le banche) e la comunanza di visione (con le banche). Questo primo grafico riguarda il decreto Popolari. La linea blue è la valutazione media della stampa estera. Tutti i quotidiani di casa nostra sono più scettici (la linea verde è la loro media). Più si scende in basso e più la critica aumenta. I più aspri sono quindi Corriere e Giornale, tra i più indebitati.



Altro grafico e cambio di scenario. Questa volta i dati di Zingales prendono in considerazione la linea tenuta nei confronti del fondo Atlante. I trattini blu indicano sempre l'appoggio (scarso) dei giornali esteri. Questa volta la linea blu è molto al di sotto della verde. I quotidiani italiani sono stati tanto duri con il decreto Popolari quanto morbidi nei confronti del fondo salva-banche.

E qui le relazioni, oltre all'indebitamento (come nel caso del Corriere), pesano. A sottolinearlo è lo stesso Zingales. Il Messaggero e Il Mattino sono poco indebitati, ma “sono proprietà di Caltagirone, industriale con un'ampia partecipazione in Unicredit, una delle due maggiori banche del Paese. Editoriale è controllata dalla famiglia De Benedetti, che durante il periodo di questa analisi ha avuto un negoziato con le banche per un'altra sua controllata (Sorgenia)”. Secondo il professore, c'è solo un giornale che “non dipende dalle banche”, perché non ha leverage elevato né istituti nel capitale: Il Fatto Quotidiano.



Questo non indica, spiega Zingales, la certezza di una relazione causa-effetto. Però è innegabile che, qualsiasi sia l'origine della linea editoriale, “più un quotidiano è indebitato e più sembra concordare con le banche”: “I dati non sono sufficienti, ma ci sono alcuni indizi di come le banche influenzino i giornali italiani”. Come? La risposta non è semplice come potrebbe sembrare. “Mentre è plausibile che le banche mettano pressione sui direttori, è difficile immaginare che giornalisti seri cambino idea per ordine del proprio direttore”. L'influenza arriverebbe in modi che il report definisce “sottili”. 

Primo: “L'influenza si esercita sulle fonti”. Se quelle abituali stanno dalla stessa parte, anche la linea del giornale ne risentirà. E' una possibilità, che però, aggiunge Zinglese “non spiega la differenza tra i giornali italiani e quelli esteri”. Ecco allora la seconda opzione, più verosimile. “I direttori selezionano le opinioni da pubblicare in base a pressioni implicite o esplicite da parte delle banche”. Manovra che non obbliga nessuno a cambiare idea. Zingales cita un esempio che riguarda il Corriere della Sera: “Ho notato che due commentatori abituali del Corriere hanno espresso opinioni negative sul Atlante su quotidiani esteri e magazine online, ma non hanno pubblicato alcun articolo sul Corriere che riguardassero il fondo”. In pratica il professore accusa via Solferino di aver “selezionato i commentatori per scrivere articoli con tagli pro-banche”.

Banca Etruria - questa banca che non rispondeva ai risparmiatori ma ai massoni e agli amici dei massoni

Banca Etruria – pian piano emergono le responsabilità del crac e delle truffe

Giorno per giorno emergono notizie che aiutano a chiarire il quadro relativo alle responsabilità del crac Banca Etruria e di quelle che paiono sempre di più delle vere e proprie truffe ai danni di cittadini risparmiatori/investitori. Era lecito attenderlo e necessario che avvenisse, anche considerando il fatto che è un diritto dei truffati conoscere i […]

Gianni Brunacci

13 maggio 2016



Giorno per giorno emergono notizie che aiutano a chiarire il quadro relativo alle responsabilità del crac Banca Etruria e di quelle che paiono sempre di più delle vere e proprie truffe ai danni di cittadini risparmiatori/investitori.

Era lecito attenderlo e necessario che avvenisse, anche considerando il fatto che è un diritto dei truffati conoscere i meccanismi che hanno portato alla situazione attuale.

Intendiamoci, le indagini e i procedimenti in corso sono ancora all’inizio, ma nonostante questo comincia a delinearsi un quadro a tinte fosche. Un dipinto complesso che racconta di una banca già in grave difficoltà nel 2012; di rimedi impropri (e alla fine comunque inefficaci) posti in essere contando sulla fiducia che il crac non sarebbe mai arrivato; dell’uso di pratiche scorrette nei confronti di ignari cittadini in buona fede; di conflitti di interessi a molti zeri; di fidi concessi con troppa facilità a chi non li meritava e anche di emolumenti o liquidazioni scandalosamente alti, sopratutto vista la situazione dell’istituto.

Ormai non ci stupiamo più di niente, anche vedendo che a Vicenza si stava e si sta peggio che ad Arezzo (a proposito: c’è ancora chi rimpiange il mancato matrimonio tra due banche alla canna del gas?).

Certo, non si possono dimenticare facilmente certi volti dalle espressioni arroganti di qualche dirigente di spicco. E da umile osservatore delle cose aretine, non dimentico nemmeno le “convocazioni” presso la sede della banca in veste di testimone del sentire dei cittadini nei confronti dell’istituto di via Calamandrei. Avveniva, oggi lo so, in momenti in cui la crisi era già pesantissima, forse irreversibile.

Le indagini e i procedimenti proseguiranno ancora a lungo e speriamo che alla fine a pagare legalmente siano i veri responsabili di un crac che ha privato il territorio del necessario appoggio costituito dalla Banca di riferimento.

Intanto c’è un altro soggetto, oltre ai singoli risparmiatori truffati, che paga questa situazione anomala, ed è l’intera comunità aretina, la quale non può comunque fare a meno di chiedersi se l’andamento della propria Banca non sia stato figlio delle stortura di una economia basata su molti falsi numeri e grandi inciuci tra ex potentati locali, imprenditori, amministratori o funzionari che fossero.

E’ triste anche pensare che negli anni sono stati molti coloro che si sono visti negare piccoli prestiti mentre qualcuno si appropriava ingiustamente di milioni di euro con assoluta nonchalance.

Banca Etruria - Truffano e non gli sequestrano neanche la liquidazione, conflitti d'interessi anche in magistratura?!?!

Banca Etruria, il riesame respinge il ricorso della procura di Arezzo

12 maggio 2016 

Tribunale del riesame di Arezzo ha respinto il ricorso presentato dalla Procura di Arezzo per il sequestro integrale della liquidazione disposta dal Cda della vecchia banca nel giugno 2014 nei confronti dell’ex dg Luca Bronchi. La procura aveva chiesto il sequestro di tutta la liquidazione, ossia 700 mila euro netti che corrispondono a un lordo di 1,2 milioni con le tasse, e non solo di una parte come invece disposto dal gup Annamaria Loprete in fase di udienza nell’ambito del processo che vede lo stesso Bronchi, insieme all’ex presidente Giuseppe Fornasari e al dirigente Davide Canestri, accusati di ostacolo alla vigilanza. Alla richiesta della procura per il sequestro integrale si era opposta la difesa rappresentata dall’avvocato Antonio Bonacci. 

Fonte: ANSA

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Infrastrutture digitali - 5G - l'Italia non è indietro è il governo che deve liberare le frequenze che dorme

Italia all'avanguardia per 5G, collaborazione Ericsson-Sant'Anna

La prossima frontiera delle reti mobili e l'"internet delle cose"

Italia all'avanguardia per 5G, collaborazione Ericsson-Sant'Anna



Roma, (askanews) - La prossima frontiera delle reti mobili si chiama 5G ma, a differenza delle generazioni precedenti, rappresenta un cambiamento strutturale nel mondo delle comunicazioni. Integrando all'elettronica la fotonica, oltre a una maggiore velocità di navigazione, il 5G permetterà di mettere in connessione tra loro gli oggetti, per quella che viene ormai ribattezzata l'internet delle cose, come spiega Roberto Sabella direttore centro ricerca e sviluppo di Ericsson:

"Vuol dire sostenere capacità di comunicazione dati enorme, dare la possibilità di reagire prontamente allo stimolo, pensate al caso in cui un operatore voglia controllare un robot che sta facendo un'operazione rischiosa, questa persona deve avere un controllo tattile dei bracci meccanici del robot e delle azioni che può fare".

Il centro ricerca di Ericsson è in prima fila nello sviluppo della rete 5G, grazie alla collaborazione con la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, che mette a disposizione, tra l'altro, il Centro per le Tecnologie Fotoniche, una camera bianca da 12 milioni di euro, realizzata con il contributo della Regione Toscana, per la realizzazione dei chip fotonici.

Giancarlo Prati, direttore dell'Istituto di Tecnologie della Comunicazione, dell'Informazione e della Percezione del Sant'Anna: "E' una cosa che consente alle aziende di accedere a una tecnologia che l'Ue ha dichiarato essere del XXI secolo, una delle tecnologie che cambierà in qualche modo la realtà quotidiana".

Energia Pulita - Renzi ama l'energia sporca delle trivelle mentre le comunità locali volano verso l'energia pulita che diventa sempre più competitiva

Ambiente
Comuni 100% rinnovabili? In Italia sono 39
di Monica Straniero 

A dirlo è il rapporto Comuni Rinnovabili 2016 di Legambiente, realizzato con il contributo di Enel Green Power. Un dossier che racconta il successo delle fonti pulite nel territorio italiano, con tutti i numeri e le 150 buone pratiche del territorio

Sono 39 i Comuni italiani “100% rinnovabili” dove le energie pulite soddisfano tutti i consumi e riducono le bollette di cittadini e imprese.

È quanto emerge dal rapporto Comuni Rinnovabili 2016 di Legambiente, realizzato con il contributo diEnel Green Power, presentato a Roma, nel corso di un incontro presso la sede del GSE. Il dossier racconta il successo delle fonti pulite nel territorio italiano, con numeri e buone pratiche (sono oltre 150 quelle raccolte sul sito dedicato) che descrivono il grande cambiamento avvenuto nel territorio italiano. In 10 anni la crescita delle fonti rinnovabili ha portato il contributo rispetto ai consumi dal 15 al 35,5%, grazie a un modello di produzione distribuito nel territorio con oltre 850mila impianti diffusi in tutte le regioni, dalle aree interne alle grandi città. In 2.660 Comuni l’energia elettrica pulita prodotta supera addirittura quella consumata.


Premiato il Comune di Val di Vizze (BZ) per aver raggiunto il traguardo del 100% rinnovabile grazie a un mix di cinque tecnologie da fonti rinnovabili distribuite nel territorio. Mentre il premio buona pratica è andato al piccolissimo Comune di San Lorenzo Bellizzi, situato all'interno del Parco del Pollino. La novità del 2016 è il premio Parchi rinnovabili nato dalla collaborazione tra Legambiente eFederparchi al fine di favorire le buone pratiche ecologiche all'interno del sistema delle aree protette italiane.

Insomma, l’Italia è energeticamente sempre più indipendente dall'estero grazie agli investimenti nelle risorse rinnovabili presenti nel territorio, dal vento al sole, alle biomasse. Uno studio realizzato da Assorinnovabili sottolinea che il costo dell’energia rinnovabile è già più basso del costo dell'energia prodotta con combustibili fossili se si considerassero anche le esternalità negative, vale a dire i cambiamenti climatici, costi sanitari e ambientali. Vantaggi anche sul fronte occupazionale. Secondo il rapporto, sono 82mila, secondo Eurobserver, gli occupati creati nelle fonti rinnovabili in questi anni.

Solo pochi giorni fa, e con un ritardo di 16 mesi, la Commissione ha dato il via libera al decreto rinnovabili non Fotovoltaiche, in quanto conforme alle norme europee sugli aiuti di Stato. Obiettivo:aumentare la capacità di generazione da fonti rinnovabili di circa 1300 megawatt e aiutare l'Italia a raggiungere i suoi target di energia rinnovabile previsti dall'UE. “Ma per far ripartire gli investimenti e arrivare al 50% delle rinnovabili entro fine legislatura sul totale dell'energia elettrica, come auspicato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, è necessario cancellare le barriere all’autoproduzione, che, in particolare dopo la riforma delle tariffe elettriche, impediscono al condominio e al distretto produttivo, alle famiglie e alle imprese di utilizzare energia autoprodotta da fonti rinnovabili”, ha dichiarato il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini. «Investimenti che peraltro sarebbero a costo zero, e per questo occorre introdurre regole semplici e trasparenti per l’approvazione dei progetti, spingendo gli investimenti attraverso innovazioni nel mercato elettrico e negli incentivi, nelle reti energetiche. La rete elettrica è, infatti, la spina dorsale del sistema e la condizione per garantire sicurezza nelle gestioni di flussi di energia discontinui e bidirezionali su scala locale, nazionale, internazionale».


Come far dunque ripartire il trend e arrivare al 50 % rinnovabili entro la fine dell’anno? Stimolare la crescita delle fonti rinnovabili elettriche anche a livello micro. Parola di Guido Bortoni, Presidente Autorità per l’energia, il quale sottolinea come la riforma della tariffa domestica e la possibilità data agli utenti di modulare con più libertà la potenza impegnata, abbiano di fatto l’obiettivo di dare un forte impulso alle rinnovabili. «E non mi riferisco solo ai pannelli fotovoltaici ma anche alle pompe di calore che rappresentano una forma di consumo elettrico che ha una componente di rinnovabili».

Dal canto suo Francesco Sperandini, presidente GSE, interviene sulla questione degli incentivi. Il decreto appena approvato dall’UE prevede infatti incentivi applicabili a tutte le forme di energie rinnovabili con l’esclusione del fotovoltaico: «Di solito gli incentivi hanno natura transitori se il mercato dimostra che gli impianti restano in piedi da soli senza bisogni di ulteriori sussidi. Quello che è necessario fare adesso è invece puntare su soluzioni efficienti. Ad esempio montare sistemi fotovoltaici lì dove c’è il consumo. Perché la green economy non è solo energie rinnovabili ma anche un nuovo modo di fare impresa grazie all'efficienza energetica Si potrebbe anche pensare a soluzione alternative, come concedere incentivi non monetari al fine di garantire maggiore trasparenza, fluidificare la democrazia e facilitare l’istallazione anche di un semplice pannello sul tetto».

Per l’amministratore delegato di Enel Green Power Francesco Venturini, la multinazionale italiana dell'energia sta puntando invece sul futuro dell’energia eolica. «Negli ultimi mesi le rinnovabili hanno raggiunto prezzi record dimostrando un livello di competitività sempre più elevato rispetto alle tecnologie convenzionali. Questi dati confermano il fermento che abbraccia questo settore ed evidenziano i potenziali margini di ulteriore miglioramento nel medio-lungo termine. Ma quello che manca è un sistema di regole condivise a livello europeo in grado di stabilizzare la politica energetica a livello nazionale e attrarre gli investitori. Abbiamo poi bisogno di tanta innovazione tecnologica. In Italia buona parte dei parchi di impianti eolici sono vecchi e a breve andranno sostituiti con altri più efficienti».

Per Antonella Battaglini, del Potsdam Institute for Climate Impact Research e fondatrice della Renewables Grid Initiative, per facilitare lo sviluppo delle rinnovabili è necessario anche creare una rete infrastrutturale smart, capace di integrare la produzione di tutte le energie rinnovabili oggi a disposizione indipendentemente da dove siano localizzate e nel pieno rispetto dell’ambiente. «Non solo, se vogliamo creare posti di lavoro e beneficiare della transizione energetica c’è anche bisogno di trasparenza e chiarezza nei confronti dei cittadini e degli investitori».

Ma tutto a suo tempo. «Per affrontare senza troppi scossoni l'attuale fase di transizione energetica, bisogna lavorare sul capacity market, che dovrebbe essere operativo dal 2017», aggiunge Bortoni. «In una situazione di sovracapacità fossile, il meccanismo del capacity market introduce infatti un segnale economico per chiudere o razionalizzare gli impianti più inefficienti. In questo modo l’integrazione delle rinnovabili nel mercato elettrico avverrà in modo progressivo fino al punto in cui diverranno maggioritarie. Perché nel frattempo è necessario smaltire il ciclo di investimenti precedenti e gli oneri che il sistema degli incentivi ha generato. Costi di sbilanciamento che per ragioni di equità ritengo debbano essere sopportati nella bolletta da tutti i cittadini anche da coloro che fanno fotovoltaico in autoconsumo con i sistemi efficienti di utenza (Seu), fatto salvo quei casi in cui il Seu ha specifiche finalità di interesse pubblico».

A chiusura del convegno, Venturini ha spiegato i vantaggi degli impianti ibridi per l'energia alternativa. «Tentare di integrare tecnologie diverse per sfruttare le opportunità dell’energia solare con quella eolica è la nuova frontiera delle rinnovabili che avrà impatti significativi sull’aumento della produzione. Dal nuovo decreto Fer sugli incentivi agli investimenti sulle rinnovabili non fotovoltaiche da effettuare dal 2017, ci aspettiamo quindi maggiore sostegno a tali iniziative di rinnovamento che porterebbero a un migliore sfruttamento delle risorse (vento e suolo)».

Energia pulita - Renzi ama l'energia sporca delle trivelle, la Germania ha punti di energia pulita in esubero

Troppa energia rinnovabile, bollette in negativo in Germania
Gli utenti pagati per consumare elettricità.

[ZEUS News - www.zeusnews.it - 12-05-2016]



Lo scorso 8 maggio è stato una data importante per le fonti di energia rinnovabili, che hanno dimostrato di poter soddisfare pressoché l'intero fabbisogno energetico di un Paese come laGermania.

Era una bella domenica soleggiata e ventosa, e le centrali eoliche e solari, insieme a quelle idroelettriche e a biomasse, funzionavano a meraviglia. 

Anzi, funzionavano talmente bene che verso la una del pomeriggio riuscivano a generare circa 55 GW dei 63 GW di elettricità richiesti. In altre parole, le fonti rinnovabili coprivano l'87% del fabbisogno energetico tedesco.

Tanta era la produzione che il gestore della rete elettrica è intervenuto dando l'ordine di fermare le centrali a gas, che si possono "spegnere" con relativa facilità.

Le centrali nucleari e a carbone, che invece non si possono fermare con scarso preavviso, hanno continuato a produrre energia dando vita a un effetto paradossale: per diverse ore la Germania aveva a disposizione così tanta elettricità che i prezzi sono scesi al punto da raggiungere i numeri negativi. Con il risultato paradossale che erano le centrali a pagare gli utenti perché questi consumassero elettricità.

Considerate le buone prestazioni, la Germania ha intenzione di continuare a investire nelle fonti rinnovabili: i piani prevedono di riuscire a coprire il 100% del fabbisogno nazionale con le sole fonti rinnovabili.


Comune di San Lazzaro - opporsi alla cementificazione delle cooperative che si rifanno al corrotto Pd ha un costo umano e sociale

Interni
La vita di frontiera della giovane sindaca anti-cemento. Intervista a Isabella Conti



“C’è un episodio, fra quelli che mi raccontavano quando ero piccola che è stato decisivo. Mio nonno partigiano che sull’Appennino bolognese combatteva l’avanzata dei nazisti. Quando finirono le munizioni, lui e il suo gruppo, anziché nascondersi nella boscaglia che conoscevano a memoria, iniziarono a tirare le pietre contro i tedeschi pur di rallentarli. Furono presi tutti. Solo mio nonno si salvò perché si lanciò dalla camionetta tedesca in corsa. Gli altri furono passati per le armi. Quella incapacità a rassegnarsi alle ingiustizie e quella voglia di ribellarsi alle brutture che sono attorno, è questo che mi ha spinto ad entrare in politica”.
Inizia da lontano e dalle basi il suo racconto,Isabella Conti, 33 anni, sindaca di San Lazzaro di Savena, 32mila abitanti alle porte di Bologna. Uno dei comuni più ricchi d’Italia eppure uno dei territori dove la politica sembra aver perso il suo significato più nobile.
A far parlare l’Italia intera di questo tranquillo paese è stata un’indagine giudiziaria per “minacce a corpo politico” che vede Isabella Conti parte offesa, un’accusa grave formulata ad esempio nell’inchiesta sulla trattativa stato-mafia.
Pressioni ricevute dalla sindaca, da quando ha deciso di bloccare un mega progetto edilizio, la cosiddetta “colata di Idice” che prevedeva la costruzione a San Lazzaro di 582 nuovi appartamenti, una new town che sarebbe dovuta sorgere sopra una zona verde.

“Io non ero sindaca quando il progetto fu approvato, entrai in giunta a cose fatte, feci miei i dubbi degli ambientalisti su quell’opera che conteneva un’espansione edilizia notevolissima. Parlavano della zona di ricarica di una falda acquifera su cui avrebbero costruito, poi di fogne che non potevano tenere. In cambio del terreno pubblico, i costruttori, un consorzio che comprendeva alcune cooperative storiche del territorio, avrebbero edificato un polo scolastico. Allora mi chiesi se veramente avevamo bisogno di una nuova scuola o se la scuola era il mezzo pensato per farli costruire”.

All’urbanistica, all’epoca dell’approvazione del piano, c’era un assessore che contemporaneamente faceva consulenze per una grande cooperativa edile che prendeva appalti anche dal comune, e che avrebbe partecipato alla costruzione della colata. Per le polemiche fu fatto dimettere, ma il progetto andò avanti.

Quando fu eletta sindaca il progetto era ormai approvato?
“Si, lo dissi in campagna elettorale, non si poteva tornare indietro, la precedente giunta aveva votato il progetto. Mancava solo una cosa, la fideiussione bancaria da 13 milioni di euro che il consorzio doveva versare per garantire la costruzione della scuola. Non fu depositata nemmeno dopo una proroga. Mi allarmai. Se non erano stati in grado di esibire garanzie per 13 milioni come potevano trovare i 300 milioni necessari per costruire? Il rischio era che si sarebbero iniziati gli scavi e poi senza soldi rimaneva tutto così.
Decisi di bloccare tutto il piano edilizio”.

Cosa successe allora?
“Quando si è capito che facevo sul serio, a quel punto ho iniziato a vedere movimenti di persone che magari conoscevo solo di vista, che cominciavano ad interessarsi alla questione di Idice. Dicevano: “Ma tu che intenzioni hai? Stai attenta lì? È’ un casino!”
Nel giro di pochi mesi l’escalation.
Dai consigli, agli avvertimenti per il mio bene: “io ti voglio bene, non ti vorrai mica rovinare?”
La prepotenza, la sicumera, l’arroganza è stato il filo conduttore di tutta la vicenda. Dicevano pure: “tanto questa ragazzina alla fine fa quello che le dice il PD”.
Io non ho mai parlato di minacce. Se sono tali le valuta il giudice.
Però in quei mesi io non dormivo la notte. Ero preoccupata.
Pensavo: cosa potrebbero farmi? Prendersela con i miei genitori? Gettare fango? Senti che c’è qualcosa di imponente intorno. Come posso fare per risolvere il problema? Concedere la proroga, lasciarli costruire? Come ho pensato questo, mi sono sentita ribollire. Lì ho capito che era la scelta giusta.”

Quando ha deciso di denunciare?
“All’inizio non volevo farlo. Se questi avvicinamenti si fossero limitati a me non sarebbe stato un grosso problema, perché io tengo. Ma dopo di me sono arrivati alla macchina, ai dirigenti del comune, poi ai consiglieri. Dicevano: “facciamo ricorsi che fra 10 anni arriva la corte dei conti e veniamo a prendere la tua casa”. I consiglieri erano spaventati. Da lì a pochi giorni avrebbero dovuto votare la decadenza del progetto della “colata di Idice”. Quando ho capito che erano andati oltre, ho deciso di denunciare per garantire il voto libero del consiglio. Da lì la mia vita è peggiorata”.

C’è anche una frase che l’ex revisore dei conti del municipio Germano Camellini, avrebbe detto ad una impiegata comunale, riferita alla sindaca: “Ma la Conti vuole finire sotto una macchina?” Lui ha replicato che la frase è stata equivocata.
Intanto la magistratura ha chiesto una proroga alle indagini da cui si è scoperto che nel registro degli indagati ci sono 6 persone: la presidente di LegaCoop Rita Ghedini (ex senatrice del Pd), il direttore di LegaCoop Simone Gamberini (ex sindaco Pd di Casalecchio di Reno), Stefano Sermenghi, sindaco Pd di Castenaso, il precedente sindaco di San Lazzaro il Pd Aldo Bacchiocchi, l’imprenditore Massimo Venturoli e appunto Germano Camellini.
Tutti gli indagati si dicono estranei alle minacce, semmai, precisano, i nostri erano legittimi interventi per difendere i nostri i interessi. A giudicare ci penserà la magistratura che deve valutare in assenza di una precisa normativa sulle lobby che in Italia manca. Sta di fatto che la richiesta di risarcimento al comune raccontata dalla Conti, è arrivata per ben 47 milioni di euro. Sarebbe questo il danno calcolato per la mancata costruzione.

Sul fronte politico la Conti ha ricevuto chiamate di solidarietà da Renzi, dal presidente della Regione Bonaccini e anche dal Partito Democratico, dove però sono in tanti a non amare le sue prese di posizioni forti. “Se fossi stata un uomo magari di mezza età sarebbe stato più facile. Io ho sentito moltissimo il peso di essere eletta a soli 31 anni. Fisicamente lo ho accusato”.

Se scadesse oggi il suo mandato, si ricandiderebbe?
“No, tornerei a fare il mio lavoro di avvocato. La politica mi ha deluso. Anche qui il confronto politico talvolta è di una bassezza devastante. Io voglio tornare a parlare delle questioni pratiche. Ci stiamo imbarbarendo. Siamo una città ricca, rischiamo di credere che con il portafoglio pieno abbiamo pieni anche la testa ed il cuore. Ma non è così”.

Lei ha criticato anche un sistema economico che qui è nato ed è considerato quasi sacro, quello delle cooperative.
“A Bologna il mondo cooperativo ha tenuto in piedi un tessuto sociale florido. Ha consentito all’operaio di far studiare il proprio figlio e diffondere benessere nel territorio. Il cambiamento è stato negli anni 80, una mutazione genetica. Quando la politica ha abdicato al proprio ruolo smettendo di essere guida, si è seduta e da lì in avanti è andata a raccattare i peggiori, i mediocri. Ha smesso di indicare la via, e ha subito il mondo cooperativo che è diventato centro economico di forza e potere e un grande bacino di voti”.

Come si cambia?
“Bisogna intanto cambiare la narrazione della politica. Ci sono molte persone per bene. La maggior parte. Tanti giovani amministratori che studiano e si impegnano. Non contano gli schieramenti, la differenza la fanno sempre le persone”.

Sono passate quasi tre ore dall’inizio della nostra intervista. In cui mi sono stati mostrati anche i tanti progetti in cantiere, molti riguardano la riqualificazione urbana, uno in particolare prevede di decementificare un vecchio stabilimento industriale per costruire un’area verde. Solo lì lo sguardo della sindaca si fa più sereno e compare anche un sorriso.