L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 27 agosto 2016

L'Italia prossimo presente - l'invasione avanza, le istituzioni lo vogliono e noi siamo disarmati contro questa aggressione dolce che di dolce non ha niente

Ahi serva Italia, prigioniera della falsa coscienza e della paura [Alceste]
Posted on 27 agosto 2016

Non c’è nulla da fare!

Non si muove foglia.
L’Italia è ferma, irrigidita, bloccata.
In egual modo raggelata da una falsa coscienza; e dalla paura.
Sì, l’Italia non si ribellerà: morirà, molto semplicemente. Pian piano, rassegnata, e ferma, inchiodata alla visione masochista della propria disfatta da una coscienza non sua – abilmente instillata nei decenni – e dal terrore, un terrore abietto, il terrore di infrangere i comandamenti di questa coscienza posticcia.
Il cuore antico dell’Italia, i suoi usi, le tradizioni, la psicologia di un popolo, tutto ciò che, in ultima analisi, è contrassegnato come cultura giace negli strati profondi dell’animo del paese, dimenticato; ogni tanto emana bagliori, sussurri inquieti, echi quasi inaudibili. È la nostra coscienza, quella vera, ciò che noi siamo stati, quello che ci ha fatto sopravvivere come entità attraverso i millenni. È una voce che vorrebbe stimolarci all’azione, alla verità (non c’è azione senza verità), che vorrebbe salvarci, perché in quella voce ci sono le esistenze di chi ci ha preceduto, e in qualche modo amato … ma noi siamo sordi, la rifiutiamo … oppure la tradiamo … perché abbiamo paura.
E chi tacita questi richiami dal profondo che potrebbero farci scampare un destino da reietti?
La falsa coscienza.
Un Super Io onnipresente, invasivo, assordante, le trombe di Gerico del politicamente corretto, della democrazia a tutti i costi, della libertà, dei diritti, del progresso.
Di fronte a tale frastuono di bontà, di untuosa circonvenzione (che, in realtà, vela toni minacciosi), di richiami all’ordine mondiale del nuovo illuminismo, l’Italiano reagisce in due modi.
O accetta questa falsa coscienza credendola vera e rigetta quella vera credendola un residuo antidemocratico del passato.
Oppure accetta per viltà la falsa coscienza, poiché rifiutarla e proclamare la verità, oggi, in pieno 2016, significherebbe esporsi al ludibrio e alla morte sociale.
Un piccolo esempio.
Di solito passo le vacanze in un minuscolo borgo della Bassa Tuscia dove ho una casa, la casa dei miei nonni.
Mi piace stare lì per un po’ di giorni: niente Internet, niente televisione, niente supermercati. Mi dedico agli olivi e a qualche residua pianta da frutto nei campi che furono coltivati per cinquant’anni dai vecchi. La Regione, le Università Agrarie, il Ministero della Salute e l’Unione Europea cercano in tutti i modi di farmi desistere imponendo regole sempre più assurde e imposte sempre più alte, ma io resisto …
Questo borgo conta circa cento residenti; d’estate s’arriva forse a centocinquanta abitanti.
Esso non ha nulla di notabile eccetto la chiesa, settecentesca, eretta sui resti di una abbazia benedettina del X secolo.
Ci si conosce tutti, naturalmente. Non ci si ama, certo (i campagnoli non brillano per effusioni), ma i vincoli di sangue ancora agiscono, e ognuno di noi è legato all’altro dall’ombra del passato.
Questa estate è cominciata a circolare una notizia: nel vecchio asilo, oggi chiuso, sarebbero presto arrivati circa quindici rifugiati.
Accenni sottovoce. Mormorii.
Poi, un bel mattino, passo davanti all’asilo e trovo che il prato antistante è stato tagliato e ripulito alla perfezione. Dopo un decennio almeno.
Chi è stato? Non si sa.
Frattanto la notizia prende corpo. I “negri” forse non sono quindici, ma trenta. Ordinanza prefettizia. Nata in seguito all’emergenza. Anche un edificio storico che ospitava la Pro Loco, oggi sciolta, verrà adibito a sede temporanea dei cosiddetti rifugiati.
Ricordiamo che i rifugiati non sono rifugiati: sono individui che si sono dichiarati tali in attesa che lo Stato Italiano verifichi la legittima appartenenza allo status di rifugiati.
Un modo come un altro per dire che i rifugiati, ovvero coloro che, nella maggior parte dei casi, sono individui che si son presentati senza documenti, potranno svernare in Italia per almeno due anni senza lavorare (in attesa di lente verifiche, ricorsi e controricorsi: sindacati onlus e coop officiano deliziate a tale burocrazia).
È la legge.
Una parte dei sedicenti profughi è già arrivata. Quattro o cinque persone. Alti, eleganti nei loro panneggiamenti colorati; forse eritrei; valigie enormi, nere, eleganti anch’esse. Li ho notati mentre tornavo dal campo, stravolto dal caldo, colla segatura delle potature nei capelli, la mimetica dell’AM bagnata di sudore: non mi hanno degnato di uno sguardo, sono scappati nella canonica e non si sono più visti.
Non so come andranno le cose; le vacanze sono finite, sono tornato nella metropoli tentacolare. No, non so come andranno le cose, ma già so che se vengono immessi trenta o quaranta stranieri in un corpo sociale di cento abitanti (oltre agli irregolari che girano per la provincia a rubare frutta, olive e trattori), quel corpo sociale è finito.
Ma veniamo al punto che ci preme.
Come hanno reagito i cento italiani all’invasione che si prospetta in autunno?
Nei due modi previsti.
Qualcuno (la minoranza) accetta il Super Io politicamente corretto, quello che ho chiamato la falsa coscienza: in tal modo ridimensiona la portata dell’accaduto, fa notare la temporaneità dell’evento, o, addirittura, si appella all’umanità e all’accoglienza.
Qualcun altro (la maggioranza) sente oscuramente che ciò che accadrà sarà la rovina del paesello; e però è bloccato, irrigidito, zombificato e terrorizzato dal Super Io, e dalle conseguenze sociali che comporterebbe la contravvenzione e la ribellione a tale falsa coscienza.
La voce interiore (un buon senso millenario) gli dice chiaramente: dai fuoco a quell’asilo, alla scuola, alla Pro Loco, a tutto … non fare entrare in casa questi sconosciuti … ma il Super Io del capitalismo della bontà ha la meglio … se facessi queste cose, ragiona, mi darebbero del razzista, del bastardo, dell’inumano … nessuno mi guarderebbe più in faccia … andrei sui giornali, ci sarebbero i gendarmi a casa mia … mia moglie i figli i parenti … ignominia e disdoro … meglio starsene buoni e zitti. Tuttavia l’individuo in questione non può accettare logicamente questa inazione: proverebbe l’infamia della vergogna a fronte dell’ES, ovvero dei suoi padri e dei suoi nonni che questo borgo hanno tirato su, e a cui hanno dato vita e vitalità. E allora egli, stretto nella tenaglia di un passato irrecuperabile di cui non è all’altezza, e di un Super Io che impone diritti civili, edonismo e soppressione dei popoli e delle culture, che fa? Trova la scappatoia del fatalismo. È l’unico modo che ha di fuggire. Ragiona: se anche facessi qualcosa a che servirebbe? Le cose andranno come devono andare. L’Italia è finita, ma che possiamo fare? Dovremmo ribellarci tutti, ma qui … da soli … meglio lasciar perdere …
Ma sì, infatti, meglio lasciar perdere.
Questa la condanna degli italiani.
O sono collaborazionisti o hanno paura. Una paura fottuta, raggelante.
Un’alienazione di massa.
Il Super Io, il Grande Fratello, ci guarda e ci giudica.
Ci sono i collaborazionisti, i piddini, le Boldrini, i Cantone, i Pannella, i Verdini.
Ma ci siamo anche noi che dovremmo agire. Ma non lo facciamo perché trasgredire al conformismo del Super Io mondiale ci annienterebbe psicologicamente, umanamente.
Il Moloch impone la sua etica fasulla, la sua falsa coscienza e noi – sedicenti ribelli – in fondo diciamo sì, seppure a denti stretti, e censuriamo noi stessi, inutile dirlo, tanto da girare attorno alle questioni e cicalare soprattutto per allusioni.
Oppure scappiamo nel fatalismo, nel compiacimento della rassegnazione che ci autoassolve.
Anche nei siti di controinformazione: si allude. Qualche mezza parola ogni tanto. Ma è più il non detto che la parola esplicita. Perché abbiamo paura e terrore delle conseguenze della nostra ribellione, come bambini cattivi esposti dalla maestra alla derisione della classe.
Dire la verità è rivoluzionario, davvero, poiché rompe i tabù del Super Io etico imposto dal Potere e indica la via maestra.
Ma chi si può permettere la verità?
Tutti abbiamo qualcosa da perdere: il lavoro, la casa, l’automobile, gli affetti. Chi si spinge troppo oltre verrà sacrificato.
Lo sappiamo noi e lo sa il Potere che, infatti, ravviva le sue minacce (Razzista! Omofobo! Fascista! Rossobruno! Antisemita!) ogni giorno che Dio manda in terra.
Accuse gratuite, ma efficaci. Chi contrasta il Pensiero Unico è finito. Finito.
Spesso si nasconde anche colui che dovrebbe dimostrare solidarietà ai pochi che la dicono questa verità; per paura, certamente, e anche perché ognuno si sente più puro degli altri.
Ma chissà, forse si sentirà prima o poi qualcuno urlarla, tale verità, e ai quattro venti: Obama è un genocida.
I politici italiani vanno presi casa per casa e decimati (a parte il Partito Radicale, che va annientato).
I giornalisti vanno caricati sui cargo e gettati in alto mare.
Il Gay Pride fa vomitare.
Papa Francesco è un imbecille.
I film sull’Olocausto hanno rotto i coglioni.
Anche le ONG hanno rotto i coglioni e, se ci scappa il morto, pazienza.
Giulio Regeni e le due Simone e la Sgrena, anche loro hanno rotto le palle.
L’antirazzismo boldriniano mette voglia di Ku Klux Klan.
I sindaci di mezza Italia hanno rovinato urbanisticamente il Paese (chi misura la magnitudo delle mazzette?) con opere fraibili, inutili, orrende, immonde e andrebbero fucilati.
I funzionari di alto rango vanno degradati e deportati a Pianosa e alla Gorgona.
I professori universitari andrebbero confinati a Ventotene, senza acqua e cibo. Non come Spinelli Colorni e compagnia che, forse, si godevano le vacanze (aveva ragione Berlusconi?).
Chi ha qualunque attinenza con televisioni o media, invece, deve essere impiccato in massa sulla pubblica piazza. E così via.
Un conto è dire queste cose, un conto è adombrarle.
Finché questi Italianuzzi tremebondi avranno paura a pronunciarle non cambierà mai nulla.

Creperemo pian piano … con gentilezza, educazione. Prego, prima lei … ripiegando il capo consenziente sotto la mannaia del politicamente corretto.

La Fratellanza Musulmana (in Italia appoggiata dagli euroimbecilli del Pd) con le sue associazioni, culturali, religiose e politiche darà l'intelaiatura per incanalare gli islamici nella corrente della jihad

Stretti fra le élite finanziarie e gli islamosunniti non avremo scampo di Eugenio Orso

Posted on 26 agosto 2016

Che la guerra in corso nel mondo sia fomentata dalle élite finanziarie occidentali in solido con i tagliagole islamosunniti, è un dato di fatto che solo un idiota, o un ipocrita, non vede. Costoro spadroneggiano, ormai, anche nel vecchio continente, diffondendo la loro violenza e imponendo la loro legge barbarica.

Un episodio accaduto oggi, in Francia, lo prova una volta di più.
Francia: aggredito per croce al collo
Gli hanno strappato la catenina e lo hanno picchiato

(ANSA) – PARIGI, 26 AGO – Un ragazzo di 20 anni è stato insultato e aggredito a Vitrolles, nel sud della Francia, a causa di una croce cristiana che portava al collo. Gli aggressori, secondo il giovane, gli hanno dato dell’”ignorante” prima di strappargli la catena e picchiarlo. 

Possiamo notare che nella stringata notizia non si precisa chi sono gli aggressori e, soprattutto, se sono islamosunniti di (probabile) origine magrebina, o comunque araba. I giornalisti servi del sistema, come noto, se possono evitano di precisare simili cose e, fin tanto che è possibile, si tengono nel vago, anche se l’identità e la religione degli aggressori sono già noti.

Ciò non toglie che è proprio da questi quotidiani atti di violenza, perpetrati nel vecchio continente dagli islamosunniti immigrati o infiltrati, che chiunque, persino il cosiddetto uomo della strada, può comprendere la gravità del momento che stiamo vivendo.

Grazie all’immigrazione indotta dalla guerra elitista e islamosunnita, grazie all’”accoglienza” imposta ai popoli europei contro la loro volontà, stiamo correndo tutti un grave pericolo, anche in termini di sopravvivenza fisica, che non richiederà certo dei secoli per materializzarsi completamente.

L’obbiettivo delle élite finanziarie occidentali, che controllano gli Usa, la Nato e la docile Ue, è quello di portare la jihad in Europa e, per tale motivo, hanno ordinato ai governi Ue collaborazionisti di “accogliere”, senza riserve e limiti, in particolare gli immigrati sunniti, che alimentano la maggior parte dei flussi migratori diretti verso l’Europa. Fra questi, anche le cellule jihadiste dello stato islamico o di altri gruppi di tagliagole islamosunniti, pronte a entrare in azione.

Grazie all’”accoglienza”, oltre a cambiare la composizione della popolazione europea, si possono inoculare i germi del caos, della destabilizzazione, della guerra, che hanno già avuto effetto in Africa settentrionale e in Medio Oriente, nel quadro della cosiddetta Geopolitica del Caos.

La posta in gioco è il controllo di un’Europa prostrata, impoverita da una crisi economica interminabile, perché strutturale, e attraversata da tensioni, artificialmente indotte alimentando i flussi migratori, che la portano sull’orlo della guerra.

Nel quadro della Geopolitica del Caos, praticata dalle élite occidentali neocapitaliste appoggiando e armando le orde sunnite sul terreno, e nell’ottica della guerra a pezzi, o “a puntate”, come ama ripetere Bergoglio, accadono episodi violenti come quello di oggi, in Francia, che rappresentano i primi segnali di ciò che stanno preparando contro di noi. Dopo la Siria, la Libia e l’Iraq, toccherà alla Francia, all’Italia e all’Europa, più in generale?

Siria&Parigi&Bruxelles&Nizza - Aleppo ci sono i mercenari pagati anche dagli occidentali per fare la Rivoluzione a Pagamento che oggi sembra destinata al fallimento

SIRIA. I TURCHI SCONFINANO E ASSAD RIPRENDE DARAYA. TUTTI PRONTI AL RUSH FINALE DI AUTUNNO

(di Giampiero Venturi)
26/08/16 
I turchi entrano in Siria mettendo in atto parte del quadro prospettato su queste pagine da inizio estate. Dopo il viaggio di Erdogan a Mosca, ha prevalso la visione pragmatica per una exit strategy dal pantano siriano. Con l’obiettivo di ridurre ai minimi termini il “giocattolo” impazzito ISIS e avviarsi ad una conclusione del conflitto, gli attori cercano di massimizzare il risultato.
Dalla tarda primavera in poi era plausibile che lo scontro prossimo venturo sarebbe stato fra curdi e governo di Damasco, in una sorta di corsa spalleggiata rispettivamente da USA e Russia verso l’eliminazione innanzitutto dello Stato Islamico. Nel contenzioso, nato sulla scorta delle ambizioni indipendentiste curde, l’ago della bilancia lo ha fatto la Turchia, con conseguenti scossoni in campo atlantico-occidentale.
Andiamo con ordine.
Jarablus, 3 km dal confine turco, è stata occupata dall’esercito di Ankara. Così come richiesto dalla Turchia, le forze curde dell’YPG impegnate su questo fronte contro il Califfato, si sono ritirate a est del fiume Eufrate che taglia verticalmente la regione. I curdi hanno ceduto alle pressioni di Washington, apparentemente disposta a tutto pur di non aumentare la distanza politica con la Turchia in Medio Oriente.
L’azione turca, condotta dall’esercito regolare e da migliaia di miliziani del Free Syrian Army, rianimato per l’occasione proprio dagli aiuti di Ankara, è avvenuto in aperta violazione della sovranità di Damasco. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, Assad deve cedere però alla ragion pratica: i turchi s’impegnano a spegnere il focolaio curdo, vero loro interesse nazionale, ricattando politicamente gli Stati Uniti. Dalla cosa ci guadagna indirettamente anche Damasco, non più alle prese con un aspirante Stato indipendente interno ai suoi confini; in cambio deve accettare il cuscinetto di miliziani filoturchi all’interno dei governatorati del nord, con cui il confronto sarà ancora lungo. Probabile viceversa il ritiro oltre frontiera entro poche settimane delle forze regolari turche.
In termini concreti, nel caos siriano le cose si semplificano: si riducono i fronti e ci si prepara alla resa finale. 
Una conferma di ciò arriva da Daraya, città culla della sollevazione contro il governo di Assad nel 2011. I ribelli si arrendono e tutto il territorio municipale è in corso di riconsegna alle autorità di Damasco. In cambio i miliziani ottengono di essere trasferiti con bus governativi al nord, a ridosso del Governatorato di Idlib, roccaforte dei miliziani filoturchi di Jaysh al Fatah. L’accordo pone fine a un assedio lungo ormai anni e rientra nei contatti indiretti tra Damasco e Turchia, passati attraverso i palazzi di Mosca. Di fatto lo scontro si sposta nei sobborghi sudoccidentali di Aleppo, dove saranno trasferite nelle prossime ore anche 2500 unità della 4aDivisione meccanizzata siriana, impegnata finora sul fronte di Daraya.
Cosa succederà nei prossimi giorni è da vedere, ma è presumibile che lo scontro ad Aleppo si farà ancora più cruento.
A questo proposito va rivelato l’informazione distorta che passa attraverso i media occidentali (RAI compresa). Il fronte di Aleppo, dove si combatte una battaglia fra forze governative e ribelli eterodiretti, viene sempre più dipinta come caos umanitario senza soluzione, così da diluire i fronti e le responsabilità militari in un calderone di cui il Medio Oriente è stato testimone più volte (l’esempio di Beirut dei primi anni ’80 vale su tutti).
Il continuo riferimento all’Osservatorio siriano per i diritti umani di Rami Abdel Rahman come fonte di dati aggiornati, non può che confondere le idee. Con ogni evidenza l’obiettivo geopolitico delle cancellerie vicine a Washington è quello di dichiarare Aleppo “questione internazionale”, così da rendere vani gli sforzi bellici delle forze armate siriane e dei loro alleati, e creare per il futuro un problema permanente di sovranità e amministrazione regionale.
Per ora sono ancora le armi a parlare.
(foto: SAA / Türk Kara Kuvvetleri)

Energia pulita - Renzi è un euroimbecille che trova provvista nelle trivelle

Eolico offshore galleggiante: costi, prospettive e prototipi. E l'Italia è indietro

L'eolico offshore galleggiante ha un concreto potenziale. In Europa si assiste ad uno sforzo per il suo sviluppo tecnologico, ma in Italia, nonostante per RSE il potenziale sarebbe di circa 30 TWh/anno, non sembra che politica e industria stiano guardando seriamente a questa soluzione.
Il vento, le onde, le maree, le correnti, scorrono sulMediterraneo lungo i 7.500 chilometri di costa della penisola italiana sotto il sole che governa tutto.
Queste forme di energia della natura con processi di trasformazione affermatisi negli ultimi trent'anni, o ancora in fase di sviluppo, possono produrre elettricità con ridottissimo impatto ambientale e sicurezza sociale a livello nazionale e internazionale a patto di affrontare seriamente una politica di sviluppo tecnologico e di pace energetica.
Certamente occorre valutare potenziali e continuità di fornitura dell'elettricità acosti accettabili del chilowattora; a questo obiettivo, tende l'avanzamento tecnologico delle suddette energie rinnovabili marine che sono una ulteriore risorsa con quelle in terraferma, già commerciali nell'ultimo decennio, quali eolico e fotovoltaico oltre lo storico idroelettrico.
L'Europa eccelle nel settore grazie all'eccezionale sviluppo costiero, continentale e insulare, lungo l'oceano Atlantico, il mare del Nord, il mar Baltico e potrebbe completarne il successo con l'inclusione del Mediterraneo, attuale teatro di conflitti sociodemografici derivanti anche dalla disuniforme distribuzione nel suo ambito delle risorse energetiche da combustibili fossili. L'Ewea, European Wind Energy Association, indica in 11 GW la potenza dell'eolico offshore al 2015 tuttora installata con turbine su fondazioni fisse nei bassi fondali (media 27 m) del Nord Europa.
Inoltre l'Ewea indica gli obiettivi dell'eolico offshore europeo di 40 GW al 2020, di 150 MW al 2030 e di 450 GW al 2050, che per essere raggiunti, dopo aver esaurito i siti in basso fondale, dovrebbero utilizzare l'eolico galleggiante in alto fondale oltre i 50m (Ewea, 2013).
Il perseguimento di obiettivi di maggior incremento delle energie rinnovabili e, nel caso specifico, di quelle marine, deriva anche dalle indicazioni della recente Cop 21 di Parigi sui cambiamenti climatici in atto, legati negli ultimi 150 anni anche al forte rilascio atmosferico di CO2 da combustibili fossili, la cui presenza è stata rilevata persino nei ghiacciai di 800mila anni dell'Antartico.
In Italia è ancora preponderante l'utilizzo dei combustibili fossili, specialmente con gli idrocarburi nel settore dei trasporti e riscaldamento, legati alla fornitura estera maggioritaria. Il gasparticolarmente favorito per le sue migliori caratteristiche ambientali, è fornito all'Italia via gasdotti o nella fase liquida Gnl con navi e stazioni di rigassificazione costiere.
È argomento attuale, la proposta, da parte di enti e industrie nazionali, di proseguire le trivellazioni marine dei progetti in corso per lo sfruttamento degli idrocarburi entro le dodici miglia, al fine di garantire le riserve energetiche strategiche: la reazione popolare, generalmente contraria perché propensa alla protezione dell'ambiente marino, ha portato al referendum del 17 aprile u.s.
L'eolico offshore galleggiante in alto fondale, lontano dalla costa, potrebbe essere più facilmente accettato, per il ridotto impatto sul paesaggio, sull'ambiente marino, la sua sicurezza e i servizi marittimi associati. Occorre valutarne il potenziale con uno specifico e articolato programma nazionale di sviluppo.
Sviluppo rinnovabile da terra a mare
La percentuale al 2015 della produzione lorda di energia elettrica da rinnovabili in Italia ammonta in totale al 42,5%, di cui il 20,6% per l'idroelettrico ormai al massimo, l'8% per il fotovoltaico, il 6,2% per le biomasse, il 5,4% per l'eolico e il 2,1% per la geotermia.
Riferendoci solo all'eolico, vista la limitatezza degli spazi su terraferma, si dispone dell'opportunità, di particolare importanza, degli impianti eolici offshore. In caso di tale scelta si dovrà tenere conto dei fondali, profondi già a breve distanza dalla costa, delle rotte marine per trasporti civili, militari e commerciali, della pesca, del turismo, delle aree protette, con limiti allo sfruttamento del potenziale energetico in mare a disposizione del nostro paese.
Proprio per questo l'Atlante eolico redatto e aggiornato da Rse (Ricerca Sistema Energetico) dal 2008 al 2014 (Atlaeolico and Tritone WebGIS Tool) ha incluso anche le aree marine verificandone la disponibilità, portando quindi a evidenziare un potenziale di circa 2 GW per fondazioni fisse in basso fondale (fino a 45m, entro 5-15 km circa dalla costa), più 10 GW con l'eolico offshore galleggiante in alto fondale (45-200 m, a 20-40 km dalla costa).
L'eolico galleggiante potrebbe generare diversi effetti positivi, per esempio ladisponibilità di nuovi spazi marini da parte di paesi costieri interessati nel Mediterraneo (Francia, Spagna, Italia), nell'Atlantico (Portogallo, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Scozia, Irlanda), nel Mare del Nord e nel Baltico, nonché sul fronte degli Stati Uniti, sia nell'Atlantico sia nel Pacifico e nei mari orientali per i paesi che affacciano su essi (Cina, Giappone, Corea).
L'eolico offshore galleggiante, inoltre, può promuovere innovazione progettuale e sviluppo industriale, come risulta dalle recenti soluzioni tecnologiche per le piattaforme galleggianti e turbine di grande taglia (5-8 MW); si creerebbero nuovi posti di lavoro con il coinvolgimento di industrie operanti sull'offshore petrolifero, nuove imprese e cantieri di costruzioni navali, compagnie di servizi portuali e società dedicate alla manutenzione e sicurezza.
Parlando di costi, l'eolico offshore galleggiante può garantire lo stesso Lcoe - cioè lo stesso costo per kWh prodotto, di quello ugualmente offshore su fondazione fissa, grazie ad una maggiore intensità del vento allontanandosi dalla costa (quindi maggiore produzione), e una maggiore facilità d'installazione, manutenzione e smantellamento a fine vita (costi operativi minori); ulteriore beneficio della distanza dalla costa, unita alle piattaforme galleggianti, sono il minore impatto ambientale, sia sulla fauna marina sia sul paesaggio.
Di contro, la dinamica della piattaforma galleggiante sotto l'azione delle onde e del vento introduce una maggiore complessità nella modellazione del progetto, dovuta all'interazione tra turbina/piattaforma, ormeggio, ancoraggio, e controllo della turbina.
Nonostante il Mediterraneo presenti regimi eolici offshore minori rispetto all'Atlantico, il costo del kWh resta, anche in questo caso, confrontabile: la minore produzione è controbilanciata da un minore costo delle strutture e dei servizi collegati, dati da una minore aggressività dell'ambiente marino mediterraneo.
Prototipi galleggianti al vento
Per dare un'idea dello sviluppo tecnologico in atto per l'eolico galleggiante, si può fare riferimento a dodici prototipi, con una potenza complessiva di 34 MW, già in funzione o previsti entro il 2016-17, in Francia, Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Portogallo, Spagna e nei territori extra europei Giappone e Stati Uniti.
Si riporta di seguito una breve descrizione dei principali progetti realizzati o in via di sviluppo. L'eolico offshore galleggiante nasce nel 2009 con la compagnia norvegese Statoil e la tedesca Siemens che installano con successo in acque norvegesi un primo prototipo Hywind Demo (turbina Siemens da 2.3 MW) su piattaforma galleggiante a colonna (Spar) di 100 m di lunghezza zavorrata in verticale con acqua marina e ancorata con catene a tre punti al fondale di 300 m.
Nel 2017 la Statoil proseguirà in Scozia con il progetto pilota Hywind da 30 MW. Un secondo prototipo (WindFloat Atlantic 1), oggi connesso nella rete elettrica, è stato installato nel 2011 a 20 km dalla costa nord portoghese (Póvoa de Varzim) in acque profonde 80-100 m dalla ditta statunitense Principle Power.
L'impianto consiste in una turbina Vestas V80 da 2 MW su una delle tre colonne che, collegate fra di loro, formano la piattaforma semisommersa; piatti di smorzamento sulla base delle colonne e un sistema idraulico tra queste previene le oscillazioni al moto ondoso della piattaforma progettata negli USA.
Al successo del prototipo seguirà una seconda fase con fondi del governo portoghese (diciannove milioni di euro) e sovvenzione del programma E.C. Ner 300 per la centrale galleggiante dimostrativa Wfa (WindFloat Atlantic, 3-4 turbine) da 25 MW da far installare nel 2018 a 20 km dalla costa di Viana do Castelo, da parte del Consorzio Edp Renewables, Mitsubishi Corp., Chiyoda Corp., Engie and Repsol.
Un terzo prototipo galleggiante, turbina sottovento Hitachi da 2 MW su piattaforma Mitsui semisommersa a quattro colonne, è stato installato nel 2013 nelle acque profonde a 20 km dalla costa di Fukushima nella prima fase (2011-2014) del progetto Forward seguito nel 2015 da altri due prototipi galleggianti (quarto e quinto) nella relativa seconda fase (2015-17): turbina Mitsubishi da 7 MW su piattaforma con forma a V semisommersa Mitsubishi a quattro colonne e turbina Hitachi da 5 MW su piattaforma Japan Marine United a colonna modificata (Advanced Spar).
Un prototipo, a dimensioni ridotte e oggi una turbina da 2MW su piattaforma galleggiante a colonna (Spar), installato nel 2011, è ancora in prova all'isola di Goto (Nagasaki).
Mar del Giappone
Il Giappone, a seguito del maremoto del 2011 e del conseguente incidente di Fukushima, con la quasi chiusura del nucleare, ha rafforzato il programma delle energie rinnovabili con la scelta del mare, per la sua estesa zona economica esclusiva come particolare area di sviluppo dell'eolico, vista la non sufficiente disponibilità di siti in terraferma.
La profondità delle acque oceaniche costiere ha portato alla scelta dell'eolico offshore galleggiante con le due fasi del già riportato progetto Fukushima Forward, realizzato dall'apposito Consorzio di industrie marittime (Marubeni, Mitsubishi, Hitachi, Mitsui, Japan Marine United), Università di Tokyo e altri istituti, con il finanziamento del ministero dell'Economia.
A fine prova dei prototipi illustrati in precedenza, seguirà una centrale eolica galleggiante pilota da 80 MW per avviare la fase commerciale e successivamente una centrale di 140 turbine da 7 MW per una potenza totale di 1000 MW corrispondente in termini di produzione elettrica ad una centrale nucleare di minor potenza (circa 2/3), ma con maggior sicurezza.
Il piano nazionale di sviluppo dell'eolico al 2050 prevede un totale di 75 GW di cui 38 GW in terraferma, 19 GW in offshore basso fondale (fondazioni fisse) e 18 GW in galleggiante.
Oltre al Giappone e al Portogallo la Francia, con obiettivo al 2020, sta lanciando un corposo programma di sviluppo dell'eolico offshore galleggiante, più adatto alla profondità del mare lungo le coste dell'Atlantico e del Mediterraneo. E così pure la Scozia tra il mare del Nord e l'Atlantico e gli stessi Stati Uniti tra l'Atlantico a est e il Pacifico a ovest.
In previsione di un mercato internazionale dell'eolico galleggiante nel prossimo decennio un'analisi esplorativa è stata condotta nel 2015 dalla francese Innosea partendo dai dati disponibili in varie pubblicazioni specialistiche del settore e adottando particolari indici di realizzabilità dei progetti.
Il risultato complessivo ha portato a ottenere circa 1.5-2.4 GW di impianti di probabile realizzazione al 2030 di cui il Giappone coprirebbe circa la metà 0.8-1.2 GW principalmente con il progetto Fukushima Forward, e in ritardo l'Europa con 0.4-0.7 GW e gli Stati Uniti con 0.3-0.5 GW.
Alla luce dell'attuale panorama internazionale si può chiedere cosa si è fatto finora in Italia? Sulla base delle prime valutazioni di potenziale offshore in zone costiere fino a fondali di 40m è stato presentato, a giugno 2010, alla Commissione Europea il Piano d'azione nazionale (Pan) per le energie rinnovabili, che prevedeva per l'eolico offshore (in basso fondale), 100 MW (0.25TWh/ anno) al 2013, 168 MW (0.45TWh/anno) al 2015 e 680 MW (2.00 TWh/anno) al 2020.
Nonostante le buone prospettive e l'interesse suscitato in investitori europei e italiani almeno per l'eolico offshore in basso fondale il risultato è stato un nulla di fatto.
Negli ultimi dieci anni sono stati proposti, senza esito positivo, quindici progetti eolici su bassi fondali (10-25 m) a circa 5-15 km dalla costa per i mari: Adriatico (Emilia Romagna, Abruzzo, Molise, Puglia), Ionio e mari di Sicilia. Alcuni progetti disponevano di atti autorizzativi favorevoli, ma non conclusivi per l'iter decisionale e burocratico complesso e lungo (anche nove anni), presso lo Sportello Unico con coinvolgimento decisionale di: Consiglio di Stato, Presidenza del Consiglio, Consiglio dei Ministri, ministeri (particolarmente contrario il ministero dei Beni Culturali), Regioni, Comuni, Enti locali.
Si sono registrate reazioni non positive anche da parte di alcune associazioni ambientaliste locali e di gruppi sociali non ben informati. Inoltre per gli impianti eolici offshore mancano ancora: la pianificazione delle zone marittime nazionali richiesta nel 2014 dal Parlamento Europeo ai paesi membri, la specifica normativa per la valutazione impatto ambientale (Via) e le linee guida per l'approvazione dei progetti. Unica eccezione a questo stato di fatto sarebbe la centrale eolica offshore sviluppata dalla Beleolico srl a Taranto, la prima in Italia e nel Mediterraneo operativa dal 2016, con la possibilità di ottenere successivi eventuali incentivi sul kWh secondo le proposte 2015 del Mise per le fonti rinnovabili.
La centrale offshore da 30 MW (dieci turbine da 3MW) è stata installata nel Mar Grande della rada esterna del porto di Taranto, con fondazioni fisse, in fondale di circa dieci metri (sei turbine fuori diga foranea, quattro turbine esterne al molo terminal container) e assicurerà la fornitura di elettricità al porto di Taranto.
Per l'eolico offshore galleggiante c'è una possibilità di affermazione in un prossimo futuro? Il potenziale c'è. Dallo stesso atlante eolico Rse si è potuto valutare in alto fondale un potenziale di circa 10 GW (30 TWh/anno, 10% della produzione elettrica lorda nazionale).
In Europa è in atto un significativo sforzo di sviluppo tecnologico, l'industria nazionale non partecipa, né sono stati definiti gli obiettivi nazionali del settore.Vale comunque la pena ricordare l'unico tentativo in Italia e primo esperimento europeo di turbina eolica galleggiante del 2008 nel mare della Puglia.
Su di un fondale di 100 m, a circa 20 km dalla costa di Tricase, fu installato e provato per alcuni mesi, in scala ridotta dall'olandese Blue H (con filiale in Italia), il prototipo di turbina galleggiante da 80 kW su piattaforma sommersa (a scala ridotta per una turbina da 2 MW) a tiranti (Tlp) ancorati sul fondale a gravità con massiccia struttura in calcestruzzo.
Purtroppo, a fine 2008, dopo qualche anno dalla fortunosa rimozione in mare agitato della piattaforma, per decadenza del permesso d'uso del sito a mare, la fase successiva di progetto Blue H della turbina su piattaforma galleggiante a piena scala fu abbandonata per difficoltà autorizzative.
Un futuro nel vento sul mare
Nonostante l'insufficiente operatività della programmazione nazionale e il disinteresse dell'industria, numerosi ricercatori universitari di varie città (Firenze, Genova, La Sapienza di Roma, Pescara, Politecnico di Milano, Trento), del Cnr e dell'Enea, anche con fondi del Mise, del Miur, della Commissione Europea, hanno svolto studi e progetti nel settore dell'eolico offshore in basso fondale e galleggiante che hanno presentato ai Seminari Europei Owemes.
In effetti, un gruppo di ricercatori, dal 1994 in Enea per l'eolico offshore e dal 2006 con l'associazione non profit Owemes anche per le altre energie marine (onde correnti, maree e così via), ha organizzato otto edizioni del seminario triennale europeo Owemes: Roma (1994), La Maddalena (1997), Siracusa (2000), Napoli (2003), Civitavecchia (2006), Brindisi (2009), Roma (2012 e 2015).
Fino al 2003, l'evento tematico Owemes sull'eolico offshore è stato unico in Europa con notevole coinvolgimento dei paesi comunitari; successivamente l'Ewea e altre associazioni europee hanno organizzato eventi di notevole livello con il supporto della commissione Europea e delle industrie nord europee in pieno sviluppo, mentre Owemes ha portato avanti la sua azione propositiva a livello nazionale e Mediterraneo. Oggi si pone dunque un quesito.
L'Italia vuole ancora sfruttare il significativo potenziale eolico offshore che per la caratteristica delle sue coste è connesso all'eolico galleggiante? Vuole far emergere finalmente la potenzialità dell'innovazione tecnologica di ricercatori, progettisti, imprenditori coinvolgendo industrie, cantieri navali, strutture portuali, insomma creando lavoro e generando elettricità dal mare?
Si dia da fare chi governa il paese: abbiamo ricercatori, industrie cantieri, imprenditori da attrarre su questo nuova impresa energetica.
L'articolo è stato pubblicato nel n.2/2016 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo "Vento di mare profondo".

Nel 1930 il terremoto delle Vulture: il governo Mussolini in 3 mesi costruì 3.746 case e ne riparò 5.190.

Corruzione? Magari. E’ peggio, è che siamo invincibilmente stupidi e arretrati.
Maurizio Blondet 27 agosto 2016

Un caro amico mi gira, dal Secolo d’Italia, questa rievocazione del terremoto del Vulture, che colpì 50 Comuni di 7 provincie tra Basilicata, la Campania e la Puglia. Anno: 1930, nel luglio. Magnitudo oltre 6.7. Numero di morti, 1404. Titolo:

Nel 1930 il terremoto delle Vulture: il governo Mussolini in 3 mesi costruì 3.746 case e ne riparò 5.190.

“Benito Mussolini, non appena ebbe notizia del disastro convocò il ministro dei Lavori Pubblici, Araldo di Crollalanza e gli affidò in toto l’opera di soccorso e ricostruzione. Araldo di Crollalanza, classe 1892, fu ministro dal 1930 al 1935. Successivamente divenne presidente dell’Opera nazionale combattenti, e legò il suo nome alla bonifica dell’Agro Pontino. Già squadrista nella Marcia su Roma, Podestà di Bari, nella Repubblica Sociale Italiana fu commissario straordinario per il parlamento, nel quale aveva seduto per tre legislature. Dopo la guerra fu arrestato ma immediatamente prosciolto. Nel 1953 divenne parlamentare del Movimento Sociale Italiano e fu rieletto fino alla sua morte, avvenuta nel 1986”.

Mi interessa sottolineare come il governo procedette. 

“Di Crollalanza dispose in poche ore il trasferimento di tutti gli uffici del Genio Civile, del personale tecnico, nella zona, come previsto dal piano di intervento e dalle tabelle di mobilitazione che venivano periodicamente aggiornate.

“Nella stazione di Roma, su un binario morto, era sempre in sosta un treno speciale, completo di materiale di pronto intervento, munito di apparecchiature per demolizioni e quant’altro necessario per provvedere alle prime esigenze di soccorso e di assistenza alle popolazioni terremotate. E su quel treno si accomodarono il ministro stesso e tutto il personale necessario in direzione dell’epicentro della catastrofe. Per tutto il periodo della ricostruzione Araldo di Crollalanza non si allontanò mai, dormendo in una vettura del treno speciale che si spostava da una stazione all’altra per seguire 
direttamente le opere di ricostruzione

.Araldo diCrollalanza, 1930

“I lavori iniziarono immediatamente. Dopo aver assicurato gli attendamenti e la prima assistenza, furono incaricate numerose imprese edili che prontamente giunsero sul posto con tutta l’attrezzatura. Lavorando su schemi di progetti standard si poté dare inizio alla costruzione di casette a piano terreno di due o tre stanze anti-sismiche, e nello stesso tempo fu iniziata la riparazione di migliaia di abitazioni ristrutturabili, in modo da riconsegnarle ai sinistrati prima dell’arrivo dell’inverno.

“A soli tre mesi dal sisma, il 28 ottobre 1930, le prime case vennero consegnate alle popolazioni della Campania, della Lucania e della Puglia. Furono costruite 3.746 case e riparate 5.190 abitazioni. Mussolini ringraziò di Crollalanza così: «Lo Stato italiano La ringrazia non per aver ricostruitoin pochi mesi perché era Suo preciso dovere, ma la ringrazia per aver fatto risparmiare all’erario 500 mila lire». […]

Tra l’altro, le palazzine edificate in questo periodo resistettero ad un altro importante terremoto, quello dell’Irpinia, che colpì la stessa area 50 anni dopo”.

Araldo di Crollalanza ripeté l’impresa, anzi la superò, anche nella bonifica delle paludi pontine: “bonificati 1 milione e 600 mila ettari, “fatte brillare per sette mesi 4 mila mine al giorno, in tutto 800 mila” costruite “in tre anni 2500 case coloniche complete di servizi igienici… città ( le tre maggiori furono Littoria Sabaudia Pontinia), canali strade ed opere pubbliche per 14 mila ettari”, le spese di bonifica risultarono 4.500 lire per ettaro”. Lo Stato aveva stanziato 5.500 lire per ettaro” Oscar A. Marino, Il Viaggio Interrotto, Messina 2006).

Lungi da me ogni nostalgia. L’esperienza di governo dei Fini e dei Larussa, degli Alemanno e della Meloni me ne avrebbero vaccinato per sempre.

Voglio solo far notare questo: nel 1930 l’Italia era moderna; aveva strutture e personale all’altezza dei tempi (di allora), competenze pubbliche e doti intellettuali alla pari con le europee , ed oggi non più.

Oggi non siamo moderni. Siamo antiquati rispetto ai tempi, siamo sorpassati. E lo si vede nel dibattito o chiacchiera nato attorno alla scuola di Amatrice, resa antisismica nel 2012 con 700 mila euro (della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Rieti) e crollata l’altro giorno.

Un lettore. : “Vivo in Giappone, e vi dico come si costruiscono qui gli edifici (antisismici): travi e pilastri di SOLIDO ACCIAIO. Niente cemento armato e altre schifezze. Puro acciaio. Resistentissimo, flessibile al punto giusto, impossibile che collassi”. Un altro: “I criteri antisismici italiani per le nuove costruzioni sono equivalenti a quanto si faceva in California ed in Giappone negli anni 70 ed 80. Adesso in questi due stati non viene realizzato praticamente piú nulla in calcestruzzo, nemmeno i viadotti stradali. Le costruzioni sono tutte in acciaio o legno per le piú piccole. Il calcestruzzo è confinato alle sole fondazioni, ma anche lí i criteri di costruzione sono ben differenti. Ho provato a parlarne con qualche ingegnere e qualche geometra; solo uno ha risposto “lo so, ma se presentassi un progetto di quel tipo non mi verrebbe approvato”, gli altri hanno fatto spallucce. Molti semplicemente non hanno conoscenza di tecniche antisismiche. Moderne”.

Appunto. Ma i nostri palazzinari-tipo, che hanno la seconda elementare anche se magari sono miliardari, non sono capaci di costruire in acciaio e (i piccoli fabbricati) in legno. Possono imparare? Ma no, non possono – non hanno la cultura – e nello stesso tempo non vogliono imparare: il loro business sta nel cemento armato con mescole di sabbia, nelle macchine movimento terra, nei subappalto mafiosi a poppare denaro pubblico. E’ da lì che ricavano i soldi, è lì che sono ras e padroni – e la nuova tecnologia rischierebbe di dare la corona ad altri, che sanno usare l’acciaio. I palazzinari-tipo (fate voi qualche nome) perderebbero il dominio del solo mercato dove sanno muoversi.

E allora, ecco che le ‘leggi antisismiche’ sono quelle che in California, Giappone e Cile sono scadute da 50 anni. Sono stati loro a suggerirle: a politici tanto ignoranti da non capire che sono arretrate, e hanno il loro tornaconto clientelare, perché possono raccomandare “per il posto” qualche muratore generico ignorante come una scarpa, qualche povero cafone della mescola che non si può nemmeno immaginare acquisti la vertiginosa perizia dei suoi colleghi americani degli anni ‘10.

Competenze e professionalità avanzate


E non parlo solo del Sud arretrato. Quando fu costruito il grattacielo Pirelli Milano (1958), firmato dalle archistar Gio Ponti e Pierluigi Nervi, la città si vantava: “Il solo grattacielo al mondo costruito in cemento armato!”. Che scemi gli altri che i grattacieli li facevano in acciaio dal 1902. Come siamo più furbi noi. A fare una cosa che “appare” moderna, ma non lo è. Che ha “una bella linea” e “fa’ la 
sua figura”: apparenza e non sostanza

.Incompetenza professionale

Guardate che tutti i settori in Italia sono diventati così: dalla magistratura alle università, dal giornalismo agli insegnanti che non superano gli esami di cultura generale, da Equitalia al personale pagatissimo della presidenza del consiglio che non sa l’inglese, giù fino al geometra comunale fino all’assenteista pubblico che si copre la testa con una scatola per timbrare il cartellino altrui, è – da settant’anni – tutto un accettare un po’ meno competenza di quella richiesta, un venire a patti con la mancanza di professionalità, di rigore etico, di intelligenza che sono strettamente necessari per adempiere alla mansione. Uno scadimento vistoso della ‘qualità’ di tutto: del lavoro, ma anche delle persone, della qualità della vita: incapace di cortesia e gentilezza, la società italiana è rozza, maleducata, invivibile per gli stessi italiani.

Persino la Chiesa è scaduta a tal punto, che un monsignore – il noto Galantino – ha potuto proclamare che Sodoma fu salvata dalla preghiera di Abramo (mentre fu incenerita), e restare al suo posto: ora, è evidente che non ha nemmeno letto né capito la Bibbia. Dopo un tale esempio di incompetenza professionale, vacuità e superficialità (ammantata per giunta di “modernità alla Papa Francesco”), vi potete scandalizzare se il palazzinaro mafioso che ha costruito la scuola di Amatrice ha usato sabbia e polistirolo, e cemento armato sui tetti? E la costruzione è stata dichiarata antisismica da apposita burocrazia?

Tout se tient. Se i vescovi non sanno la Bibbia, i palazzinari non sanno le tecnologia dei fabbricati in acciaio.

Il Business straccione dei profughi

Vogliamo parlare del business degli immigrati, che fa’ ricchi i soli noti e dà “lavoro” alle clientele sicule del ministro Alfano? Vogliamo spiegare una volta per tutta che la “accoglienza” dei “profughi” è un affare straccione – oltre che cialtrone – che si sono accaparrati albergatori non-professionali? La Sicilia dovrebbe fare miliardi col turismo, come lo fanno le Canarie o le più rustiche isole greche. Ma i siciliani, semplicemente, non sono stati capaci. Non hanno la professionalità, non sanno né vogliono fornire servizi di qualità, piscine, wifi eccetera che ormai in qualunque isola greca sono la routine. Peggio: il turismo non vende soggiorni alberghieri, “vende” una popolazione e la sua cortesia, la capacità di mettersi nei panni degli altri, un minimo di attenzione collettiva – che alla Mauritius come a Karpatos, si chiama “civiltà quotidiana”: Un amico siciliano che lavora a Milano, irritatissimo, mi ha detto: torno ad Acireale e non ho potuto fare il bagno ai bambini, perché il mare è inquinato. Dai liquami della fogna che butta a mare come nel 17mo secolo. Acireale! Una meta che dovrebbe essere nei circuiti internazionali mondiali, ha il mare merdoso: della merda dei siculi, ai quali la merda in mare non sembra intollerabile residuo arcaico. La “modernità”, invece, è farsi governare da un invertito: vedete che abbiamo superato i pregiudizi arcaici! Non siamo più macisti! E’ come la signora Cirinna e i suoi reggicoda giornalistici “La legge (delle nozze gay) renderà finalmente l’Italia un paese più moderno e civile!”.

No, moderno e civile sarebbe il paese se Acireale avesse il depuratore. Se i templi di Agrigento non fossero assediati da palazzoni di 8 piani abitati da mafiosi che i templi, li vogliono vedere solo loro, anche se manco sanno cosa sono. E non le orribili case abusive che hanno bruttato ogni metro quadro di litorale perché i siciliani vogliono avere la casetta lì, e d’estate riempire le straducole abusive di quintali di gusci di cozze che puzzano al sole perché nessun servizio pubblico viene a raccoglierle. Se avesse una popolazione gentile che davanti a un turista si chieda: di cosa ha bisogno?, e non: come posso fregarlo?

Ebbene: tutto ciò manca. Per cui ci sono decine, centinaia di hotel ‘familiari’, di alberguzzi di poche stanze e di nessuna qualità, messi su con pochi capitali e pochi mezzi, gestiti da gente che non ha la professionalità, non si aggiorna, non si informa su come si fa turismo moderno nel ventunesimo secolo, e mette prezzi pure spropositati perché “come si mangia bene da noi non si mangia a da nessuna parte del mondo”. Orbene, questi albergatori sono professionalmente dai falliti e incapaci; i loro “hotel” non sono proponibili sui siti web internazionali, non reggono la competizione globale con le pensioncine della Grecia. Non hanno mercato. Ma – furbissimi – hanno adottato il business degli immigrati come ultima ancora di salvezza della loro inprofessionalità. 35 euro a notte per persona, metti una quarantina di somali sudanesi eritrei che “fuggono dalle guerre”, e lo Stato ti passa già 1400 euro al giorno. Sai che pacchia. E mica devi offrire servizi all’altezza, mica sono turisti quelli, mica si lamentano del mare pieno di merda o della piscina asciutta o del wc che puzza. Non dovete mica competere sul mercato; ricevete denaro pubblico – che come sempre è la vostra aspirazione suprema.

Denaro pubblico senza obbligo di corrispondere nessuna ‘qualità’.

E’’, siciliani, un business straccione. Oltre che cialtrone, straccione: marginale cioè, residuale, un espediente anche se per ora rende. Indegno di voi, se foste i siciliani che dite di essere, popolo “fiero e orgoglioso”.

Provate a misurare di quanto siamo scaduti in “modernità” rispetto al 1930. C’era un treno attrezzato e pronto su un binario morto, in perennità perennità all’intervento. Oggi tale treno verrebbe, nell’ordine: 1) abbandonato dai sorveglianti pagati per sorvegliarlo; 2) saccheggiato e ripulito del materiale di valore dagli zingari del clan Casamonica, che nessuna magistratura e nessuna polizia riesce a far sloggiare dalla capitale della nazione, per mancanza di professionalità e diligenza; 3) il suo guscio vuoto, diverrebbe bivacco maleodorante di barboni e extracomunitari, dediti a prostituzione e alcolismo; 4) ogni tentativo di sloggiare costoro sarebbe vanificato da accuse de Il Fatto Quotidiano alla brutalità della polizia, l’apertura di un fascicolo contro gli agenti del noto magistrato, interrogazioni indignate del Senatore Manconi (17 mila mensili), compassione e solidarietà mediatica della Caritas, urla e strilli contro Salvini i “settentrionale senza cuore” che è una vergogna per questa Italia che ha il cuore grande così, e non manca mai di far sentire la sua vicinanza e indulgenza a chi la legge la viola, invece di applicarla e farla applicare.

Certamente: siccome nessuno fa’ il suo mestiere bene e sa farlo come si deve, all’altezza dei tempi, ci si sente tutti indulgenti con chi non sa farlo. Schettino, sei tutti noi! Poverino!

Provate solo a immaginare il ministro di Crollalanza negli anni ’30, se avesse trovato il treno non pronto. O se fosse arrivato ad Amatrice davanti alla scuola antisismica crollata e costata quasi un milione di denaro pubblico. Avrebbe avuto indulgenza per il podestà? Avrebbe chiuso un occhio perché membro del Partito? Al contrario. Eppure era pugliese. La non-professionalità, il non fare le cose al meglio e anche più del meglio, non godevano di alcuna manica larga. Il Fascimo era moderno. L’Italia democratica no, è arretrata.

Non si può accusare “la corruzione”, davanti alla scuola crollata. Giungo a dire: magari, fosse ‘solo’ la corruzione, perché si potrebbe correggere e punire. Ma quando la ‘corruzione’ è così evidentemente autolesionista – come quella di Schettino, dal fancazzista pubblico che si copra con la scatola di cartone, del capostazione pugliese che manda due convogli sul binario unico – si deve ammettere che la corruzione non è se non la conseguenza. La causa primaria, è un’altra. Come definirla? Come definire questa incuria nell’adeguarsi alle esigenze del proprio mestiere? Questa furbizia che consiste nel risparmiare cemento armato mescolandoci più sabbia? Questo non collegare le cause agli effetti, se pure immancabili, che metteranno in mostra la tua incapacità professionale e la tua delinquenza morale? Come definire questa imprevidenza, questa incapacità di mettersi nei panni altrui?

C’è un solo modo di definirla: è stupidità. La speciale ottusità italiana mista di egoismo calloso e di rozzezza arretrata, di inadempienza ai propri compiti e imprevidenza, che da chi la pratica viene – oltretutto – chiamata “furbizia”. Ohimé, siamo un popolo poco intelligente. E che da troppo tempo ha smesso ogni sforzo per diventare migliore, competente, rigoroso e onesto nel mestiere – perché “Mica siamo più nel fascismo”. Sì, siamo “in democrazia”: e l’ignorante dice la sua. Beninteso, gli ignoranti esistono in tutti i paesi. Ma solo in Italia gli ignoranti sono arroganti, imperiosi, impongono il loro standard, hanno voce in capitolo, vincono i concuorzi, vanno in Parlamento e in tv, impongono il cemento armato dove occorre l’acciaio; solo qui, invece di essere messi a tacere, vengono accontentati nelle loro esigenze da ignoranti – come vedo si fa’ con quelli di Amatrice che vogliono “la ricostruzione delle case così com’erano”, e gliela daranno gli altri ignoranti.

E’ troppo facile (se non siamo stupidi) vedere che la ‘democrazia’ ha contribuito alla nostra stupidità. Il decentramento amministrativo, gli ottomila comuni, le Regioni, hanno dato l’ultima zappata. Il decentramento ha senso in paesi dove le competenze sono numerose e diffuse in basso, dove la gente sa esercitare l’autonomia, dove i palazzinari non hanno la seconda elementare,i preti conoscono il latino e i vescovi hanno letto almeno una volta la Bibbia. Nei paesi dove non c’è stato addestramento rigoroso al proprio mestiere qualunque sia, l’ottusità e l’ignoranza più callosa sono la norma plebea, l’arretratezza salta agli occhi, le risorse intellettuali scarse, le professionalità alte scarsissime, è necessario lo Stato centralizzato, che raduna le poche, preziose professionalità migliori in alto per usarle e anche valorizzarle, non lasciarle sprecare dalla massa dei callosi ignoranti incapaci di prevedere, ma imperiosi ed arroganti a imporre le loro volontà di pancia e di intestino.

Una simile società ha bisogno di uno Stato centralizzato: che capisca la modernità, la insegni e se necessario la imponga con la forza. Uno Statoautoritario. Capisco che sono parole al vento. Quindi al prossimo sisma. A ricordare come eravamo moderni negli anni ’30, e come siamo neandertaliani oggi.

http://www.maurizioblondet.it/corruzione-magari-peggio-invincibilmente-stupidi-arretrati/

Appalti pubblici, la mafia c'è e i lavori non risultano mai a regola d'arte, risparmiano su tutto solo per soldi, e le istituzioni oltre a non controllare sono complice

Terremoto Centro Italia, l’ombra dei legami con i boss sui lavori nella scuola crollata
Intrecci societari e di parentela tra il gruppo siciliano che ebbe l’appalto e un altro, omonimo, colpito da un’interdittiva antimafia (poi sospesa)


di Davide Milosa e Davide Vecchi | 27 agosto 2016

La scuola elementare “Romolo Capranica” di Amatrice è crollata per il terremoto (leggi). E questo nonostante nel 2013 fossero stati spesi circa700mila euro per metterla in sicurezza. In attesa degli sviluppi dell’inchiesta aperta dalla Procura di Rieti (leggi), un primo dato emerge netto: attorno all’azienda che ha lavorato, pesa forte l’ombra di collegamenti con i clan di Cosa Nostra. Per capire bisogna partire dal sito della Valori Scarl. Qui, nell’elenco delle opere, alla voce “Restauro e riqualificazione ambientale” si legge: “2013: Amatrice, ristrutturazione polo scolastico verticalizzato”. Parte del denaro speso (200mila euro) è stato prelevato dal fondo messo a disposizione dal governo dopo il terremoto de L’Aquila.

A svelare i sospetti di collusione sono, però, gli intrecci societari. La Valori scarl, infatti, fa parte del gruppo Mollica il cui principale socio è Francesco Mollica nato a Patti in provincia di Messina nel 1977. La Valori, poi, è detenuta per l’88% dalla Dionigi Soc. Coop la cui sede si trova a Roma in via Dionigi 43, un indirizzo che risulterà decisivo. Qui, infatti, si trova un’altra società: la Sed srl che si occupa di elaborazione dati. L’amministratore è un cittadino russo, il quale controlla anche la Ricos, una società immobiliare che fa parte del gruppo che detiene le quote della Valori scarl. Al netto di questo risiko societario, ciò che solleva sospetti di mafiosità è uno degli azionisti della Sed. Si tratta di Domenico Mollica che ne detiene il 90% e che è nato a Piraino (Messina) nel 1955. Ecco il legame. Il signor Mollica è stato socio della Siaf (società di costruzioni fallita) assieme ai fratelli Pietro e Antonino. Ai tre è riconducibile il consorzioAedars che nel 2013 riceverà un’interdittiva antimafia firmata dalla Prefettura di Roma. Di più: Francesco Mollica, che controlla la Valori Scarl, è figlio di Domenico.

Nella giornata di ieri abbiamo tentato di raggiungere i diretti interessati e i loro legali, senza esito. L’interdittiva raccoglie un lungo elenco di annotazioni di diverse polizie giudiziarie su collegamenti con i clan di Cosa Nostra radicati a Barcellona Pozzo di Gotto. Il caso diventa pubblico perché in quel periodo il consorzio sta lavorando a Milano. La chiave, in questo caso, è rappresentata dalla Fracla srl che detiene il 72% dell’intero gruppo ed è riconducibile a un parente degli imprenditori.

La storia dei fratelli Mollica inizia qui e torna indietro al 1991, quando ilComune di Piraino viene sciolto per mafia. Nella relazione firmata dall’allora ministro Enzo Scotti si legge: “In meno di tre anni i fratelli Mollica si trasformano in un sostanzioso gruppo finanziario che si aggiudica ripetutamente appalti per svariati miliardi in Sicilia e fuori dall’isola”. Emerge, fin da allora, la capacità dei Mollica di influenzare la vita politica. Nel marzo del 2013, poi, viene sciolto il Comune di Augusta (Siracusa). Anche qui le relazioni allegate citano più volte i Mollica. In particolare si sottolinea il rapporto di amicizia e di affari con Francesco Scirocco, arrestato nel 2011.

L’interdittiva antimafia viene però sospesa dal Tar del Lazio nel 2014. Il giudizio ribalta l’impianto accusatorio. Si legge: “Da quanto illustrato si svilisce il quadro indiziario circa la contiguità con le organizzazioni mafiose del Consorzio ricorrente”. In sostanza il collegio afferma “che mancano gli elementi di collegamento con la criminalità organizzata”.

Una delle vicende più spinose e dalla quale i Mollica usciranno immacolati, è quella della vecchia Siaf. In questo caso il nome dei Mollica viene tirato in ballo da Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, il quale li inserisce nella lista degli imprenditori che si spartivano gli appalti. Dichiarazioni considerate “troppo generiche”. Per Pietro Tindaro Mollica i guai, però, non finiscono. Nel 2015 viene arrestato a Roma nell’ambito dell’indagine Variante inattesa. L’accusa è di bancarotta fraudolenta.

L’inchiesta parte dal consorzio Aedars che in dieci anni – ragiona l’accusa – si è aggiudicato una serie di appalti pubblici (118 milioni totali). Scrive il gip: “Dagli atti è facilmente evincibile come Mollica applichi un metodo delinquenziale”. L’ombra di questo metodo si affaccia ora sulle macerie di Amatrice.

Roma - la Raggi rivela attenzione a tutte le questioni della città



Virginia Raggi e Telecom, risparmiati 180 milioni

Domenico DeFrancesco

15:00 27 agosto 2016

Virginia Raggi blocca il progetto per la costruzione di una nuova sede centrale all’Eur per Telecom. La società che eroga servizi telefonici ha risparmiato ben 180 milioni di euro
Virginia Raggi e Telecom:

Virginia Raggi e Telecom per 180 milioni di euro risparmiati. Una decisione del sindaco di Roma che ha impedito che la società spendesse 180 milioni di euro. La grillina e il Campidoglio intervengono nella questione della ricerca di una nuova sede per l’azienda telefonica revocando il permesso per la costruzione nel quartiere Eur. Nello specifico, Telecom pensava alla zona delle Torri di Ligini, le ex Torri del ministero delle Finanze. Telecom avrebbe costruito la nuova sede centrale attraverso la società Alfiere. Ed è qui che è arrivato l’intervento del comune di Roma.

Lo stop al progetto:

La Procura della capitale ha avviato un’inchiesta sugli onceri concessori che ha rivelato la quota stabilita per la riqualificazione. Un milione di euro invece di ventiquattro. Una cifra che ha fatto scattare lo stop al progetto. L’intervento di Virginia Raggi ha fatto risparmiare ben 180 milioni di euro a Telecom. Flavio Cattaneo, Ad della società telefonica, era sempre stato contrario alla decisione del suo predecessore Marco Patuano. Il motivo era appunto il bilancio. Felice della decisione della Raggi che evita all’azienda il pagamento della penale dovuta all’inadempienza in caso di stop al progetto.
Il piano originario di Marco Patuano:

Virginia Raggi e Telecom, un’insolita alleanza a favore dell’azienda, ma che rispetta la leggi. Il comune di Roma si rivela attento alle varie questioni della città, anche quando di mezzo ci sono grandi società come la Telecom. Il piano voluto dall’ex Ad Marco Patuano prevedeva una spesa di 400 milioni di euro da utilizzare in due o tre anni per la costruzione di differenti sedi nelle principali città italiane. Il progetto sfuma a Roma, dove si ottimizzeranno i costi ‘sfruttando’ le sedi già occupate.

Gas e luce, in Italia ci sono componenti fisse che superano i bassi consuma abbondantemente e che non si capiscono cosa sono, escluso per gli addetti ai lavori

Offerta Taglia Prezzo Gas e Luce di Gas Natura

pubblicato da Flavio Sartini il 26 agosto 2016


La multinazionale spagnola Gas Natural è protagonista anche sul mercato italiano dell’energia con l’offerta Taglia Prezzo Gas e Luce, dedicata ai clienti domestici con bassi consumi e con la precisa volontà di risparmiare da subito sulle bollette. Si tratta, infatti, di un piano tariffario combinato per luce e gas, con la componente energia bloccata per il primo anno, più un incentivo di benvenuto per i nuovi clienti.

Scendendo nei dettagli, con la promozione valida fino al prossimo 17 ottobre, Taglia Prezzo Gas e Luce di Gas Natural propone per la componente Gas il prezzo bloccato per un anno, fisso e invariabile, di 0,29 €/Smc. Inoltre, sempre per il primo anno, l’operatore spagnolo aggiunge un ulteriore sconto del 50% sulla quota fissa della compconente Commercializzazione al Dettaglio (QVD), stabilita dall’AEEGSI - Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico che, per il trimestre in corso, è pari a 58,83 euro all’anno, IVA esclusa.
Come accennato, anche per l’elettricità la formula di Taglia Prezzo Gas e Luce propone il prezzo bloccato della componente Luce a 0,0625 €/kWh. Si tratta di un prezzo fisso e invariabile per 12 mesi, applicato a una tariffa monoraria che consente di non sottostare ai fastidiosi vincoli imposti dalle fasce orarie di consumo. Come per il gas, inoltre, per il primo anno viene applicato uno sconto del 50% sulla componente fissa o PCV, stabilita dall’AEEGSI e per il trimestre in corso pari a 54,8738 euro all’anno, IVA esclusa.
Ricordando che l’offerta Taglia Prezzo Gas e Luce di Gas Natural è riservata agli utenti con forniture già attive con altri operatori, segnaliamo che tra le opzioni aggiuntive è disponibile Servigas Premium, il piano di manutenzione programmata e assistenza guasti per l’impianto domestico, del metano e termico. Il costo dell’opzione è scontato a 72,00 euro all’anno, IVA inclusa, per i primi 24 mesi, a seguire 99,00 euro all’anno.

Energia pulita - l'Europa e l'Italia hanno sposato l'energia sporca. Euroimbecilli cercasi

Il futuro energetico di Ue e Italia passa per le rinnovabili




[carta di Laura Canali]
26/08/2016

L’ostinazione delle lobby energetiche di Bruxelles a remare contro uno strumento che può accelerare l’integrazione europea è vana e deleteria. Per ridurre la dipendenza estera, il nostro paese ha tutto l’interesse nell’espandere le fonti rinnovabili e mantenere la capacità di raffinazione petrolifera.
di Angelo Richiello

Lo scorso mese di aprile, Francesco Venturini, amministratore delegato di Enel Green Power – la multinazionale italiana specializzata nella generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili, nata nel 2008 da una costola di Enel Produzione – è stato nominato presidente del consiglio di amministrazione di WindEurope, la più grande associazione al mondo, non a scopo di lucro e non governativa, nel settore delle energie rinnovabili.

Sulla stampa italiana l’avvenimento ha un’eco pressoché nulla, sebbene la vicenda sia di primaria importanza per un paese, il nostro, che sforna così pochi personaggi di rilievo nell’arena internazionale della politica e dell’economia, nella quale l’industria energetica svolge un ruolo secondo a nessuno.

Le questioni energetiche sono causa di grandi cambiamenti geopolitici, spesso positiv…

Magnete Marelli deve essere italiana, nazionalizziamola ma con questo governo di farlocchi neoliberisti è un'eresia. Un'altro pezzo dell'industria italiana che cade e poi non dite che nessuno l'ha detto e propone, i soldi per uno stato non sono mai un problema

Perché vendere Magneti Marelli di FCA a Samsung non è un buon affare per l’Italia. Parla Sapelli


Dopo le indiscrezioni sulla possibile cessione di Magneti Marelli a Samsung Electronics da parte di Fiat Chrysler Automobiles (FCA), e le voci di un possibile stallo delle trattative per un disaccordo sul prezzo pubblicate dal coreanoThe Bell, Giulio Sapelli, storico ed economista, spiega in una conversazione con Formiche.net le ragioni che potrebbero spingere il capo azienda Sergio Marchionne a disfarsi di una parte così importante del suo business e la grave perdita che ne deriverebbe per l’Italia: sarà pure un affare per il gruppo capitanato da Marchionne – dice Sapelli – ma di sicuro sarà un pessimo affare per l’Italia. Per questo Sapelli si chiede: cosa fa il governo Renzi?, non dice nulla?

COSA FA E QUANTO VALE MAGNETI MARELLI

L’azienda italiana nata nel 1919 col nome di F.I.M.M. (Fabbrica Italiana Magneti Marelli), da una joint-venture tra la Fiat e la Ercole Marelli, ha la sede centrale a Corbetta (Milano), conta circa 40.500 addetti, 89 unità produttive, 12 centri di ricerca e sviluppo e 30 centri applicativi, ed è presente in 5 continenti e 19 Paesi. Nel 2015 ha registrato 7,3 miliardi di euro di fatturato.
È fornitore di prodotti e sistemi ad alta tecnologia per il mondo automotive, come batterie per auto, bobine, centraline, navigatori, quadri di bordo, sistemi elettronici, sistemi di accensione, sistemi di illuminazione, infotainment & telematica, sistemi di scarico e sospensioni per auto e motoveicoli. Tra le sue aree di business vi è anche la produzione di sistemi elettronici ed elettromeccanici per le competizioni in Formula1 e MotoGP.

LE PRIORITÀ DI MARCHIONNE

“Non si tratta di una vendita qualunque – commenta Sapelli -. E rispecchia le abitudini di Marchionne a vendere agli amici degli amici. Il vice presidente di Samsung, Lee Jae Yong, già dal 2012 siede infatti nel cda di Exor, società d’investimento dalla Famiglia Agnelli”.
“Magneti Marelli – continua l’editorialista del quotidiano Il Messaggero – è leader nell’elettronica del movimento ed ha un valore industriale e tecnologico elevatissimo. Se l’acquisizione dovesse andare in porto – aggiunge Sapelli – Fca si priverebbe di una parte essenziale. E lo fa per l’unica ragione di abbassare il debito che è superiore ai 5 miliardi di euro. Mentre il colosso coreano non avrebbe difficoltà a finanziare l’acquisizione, contando su una liquidità di 70 miliardi di dollari. Se non ci fosse questa impellente necessità, credo non se ne libererebbe facilmente”. Ma c’è anche un’altra ragione dietro il progetto marchionnesco: “Tagliare il debito è l’obiettivo prioritario per Marchionne, prima di lasciare la sua posizione di amministratore delegato nel 2019, anche perché gli permetterebbe finalmente di trovare il terzo partner di cui è in disperata ricerca”, fa notare Sapelli.

I NUMERI DELL’OPERAZIONE

Secondo Bloomberg l’operazione varrebbe oltre 3 miliardi di dollari (circa 2,68 miliardi di euro) e potrebbe andare in porto entro l’anno, mentre secondo le ultime indiscrezioni di stampa Samsung sarebbe disposta a sborsare una cifra intorno al miliardo di dollari. “Non si tratterebbe di uno scambio in azioni – precisa Sapelli – ma totalmente cash”.

Finora a farsi avanti sembra essere stata solo l’Asia: “Gli unici possibili acquirenti di cui è giunta notizia erano delle compagnie cinesi, ma Obama aveva già manifestato la sua contrarietà. Dopo aver salvato la Chrysler con alcuni miliardi di dollari gli sembrava improprio vendere un pezzo di quella che adesso è anche della Chrysler”, spiega Sapelli.

GLI OBIETTIVI DI SAMSUNG

L’interesse della coreana Samsung per il mercato della componentistica auto non è nuovo: “Lo scorso anno ha creato una divisione per lavorare nel campo dell’automotive e a luglio ha comprato una quota dell’azienda cinese Byd, specializzata nelle auto elettriche, per circa 451 milioni di euro”, spiega Sapelli. Nel 2009 inoltre l’azienda asiatica ha siglato un accordo di cooperazione con la stessa Magneti Morelli per lo sviluppo di nuovi prodotti nel settore dell’automotive, in particolare nell’ambito dei quadri di bordo, dei dispositivi per la navigazione e l’infomobilità.

CHI CI GUADAGNA E CHI CI PERDE

Tutti contenti quindi? “A perderci è soprattutto il nostro paese. Già la Fiat ha spostato il suo cervello negli Stati Uniti, mentre Samsung sembra guardare più all’Africa. Ho molti dubbi che la sede centrale continui ad essere a Corbetta”, osserva Sapelli, che chiama in causa il governo: “A questo punto dovrebbe intervenire l’esecutivo, come accade negli altri Paesi. Chiedere di conoscere di cosa si sta discutendo e cercare di mantenere in Italia i capisaldi di un’azienda così rilevante per il nostro Paese. Ma è anche vero che da un punto di vista legale Fca non è più una società italiana, e non sarà così semplice farsi ascoltare”.