L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 24 settembre 2016

Stati Uniti in pieno caos decadente - le Consorterie Guerrafondaie ormai combattono apertamente Obama e puntano a portare guerra alla Russia

Quanti sono in America a comandare? Resoconto di un caos letale.

 Maurizio Blondet 24 settembre 2016


Chi fa’ la politica estera americana, l’occasionale presidente oppure il Partito della Guerra?”.

//www.maurizioblondet.it/wp-content/uploads/2016/09/banana-republic.jpg">



La domanda l’ha posta il russologo di Princeton Stephen Cohen, ma echeggia da qualche giorno in tanti analisti di peso, da Paul Craig Roberts a “The Saker”:

tutti sicuri il massacro dei soldati siriani assediati dall’IS compiuto dagli F.16 (che hanno anche mitragliato i superstiti), è stato compiuto in sabotaggio di Kerry e sfida dell’accordo di cessate il fuoco che Lavrov aveva laboriosamente concluso con Kerry sulla Siria. Non solo, ma, accusa The Saker: “Il Pentagono ha sabotato il patto firmato tra Kerry e Lavrov per raffreddare in Siria la situazione; e quando il Pentagono è stato accusato di essere il responsabile, ha montato un rozzo false flag per incolparne i russi”: l’attacco al convoglio umanitario verso Aleppo, di cui si è visto ad occhio nudo che non era stato colpito dal cielo, ma da incendiari a terra.



E quando i russi hanno espresso la loro indignazione e disgusto per il fatto inaudito – la unica superpotenza e democrazia che viola un accordo da essa stessa firmato, ed hanno chiesto a Consiglio di Sicurezza una formale indagine sul convoglio distrutto – – cosa ha fatto l’ambasciatrice Usa all’Onu Samantha Power? Ostentatamente, ha abbandonato l’aula mentre parlava il rappresentante russo. Un gesto tra l’infantile e la mancanza totale di professionalità diplomatica, scemo e inutile; ma forse la Power non sapeva cosa replicare, non ha ricevuto istruzioni, e se l’è cavata fuggendo?
A Mosca hanno usato un termine per questa America:

“недоговороспособны”., “non-capace di accordo”, di tener fede a un patto sottoscritto.

“Finalmente i russi han capito che trattare con Washington non ha senso”; titola Paul Craig Roberts, che è stato sottosegretario.


Nei suoi giorni finali, “l’amministrazione Obama è in stato di confusa agonia”, presa nella trappola della sue stesse doppiezze – ha creato l’IS e fa’ finta di combatterlo – e della insubordinazione dei ministeri ad un presidente che a novembre scadrà. Il War Party, il partito della guerra, tripudia in questo tragico e pericoloso scollamento, perseguendo le sue politiche di odio nella irresponsabilità iù assoluta. I confini del War Party sono vasti:

oltre alla colonna Nuland sabotatrice forse di Kerry al Dipartimento di Stato, oltre al Pentagono del ministro –stranamore Ashton Carter, va contata la Cia: che fa’ gioco a sé, senza alcuna coordinazione nemmeno col Pentagono, anzi – nello “spirito di Langley” (sede della Ditta) – cercando di fregare la Dia (l’intelligence militare), lo Fbi, il Dipartimento di Stato …. Si apprende che anche nelle ambasciate europee (dove il capostazione della Cia è “l’addetto culturale”), “la Cia ha sempre lavorato su informazioni proprie, senza la cooperazione dell’USIS e largamente ostracizzata in seno all’ambasciata”. E spesso “fidandosi dei servizi dei Turchi per sapere a quali unicorni e jihadisti regalare i missili TOW e gli altri aggeggi prescritti”.



Fronda delle Forze Speciali
Uno dei risultati di questo doppio o triplo scollamento (anche del War Party) è descritto da questo titolo:

“Le forze speciali Usa sabotano la politica della Casa Bianca andata spaventosamente a male con le operazioni clandestine in Siria”.

“US Special Forces sabotage White House policy gone disastrously wrong with covert ops in Syria” – TTG
Il titolo campeggia sul sito SOFREP:

dove la sigla sta per “Special Operations Forces Report”, in quanto è il blog informale di (ex?) alti ufficiali delle forze speciali, ossia di quelli che compiono le azioni clandestine in Siria, e – adesso si scopre – cercano di sabotarle. Qui non si tratta di complottisti dilettanti, ma di esperti con le mani in pasta.
L’incipit dell’articolo è questo:

“Nessuno ci crede. Lo stato d’animo è:

fanculo a questa merda”, dice il’ex (?) Berretto Verde del programma di operazioni coperte per armare le milizie in Siria. “Sul terreno, tutti sappiamo che sono jihadisti. Nessuno sul campo crede a questa missione o a questo sforzo; sanno che stanno semplicemente addestrando alle armi la prossima generazione di terroristi jihadisti, sicché lo stanno sabotando, vaffanculo, freghiamocene”.



“Io non voglio essere responsabile del fatto che i tipi di Al Nusrah possano dire che sono stati addestrati da noi americani”, aggiunge il Berretto Verde. Un altri soldato delle Forze Speciali racconta che una milizia da loro addestrata di recente ha attraversato il confine dalla Giordania per quella che era stata dipinta per una operazione di larga scala che avrebbe cambiato le sorti della guerra. Guardando la battaglia dal monitor con un drone che sorvolava, siamo stati a guardare questi, una forza di una trentina di tipi, scappare davanti a 3 quattro dell’IS”. Ovviamente senza muovere un dito”.
La storia è parzialmente nota:

quelli che sono scappati impersonavano forze “moderate”, che combattevano Assad per “portare la democrazia” in Siria – pochi e mal addestrati, si sono poi dichiarati fedeli al Califfato. Resta incerto quali altri Berretti Verdi, o esperti della Cia, in combutta con i turchi e i sauditi, abbiano saputo mobilitare le migliaia di guerriglieri concentrandoli per spezzare l’assedio ad Aleppo.
Basterà ricordare come a metà agosto i peshmerga hanno “conquistato Manbj strappandola ai jihadisti”, in realtà concordando con i jihadisti l'uscita dalla cittadina perché potessero concentrarsi a Jarablus e di là andare a lottare ad Aleppo:

se ne sono andati pacificamente su almeno duemila automezzi, carichi di familiari e privati usati come scudi umani – ha scritto lo stesso New York Times, sorvegliati dall’alto da droni dell’US Air Force (o della Cia?) che non hanno ovviamente impedito l’esfiltrazione, anzi l’hanno protetta. I peshmerga erano assistiti da 300 Forze Speciali Usa, poi il fallito golpe americano (vero o presunto? Firmato Cia o Pentagono? O fazione del Diipartimento di Stato?) contro Erdogan , che ha provocato l’offensiva di Erdogan contro i curdi ha confuso ulteriormente le cose…


Un altro sito che ha altissimi contatti nell’intelligence militare, “Sic Semper Tirannis” di Patrick Lang (per la sua biografia si veda qui:


Ci informa chela CIA se ne infischia di combattere lo Stato Islamico in Siria (oh sorpresa), ma “è neuroticamente concentrata a rimuovere Assad con qualunque mezzo. Questo compito è stato assegnato da Brennan (un ex capo della Cia) e è condiviso da quasi tutta l’Amministrazione Obama”. Nonostante questa “concentrazione-laser” su Assad Must Go, gli sforzi della Cia in Siria sono compromessi da “un mucchio di lotte interne burocratiche. La Cia ha tre elementi che competono per il potere.. La Task Force Syria è simile alla Task Force Irak e al Gruppo Operazione Iran che l’ha preceduto .E’ il figlio prediletto voluto da Brennan. “Damascus X” è la stazione operativa Cia che opera da Amman . E c’è il CTC/SI (Counterterrorist Center/Syria-Iraq) che è tragicamente concentrato sul governo Assadpiù che sui terroristi”. Questo tipo di lotte interne per il prestigio e i soldi, dice l’autore dell’articolo, “l’ho visto anche nella DIA durante i giorni del denaro facile della Guerra Globale al Terrorismo. Sono certo che la lotta interna è ancor più spietata oggi, nella fase di bilanci più stretti”.


Sul War Party rivelazioni sempre più compromettenti
Ecco una grande verità:

il War Party si batte per le montagne di miliardi mobilitati nella pretesa Lotta al Terrorismo Globale, gran parte dei quali fondi sono andati e stanno andando a creare quel Terrorismo Globale islamico da combattere. E temono soprattutto che l’elezione di Trump metta fine all’immensa pioggia d’oro. Dunque stanno provocando una guerra con la Russia finché possono.
La loro candidata ideale, Hillary, si sta praticamente sciogliendo nelle loro mani. Ormai anche siti quasi mainstream come Breitbart non solo parlano della salute della Clinton, ma rivelano cose come:

“Hillary ha sponsorizzato il programma segreto di “Primavere Arabe” che ha destabilizzato il Medio Oriente” mentre era segretaria di Stato nel 2008. Specificando che il programma di “Primavere Arabe”, sostanzialmente inteso a sostituire i governi in Egitto, Libia e Siria con islamisti tagliagole, era stato concepito da – udite udite – da Jared Cohen, ebreo con doppio passaporto, che era “funzionario del Dipartimento di Stato sotto Bush” jr.: a dimostrazione e conferma che il War Party è repubblicano o democratico secondo serva a Sion. Non a caso Bush padre, repubblicano storico, ha dichiarato che non voterà Trump.
E vi si informa che Washington prese contatto coi Fratelli Musulmani, i quali gli comunicarono che in Egitto erano pronti a prendere parte a “un piano non scritto per la transizione democratica” (sic), rovesciando Mubarak, ossia un alleato degli USA. Se avete pazienza, leggete i particolari qui:


Sono momenti strani. In cui l’FBI rilascia (ma un venerdì sera, evitando il massimo clamore mediatico) la rivelazione che il presidente Obama “ha usato uno pseudonimo nelle comunicazioni per email con Hillary Clinton”. Il bello è che Obama ha sempre sostenuto di “aver saputo che Hillary Clinton usava un server privato per uso ufficiale al Dipartimento di Stato solo dopo che il New York Times l’aveva raccontato in un articolo”. Invece il doppio e triplo personaggio o non solo sapeva, ma mandava a quell’indirizzo indebito sue mail con pseudonimo. Qual era? “DroneMaster69”. Il Maestro dei Droni assassini:

un altro spaventoso miscuglio di cinismo e infantilismo.

Questa rivelazione documentata dalla polizia federale porterebbe Obama dritto un caso Watergate-bis, come le menzogne di Nixon lo travolsero con lo scandalo Watergate 1.0. Ma allora il New York Times era contro il presidente, oggi è per Obama, Clinton e il War Party…
Potete leggere la cosa qui:

Non senza farsi la domanda:

perché l’FBI sta sabotando il War Party? O è una parte dell’FBI? Sono in corso anche movimenti per rifarsi verginità politiche o benemerenze in caso di vittoria di The Donald.
Colin Powell, l’ex segretario di Stato di Bush (il primo negro a rovinare la sua dignità agitando la boccetta di borotalco all’Onu dichiarando che era l’antrace di Saddam Hussein), in una email a Jeffrey Leeds, gran raccoglitoredi fondi per il partito democratico, ha scritto di Hillary, che aveva preso il suo posto al Dipartimento:

“Tutto ciò che HRC (Hillary R. Clinton) tocca, in qualche modo lo distrugge con la hubrys”.


E’ esattamente per questa sua qualità che il WarParty la vuole presidente; ma la candidata fallisce, sviene, mostra la sua malattia – persino i grandi elettori comprati per votarla sono perplessi; a poco a poco la maggioranza al Senato, “sicura” fino a ieri, svanisce.

ros
Pagati da Soros

Soros mobilita gli americani all’estero
Disperato, Georges Soros ha investito un altro buon numero di milioni di dollari per la “October Surprise” finale:

convincere gli 8 milioni di americani all’estero a votare (quasi mai lo fanno) e a votare contro Trump. Ha dato l’incarico (e il relativo finanziamento alla Aavaz), una charity, ossia una pretesa organizzazione di beneficenza (ma già nota per aver fatto petizione per la “No fly zone” in Libia, come voluto da Hillary per distruggere Gheddafi, e per il Remain del Regno Unito).L’organizzazione, che ha l’arcobaleno nel logo, ha cominciato ad organizzare manifestazioni a Londra: autobus a due piani piene di festanti giovani con bandierine Usa, la canzone di Springsteen “Born in USA” a tutto volume, e la scritta: “Non votate Trump”, si sono visti presso le università e la City dove operano parecchi americani residenti all’estero. Il piano per raggiungere tutti gli otto milioni richiede ben altro, ed ovviamente top secret. La Aavaz, essendo registrata come “charity” in America, avrebbe il divieto di partecipare a campagne elettorali. Ma al fondatore, l’attivista canadese indiano Ricken Patel, è bastato dichiarare che “Non è coordinato con la Clinton”, ma che l’organizzazione esprime spontaneamente “la sua idea”: Trump è pericoloso, ma esiste uno “swing state segreto”, gli otto milioni di americani all’estero, che se votano possono fermarlo. .Ricken Patel ha lavorato, direttamente o come consulente, per la Rockefeller Foundation e Gates Foundation. La sua Aavaz è collegata con MoveOn Org, un gruppo che nelle elezioni del 2004 ha ricevuto da Soros 1,4 milioni. Adesso Soros di milioni ne ha destinati 25 (almeno) per Hillary.


…e Obama vuol far votare i clandestini

Il presidente Obama e il partito democratico stanno cercando altri elettori pro-Clinton:

magari immigrati clandestini, pagati per presentarsi ai seggi? Per quanto sembri incredibile, in alcuni Stati americani l’elettore non h bisogno di esibire un documento di identità per entrare al seggio se sono dotati dalla scheda federale di voto. Adesso è successo che, con una sentenza giudiziaria, in tre stati – Alabama, Kansas e Georgia – le autorità debbano richiedere agli elettori il documento d’identità che dimostri, almeno, che sono cittadini americani. Fatto istruttivo,a d opporsi disperatamente a questa sentenza è stata – con fior di avvocati – l’Amministrazione Obama con un codazzo di associazioni de partito democratico; sostenendo che l’obbligo di mostrare il documento è “razzista”, e mette in forse il diritto di negri e latinos di votare.

Non occorre essere particolarmente sospettosi per intuire che Obama e i democratici contavano di inviare frotte di clandestini e irregolari senza identità, comprabili al prezzo di pochi dollari ciascuno. La miseria infatti ha reso disponibile “forza lavoro” per ogni genere di operazione. Come gli scontri di “negri” contro la polizia a Charlotte, dove il capo della polizia ha denunciato:

“Il 70% dei manifestanti che abbiamo arrestato perché più violenti non è della città, sono venuti da fuori su pulmann”. Certamente pagati da qualcuno. Anche loro probabilmente sono parte di una October Surprise d’altro genere: forse l’aggravarsi di disordini o l’omicidio di Trump (o Hillary, a questo punto più utile), che consenta a Obama di governare con lo stato di emergenza?
Il futuro lo dirà. Intanto ci basti la nota del Saker:

“La Casa Bianca è così ossessionata alla prospettiva di una vittoria di Trump che ha perso il controllo della sua politica estera in generale, e specialmente in Siria”, diventano “non-atta a stringere negoziati”. Questi possono davvero scatenare la terza guerra mondiale, per furia e puerilità.

Twitter - il mio vecchio maestro di comunicazione lo disse in tempi non sospetti le piattaforme sociali possono cambiare le regole o produrre censura in ogni momento




MALACHIA PAPEROGA 20 ORE FA NESSUN COMMENTO
TWITTER “SILENZIA VERAMENTE ALCUNI UTENTI”, SECONDO UNA FONTE INTERNA

A seguito della spiacevole situazione in cui si trova l’ottimo Luciano Barra Caracciolo, pubblichiamo un articolo del sito Breitbart che denuncia la deriva della piattaforma Twitter. La diffusissima applicazione ha cominciato ad utilizzare un bavaglio nascosto non solo nei confronti degli utenti molesti, ma anche di profili politicamente scomodi. Ecco un’altra delle sottili forme in cui si impone il pensiero unico, con i cittadini italiani costretti a elemosinare a una multinazionale estera il diritto di parola nel dibattito in rete.

di Milo, 16 febbraio 2016

Le voci che Twitter ha iniziato a silenziare segretamente gli utenti politicamente sconvenienti sono state confermate da una fonte interna alla compagnia, che ha parlato in esclusiva con Breitbart Tech. Questa pratica è stata confermata da un senior editor presso un grande editore.

Secondo la fonte interna, Twitter ha una “lista bianca” di account twitter privilegiati e una “lista nera” di utenti indesiderati. Gli account sulla lista bianca hanno maggiore priorità nei risultati delle ricerche, anche nel caso in cui non siano i più popolari tra gli utenti. D’altro canto, i tweet degli account in lista nera vengono nascosti sia nei risultati di ricerca sia nelle timeline degli altri utenti.

La conferma è arrivata da un senior editor presso un grande editore, che ha detto a Breitbart che Twitter gli ha confermato di mettere deliberatamente certi utenti in lista nera o in lista bianca. Ha aggiunto di essere spaventato dal potere della piattaforma, facendo notare che i suoi tweet potrebbero sparire dalla timeline degli altri utenti se sono dovesse uscire dalle grazie dell’azienda.

La pratica di silenziare (in inglese “shadowbanning”, letteralmente bandire nell’ombra, ndVdE), a volte definita “Stealth Banning” or “Hell Banning”, viene comunemente usata dai gestori di comunità online per bloccare gli interventi degli spammer. Invece di bandirli direttamente (avvertendo l’utente bandito del fatto, con la conseguenza che questi crea un nuovo account), i loro interventi vengono semplicemente nascosti agli occhi degli altri.

Per un gestore di siti, il silenziamento ideale avviene quando l’utente non si accorge mai di essere stato silenziato.

Tuttavia, Twitter non si limita a silenziare gli spammer. Per settimane, gli utenti hanno riferito che i tweet di populisti conservatori, membri della destra alternativa, libertari culturali, e altri dissidenti sono scomparsi dalle loro timeline.

Tra gli utenti che si lamentano di essere stati silenziati sono l’autore fantascientifico e personaggio di destra alternativa Vox Day, il blogger di cultura Geek “Daddy Warpig”, e il popolare account pro-Trump Ricky Vaughn. Anche il creatore di League of Gamers ed ex capo del team di sviluppatori di World of Warcraft Mark Kern, così come l’attrice “per adulti” e attivista anti-censura Mercedes Carrera, si sono anche loro lamentati che i loro tweet non apparivano nelle timeline dei loro follower.

La tendenza di questi interventi, che sembrano indirizzarsi verso la destra alternativa, la destra populista e i liberali culturali, segue a ruota l’implementazione da parte di Twitter di una “Giuria sulla fiducia e sicurezza”, piena di gruppi di sostegno della sinistra e del Centro di ricerca Islamico Wahid Institute.


E’ da quasi un anno che Breitbart monitora la marcia di Twitter verso la censura politica. Nel maggio del 2015 Allum Bokhari segnalava che il sito aveva cominciato a sperimentare il “silenziamento”, con la scusa di proteggere gli utenti dagli abusi. Poi, così come succede ora, è nato il sospetto che “proteggere gli utenti dagli abusi” fosse una scusa per implementare un sistema che sarebbe poi stato utilizzato per la censura politica.

Ora che il “silenziamento” è stato confermato da una fonte interna, non ci sono molti dubbi che la piattaforma sia impegnata a zittire i conservatori. Inoltre, ha dimostrato una completa mancanza di rispetto per la trasparenza, camuffando il suo sistema di “silenziamento” agli utenti e nascondendo le proprie inclinazioni politiche dietro un manto di protezione nei confronti degli abusi. (In realtà, il sito chiude gli occhi di fronte agli abusi degli attivisti di sinistra).

Gli utenti che vogliono una piattaforma trasparente, senza pregiudizi politici dovranno presto trovarsi – o costruirsi – un’alternativa.

“Obama dice una cosa e il Pentagono un’altra”

Usa-Russia, Giulietto Chiesa svela: “Non credo che Trump sia filo-Putin. Ma Mosca guarda..."
23 settembre 2016 ore 16:29, Lucia Bigozzi






“Obama dice una cosa e il Pentagono un’altra”. “Non credo che Trump sia filo-Putin; lui vuole un’America più ripiegata sui suoi problemi interni e sarà meno proiettata all’esterno, quindi avrà meno atteggiamenti aggressivi verso il resto del mondo”. E Putin? “Mosca guarda con una certa attenzione alle dichiarazioni di Trump perché se si verificassero, l’America sarebbe meno aggressiva nei confronti della Russia”. Sono due concetti che Giulietto Chiesa, giornalista, scrittore ed esperto di scenari geopolitici, mette sul tavolo della riflessione nella conversazione con Intelligonews, calibrando la lente di ingrandimento sul delicato scacchiere tra Occidente e Oriente. 

Obama all’Onu è sembrato dichiarare guerra più a Putin che all’Isis: che idea si è fatto?

"In effetti non so se sia Obama che fa la guerra a Putin… Diciamo che Obama la fa a parole perché – ahimè per lui – non ha altro da dire. In realtà, Obama ha perso il controllo dei suoi, perché se si guarda la successione degli eventi è chiarissima: lui manda Kerry a incontrare Lavrov, si mettono d’accordo e dopo due giorni partono i bombardamenti sulle truppe siriane che fanno una strage. Allora, ci sono due interpretazioni possibili; la prima è che Obama sia uno che mente e la seconda è più semplice: Obama dice una cosa e il Pentagono ne dice un’altra". 

Nell’ipotesi in cui a vincere le presidenziali sia Trump, quanto questo potrebbe cambiare il modo di rapportarsi con la Russia? Della serie: Trump è filo-Putin o ciò che dice è fuffa? 

"No non si può dire che Trump sia filo-Putin, non lo credo. Trump vuole un’America più ripiegata sui suoi problemi interni e sarà meno proiettata all’esterno; quindi avrà meno atteggiamenti aggressivi verso il resto del mondo. Quindi, in questo senso si può dire che sarebbe più gradito, se mantiene la parola più di quanto non sia la signora Clinton la quale, invece, manifestamente esprime desideri di aggressione e di rivincita. Io la metterei così: Mosca guarda con una certa attenzione alle dichiarazioni di Trump perché se si verificassero, l’America sarebbe meno aggressiva nei confronti della Russia".

L’eventuale vittoria di Trump cambierebbe o no le relazioni con i repubblicani in quanto conservatore?

"No, non credo che sia tanto così. I repubblicani sono molto conservatori ma anche Reagan era un conservatore e poi, alla fine, fece l’accordo con Gorbaciov sulla riduzione delle armi. I repubblicani sono diventati molto più reazionari di quanto non fossero venti anni fa, tanto è vero che il Senato a maggioranza repubblicana e la Camera dei deputati idem, hanno or ora consentito la vendita di enormi quantitativi di armi all’Arabia Saudita e hanno praticamente dato il via libera alla politica aggressiva degli Usa; questo per dire che dipende. Mettiamola così: bisogna vedere se Trump in caso di vittoria riesce a controllare o a rovesciare il comportamento dei senatori del suo partito".

Venezzuela - vi ricordate la bufala dello zio dato in pasto ai cani? era contro logica MA nonostante ciò era diffusa dai giornali e Tv occidentali a piene mani ed ora continua la narrazione

L'attacco mediatico contro il Venezuela raggiunge il livello più basso di sempre con le 'culle di cartone'



Di nuovo all'attacco meschino, mediocre, basso e moralmente piccolo come solo le corporazioni neo-liberali da cui sono stipendiati sanno fare.

Protagonisti, come sempre, Omero Cia(i) su Repubblica e, chiaramente, il Fatto Quotidiano. Ma questo è noto, più triste che a questo gioco si presti anche Dacia Maraini su il Corriere della Sera.

Entrambi, ma non sono i soli nel triste panorama dell'informazione italiana, riportano la “notizia” dei bambini nati nei cartoni nell'ospedale di Barcelona in Venezuela e fanno girare questa foto per testimoniare la crisi umanitaria in corso nel paese e come dice apertamente e senza vergogna Cia(i) per chiedere un intervento esterno. Uno di quelli che piace tanto al giornalista italiano, ma molto meno alle popolazioni di Somalia, ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia e Siria. Ma questa è un'altra storia.



La foto è stata diffusa da tal Manuel Ferreira Guzman, avvocato dell'opposizione protagonista del colpo di stato contro Chavez del 2002 e del tentativo di colpo di stato del febbraio del 2014 noto come Guarimbas su Twitter e Facebook. Foto riprese da tutti i giornali spagnoli e italiani noti per le mire neo-coloniali sul petrolio venezuelano. Meglio di tutti, come spesso accade, fa il Fatto Quotidiano che addirittura trasforma il Guzman in un medico!Chiaramente così la 'notizia' assume più importanza. Siamo ai livelli della bufala più divertente dell'ultimo periodo, quella “dell'ultimo pediatra di Aleppo”.

Sulla foto molto probabilmente si scoprirà a breve che è un falso, come è stato per quest'altra su cui la propaganda neo-liberale ha basato i suoi attacchi, per poi scoprire che era stata scattata in un supermercato degli Stati Uniti.

Nessuno di questi giornali riporterà mai le parole più importanti sulla vicenda, quelle del direttore dell'ospedale in questione. José G. Zurbarán A. che attraverso Twitter ha definito la diffusione delle immagini del bebè come di un “attacco mediatico vergognoso” e le foto pubblicate dagli addetti del reparto maternità dell'ospedale che hanno diffuso le immagini del reparto natalità. Sulla vicenda è stata aperta un'inchiesta interna per conoscere l'origine di questa foto.

Aquí mostramos las imágenes de nuestro hospital @ivsslasgarzas #IvssAnzoátegui Servicio de Neonatología pic.twitter.com/6KKdFDLxal— IVSS (@ivssoficial) 21 settembre 2016

.@ivssoficial Ratificamos el profesionalismo y dedicación d nuestra #GenteIvss en la atencion del binomio #MadreHijo pic.twitter.com/6R7cFDcswL— Hosp Guzmán Lander (@ivsslasgarzas) 21 settembre 2016

.@ivssoficial Se determina la presencia de 7 incubadoras en sala contigua de donde tomaron foto tendenciosa #Verdad pic.twitter.com/mHZecjDWSp— Hosp Guzmán Lander (@ivsslasgarzas) 21 settembre 2016

Y al #Mundo decimos que es #Falso q en el @ivsslasgarzas nuestros niñ@s son atendidos en cajas de cartón @c_rotondaro— José G. Zurbarán A. (@ZurbaranTrauma) 21 settembre 2016
Ma perché questi giornali italiani invece di occuparsi della sanità venezuelana non si occupano con la stessa ferocia degli 11 milioni di italiani che decidono di non curarsi perché non possono o delle condizioni della sanità greca dove semplicemente una sanità non esiste più? Dopo i colpi di stato contro Paraguay, Honduras e Brasile, il Venezuela è il perno dell'integrazione sovrana regionale dell'America Latina. L'ultimo bastione. Per questo l'attacco è così feroce e lo sarà sempre di più.

P.S Scorrete l'account twitter ufficiale dell'ospedale in questione, guardate le foto dei reparti e poi fatevi un'opinione

Notizia del: 24/09/2016

Trilateral - non ci sono conflitti d'interesse con la Rai il servizio pubblico?!?!


Lady Maggioni e la doppia presidenza: Rai e Trilateral

di Antonio Del Furbo
Poi, metti che un doppio incarico (e che incarico) lo prende un presidente di un'azienda pubblica, allora lì entriamo in una sorta di camera di compensazione priva di leggi e batteri dove tutto appare permesso.
Così accade che, nella nostra bella Italia, una giornalista come Monica Maggioni che da sempre ha lavorato nell'azienda televisiva pubblica, diventi prima presidente presidente Rai e poi, giusto per non farsi mancare nulla, presidente della Trilateral Italia.
 E cos'è la Trilateral?
"Un'associazione privata, fondata nel 1973 da David Rockefeller, con sedi a Washington, Parigi e Tokyo. La finalità è quella di offrire ai soci un forum permanente di dibattito per approfondire i grandi temi comuni alle tre aree interessate, diffondere l’abitudine a lavorare insieme per migliorarne la comprensione e fornire contributi intellettuali utili alla soluzione dei problemi affrontati. Per raggiungere questi obiettivi, la Commissione Trilaterale ha seguito fin dall’inizio tre principi di fondo: lavorare su un piano di parità, riconoscere l’importanza degli organismi multilaterali ed evitare azioni unilaterali."
Secondo alcuni, però, la trilateral perseguirebbe fini un po' meno evidenti al grande pubblico. Jacques Bordiot, scrittore francese, definisce l'associazione come un organismo che persegue l'obiettivo di:
"esercitare una pressione politica concertata sui governi delle nazioni industrializzate, per portarle a sottomettersi alla loro strategia globale"
Noam Chomskyriferisce che l'amministrazione Carter fu fortemente influenzata dalle idee sviluppate dalla Trilateral e raccontate nel documento"vento liberista delle élite dello stato capitalista". Tant'è che Carter mise in atto politiche oligarchiche e reazionarie inserendo nella sua amministrazione componenti dell'associazione. 
E in Italia, che senso ha, quindi, nominare una giornalista alla direzione dellaTrilateral?
Monica Maggioni sarà nominata il prossimo 7 ottobre dall'assemblea generale. A coordinare l'operazione è tale Paolo Magri, vicepresidente esecutivo e direttore generale dell’Ispi, l’istituto di politica internazionale di Milano. Magri è un nome che non suona nuovo soprattutto perché è spesso ospite dei programmi Rai, in particolare nei programmi di Rainews24, ovvero la testata che è stata diretta fino a un anno fa proprio dalla Maggioni. Una poltrona che poi lasciò per andarsi a sedere in una più grande, ovvero quella di vertice del Cda di viale Mazzini.
Probabilmente per i vertici Rai neanche questa volta ci sarà nulla da eccepire visto che, quando la Maggioni partecipò meeting annuale del gruppoBilderberg a Copenaghen dal 29 maggio all'1 giugno 2014, la Rai fece sapere che quella fu "un prestigio" per tutta l'azienda. Addirittura.
E mica i vertici Rai si preoccupavano dei risultati scarsi di Rainews24? Manco per niente. La direttora, all'epoca, confezionava un insuccesso dopo l'altro in termini di audience. Un canale all news che non brillava per lo share e che scendeva spesso sotto lo 0,4% di media quotidiana. E, forse, con una redazione di quasi 200 persone, si poteva fare di meglio.
Ora la Maggioni sarà in buona compagnia. Nella Trilateral ci sono soci come l'ex premier Mario Monti e Enrico Letta, imprenditori pubblici e privati (Marco Tronchetti Provera, John Elkann, Gianfelice Rocca, Patrizia Grieco, Giuseppe Bono), banchieri (Carlo Messina, Maurizio Sella, Giuseppe Vita), parlamentari (Yoram Gutgeld, Lia Quartapelle).
Qualcuno, nell'azienda pubblica o tra i politici, solleverà la questione dell'inopportunità? Dubito.
trilateral COMMISSION

Energia pulita avanza, anche l'India si allinea

Inaugurata in India maggiore centrale solare al mondo
Nel Tamil Nadu, produrrà 648 megawatt
Redazione ANSA ROMA
23 settembre 201616:19


© ANSA

(ANSA) - ROMA, 23 SET - L'India ha inaugurato la più grande centrale solare al mondo, a Kamuthi, nello stato meridionale del Tamil Nadu. Lo riferisce il quotidiano The Times of India.

L'impianto è costato 607 milioni di euro e produrrà 648 megawatt, grazie a due milioni e mezzo di pannelli. E' stato costruito in soli 8 mesi dalla Adani Green Energy, società del gruppo energetico Adani, impiegando 8.500 lavoratori. (ANSA).

Referendum - la Jp Morgan detta i cambiamenti della costituzione a Renzi perchè dimostra:una debolezza degli esecutivi nei confronti dei Parlamenti; un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei confronti dello Stato; la tutela costituzionale del diritto del lavoro; la libertà di protestare contro le scelte non gradite del potere

Vi racconto la relazione del prof. Raniero La Valle sul referendum costituzionale
Ettore Bonalberti BLOG



Ho meditato la lucidissima relazione tenuta dal prof. Raniero la Valle a Messina, il 16 settembre scorso, a un dibattito sul referendum, con la quale ha esposto in maniera rigorosa le ragioni vere che stanno alla base della scelta operata dal governo Renzi di modifica della Costituzione del ’48.

Tale relazione credo rappresenti la più completa analisi delle motivazioni interne e internazionali che hanno sollecitato i governi occidentali a porre in essere i tentativi di superamento delle costituzioni rigide del dopoguerra.

La Valle, che fu il riferimento politico e culturale per molti di noi, giovani di Azione Cattolica, negli anni ’60 del Concilio, quando dirigeva il quotidiano dei vescovi L’Avvenire, con Piero Pratesi, suo vice, ha ricordato in maniera esplicita i condizionamenti specifici della Jp Morgan, con il documento del 2013, in nome del capitalismo vincente, con cui indicava “quattro difetti delle Costituzioni (da lei ritenute socialiste) adottate in Europa nel dopoguerra: una debolezza degli esecutivi nei confronti dei Parlamenti; un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei confronti dello Stato; la tutela costituzionale del diritto del lavoro; la libertà di protestare contro le scelte non gradite del potere.

E, ha continuato La Valle: “Prima ancora c’era stato il programma avanzato dalla Commissione Trilaterale, formata da esponenti di Stati Uniti, Europa e Giappone, e fondata da Rockefeller, che aveva chiesto un’attenuazione della democrazia ai fini di quella che era allora la lotta al comunismo. E la stessa cosa vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è vero che sono scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano – il Financial Times e ilWall Street Journal – i quali dicono che il No al referendum sarebbe una catastrofe come la Brexit inglese. E alla fine è intervenuto lo stesso ambasciatore americano che a nome di tutto il cocuzzaro ha detto che se in Italia vince il No, gli investimenti se ne vanno”.

Ha concluso La Valle: “Ebbene quelle richieste avanzate da questi centri di potere sono state accolte e incorporate nella riforma sottoposta ora al voto del popolo italiano. Infatti con la riforma voluta da Renzi il Parlamento è stato drasticamente indebolito per dare più poteri all’esecutivo”.

Condivido l’intera analisi formulata dal professore, che individua lo spartiacque nel mutamento strategico tattico operato dal governo italiano, a misura del nuovo ordine mondiale che si andava costruendo, nella relazione tenuta il 26 novembre 1991 alla Commissione difesa della Camera, di cui La Valle era componente, dal ministro della difesa Virginio Rognoni, sul nuovo modello di difesa.

Se questo è ciò che avvenne sul piano delle strategie politico-militari del nostro Paese, credo che la relazione del prof. La Valle, andrebbe integrata con l’altrettanto lucida analisi che ci fece nel 2013 il prof. Zamagni in un convegno di studio della Dc, nel gennaio 2013, all’abbazia di Sant’Anselmo a Roma.

Secondo Zamagni, prima del fenomeno della globalizzazione era affermato e condiviso il principio della divisione del lavoro sulla base del cosiddetto principio Noma (Non Overlapping Magisteria) (Richard Whately) che, nel 1829, teorizzò la netta separazione e non sovrapposizione tra etica, politica ed economia. Di qui derivò il concetto dominante che assegna alla politica il compito dei fini e all’economia quello dei mezzi per il raggiungimento di quei fini, entrambe separate dall’etica secondo una visione iper-machiavellica. Tutto questo funzionò sino all’avvento della globalizzazione. Fenomeno quest’ultimo che non sorse spontaneamente dal mercato, ma fu determinato più o meno consapevolmente al G6 del 1975 a Rambouillet (Italia presente come quinta economia mondiale dell’epoca) nel quale si decise, con atto politico, di far partire il processo di globalizzazione, da non confondere con quello di internazionalizzazione, presente sin dall’epoca antica. Con l’avvento della globalizzazione il principio del Noma viene di fatto applicato in termini rovesciati: all’economia è assegnato il compito di decidere i fini e alla politica quello di scegliere i mezzi .

Da questo rovesciamento che assegna il primato finalistico all’economia, deriva la stessa scelta di Bill Clinton, pressato dalle sette sorelle (Jp Morgan,Morgan Stanly e C.), detentrici del potere finanziario, di superare la legge Glass Steagall del 1933 che seppe garantire equilibrio e sviluppo al mercato americano. Il superamento dell’obbligo di separazione tra attività di speculazione finanziaria e attività bancarie tradizionali, deciso dal congresso americano, e promulgata il 12 novembre 1999 da Bill Clinton, diede il via libera ai fenomeni di speculazione finanziaria del mercato dei derivati e dei futures che saranno alla base della grave crisi finanziaria in cui tuttora ci dibattiamo dal 2007.

Solo agli inizi del 2013 negli Usa fu introdotta la nuova norma Volcker – dal nome dell’ex presidente della Federal reserve – con cui venne ripristinata la separazione tra attività bancarie e di speculazione finanziaria I pragmatici americani hanno saputo rimediare ai guasti clintoniani. In Europa si continua, invece, nelle attività speculative.

Intanto, però, il danno era fatto con la vicenda dei futures e degli edge funds che hanno finito con l’insozzare l’intero sistema bancario mondiale, sino a raggiungere un volume di debito complessivo di oltre 10 volte il valore dell’ìntero pil mondiale.

Ora, come denuncia La Valle con estremo realismo, proponendo la stessa tesi che il prof. Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale, espone nel suo ultimo saggio “Gli inganni della finanza”, sono gli stessi responsabili del superamento del Noma del 1999 e dei fatti e nefasti successivi che inducono “i governi amici” a darsi da fare per consegnare le mani libere al mercato che è mondiale al quale stanno troppo strette le regole, i lacci e i lacciuoli di ciò che rimane alle democrazie occidentali costruite a misura delle costituzioni post belliche. In questo mercato devono valere solo le leggi del mercato e non importano le conseguenze sul piano economico e sociale, né, tantomeno, quelle sul piano di diritti politici e civili.

Si comincia dai Paesi più in difficoltà, meglio se con “governi amici” più disponibili, meglio ancora se questi sono costruiti su basi di dubbia legittimità con l’aiutino di capi dello Stato consenzienti e/o conniventi, non badando a spese per il controllo monopolistico dei mezzi di comunicazione con l’obiettivo di puntare al governo di “un uomo solo al comando”.

Se gli italiani abboccheranno sarà la fine della democrazia e la vittoria dei padroni del turbo capitalismo finanziario, con piena soddisfazione di quel “cerasello d’annata”, renziano senza limiti, indegno erede del nostro Giulianone che fu.
24/09/2016

Siria&Parigi&Bruxelles&Nizza - gli Stati Uniti palesemente al fianco dell'Isis, questo ci riporta al terrorismo dell'Isis in Europa, gli Stati Uniti lo vogliono per dispiegare la loro Strategia della Paura



Gli USA attaccano la Siria aprendo scenari imprevedibili
di Federico Pieraccini


Negli ultimi giorni in Siria stiamo assistendo a un coinvolgimento sempre più diretto nel conflitto di Turchia, Israele e Stati Uniti. Incursioni aeree, bombardamenti e invasioni di terra, seppur limitati, svelano l’insoddisfazione palpabile e la frustrazione evidente delle nazioni più ostili a Damasco.

L’esempio più appropriato per porre l’accento sul clima di delusione che si respira a Washington, riguarda le dinamiche che hanno accompagnato la firma del cessate il fuoco tra Kerry e Lavrov.

Con Aleppo assediata e i terroristi intrappolati costretti a una rapida resa o a una resistenza limitata, gli Stati Uniti e alleati sono stati obbligati a richiedere una soluzione temporanea al conflitto che fermasse le ostilità.

Nonostante il precedente fallimento del cessate il fuoco, Russia, Damasco e Teheran hanno preferito negoziare, proseguendo comunque nell’azione militare. Avessero rifiutato di negoziare, sarebbero stati dipinti da media e organi internazionali come i veri mandanti di un intensificarsi del conflitto. Ciò avrebbe facilmente spalancato le porte a un maggior coinvolgimento di alleati regionali di Washington, giustificati a loro modo di vedere dal rifiuto di Mosca di negoziare.

La Diplomazia Russa, Siriana e Iraniana è riuscita a trasformare una posizione di forza militare ma di apparente debolezza diplomatica, in una vittoria complessiva. Washington è stata costretta a richiedere che i termini finali dell’accordo fossero segretati. Mosca invoca trasparenza e pretende che l’accordo sia reso pubblico.

Il fatto che gli Stati Uniti si oppongano mostra l’ambiguità della Casa Bianca in merito alla lotta al terrorismo in Siria. L’unico ipotetico punto di accordo dovrebbe riguardare il coordinamento congiunto per colpire Al Nusra e Daesh anche se il giorno successivo all’incontro tra Kerry e Lavrov, Ashton Carter ministro della difesa USA, ha prontamente smentito l’accordo confermando che Stati Uniti e Russia in Siria hanno obiettivi diversi.

Il significato dietro questa dichiarazione lascia pochi dubbi. Washington non è in grado o peggio non vuole abbandonare i terroristi che sostiene in Siria contro Assad e non ha alcuna intenzione di rinunciare al piano di cambio governo in Siria o di divisione territoriale del paese.

A riprova del coinvolgimento americano in Siria al fianco dei terroristi, pochi giorni fa un evento importante è accaduto a Al-Rai nel nord della Siria. Località situata sul confine con la Turchia è da poco stata occupata dall’esercito di Ankara con l’aiuto di truppe islamiste di FSA/AlNusra. Una dozzina di soldati americani delle forze speciali, presenti nella cittadina siriana al fianco dei ‘ribelli moderati’, sono stati costretti a fuggire sotto minacce esplicite di morte da parte dei loro teorici ‘alleati’. Un corto-circuito in piena regola. La base di Nusra/FSA non accetta di lottare palesemente al fianco di chi definisce “infedele” (in realtà chi li arma e finanzia.)

Il dubbio che il filmato fosse un’operazione mediatica per distanziare gli Stati Uniti dai terroristi più radicali, è stato spazzato via dalle notizie provenienti da Dair Al-Zur poche ore dopo:

In Siria alle 17.00 ore locali del 17 Settembre, due caccia F-16, due A-10 e un drone d’attacco dell’USAF e della RAAF colpivano per ben quattro volte le postazioni dell’Esercito Arabo Siriano (SAA) nei pressi di Dair Al-Zur uccidendo sessantadue soldati, ferendone oltre 100 e causando ingenti danni materiali. Poco dopo, le posizioni attaccate a Jabal Al Tahrdah subivano l’avanzata di Daesh che già in precedenza circondava le postazioni governative (la località di Dair Al-Zur è sotto assedio di ISIS da quattro anni.)

Immediata la risposta di Mosca e Damasco che dichiaravano Washington fiancheggiatore dei terroristi di Daesh, mentre fonti del dipartimento di stato americano si giustificavano parlando di un errore, senza alcuna intenzionale di colpire il SAA.

Qualunque lettura si dia alla vicenda, gli Stati Uniti sono colpevoli di non essersi coordinati con Mosca sugli attacchi contro Daesh, come rilevava immediatamente la diplomazia Russa alle Nazioni Uniti, in una riunione d’emergenza richiesta da Mosca. Prendiamo per esempio il livello d’isteria della diplomazia americana con le azioni di Samantha Power, ambasciatrice USA alle Nazioni Unite. Senza nemmeno essere presente all’intervento del rappresentante Russo, ha preferito organizzare una conferenza Stampa in cui accusava Mosca di strumentalizzare i morti in Siria, causati da “un semplice errore americano”.

E’ evidente come gli Stati Uniti e alleati si siano scavati una buca profonda da cui non sono in grado di uscire e reagiscono con i nervi a fior di pelle. Non hanno più alcuna capacità di invertire militarmente, modificare il corso che ha preso la guerra in Siria e ne sono consapevoli.

Colpiscono località di nessuna rilevanza strategica e in cui il SAA e alleati non schierano truppe o materiale bellico per un confronto militare. Le località occupate dalla Turchia nel nord del paese non fermano l’assedio su Aleppo e non liberano i terroristi intrappolati nella città. Le incursioni di Israele sulle alture del Golan non arrestano l’azione di Hezbollah e del SAA contro Al Nusra e sigle affiliate protette da Tel Aviv. L’attacco alle truppe governative Siriane a Dair Al-Zur non ha fatto crollare la resistenza di una città assediata da quattro anni e difesa eroicamente dall’Esercito Arabo Siriano (SAA).

Come ho già scritto in precedenza, il coinvolgimento diretto delle nazioni opposte a Damasco è un segno di debolezza, non di forza. Vedono ridursi drasticamente la capacità di influenzare gli eventi sul campo e possono solo reagire davanti a fatti compiuti.

Prendiamo l’episodio accaduto sulle alture vicino a Dair Al-Zur il 17 Settembre. 

Dopo Aleppo e la riconquista di Raqqa, rompere l’assedio di Dair Al-Zur è uno dei pilastri portanti della strategia di Mosca, Damasco e Teheran. Le operazioni di Palmira nei mesi passati hanno rappresentato il primo passo di una strategia più ampia volta a rompere l’assedio alla città.

Dair Al-Zur è situata nell’est del paese e si trova al centro dello snodo utilizzato per i rifornimento di ISIS verso Raqqa e Mosul in Iraq. Con l’assedio delle truppe Siriane e Russe sul versante Nord, ad Aleppo, i terroristi hanno un enorme interesse a mantenere aperte le vie di transito tra Raqqa, Dair Al-Zur e Mosul; è una prerogativa essenziale per mantenere viva la catena di rifornimenti e aiuti (americani, giordani, turchi, sauditi e qatariani).

Nei giorni precedenti l’azione americana, all’aeroporto di Dair Al-Zur era giunto un contingente composto da un migliaio di nuove leve Siriane appena addestrate e altri gruppi di provenienza Iraniana, truppe pronte a combattere per le imminenti operazioni volte a liberare la città.

E’ con queste premesse, con questi fatti già compiuti sul campo che gli Stati Uniti non sono riusciti a impedire, che Washington matura una strategia ancor più sconsiderata e pericolosa.

Ignorando tutte le norme internazionali e ogni principio di buon senso, sperando di ottenere risultati benefici sul campo di battaglia, Obama decide di inviare 2 F-16, 2 A-10 e un drone d’attacco per colpire le postazioni del SAA sulle colline di Jabal al-Thardah, in ben 4 passaggi. Colpendo le postazioni governative a Jabal, gli americani si auguravano di favorire l’avanzata di Daesh per prendere controllo della collina strategica, come poi puntualmente avvenuto.

Le colline di Jabal al-Thardah sono strategiche giacché offrono una visuale unica sull’aeroporto adiacente di Dair Al-Zur sotto controllo di Damasco. Nell’immaginario americano l’azione avrebbe dovuto permettere a ISIS di conquistare le postazioni dell’esercito per poi colpire le piste d’atterraggio dalla montagna di al-Thardah, impedendo al SAA di far giungere altri rinforzi per la liberazione della città, tagliando poi le linee di comunicazione dei terroristi tra Iraq e Siria.

La speranza di Daesh, condivisa dagli Americani, è svanita poco dopo con l’intervento delle truppe governative, sostenuti in maniera decisiva dai bombardieri Russi, che hanno rapidamente riconquistato le posizioni abbandonate.

Washington ha reagito di fronte a un fatto compiuto (i rinforzi in arrivo per la liberazione di una città strategica) e ha ordinato di colpire deliberatamente le postazioni dell’esercito Siriano. Come queste stesse informazioni siano arrivate a Daesh, in pratica in tempo reale, appare evidente e svela le intenzioni degli Stati Uniti di combattere al fianco dei terroristi, non contro il terrorismo.

E’ interessante analizzare i ragionamenti secondari che hanno probabilmente spinto Washington a mettere in pratica tale piano disperato e ingiustificabile. Nella mente degli strateghi di Washington, confuse e avvilite per i continui fallimenti, continua a suscitare emozioni persino il tentativo di provocare una reazione da parte di Damasco, Mosca o Teheran di fronte ad azioni così insensate.

Il movente vale anche per le azioni compiute da Israele e Turchia in Siria. La logica che verte dietro questo ragionamento è la seguente: se Siria, Russia o Iran dovessero mai reagire ad una delle infinite provocazioni, giustificherebbero una risposta ancor più dura, aprendo la strada ad un’escalation del conflitto. E’ una tattica sterile che da anni non funziona e non porta alcun frutto, ricordiamoci l’atteggiamento di Mosca nella vicenda Ucraina e nel Donbass in particolare.

Un altro motivo che potrebbe aver spinto Washington a un’azione diretta contro il SAA è la mancanza di fiducia percepita dai terroristi nei confronti delle nazioni ‘amiche’. La cacciata delle forze speciali USA nel nord della Siria è sintomatica della frustrazione che stanno accumulando le truppe di AlNusra/Daesh/FSA a causa delle continue sconfitte.

Tuttavia la motivazione principale dietro a questa provocazione inaudita resta il tentativo di sabotaggio dell’accordo di cessate il fuoco, firmato recentemente. Gli Stati Uniti sentono di essere stati obbligati a firmare e costretti a scendere a termini stabiliti altrove, precisamente a Damasco e a Mosca.

Si sentono nell’angolo.

Hanno ottenuto l’obbligo alla riservatezza sul documento, ma questo non fa altro che danneggiare la loro strategia, mostrando come la Casa Bianca sia preoccupata di non far trapelare ai propri alleati e ai terroristi sul campo, i termini di ciò che è stato deciso.

Merita un approfondimento, la visione strategica a lungo termine di Mosca in merito al conflitto Siriano.

Alla base di ogni ragionamento del Cremlino prevale una linea realista e diplomatica che vorrebbe evitare uno scontro militare diretto con gli Stati Uniti. Allo stesso tempo c’è la consapevolezza che ciò potrebbe accadere e si preparano in questa direzione, non solo con la diplomazia che pur sempre resta, insieme alla diffusione di notizie tramite RT, l’arma principale contro Washington.

Putin e i suoi consiglieri vorrebbero tenere gli Stati Uniti vincolati da un patto firmato e garantito dalle Nazioni Unite. Il motivo sono le elezioni americane e la possibilità che vincendo la Clinton, si possa arrivare rapidamente a un’escalation del conflitto. Con un piano di pace e un accordo per fermare le ostilità siglato dai predecessori Kerry-Obama, tutto sarebbe più complicato per i neocons e per la Clinton.

Sarebbero costretti a trovare una motivazione plausibile e giustificabile per invalidare il patto di fronte al mondo intero. Le conseguenze sarebbero devastanti con una nuova perdita di credibilità e di sostegno internazionale, stretti alleati esclusi. L’ennesima prova che dimostrerebbe l’incapacità degli Stati Uniti di rispettare gli accordi presi.

L’accordo per fermare le ostilità, dunque è una possibilità che vale la pena di essere esplorata da Mosca. Funzionasse, potrebbe dare inizio a una seria discussione per finire il conflitto, sedando le violenze.

In caso contrario rientrerà nella tattica sempre più efficace della Russia di mostrare il vero intento degli Stati Uniti in Siria: abbattere Assad a qualunque costo e con qualunque metodo, compreso il terrorismo più cruento.

A tal proposito, esiste anche un altro scenario, meno diplomatico ma molto più militare. Qualcosa che Mosca ha sempre provato a evitare in ottica di un confronto diretto con gli Stati Uniti.

E’ possibile che la linea rossa tracciata da Mosca sia stata superata da Washington con l’azione del 17 Settembre scorso. Lo scenario consiste nella creazione di una no-fly-zone (NFZ) in Siria controllata da Russia e Damasco e interdetta ai velivoli della coalizione internazionale.

Un’idea fino ad ora solo discussa informalmente tra Damasco, Teheran e Mosca ma che già ipotizza una concessione particolare per i velivoli Turchi, in determinate situazioni (nord del paese) e previo accordo con Damasco.

Dopo i recenti sviluppi militari e diplomatici, Mosca potrebbe presto dichiarare i cieli siriani off-limits per l’USAF togliendo agli americani anche quella preziosa capacità di ricognizione con droni, metodo con il quale assiste direttamente i terroristi sul campo.

Con due mesi alle elezioni e un Obama completamente travolto dagli eventi, una decisione di questo calibro manderebbe in frantumi i piani americani e sarebbe un segnale forte e inequivocabile: la Russia non tollera più l’ambiguità degli Stati Uniti e li considera parte integrante del fronte terroristico, con tutte le conseguenze del caso.

In uno scenario del genere, sarebbe bene che qualcuno vicino al POTUS gli ripetesse un concetto. Non è detto che Mosca arrivi al punto di dichiarare un veto sui cieli Siriani, ma nel caso in cui dovesse accadere, è bene essere consapevoli che una violazione comporterebbe un’immediata reazione di batterie S-400 pronte a disintegrare i velivoli nemici, americani compresi.

Obama vuole essere ricordato come il presidente che scelse di violare l’ipotetica no-fly-zone Russa in Siria, scatenando scenari apocalittici? A lui la scelta, con la speranza che sia ancora in grado di porre un freno alle conseguenze tragiche che milioni di cittadini americani e non subirebbero per colpa di una sua errata decisione.

La dignità non è merce di scambio anche se questi politicanti volutamente lo dimeticano. Togliere la dignità significa asservire l'uomo

Stefano Rodotà: "Solo la battaglia per la dignità può salvare la democrazia"

Il giurista: "Il problema dei sentimenti è un problema di relazione: sono in gioco i miei rapporti con un'altra persona, con un gruppo"

di SIMONETTA FIORI
23 settembre 2016


Dal lavoro al web, dalla famiglia al fine vita Stefano Rodotà analizza una delle parole chiave della nostra contemporaneità: "Le leggi devono proteggerla, è ciò che ci rende umani" Tra le parole chiave del nuovo millennio è la più abusata. Forse la più calpestata. La dignità è anche un lemma centrale nel dizionario autobiografico di Stefano Rodotà, che dai diritti sul lavoro a quelli dentro la famiglia, dalla tecnocrazia alla tutela della privacy, ne ha fatto la bussola di una ricerca intellettuale e politica cominciata oltre mezzo secolo fa. Dignità è oggi il tema del nuovo Festival del diritto, da lui fondato a Piacenza otto anni fa.

Perché oggi si parla molto di dignità?
"È la parola che evoca direttamente l'umano, il rispetto della persona nella sua integrità. Ed è ancora più immediata di parole storiche come eguaglianza, libertà, fraternità. C'è una bellissima frase scritta da Primo Levi: per vivere occorre un'identità, ossia una dignità. Senza dignità l'identità è povera, diventa ambigua, può essere manipolata".

Ma la parola rischia di essere contraddetta dai fatti. L'Ue, ad esempio, esordisce nella sua carta dei diritti fondamentali con il termine dignità. Ma sembra dimenticarsene con i migranti, alzando muri.
"Sì, c'è uno scarto fortissimo. Quando nel Duemila è stato scritto quel documento, nel preambolo si è voluto rimarcare che l'Europa pone al centro della sua azione la persona. Lo sta facendo? No. Una contraddizione che incrina il patto cittadini-istituzioni".

Una promessa non adempiuta.
"Con conseguenze molto gravi. Il mancato rispetto della dignità produce un effetto di delegittimazione. Tu non mi riconosci nella mia pienezza di persona degna e io non ti riconosco nella tua sovranità istituzionale. Da qui la rabbia sociale che alimenta il terrorismo e il caos geopolitico. Difendere la dignità è difendere la democrazia".

La parola dignità ha segnato l'epoca successiva alla seconda guerra mondiale.
"Non è un caso che quando la Germania ha cercato un termine per reagire alla devastazione nazista ha trovato proprio dignità. Compare nel primo articolo della costituzione. E compare nella carta costituzionale dell'altro grande sconfitto, l'Italia".

In Italia la parola acquista una coloritura più forte.
"Sì, le si affianca un attributo fondamentale: dignità sociale. La dignità è anche nel rapporto con gli altri. Tu non puoi negarla al prossimo nel momento in cui la rivendichi per te stesso. I costituenti italiani strapparono la dignità da una condizione di astrattezza, fornendole una solida base materiale. Prendiamo l'articolo 36: il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del suo lavoro e sufficiente a garantire a sé e alla sua famiglia un'esistenza dignitosa. Cosa volevano dire i nostri padri? La dignità non è a costo zero. Esistono diritti che non sono a costo zero".

L'aver introdotto nella nostra carta il pareggio di bilancio indebolisce questi diritti?
"Non c'è dubbio. L'articolo 81 è un vincolo fortemente restrittivo e non necessario. Giustificato con il solito ritornello: ce l'ha chiesto l'Europa".

La crisi economica ha giocato contro.
"Sì. Ma ha inciso soprattutto la pretesa di spostare nella sfera economica il luogo dove si decidono i valori e le regole. Questo ha comportato uno spostamento del potere normativo: poiché sono io quello che gestisco il danaro e investo, sono io che detto le regole. Il tramonto dello Stato costituzionale dei diritti".

La dignità è una parola flessibile, adatta alla contemporaneità liquida. Come cambia nell'epoca della tecnologia?
"Un primo importante cambiamento riguarda la costruzione stessa dell'identità. Quando io posso raccogliere una serie di informazioni su una persona, e sono anche in grado di fare valutazioni prospettiche - se ha fatto questo, farà anche quest'altra cosa - in sostanza io sto partecipando alla costruzione della sua identità".

L'identità e dunque la dignità vengono manipolate. Ma c'è un'altra offesa della dignità che riguarda le persone che mettono in piazza la propria intimità. Con esiti che possono condurre al suicidio.
"Qui entriamo in un terreno molto complicato. Quando io metto in circolazione delle informazioni che mi riguardano devo sapere che la rete determina effetti di moltiplicazione. E quando io ricevo informazioni che riguardano altre persone dovrei riconoscere una sfera privata che non posso manipolare".

Ma come si tutela la dignità dei sentimenti in rete?
"La prima cosa che mi viene da dire: tieniteli per te. Ma il problema dei sentimenti è un problema di relazione: sono in gioco i miei rapporti con un'altra persona, con un gruppo. E allora bisogna porre dei paletti: prima di far circolare contenuti che riguardano altri devo preoccuparmi che ci siano il consenso o la consapevolezza di quelle persone".

Un altro versante riguarda la dignità del morire. In Italia non esiste ancora una legge sul testamento biologico.
"E per fortuna, oserei dire. La legge prospettata era molto restrittiva, rispetto a una coraggiosa sentenza della Corte Costituzionale che nel 2008 riconobbe il diritto del governo del corpo esercitato in piena autonomia. Il legislatore ha il vizio o la propensione a impadronirsi della vita delle persone. In Italia abbiamo diffidenza verso le decisioni autonome: la libertà non è vista come bene da salvaguardare ma rischio da tenere sotto controllo".

Dalle tecnoscienze alla bioetica, dalla privacy ai diritti d'amore, dignità è la parola
chiave del suo impegno.
"Sì, ma l'ho scoperto piano piano: la dignità è un modo antropologico di vivere. Se io riconosco a una persona dignità, non posso comportarmi come se questa consapevolezza non l'avessi mai acquisita".

PTV - L’attacco degli Usa è stato intenzionale

Fratellanza Musulmana - un deciso passo in avanti per la consapevolezza del vero problema dell'Islam, la sharia

Islam, la Meloni: "Fino a sei anni per chi vuole la sharia"
Presentato il progetto di legge di Meloni e Fdi: "Non sarà reato d'opinione". Le accuse ai "cattivi maestri" del Medio Oriente
Giovanni Vasso - Ven, 23/09/2016 - 14:35

“Il buon senso, o perlomeno l’istinto di sopravvivenza, dovrebbero spingere le democrazie occidentali a vietare ogni forma di propaganda a chi teorizza il fondamentalismo”.



Giorgia Meloni ha presentato la proposta di legge sull’introduzione del reato di integralismo islamico. Il disegno di legge presentata dalla leader di Fratelli d’Italia porta la firma di tutti i membri del gruppo alla Camera di Fdi, dal presidente Fabio Rampelli fino a Ignazio Larussa, Marcello Taglialatela, Walter Rizzetto, Achille Totaro, Pasquale Maietta Edmondo Cirielli, Gaetano Nastri, Giovanna Petrenga a cui si sono aggiunte quelle di Daniela Santanché e di Laura Ravetto di Forza Italia.

Il progetto di legge prevede l’integrazione dell’attuale articolo 270 che preveda la reclusione da quattro a sei anni di carcere faccia propaganda all’applicazione della pena di morte (e della tortura, mutilazione e flagellazione) per l’apostasia, l’omosessualità, l’adulterio e la blasfemia. Stessa sanzione per chi auspichi la negazione della libertà religiosa e faccia apologia della schiavitù, servitù o tratta di esseri umani. Da tre a cinque anni, invece, per chi pur non esponendosi in tali propagande offra un aiuto concreto alle organizzazioni che propugnino tali idee raccogliendo o erogando denaro anche se proveniente da Paesi stranieri.

Nel preambolo alla proposta di legge, la Meloni e gli altri affermano: “I tragici fatti di Dacca ci hanno posto, per l’ennesima volta, davanti a una tragedia scaturita dalla violenza dell’oltranzismo islamico, nella quale sono state barbaramente uccise venti persone, tra cui nove nostri concittadini e un bimbo ancora non nato, trucidati in nome di Allah perché non conoscevano il Corano. Diventa difficile, a questo punto, continuare a sostenere la tesi che «la religione non c’entra», così come l’agiatezza delle famiglie dalle quali provengono gli autori del massacro smentisce una volta per tutte la teoria del disagio sociale e dell’ignoranza delle persone che si arruolano in questa assurda guerra contro il « nemico occidentale », o i crociati, oppure tout court gli infedeli”.

Accuse nemmeno tanto velate alle potenze del Medio Oriente: “Bisogna partire dai « cattivi maestri » che teorizzano l’integralismo, dal salafismo e dal wahabismo divenuti maggioritari in Qatar e Arabia Saudita. [...] Anche a credere che il Qatar e l’Arabia Saudita non abbiano collegamenti con le organizzazioni terroristiche, è però innegabile che la dottrina che professano costituisce l’humus nel quale nasce e prospera il terrorismo. E questa interpretazione fondamentalista viene diffusa in tutto il mondo attraverso le scuole coraniche, le università, le moschee finanziate in modo scientifico dall’Arabia Saudita e dal Qatar, mentre il web e i social media fanno il resto, diffondendo come un virus l’ideologia religiosa estremista tra i musulmani di tutte le latitudini”.

I firmatari rifiutano di farsi promotori di un “reato di opinione” e, replicando indirettamente alle polemiche che seguirono l’iniziativa popolare lanciata dalla Meloni sulla questione, scrivono: “La previsione normativa, così come formulata nella stesura che qui si propone, consente di far sussistere il reato sia in caso di accertato dolo specifico, ovvero si deve avere intenzione decisamente la propria azione di favorire o creare l’insorgere di un pericolo alla pubblica incolumità. [...]Questo al fine di escludere il reato di integralismo islamico nella maniera più netta dal novero dei reati di opinione”.

Acqua pubblica che deve diventare privata secondo il Pd - Alto Calore


POLITICA
Acqua, duro attacco di Sibilia (M5S) ad Alto Calore e Ato Calore Irpino
23 settembre 2016

E’ un Carlo Sibilia scatenato quello che nell’ultimo comunicato stampa ha duramente attaccato tutti i protagonisti del ciclo integrato delle acque in provincia di Avellino che sono al lavoro in queste settimane per arrivare all’aggregazione delle varie società in campo e alla definitiva fusione tra Alto Calore, Gesesa e Acquedotto Pugliese.

Nel mirino del parlamentare e componente del M5S finiscono così Giovanni Colucci, commissario dell’Ato Calore Irpino, Lello De Stefano, numero uno di Acs, Francesco Gallo, dirigente di Acs e Montano Oreste, ex direttore generale di Alto Calore Servizi.

“L’Alto Calore Servizi deve trasformarsi in municipalizzata speciale – scrive Sibilia in una nota stampa –. Nessuna gara e nessuna fusione con GeSeSa. Questi “magheggi” hanno un solo scopo: quello di svendere il servizio di gestione dell’acqua ai privati, meglio se multinazionali, meglio se si chiamano GDF Suez. Svendita permessa dalla legge regionale 15/2015 fatta dal Pd che cancella definitivamente il risultato del referendum 2011 che voleva la gestione pubblica del servizio idrico. La svendita ai privati porterà aumento delle tariffe e tagli al personale, così come la fusione. Con buona pace dei sindacati. E’ chiaro come l’acqua limpida delle nostre fonti che l’attuale management dell’Alto Calore Servizi s.p.a. dovrebbe dimettersi in massa per gestione disastrosa, coinvolgimento in vicende giudiziarie e, quantomeno, inopportunità di certe relazioni che fanno pensare al conflitto d’interessi”.

Di qui poi dure accuse nei confronti dei soggetti sopra citati e la chiosa: “Avendo descritto la situazione credo che sia deduzione comune che questa gente non sia esattamente la più adatta (volendo usare un eufemismo) a mettere le mani sulla nostra acqua. Chissà come mai il ministero del lavoro non risponde ancora alla nostra interrogazione sull’improprio (clientelare?) utilizzo di Garanzia Giovani in Alto Calore”.

Monte dei Paschi di Siena - euroimbecilli all'ennesima potenza prima del Bail in c'è la Nazionalizzazione e al diavolo l'Europa. Renzi il mentitore seriale ha consigliato di investire in questa banca

MPS: invocato il Bail In. Realistica ipotesi di aiuti di Stato

Scritto il 23 settembre 2016 alle 16:10 da Danilo DT

Metteteci tutte le responsabilità che volete, tutte le motivazioni e le cause che potreste immaginare. Tutto può andare bene, o forse anche no. L’unica cosa che è indiscutibile è il fatto che Monte dei Paschi ha rotto nuovamente i minimi assoluti.
Quando valeva il doppio fui criticato per una frase scritta su un social network, che è anche un tantra che spesso mi ripeto, proprio per ricordarmi che i minimi sono sempre fatti per essere superati.

“Un titolo che perde il 90% è un titolo che perdeva l’80% e poi il suo valore si è dimezzato”.

Ecco fatto. Toccati i 0.1833 €, nuovamente sfiorati nella giornata di oggi. La metà di quanto valeva ad inizio luglio. Non male di certo.
Lasciamo da parte le perdite potenziali che ha generato questa banca colabrodo per cui ho già speso chili di inchiostro (virtuale).
E’ arcinoto che per la banca senese è necessaria una ricapitalizzazione. il FT in un articolo di qualche giorno fa dice che MPS è alla ricerca di un investitori di grosso calibro, qualcuno insomma che faccia un bail out prima che si arrivi al bail in. Perchè è questa la paura che aleggia sui mercati. Chi diavolo potrebbe sottoscrivere, con questi chiari di luna, delle azioni di MPS?


Il piano di AUC prevede teoricamente sottoscrizioni pari almeno a 5 miliardi di Euro. Ma è altrettanto vero che lo stesso piano ora è a “rischio revisione” per le motivazioni sopra esposte. Se finora si era scherzato, ora la stessa UE ha paura di MPS, tanto che Andrea Enria, responsabile dell’EBA (Autorità Bancaria Europea), dice a La Stampa: 

Q: Ipotizziamo che il piano di Jp Morgan e Atlante per il Monte dei Paschi non funzioni. E’ ragionevole pensare a un intervento pubblico?
A: «Non posso commentare casi singoli, ma penso che il problema dei crediti deteriorati vada risolto con rapidità. Se gli aiuti di Stato possono essere parte della soluzione, se ne faccia uso. Le regole europee garantiscono un certo grado di flessibilità. Ma anche soluzioni private possono essere utili».

Difende il bail in, e se le cose scappano di mano, allora ci può stare l’aiutino pubblico. Motivo? MPS ormai vale poco in borsa, ma per il sistema bancario italiano resta sempre un istituto di grande importanza. L’effetto contagio sul già debole sistema bancario italiano potrebbe essere molto pesante. E di riflesso anche sulle banche di tutta l’Eurozona.
Quindi, adesso, si è presa coscienza, col solito drammatico ritardo, che MPS ormai è cibo per gli hedge funds e che una situazione difficile si è incancrenita, diventando ingestibile. Ma non è finita qui.Ecco cosa leggo su Reuters.

I regolatori europei si aspettano che il Monte dei Paschi di Siena si debba rivolgere allo Stato per un sostegno, anche se questa mossa incontrerebbe una forte resistenza in Italia se dovesse implicare di imporre perdite per gli obbligazionisti. Lo riferiscono tre funzionari della zona euro a conoscenza della situazione.

Ecco fatto. L’Europa se ne strafotte, come era giusto che fosse, dei risparmi degli italiani e a costo di farci rimettere dei soldi, ben venga qualsiasi forma di sostegno per evitare il default ed il relativo effetto contagio. Dite che molti risparmiatori sono stati “truffati” con vendite non eticamente corrette? Enria dell’EBA risolve il problema.

Q: La soluzione pubblica passa dall’applicazione del bail-in. Applicarlo ad una banca delle dimensioni di Mps potrebbe provocare problemi sistemici?
A: «Mi limito ad alcune osservazioni di ordine generale. La prima: il principio del bail-in è giusto. Spesso dimentichiamo come ci siamo arrivati. Durante la crisi del 2008 alcuni Paesi come l’Irlanda sono andati vicini al default sovrano mentre gli obbligazionisti subordinati continuavano a staccare cedole. Ora c’è un meccanismo a protezione dei contribuenti. Il principio è già stato applicato in Spagna, Slovenia, Grecia, Cipro, Austria e Olanda. Secondo: la distribuzione di strumenti di capitale alla clientela al dettaglio è un ostacolo al bail-in, e il problema deve essere affrontato. Se ci sono state vendite a soggetti che non erano in grado di valutarne il rischio, sono state violate regole in vigore da molto tempo».

Ecco fatto, cavolacci nostri. Per carità, non nostri direttamente (quanti anni sono che vi dico di restare lontani da MPS? Più o meno da quando litigai in diretta TV su Class CNBC con un tipo ovviamente di parte che, per rispondere al mio alert sul “rischio liquidità su MPS” diceva “MPS è il miglior investimento possibile”, Ovviamente da quella volta, Class CBNC non mi ha più voluto in trasmissione, chissà perchè) ma dei risparmiatori italiani.


l fatto ora è il seguente. Mentre la banca è determinata a portare avanti l’aumento di capitale, è una necessità primaria, se l’operazione fosse deludente l’istituto resterebbe con una carenza di capitale. Ora le autorità europee stanno considerando se possa esserci un supporto pubblico, con protagonista lo Stato italiano, sopratutto dopo che è risultato evidente un interessamento dei banchieri molto tiepido per l’operazione.

Ed ecco quindi che non si può escludere, anche per evitare grandi perdite agli obbligazionisti, una “ricapitalizzazione cautelativa” che consentirebbe all’Italia di mettere soldi pubblici, sotto certe condizioni, difendendo i risparmi e aggirando il “bail in”. Ma per questo ci vuole la benedizione di Bruxelles che io però darei quasi per scontata visto che ora MPS fa paura. Il primo passaggio sarebbe la conversione dei bond MPS in mano pubblica in azioni. E poi si vedrà come proseguire con gli aumenti di capitale. Ma state pur certi che ci sarà ancora chi si farà del male…