Una media di 70 persone sono morte o sono rimaste ferite
quotidianamente negli ultimi cinque mesi in Afghanistan, con un
importante picco in ottobre. Lo riferisce l’agenzia di stampa Pajhwok,
precisando che questo bilancio è andato via via attenuandosi con la fine
della stagione dei combattimenti causata dal duro inverno afghano.
Secondo un rapporto preparato dall’agenzia sulla base di differenti
fonti, 5.887 persone sono state uccise e 4.410 hanno riportato ferite in
777 attacchi realizzati negli ultimi cinque mesi del 2016. Metà di
questi attacchi sono avvenuti in solo sei delle 34 province afghane:
Nangarhar, Helmand, Kandahar, Faryab, Kabul e Farah. Infine il rapporto
segnala che la maggior parte delle vittime sono state causate da scontri
ravvicinati e da bombardamenti aerei o di artiglieria.
L’escalation della pressione talebana (di cui AD s
i è occupata anche nei giorni scorsi con
dati aggiornati sulle perdite alleate) sta costringendo le forze
alleate dell’Operazione Resolute Support (che ha compiti di
addestramento, assistenza e consulenza per le forze di sicurezza
afghane) a tornare sempre più spesso a operare in prima linea in
appoggio alle truppe afghane.
In ottobre gli italiani (che schierano ancora quasi un migliaio di
militari a Herat con forze speciali, fanteria aeromobile, consiglieri
militari e 8 elicotteri tra A-129D Mangusta e multiruolo NH-90) sono
intervenuti in modo decisivo nella pianificazione e supporto di una
duplice controffensiva tesa ad alleggerire la pressione talebana su
Farah City, capoluogo dell’omonima provincia, una delle più importanti
per la produzione di oppio.
Negli anni scorsi le truppe italiane avevano liberato a caro prezzo
quasi interamente dai talebani il territorio di questa come delle tre
province dell’Afghanistan Occidentale ma il ritiro delle forze alleate
dell’Isaf (International Security Assistance Force) della Nato ha
permesso agli insorti di riguadagnare terreno in molte province.
Gravissima a situazione anche a Helmand, a sud di Farah dove in primavera verrà
schierato nuovamente un reparto di Marine statunitensi.
L’unità, proveniente dalla Seconda Marine Expeditionary Force basata a
Camp Lejeune nella North Carolina, sarà denominata Task Force Southwest
e dovrà consigliare e sostenere le forze militari afghane del 215°
Corpo d’armata e qyuelle di polizia della “Zona 505” che hanno perduto
il controllo dell’intera provincia (da sempre la più “calda”
dell’Afghanistran) e che sono ora barricate neo capoluogo Laskar Gah e
nella ex base anglo-americana nota come Camp Leatherneck, ribattezzata
Camp Shorab dopo il ritiro degli ultimi marines americani nel 2014.
Per
il generale di brigata Roger B. Turner Jr (nella foto a lato), che
guiderà il reparto “si tratta di una missione ad alto rischio in cui i
marines dovranno essere in grado di far fronte a una vasta gamma di
minacce”.
Attualmente sono presenti in Afghanistan 12 mila militari alleati
(tra i quali 8.400 statunitensi, 950 italiani, mille tedeschi) inseriti
per lo più nell’operazione NATO Resolute Support mentre circa il 30 per
cento delle forze americane incluse forze aeree da attacco conduce
operazioni contro talebani, al-Qaeda e la branca afghana dello Stato
Islamico sotto comando nazionale.
Il futuro della presenza militare alleata in Afghanistan dipenderà
(come sempre) dalle decisioni che verranno assunte in tal senso dalla
nuova Amministrazione di Washington del presidente Donald Trump che già
in campagna elettorale aveva riconosciuto che il ritiro definitivo delle
truppe americane avrebbe fatto collassare il governo di Kabul.
Il ritorno dei militari alleati in prima linea sembra in ogni caso
confermare il fallimento del programma di ritiro voluto da Barack Obaam è
sostenuto per anni da un’abbondante quanto infondata “narrazione” sulle
capacità delle forze afghane di affrontare da sole i talebani in
battaglia quando ancora oggi pianificazione e coordinamento operativo
devono essere gestiti dagli alleati. Un ritiro affrettato (come lo fu
quello dall’Iraq nel 2011 con i risultati da tempo sotto gli occhi di
tutti) che ha reso inutile la morte di migliaia di soldati alleati dal
2001 al 2014 (oltre3.500 caduti in Afghanistan e più di 4.800 in Iraq).
Sul piano squisitamente militare, come da tempo sostiene Analisi
Difesa, il modo migliore per contrastare i talebani e assistere con
efficacia le forze di Kabul è riposto nella capacità di schierare in
ogni regione militare (Kabul, Nord, Est, Sud, Ovest e Sud-Ovest) un
dispositivo da combattimento a livello reggimento interarma da
affiancare ai consiglieri militari che appoggiano le truppe afghane.
Un reparto composto da un battaglione di fanteria leggera (meglio se
con una compagnia meccanizzata), una batteria di artiglieria più una
componente elicotteri e velivoli teleguidati (droni) e altri supporti.
Sei reparti di questo tipo basati presso gli aeroporti nelle diverse
aeree afghane potrebbero contrastare efficacemente la minaccia con il
supporto di aerei da combattimento dispiegati in almeno quattro basi
(per esempio a Bagram, Herat, Jalalabad, Kandahar). In tutto circa 10/12
mila uomini, quanti ne sono presenti oggi con compiti di supporto e
consulenza.
Non si tratterebbe però di raddoppiare gli effettivi poiché molti
compiti logistici e di comando e controllo non verrebbero duplicati e
probabilmente 18/20 mila militari sarebbero sufficienti a garantire una
forza da combattimento credibile e una struttura di supporto agli
afghani efficace.
Il ripristino di un forza da combattimento alleata in Afghanistan,
anche se composta da un numero limitato di truppe rispetto al passato,
richiederebbe una coesione multinazionale da costituirsi intorno a una
precisa volontà dell’amministrazione Trump che in questo momento non
sembra godere di molte simpatie in Europa. Inoltre restano molti dubbi
circa il fatto che il Vecchio Continente (rivelatosi incapace di
affrontare con decisione la guerra allo Stato Islamico, la minaccia
terroristica islamica e i flussi selvaggi di immigrazione clandestina)
abbia la capacità e la volontà di tornare a combattere una guerra per
salvare Kabul dai talebani.
Foto: Isaf, US DoD, Italian Army Aviation Battalion Isaf e Op,. Resolute Support,
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