07gen 17
La guerra segreta di Trump contro chi governa davvero l’America
E’
sempre più interessante questo momento politico negli Usa. Non solo per
le polemiche politiche quanto, soprattutto, per la capacità di Trump di
spiazzare l’establishment, di rompere le regole non scritte che hanno
accomunato dagli anni Ottanta a oggi il partito democratico e quello
repubblicano.
Ho già spiegato in altre occasioni come funziona la democrazia
americana: la rivalità tra i due partiti sui temi che contano – difesa,
politica estera, finanza, globalizzazione – è più apparente che reale.
Il sistema presidenziale ha funzionato in modo tale da garantire che
alla fine si affrontassero due candidati – uno di destra e uno di
sinistra – che, a dispetto dell’apparente fortissima rivalità, in realtà
condividevano le scelte di fondo e l’appartenenza al ristretto
establishment che governa davvero l’America e che funziona come una
sorta di “Rotary”: che vincesse il candidato progressista o quello
conservatore poco importava, entrambi erano membri dello stesso club.
Le elezioni del 2016, invece, hanno segnato una rottura con questo
schema perché alle primarie sono emersi ben due candidati in grado di
strappare la nomination: Sanders tra i democratici e Trump tra i
repubblicani. Sanders sono riusciti a fermarlo con i brogli, che hanno
costretto alle
dimissioni il
presidente del Partito Debbie Wasserman Schultz; con Trump hanno
fallito, sebbene abbiano tentato in ogni modo di farlo deragliare. Ed è
significativo che molti leader repubblicani si fossero schierati con
Hillary Clinton durante l’ultima fase della campagna, a cominciare dalla
famiglia Bush. Di fronte al rischio di perdere la Casa Bianca,
l’establishment ha fatto saltare le apparenze: anche la destra
“mainstream” era per Hillary. Come tutte le celebrities di Hollywood.
Come tutta la stampa.
Demonizzare Trump, distruggere la sua immagine, attaccare la persona
prima ancora delle idee, screditarlo in ogni modo. Questo era lo schema,
peraltro già usato in passato e non solo negli Stati Uniti. Ma non è
bastato.
Trump
ha vinto. E non sembra intenzionato a recedere dai propri propositi. E’
un uomo che spiazza sempre. Lo ha fatto esternando la sua ammirazione
per Putin per non aver risposto all’espulsione dei 35 diplomatici; ha
continuato a ritenere non credibili le accuse di ingerenza russe nella
campagna elettorale, smontando e relativizzando le insinuazioni
provenienti dall’Amministrazione Obama e dalla Cia.
Nell’ambito di questa polemica ha dimostrato un’ottima conoscenza
delle tecniche di spin dentro le istituzioni, che è la forma più
insidiosa di manipolazione delle notizie; perché viola un concetto
fondamentale in democrazia: quello dell’autorevolezza e
dell’attendibilità delle fonti che provengono dall’istituzione stessa. O
meglio: abusa di questa autorevolezza per diffondere informazioni che
hanno l’aura della veridicità, che appaiono comprovate, e che invece
sono strumentali, parziali e talvolta totalmente inventate.
“Chiederò ai capi delle commissioni di Camera e Senato di indagare sulle informazioni top secret condivise con l’Nbc”.
facendo riferimento al rapporto d’intelligence per il presidente
Barack Obama sugli attacchi hacker russi, a cui Nbc News ha avuto
accesso in anticipo, in plateale violazione del segreto di Stato,
accende un faro su una tecnica di spin doctoring diffusa e molto
insidiosa. Chi conosce come viene gestita la comunicazione alla Casa
Bianca, sa che questi non sono scoop giornalistici ma fughe pilotate e
concordate al massimo livello. A cui Trump dice basta, rompendo ancora
una volta la tacita consuetudine bipartisan, che induceva i due partiti a
non indagare mai su quelle che talvolta erano vere e proprie frodi,
come le motivazioni della guerra in Iraq.
Rapporto d’intelligence che, peraltro,
non lo convince
come afferma pubblicamente, parlando di “caccia alle streghe” e
rompendo un altro tabù: mai nella storia recente americana un presidente
si era permesso di mettere in dubbio il lavoro dei vertici dei servizi
segreti, di cui non si fida e che intende ridimensionare nei primissimi
mesi della propria presidenza. Salteranno tante teste e la struttura
dell’intelligence verrà completamente
rivista.
E’
un’operazione di un’audacia senza precedenti e che spiega il grande
nervosismo di Obama e della ristretta élite che ha governato fino ad
oggi l’America e il mondo. Non è un caso che proprio quell’establishment
abbia tentato nelle ultime settimane di imporre la censura su internet e
sui social media, lanciando una campagna coordinata in più Stati,
inclusa l’Unione europea e Italia, sempre prontissime nel recepire i
desiderata di Washington o meglio della Washington che sta uscendo di
scena.
Il web ha permesso a Trump (e prima di lui al britannico Farage) di
scardinare un sistema che sembrava perfetto e intramontabile. Per questo
l’establishment globalista tenta, con un colpo di coda, di silenziare
l’informazione alternativa online, usando qualunque pretesto: gli hacker
russi, l’Isis, le fake news.
Non può riuscirci, non deve riuscirci.
http://blog.ilgiornale.it/foa/2017/01/07/trump-america/?repeat=w3tc
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