Ne “Il suicidio francese”
(Enrico Damiani Editore) il giornalista Éric Zemmour individua, anno
per anno, le tappe della “decostruzione” di una nazione, una volta
“grande”. E c’entrano il tanto celebrato Sessantotto e l’Unione europea
Una nazione senza più identità, “meticcia”, in crisi economica, con disoccupati e miseria in aumento. Il tessuto sociale sfilacciato
o completamente disgregato. Un terrorismo islamico sanguinario ed
endogeno, che ormai colpisce quando vuole. La politica del tutto
screditata, con il Front national che avanza prepotentemente, tra il terrore di alcuni e le (residue) speranze di altri…
È il quadro dell’odierna Francia, anche se potrebbe
essere quello di quasi tutti gli altri paesi europei. La domanda da
porsi è: come è potuto accadere che il paese-guida dell’Europa, anzi
simbolo dell’intera civiltà occidentale dal punto di vista delle idee
politiche e della cultura, con l’eterna smania della grandeur,
si sia ridotto così? Come sta accadendo – e accadrà – agli altri stati
europei. È il giornalista ebreo francese di origini algerine Éric Zemmour a offrirci le risposte nel suo voluminoso Il suicidio francese (Enrico
Damiani Editore, pp. 592, € 19,00), uscito in Francia nel 2014 e in
Italia lo scorso maggio. A partire dal 1970, fino al 2007, l’autore
traccia, quasi giorno per giorno, gli avvenimenti, a volte
apparentemente senza importanza e, quindi, passati inosservati, che
hanno disarticolato, destrutturato o, peggio, distrutto la società e la
cultura francese, compresi gli aspetti positivi. In pratica, si è forse
buttata un po’ di acqua sporca, ma col bimbo dentro.
Perché tutto quello che oggi è “globalizzazione”, finanziarizzazione dell’economia, tirannide dell’Unione europea, proletarizzazione dei ceti medi,
immigrazione incontrollata, islamizzazione dell’Europa, terrorismo, e
tutto il resto, ha le sue radici molto tempo prima. Come in un veloce,
ma preciso documentario, ne Il suicidio francese scorrono
canzoni e leggi, cronaca e politica, calcio e innovazioni tecnologiche,
cultura e mass media, costumi e arte, mode e ingranaggi economici.
Personaggi famosi vengono demitizzati (ad esempio, Jean-Paul Sartre),
avvenimenti considerati insignificanti rivalutati, viene denunciata la
viltà degli intellettuali. Il tutto attraversato da una miriade di riferimenti storici, culturali, letterari, aneddotici.
Ecco una rapida carrellata degli anni-avvenimenti
visti alla luce odierna, con le conseguenze esiziali che ne sono
derivate. Essi, come una implacabile, interminabile goccia, hanno
scavato nel cemento armato che faceva da fondamenta alla costruzione
francese fino a far crollare tutto l’edificio. 1970: muore Charles de Gaulle, il padre della Francia contemporanea postbellica; al contempo, nella società francese vanno in crisi la figura del padre e la famiglia tradizionale.
1971: lo stato e la politica perdono potere a vantaggio della
magistratura, percorso che si è evoluto oggi nella superiorità della
giurisprudenza europea sulla sovranità delle nazioni; inizia il processo
che porterà alla fine del controllo statale su moneta ed economia.
1972: entra in campo la Cina,
che annienterà le vecchie economie; i giudici rossi agiscono
ideologicamente; il Regno Unito entra nella Cee (Comunità economica
europea) come un cavallo di Troia; con la Legge Pleven, in nome della lotta al razzismo, si dà il via alla soppressione della libertà d’opinione; inizia l’ascesa della lobby omosessuale.
1973: la finanza dello stato si consegna alle banche private; le periferie urbane cominciano a degradarsi; il divorzio,
su spinta delle donne, diventa di massa: basta avere qualche fregola
sentimentale; il rock diviene la musica più ascoltata e “ribelle”, solo
che sopra di esso ci sono i lauti guadagni delle case discografiche
capitaliste; la grande distribuzione soffoca i piccoli commercianti. 1974: escono film che esaltano la trasgressione e deridono le leggi civili; la tv influenza e banalizza la politica; il maschio perde ogni slancio vitale, sottomettendosi al femminismo. 1975: liberalizzazione dell’aborto e appropriazione materna dei figli; la conseguente crisi demografica è colmata col permesso di ricongiungimento famigliare concesso agli immigrati; alla famiglia “moderna” subentra quella maghrebina, arcaica e patriarcale.
1976: inizia l’ascesa del calcio come nuova religione popolare e business; si avvia la distruzione della scuola e
della qualità di insegnamento-apprendimento in nome del pedagogismo,
della sperimentazione, dell’inclusione, e a farne le spese sono proprio
gli studenti dei ceti popolari, che non potranno migliorarsi. 1977:
l’intera popolazione autoctona resterà per sempre sotto il mirino
dell’accusa di razzismo. 1978: rimane inascoltato il preveggente appello
di Jacques Chirac contro l’Unione europea. 1979: l’arcaico ayatollah Ruhollah Khomeini
va al potere in Iran e la sinistra non capisce che non si tratta di una
rivoluzione, ma dell’inizio dell’integralismo islamico globale; crisi
della siderurgia e avvio della finanziarizzazione dell’economia. 1980:
si vogliono attribuire gli attentati palestinesi antisemiti all’estrema
destra, che non c’entra nulla, non comprendendo un fenomeno che diverrà
devastante; nelle famiglie di divorziati ci si contende violentemente i
figli. 1981: Bernard Henry-Levy elabora un’ideologia mondialista, non accorgendosi di aprire un vaso di Pandora neocapitalista; il grande successo televisivo della serie Dallas è il simbolo della pervasività americana e del neoliberismo; a causa del «nuovo potere islamico-mafioso», nelle banlieu si scatena l’inferno; l’informatica e la telematica diverranno una nuova tirannide sociale ed economica (vedi Internet, nuovo totalitarismo?).
1982: regionalizzazione e decentramento si rivelano un disastro, con sprechi e infiltrazioni criminali-mafiose. 1983: si comincia a cedere interamente a Germania e neoliberismo. 1984: Sos Racisme s’inventa il razzismo dove non c’è (vedi anche Pensiero libero? Richard Millet, sei un razzista!);
nascono radio e canali televisivi “progressisti”, giovanilistici,
«ribellocrati», in realtà consumisti e allineati al liberismo più di
tutti. 1985: gli ebrei diventano una lobby, uno stato nello stato; anche
i gay divengono
una lobby, per di più aggressiva e alla moda; la carità si tramuta al
contempo in una nuova religione buonista e in un business. 1986: delocalizzazione della Renault,
coi manager che faranno parte di una élite internazionale senza patria;
l’arte “trasgressiva” è foraggiata dallo stato; vengono bloccate le
riforme universitarie e dello jus soli.
1987: il genocidio ebraico da parte dei nazisti diviene un totem statale. 1988: l’introduzione del sussidio universale
procura danni e crea fannulloni. 1989: l’universalismo nato dalla
Rivoluzione del 1789 viene sostituito dai diritti delle singole
comunità; velo islamico e
macellerie halal sono segnali simbolici di occupazione dello spazio
pubblico; col crollo del Muro di Berlino, la Germania intraprende la
riunificazione e la propria irresistibile ascesa. 1991: le campagne
contro fumo, alcool, pro sicurezza statale, prevenzione cancro, ecc.,
creano uno stato etico neomoralista; il successo del rap dai testi violenti
si innesta con l’islam francese. 1992: straripa nelle fiction
televisive il modello di un maschio dai sentimenti femminilizzati (vedi La crisi dell’universo maschile secondo Éric Zemmour); a settembre, al
referendum sul Trattato di Maastricht,
vincono di pochissimo i sì (51% a 49%), che così accettano l’Europa
tecnocratica e antidemocratica. 1993: da ora all’anagrafe è possibile
affibbiare ai neonati nomi “multiculturali”. 1995: proliferano le
“Giornate della memoria”, tendenti per lo più ad autocolpevolizzare la nazione;
nelle lotte dei lavoratori vengono definiti riformatori coloro che abbattono i consolidati diritti sociali e sindacali, e conservatori quelli che li difendono; il “
caso Bosman” dà il via alla libera circolazione dei calciatori, comincia un calcio-spettacolo globalizzato capitalista e senz’anima.
1996: viene soppresso il servizio militare, quindi l’esercito
si indebolisce e agirà solo in contesti multinazionali; nelle scuole
prevalgono sempre più discriminazione positiva (pro lavativi e contro
meritevoli) e folli sistemi pedagogici invece di meritocrazia e qualità,
che si abbassa vertiginosamente; i clandestini diventano idealizzati e vittimistici sans-papiers
da sovvenzionare a spese dello stato. 1998: la vittoria della Francia
“multietnica” ai Mondiali di calcio viene sfruttata per celebrare il
multiculturalismo, ma i gravi incidenti avvenuti negli anni successivi
nelle “amichevoli” Francia-Algeria, Francia-Tunisia e Francia-Marocco ad
opera degli immigrati (che fischiano La Marsigliese) e
soprattutto la “ribellione” dei nazionali islamici ai Mondiali del 2010
dimostrano che le prepotenze degli ex stranieri aumentano.
1999: vince il consumo del cibo-spazzatura, «folle
macchina di produzione di malattie». 2000: il dominio dell’industria
aeronautica si trasferisce dalla Francia alla Germania. 2001: Parigi si
trasforma in città-mondo, espellendo le vecchie botteghe e il popolo; la Cina
entra nell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc-Wto) e rovina gli
operai occidentali; entra in vigore l’euro che, coi suoi tassi di
cambio bloccati su un marco debole, favorisce la Germania e manda in
macerie l’economia degli altri paesi. 2003: Nicolas Sarkozy perde
l’occasione di evitare l’islamizzazione della Francia; le istituzioni
europee divengono sempre più ermetiche e potenti. 2005: l’islam trionfa
nelle banlieu; Napoleone, le sue vittorie e le sue opere civili non sono
più ricordate perché vige la negazione della storia patria. 2007: il
“no” al referendum sulla Costituzione europea del 2005 è aggirato dal Trattato di Lisbona.
La libera circolazione di capitali, beni, servizi,
merci, uomini, decretata dall’atto di nascita dell’Unione europea, fa
parte del progetto di globalizzazione. Tradotta, significa che sul
mercato rimangono competitive solo le grandi multinazionali,
le uniche che possono competere nel mercato globale, che l’economia
prevalente diventa quella finanziaria e che si è dato il via libera allo
sfruttamento mondiale degli esseri umani, di cui la massiccia migrazione sregolata e devastante
(manodopera abbondante e a basso costo) rappresenta una fondamentale
tessera del puzzle. Scrive Zemmour, con lucidità apocalittica: «Il
capitalismo ha cominciato un nuovo ciclo rivoluzionario – al fine di
ristabilire una migliore redditività del capitale – che passa per una
controriforma sociale destinata a limitare e tagliare i “diritti dei
lavoratori” acquisiti dopo la Liberazione, sullo sfondo della
finanziarizzazione e dell’internazionalizzazione delle produzioni e dei
mercati».
A che serve l’Unione europea? «È la sovranità nazionale
che assicura il funzionamento democratico ma anche la protezione
sociale dei salariati mettendo le élite e il padronato sotto la minaccia
del popolo. L’unico modo di allentare questa morsa democratica è di far
scoppiare il tetto della sovranità nazionale per allontanare il
padronato e i dirigenti dai loro popoli ombrosi. La “costruzione
europea” sarà l’arma assoluta per scardinare questa tradizione
rivoluzionaria nata nel 1789. […] Fin dall’inizio degli anni ottanta la
nuova Europa partorì quelli che erano stati i tre grandi sogni delle
élite occidentali: il sogno pacifista, il sogno tecnocratico e il sogno
liberista». L’euro è un corsetto soffocante, una vergine di Norimberga.
E non se ne può venire fuori, né dall’Unione,
né dalla moneta unica: «Per riuscire ad attuare il loro colpo di Stato
post-democratico, le nostre classi dirigenti utilizzeranno il potente
metodo dell’“ingranaggio”: ogni tappa della costruzione europea genera
quella successiva come una necessità la cui messa in discussione
costerebbe troppo cara. […] La costruzione dell’Europa alzerà un muro
tra una rappresentanza senza potere (i governi degli Stati) e un potere senza rappresentanza (tecnocrati, i giudici e le lobby di Bruxelles). […] L’Europa integrata diventò il laboratorio di una governance mondiale
[…]. Lo Stato-nazione non scompariva, ma prestava al potere
tecnocratico il suo braccio secolare». In conclusione, «l’Europa e la
globalizzazione sono macchine da guerra capaci solo di distruggere la
previdenza sociale dei salariati e di aumentare le disuguaglianze a
vantaggio di un’infima minoranza di ricchi».
In politica le tradizionali destra e sinistra non esistono più.
O, piuttosto, sono cambiati i loro referenti sociali. Da un lato si
collocano i fautori del modello globale: «Da una parte i centristi di
ogni schieramento, i liberalsocialisti, i partiti di governo, i media,
le élite economiche e finanziarie, culturali e artistiche, i vincitori della globalizzazione, i laureati e gli abitanti delle grandi metropoli; dall’altra […] la sinistra antiliberista e i sovranisti […] di destra, le classi popolari,
i cittadini meno istruiti, maggiormente di sesso maschile, le città più
piccole e le province abbandonate, e gli sconfitti della
globalizzazione». Tutto ciò lo si è visto negli schieramenti
socioculturali pro e contro la Brexit.
Ma qual è la causa delle cause, quello sconvolgimento
culturale che, pur senza averne l’intenzione, ha fatto proprio il gioco
del capitalismo che intendeva combattere? Ecco tutti i demoni del Sessantotto.
Argomenta Zemmour: «Non si cessa di ripeterci da quarant’anni che il
Maggio ’68 è stata una rivoluzione mancata, mentre essa ha vinto». Così
hanno vinto il politically correct e i «nuovi Vangeli che,
veicolati dalla cultura popolare attraverso i mezzi di comunicazione di
massa, […] cullarono le giovani generazioni con un’efficacia mai vista»;
«non sappiamo più dove andiamo perché non sappiamo più da dove veniamo.
Ci hanno insegnato ad amare ciò che detestavamo e a detestare ciò che amavamo», in modo tale che «il Mercato si impadronirà senza fatica di questi uomini senza radici e senza cultura per
farne dei semplici consumatori. Gli uomini d’affari sapranno utilizzare
l’internazionalismo dei loro più accaniti oppositori per imporre la dominazione senza riserve di un capitalismo senza frontiere».
In conclusione, la pubblicazione di Zemmour
è un saggio antimoderno, visto che, oggi che il progressismo è divenuto
illiberale, essere reazionari significa essere sovversivi [vedi anche i
libri di Luigi Iannone, recensiti in Il lento, triste disorientamento del mondo “globale”; Viaggio nel (cattivo) stile della nostra epoca].
Non è nostra intenzione fare un panegirico del libro del polemista
francese. Tra i difetti dell’autore troviamo una retorica e alcune
immagini eccessive, sintesi e/o collegamenti storici un po’ arditi.
Crediamo che, invece, dipendano dall’edizione italiana la confusione
lessicale tra liberalismo/liberismo e liberale/liberista, visto che, per
i due diversi significati, in francese si adoperano sempre gli unici
termini
libéralisme e
libéral-
libérale.
Numerosi, inoltre, sono i refusi ortografici e tipografici, nonché note a
piè di pagina poco ortodosse. Infine, al lettore italiano medio, molti
fatti e personaggi francesi risulteranno poco noti, se non del tutto
ignoti, e, quindi, in mancanza di note esplicative, ostici. Tuttavia, è
un libro da non perdere. In attesa del prossimo – definitivo –
suicidio europeo.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XII, n. 133, gennaio 2017)
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