#2017. La storia si è rimessa in movimento e offre una chance ai sovranisti
Pubblicato il 7 gennaio 2017 da Mario De Fazio
Categorie :
Politica
“E’
l’ora dei fuochi e non si deve vedere altro che luce”. La ribellione di
José Martí, poeta rivoluzionario cubano, è già di per sé un buon
auspicio per l’anno appena iniziato. Custodire il fuoco, come ci
invitano a fare le sorelle Silvia e Anna K Valerio citando Martí in una
delle tante gemme disseminate lungo il loro romanzo, “Non ci sono innocenti”.
I fuochi, nel mondo e soprattutto nella società occidentale, per
fortuna non mancano. Incendi scoppiano ovunque, tra le tenebre che
avvolgono quella che Heidegger chiamava la “notte del mondo”. Sono le fiamme della realtà, che – più per autocombustione che per una precisa strategia – s’accendono al di là di ogni narrazione e orwelliane definizioni di post-verità, coniate spesso da chi ha fatto della mistificazione e dell’addomesticamento del reale un’autentica missione.
E’ l’ora dei fuochi, che spesso bruciano
i potenti. E’ accaduto nella fortezza del capitalismo transnazionale e
finanziario, gli Stati Uniti d’America, dove il popolo – ovviamente
rozzo e ignorante – ha archiviato la fallita speranza obamiana
scegliendo il male minore di Trump. E se è presto per giudicare cosa
farà il ciuffo d’oro dello studio ovale, più interessante è notare come
la rivolta delle masse contro le elite brucia nella roccaforte del
Medesimo. Un processo che, dalla Brexit al voto austriaco, passando per
il referendum italiano e le venture elezioni in Francia, Olanda e
Germania, sembra destinato a non arrestarsi. Vince chi invoca il
cambiamento ed è più coerente a interpretarlo. Ma al di là degli
esiti elettorali, la nuova dicotomia che definisce l’Occidente si
afferma e non ammette sindrome da torcicollo né esaltazioni acritiche: basso contro alto, popolo contro elite, esclusi e precari contro privilegiati e garantiti.

Aleppo liberata
E’ l’ora dei fuochi che riscaldano Aleppo, simbolo della storia che non si arrende a considerarsi finita.
Aleppo liberata – ché così sarebbe stata definita, se solo a
interpretare i “buoni” in commedia non ci fossero stati il “cattivo”
Assad e i suoi tremendi alleati russi, iraniani, libanesi – è l’emblema
di un meccanismo che, dopo Afghanistan, Iraq e Libia, si inceppa,
rendendo manifesta la crisi di una conduzione unipolare del mondo e
aprendo la strada a uno scenario in cui l’arroganza trova un limite,
concetto ferocemente combattuto nel sabba della modernità.
I fuochi avanzano, sotto le forme
eterogenee dei “populismi” che incanalano, spesso con disordine e
approssimazione, l’istinto naturale di ribellione di larga parte degli
occidentali. Il rischio è che la tecnologia porti a compimento quella
mutazione antropologica finalizzata a sterilizzare i popoli europei. L’ombra
della sostituzione – che non è solo fenomeno demografico ed etnico ma
progetto capillare di livellamento delle differenze, di
costruzione di un nuovo tipo umano svuotato di ogni identità ma
iper-connesso, riempito di qualsivoglia bisogno indotto, sempre più solo
e senza radici – quell’ombra, non è mai stata cupa come oggi.
Come i fuochi possano ardere,
riscaldando e non bruciando, è la sfida del nuovo anno e dei prossimi
che verranno. In Italia il quadro politico è tanto desolante quanto
incoraggiante è invece il fermento culturale che anima l’area di chi non
s’arrende, inimmaginabile fino a qualche anno fa. Il blocco
sociale cui far riferimento per invertire la rotta esiste e non è mai
stato affollato come adesso: i “perdenti della globalizzazione”, che in
massa votano Lega, Fratelli d’Italia e Movimento Cinquestelle, sono
maggioranza nel Paese, complice l’impoverimento e la
precarizzazione di gran parte di quella che un tempo si sarebbe chiamata
classe media. Le periferie si ingrossano e avanzano, assediando le
cittadelle finanziarie e mediatiche del privilegio. Interpretare la
realtà, squarciare il velo delle ipocrisie progressiste, combattere ogni
narrazione d’accatto e post-verità servendosi dei tanti avamposti
culturali che spesso predicano nel deserto. Sono queste le priorità per
chi voglia costruire un’area politica identitaria e sovranista che
sappia caricarsi sulle spalle la sfida epocale che ci attende: trasformare i fuochi in luce.
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