la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune.
Produrre, organizzare, trovare soluzioni,
impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST?
Pensa cchiu' a chi o' dicè ca' a chello ca' dice
L'albero della storia è sempre verde
L'albero della storia è sempre verde
"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"
mercoledì 4 gennaio 2017
Libia - Il governo di Tobruk è riconosciuto a livello internazionale, dopo elezioni, poi gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia (?!?! ambigua) si sono riuniti e trascinando dietro tutto l'occidente hanno deciso di inventarsi il governo fantoccio di al Serraj
“Guerra in Iraq: nel 2016 oltre 6.800 civili uccisi, 12.300 i feriti”
Libia, la versione di Haftar: “L’Italia ha scelto la parte sbagliata”
In un’intervista al Corriere della Sera il generale
della Cirenaica critica la decisione del nostro Paese di appoggiare il
premier Serraj: “Lasciate che siano i libici a occuparsi della Libia”
di Manuel Godano
Dall’annuncio della liberazione di Sirte dallo Stato Islamico
all’inizio dello scorso dicembre, la Libia è gradualmente scomparsa dai
radar dei media internazionali. La riconquista della roccaforte
jihadista, di cui i miliziani del Califfato avevano preso il controllo
nel giugno del 2015, non è però la soluzione ai tanti problemi a cui è
chiamato a far fronte il fragile Governo di Accordo Nazionale (GNA) del
premier Faiez Serraj. Il primo ministro designato dalle Nazioni Unite si
è appuntato sul petto la medaglia della vittoria sullo Stato Islamico,
ma l’esecutivo che presiede continua a perdere pezzi. L’ultimo ad
annunciare le dimissioni è stato il 2 gennaio uno dei tre vice di
Serraj, Mussa al Kuni, espressione della minoranza tuareg del sud del
Paese. “Abbiamo fallito” ha dichiarato al Kuni riconoscendo l’incapacità
del Consiglio di Presidenza di cui era membro di tenere unito quel che
resta della Libia del dopo Gheddafi.
Impossibile dargli torto alla luce dei fallimenti inanellati dal GNA
in questo primo anno di mandato. Nell’ordine, il governo di Serraj non
ha ottenuto l’approvazione della Camera dei Rappresentanti di Tobruk,
necessaria per assumere poteri effettivi; non garantisce la sicurezza né
a Tripoli, dove a metà ottobre ha fatto ritorno il premier del deposto
Governo di Salvezza Nazionale Khalifa Gwell, né tantomeno nel resto del
Paese; non controlla la produzione e le esportazioni del petrolio, in
mano al generale della Cirenaica Khalifa Haftar da quando questi ha
ripreso il controllo dei pozzi e dei terminal situati nel Golfo della
Sirte; non ha risolto la crisi di liquidità, fermato la crescita
dell’inflazione, garantito assistenza sanitaria ad ampie fasce della
popolazione; non ha contribuito a porre un freno, come sperato dalla
comunità internazionale, al flusso di migranti sub-sahariani che tentano
la traversata del Mediterraneo per raggiungere le coste europee.
(Vienna, 16 maggio 2016. Da sinistra: Faiez Serraj, John Kerry e Paolo Gentiloni)
Il suo governo, di fatto, non sta salvando la Libia dal caos:
l’unitarietà del Paese non esiste, il potere è frammentato nelle mani di
chi fa valere la propria forza militare, mentre attori più decisi – la
Russia di Putin, l’Egitto di Al Sisi e la stessa Francia – sconfessano
la strategia dell’Occidente puntando sul “cavallo vincente”, vale a dire
il generale Haftar.
Il tutto si consuma mentre da Paesi limitrofi – da sud così come da
Tunisia, Algeria ed Egitto – ISIS e gruppi jihadisti legati ad Al Qaeda
possono tornare alla ribalta da un momento all’altro, sfruttando a
proprio favore vuoti istituzionali, assenza di leadership forti e
contrasti tra le varie milizie e tribù per il controllo dei territori e
delle risorse.
La versione di Haftar
In questo quadro di generale instabilità, Haftar è tornato a prendersi la scena rilasciando un’intervista al giornalista del Corriere della Sera
Lorenzo Cremonesi. Il generale ha disegnato una mappa dei punti deboli
della Libia, definendosi come era prevedibile l’unica figura in grado di
venire a capo della lunga crisi che attanaglia il Paese dal 2011. Parla
del suo esilio negli Stati Uniti durante gli anni del regime di
Gheddafi, denuncia le forze islamiste radicali che hanno fatto
deragliare fin dall’inizio il processo di inclusione politico avviato
dopo la caduta del dittatore, snocciola i numeri dell’Operazione Karama
(Dignità) con cui ha liberato Bengasi e la Cirenaica dagli estremisti,
fa il punto sulla guerra all’ISIS e sugli ottimi rapporti con Putin e
smentisce che il prossimo 4 gennaio ad Algeri incontrerà Serraj.
Nella sua versione dei fatti, le incongruenze non mancano.
L’Operazione Dignità non ha portato all’eradicazione totale della
minaccia jihadista da Bengasi e da altre aree della Cirenaica. Inoltre,
Haftar lancia delle accuse perentorie nei confronti delle milizie di
Misurata, il cui contributo nella liberazione di Sirte da ISIS è stato
però sotto gli occhi di tutti. “I jihadisti – dichiara – vengono
aiutati anche da alcune tra le milizie di Misurata, che sono radicali e
combattono il nostro progetto di smantellarle in nome della supremazia
dell’esercito. Senza l’aiuto americano Misurata non avrebbe mai preso
Sirte. Loro si sono mossi solo quando hanno visto che i miei soldati
stavano per accerchiarla. E comunque alcune delle loro brigate, come la
Faruq, sono alleate dell’ISIS, ne condividono fanatismo e credo
religioso”.
(Il generale Khalifa Haftar a Mosca dopo l’incontro con Putin)
Anche sul controllo e sulla gestione delle esportazioni petrolifere il generale ha dato risposte poco convincenti. “Ora conto di una forza di 50.000 uomini, che controlla circa l’80 per cento del Paese - sottolinea -
Pattugliamo i pozzi petroliferi e i terminali qui nell’Est a Ras Lanuf,
Brega, Al Sidr. Nessuno ruba gas o greggio. Vige la legalità. Anche i
berberi delle montagne di Nafusah, a sud di Tripoli, sono nostri alleati”.
Interessanti, infine, le dichiarazioni sul ruolo dell’Italia in Libia. “Gli italiani da noi sono sempre benvenuti – afferma – Peccato
che alcuni abbiano scelto di stare con i nostri nemici”. E ancora: “Noi
ci aspettiamo aiuti da tutti per combattere l’ISIS. Saremmo ben
contenti di cooperare con la Gran Bretagna, la Francia o la Germania.
Italia compresa, purtroppo sino a ora il governo di Roma ha scelto di
aiutare soltanto l’altra parte della Libia. Avete mandato 250 uomini tra
soldati e personale medico per gestire l’ospedale di Misurata. A noi
nulla. Negli ultimi giorni ci era stato promesso l’invio di due aerei
per trasportare negli ospedali italiani alcuni dei nostri feriti gravi.
Ma sino a ora non sono arrivati, forse per il brutto tempo. Ci saremmo
aspettati maggior cooperazione”.
L’ultima frecciata è rivolta al generale Claudio Graziano, capo di
stato maggiore della Difesa che a fine dicembre è stato a Misurata dove
l’Italia ha predisposto un ospedale da campo nell’ambito dell’Operazione
‘Ippocrate’. “Non abbiamo apprezzato il discorso di fine d’anno del
vostro capo di Stato maggiore in visita a Misurata. Ha detto che
l’Italia sostiene le milizie di Misurata, cosa che va oltre una pura
missione medica di pace. Conosco le tematiche del vostro ospedale. Il
numero due della vostra intelligence è un mio caro amico, viene spesso a
trovarmi e ne abbiamo parlato più volte. Però consiglierei ai Paesi
stranieri e al vostro di non interferire nei nostri affari interni.
Lasciate che siano i libici a occuparsi della Libia”.
Dunque per Haftar l’Italia in Libia si è schierata dalla parte
sbagliata decidendo di sostenere sin dall’inizio la linea delle Nazioni
Unite e di appoggiare la nomina del premier Serraj. Adesso, con alle
spalle un anno di mandato inconcludente del GNA, è obiettivamente
difficile pensare di poter salvare questo Paese puntando esclusivamente
su questa strategia. All’orizzonte resta semmai percorribile una strada
obbligata: trovare un compromesso con il generale della Cirenaica. Altre
potenze lo stanno già facendo da tempo.
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