L’ex senatore repubblicano dell’Indiana
Daniel Ray “Dan” Coats
è stato scelto dal presidente eletto
Donald Trump per rivestire il
delicato incarico di direttore dell’Intelligence nazionale, un ruolo –
finora ricoperto da
James Clapper – che comporta la
supervisione delle
attività di tutte le 16 agenzie d’intelligence americane e che rende
conto del suo operato all’inquilino della Casa Bianca.
Coats è stato nel Comitato Intelligence del Senato e ha svolto un
ruolo nei principali dibattiti politici sull’informatica negli ultimi
anni. Nel 2015, l’ex senatore ha sostenuto un progetto di legge –
fortemente criticato dai gruppi a tutela della privacy – che ha ampliato
la condivisione di dati su minacce informatiche tra il settore privato e
il governo. Nello stesso anno, Coats ha votato contro il taglio del
programma di sorveglianza dell’NSA, inserito nel Freedom Act.
Inoltre, sempre nel 2015, Coats ha sponsorizzato un emendamento che
avrebbe elevato il ruolo dell’ufficio di controspionaggio del governo
assicurando il potere di cercare di scovare ‘talpe’ interne, oltre a
spie straniere che operano negli Stati Uniti.
“La sua nomina”, spiega a Cyber Affairs Stefano Mele, avvocato
specializzato in Diritto delle Tecnologie, Privacy, Sicurezza delle
Informazioni e Intelligence, “va letta sotto un duplice aspetto”. Da un
lato, rileva l’esperto, “potrebbe contribuire a rasserenare il clima tra
Trump e la comunità dell’intelligence, messo a dura prova dai recenti
commenti del Presidente eletto, tesi in larga parte a sconfessare le
accuse dei servizi segreti americani nei confronti della Russia riguardo
alle presunte cyber ingerenze del Cremlino nelle ultime elezioni
americane. La storia politica di Coats, le sue attività tra il 2000 e il
2010 come lobbista anche per il settore difesa, così come soprattutto
le attività svolte dal 2010 al 2016 come Senatore impegnato nel Comitato
Intelligence del Senato, sono state quasi sempre in linea con le
esigenze dell’intelligence americana e favorevoli ad un’estensione dei
loro poteri, anche all’indomani dell’affaire Snowden. Dunque il suo nome
potrebbe essere ben visto”.
Dall’altro lato, però, sottolinea Mele, “Coats ha spesso espresso
parole di forte e dura critica nei confronti della Russia, soprattutto a
seguito delle vicende in Crimea, tanto da essere dichiarato da Putin
nel 2014 persona non gradita sul territorio russo. Se questa può
apparentemente sembrare una contraddizione rispetto all’attuale
approccio politico di Trump nei confronti di Mosca, in realtà non lo è:
lo spionaggio, infatti, è un’attività giornalmente praticata da tutti i
governi tanto nei confronti dei nemici, quanto nei confronti degli
alleati. Dunque, anche nel caso in cui la linea di Trump dovesse
continuare ad essere – come sembra – di avvicinamento alle politiche di
Mosca e di distensione dei rapporti rispetto a quanto fatto da Obama,
sarebbe comunque un errore grossolano credere in un indebolimento della
sicurezza nazionale degli Stati Uniti e in un affievolimento delle
attività di intelligence”.
Per quanto concerne invece un altro dei dossier che premono sia a
Trump che all’intelligence, ovvero quello del rapporto con i big della
Silicon Valley, per Mele “finora abbiamo assistito a uno scontro più
apparente che reale. Ogni società”, dichiara l’esperto, “è consapevole
di quanto sia difficile, di fronte a una richiesta motivata degli organi
investigativi di un governo, che un’azienda possa rifiutarsi di
concedere i dati dei suoi utenti. Siamo pertanto di fronte a delle
posizioni dovute, ma che non condizioneranno più di tanto il dialogo.
Trump, d’altronde, è un uomo di business e saprà come coniugare la
necessità delle aziende di non mostrarsi prone di fronte alle autorità,
con il bisogno di raccogliere informazioni per prevenire i crimini e
perseguire i colpevoli”.
Fonte:
Cyber Affairs
Foto: GOP Weekly Address/YouTube screenshot
http://www.analisidifesa.it/2017/01/idee-e-sfide-del-prossimo-direttore-dellintelligence-usa/
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