Che
la strategia italiana nella lotta al terrorismo islamico, illustrata il
5 gennaio dal presidente del Consiglio Gentiloni e dal ministro
dell'Interno Minniti, confermata nell'intervista di ieri al Giornale
dal capo della polizia Gabrielli, si concentri sul monitoraggio di
internet e sul controllo dei detenuti islamici nelle nostre carceri, è
un fatto doveroso dettato dalla contingenza.
È una decisione che trova riscontro nell'uccisione
lo scorso 22 dicembre a Sesto San Giovanni di Anis Amri, lo stragista
tunisino del mercatino di Natale di Berlino, tornato in Italia dopo
esserci sbarcato da clandestino nel 2011 e aver trascorso 4 anni in 6
diverse carceri della Sicilia dove avviò il suo processo di
«radicalizzazione». Tuttavia limitare, o anche solo focalizzare,
l'attenzione sulla rete e sulle carceri sarebbe un errore grave. Questa
strategia presenterebbe delle falle che ci farebbero perdere la visuale
d'insieme e non ci consentirebbero di conseguire l'obiettivo della
tutela della nostra società e della salvaguardia della nostra civiltà.
Innanzitutto è vitale identificare la natura della minaccia, ovvero che
si tratta di terrorismo islamico, perché diventa fuorviante continuare a
indicarlo come terrorismo internazionale o jihadismo, con il sottinteso
che l'Islam non c'entrerebbe nulla, riaffermando la tesi secondo cui i
terroristi sono cattivi ma l'Islam è buono. Ebbene noi non sconfiggeremo
mai il terrorismo islamico fintantoché non si avrà l'onestà
intellettuale e il coraggio umano di affermare che è proprio l'Islam la
radice del male, perché i terroristi islamici sono quelli che più di
altri ottemperano in modo letterale e integrale ciò che Allah prescrive
nel Corano e ciò che ha detto e ha fatto Maometto. Ne consegue che il
nemico da combattere non sono singoli terroristi islamici ma è l'Islam
che ispira e legittima le loro atrocità. In parallelo emerge una seconda
falla, ritenere che l'arresto e l'espulsione di singoli terroristi
islamici porrà fine alla minaccia. Sarebbe come immaginare che scalfire
la punta dell'iceberg ci consentirà di ignorare la realtà dell'iceberg.
Il
caso Amri, che in 18 mesi in Germania ha viaggiato con 14 passaporti e
documenti d'identità falsi, ci conferma che i lupi solitari non sono
schegge impazzite e isolate, ma lo strumento umano agevole e
spregiudicato usato da organizzazioni terroristiche per colpirci a
tradimento. Amri era il «robot della morte» forgiato da un «lavaggio di
cervello» subito sia in carcere sia in clandestinità in Germania, a
opera di predicatori islamici. Ecco perché solo ponendo fine al
«lavaggio di cervello» noi sconfiggeremo questa «fabbrica del terrorismo
islamico».
La terza falla nella strategia governativa è nel
concentrarsi sul mezzo ignorando il fine. Il terrorismo è solo il mezzo,
ma è l'islamizzazione della nostra società il fine. I terroristi
islamici perseguono il fine attraverso la violenza, mentre altre realtà
islamiche più scaltre e subdole legate ai fratelli musulmani, ai
wahhabiti, ai salafiti e più in generale i musulmani moderati che
controllano le moschee, perseguono lo stesso fine di sottometterci
all'Islam facendo leva sulla nostra paura dell'Islam.
Ecco perché la
quarta falla ci vede passare dalla padella alla brace: per sconfiggere i
terroristi islamici tagliagole ci alleiamo con i terroristi islamici
taglialingue, quelli che ci hanno imposto di legittimare l'Islam a
prescindere dai suoi contenuti violenti. Se ci calassimo nella realtà
dei sedicenti musulmani moderati comprenderemmo che loro hanno tutto
l'interesse a collaborare con il governo per scovare e far arrestare i
terroristi islamici, perché più terroristi si arrestano, più cresce la
paura tra la gente, e più noi ci affidiamo a loro, agevolando il
successo del loro obiettivo di islamizzarci in modo pacifico. Il governo
non deve limitarsi a prevenire le stragi islamiche, deve soprattutto
scongiurare che i nostri figli finiranno domani per essere sottomessi
all'Islam.
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