Politica (di M.Veneziani). Non ci vuole un Trump tricolore ma un progetto per l’Italia
Pubblicato il 1 febbraio 2017 da Marcello Veneziani
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Politica

Donald Trump
Ma davvero ci vorrebbe un Trump per l’Italia? Un
uomo forte, solo al comando, fuori dai partiti e dalla politica che
possa rimettere in piedi il Paese? No, non è un Trump.it che vi vuole da
noi. Di uomini soli al comando ne abbiamo avuto già qualcuno, l’ultimo
se n’è andato a furor di popolo proprio il mese scorso e si chiamava Matteo Renzi.
E di magnati, non politici, non partitici, ma seduttori in senso lato, ne abbiamo già avuto qualcuno, si chiamava Silvio e
sapete come è andata. Pensare di risolvere i problemi italiani
invocando il Grande Risolutore, il Gran Padre, l’Uomo della Provvidenza o
almeno della previdenza, non funziona. Se vogliamo, anzi, il primo
guaio della politica italiana è che si è ridotta a quattro, cinque
capataz e poi intorno il vuoto.
I predetti Renzi e Berlusconi, ma anche
il Capo Grillo, il Capo Salvini, e via dicendo. E dietro di loro il
vuoto. Leader soli, da video, senza un partito, un movimento, un
territorio, una storia politica, una cultura civile e un’identità
condivisa. No, abbiamo già dato, gli ometti della provvidenza non ci
servono.
Del resto, non è che sia stato Trump a introdurre in America il Capo one-man- show.
Già Obama era una Madonna Pellegrina, un Mito costruito a priori,
premiato col Nobel prima di cominciare cioè prima di sganciare 26 mila
bombe in Medio Oriente e paraggi. Un mito perfetto perché era nero, e
dunque obbediva al politically correct ma al tempo stesso espressione
delle classi alte, dei quartieri alti in cui è tornato a vivere (come i
Clinton, del resto), simbolo coloured dei radical Chic. Snobama.
No, teniamo a freno la nostra indole mediterranea e monarchica.
Anche perché da noi la passione per la monarchia ha due vizi di fondo:
uno è che siamo un popolo monarchico ma abbiamo in testa re molto
diversi. Chi è sabaudo, chi è borbonico, chi è austrungarico, chi è
granducale, c’è persino chi sogna il ritorno del Doge, non quello appeso
a Piazzale Loreto; ho detto Doge, non Duce (anche perché Duce non si
può dire). E poi, siamo monarchici perché siamo in realtà
mono-anarchici, siamo individualisti ed egoisti e proiettiamo nel
Monarca il nostro egocentrismo.
No, non è il ciuffo arancione di Trump che ci vorrebbe in Italia e nemmeno il piglio di Putin,
come invece pensa Beppe Grillo. Semmai è quel che oggi Trump e Putin
stanno interpretando. A modo loro, all’americana o alla russa, a volte
in modo sbagliato. Ma mentre noi restiamo ipnotizzati da Trump, dal suo
ciuffo, dalla sua famiglia reale e dalle bonazze di Casa, sta succedendo
in America e in mezza Europa, un processo gigantesco.
Il mondo si ribella alla globalizzazione.
Si rimette in discussione il modello unico di società imposto negli
ultimi decenni: un modello fondato sul dominio della finanza e della
tecnica, e sul potere delle oligarchie economiche e dei tecnocrati. Un
modello che esige di abbattere i confini, di vivere in un mercato aperto
e globale, di superare identità, comunità e appartenenze, nel nome del
globalitarismo, che è poi il sistema globale che diventa totalitario e
non ammette difformità e aree al di fuori del suo sistema.
Quel modello, che ha come vistoso effetto collaterale l’ondata migratoria,
sta franando ed è mal sopportato non solo dai poveri del mondo ma anche
dagli ex ricchi dell’occidente. Ha stritolato e proletarizzato le
classi medie, fa vivere a disagio e senza prospettive milioni di
persone, di giovani e di anziani. Da noi si nasconde sotto l’egida
dell’Europa o del suo totem monetario, l’Euro.
Così accade nel mondo che stia insorgendo una Grande Risposta al potere globalitario.
Una risposta che dice, come sostiene Trump, America First, cioè viene
prima la mia patria, i miei connazionali e poi gli altri. E viene prima
il popolo sovrano rispetto alle oligarchie economiche e tecnocratiche.
Un nuovo amor patrio, una nuova sovranità popolare e nazionale,
un richiamo alla tradizione e alle identità dei popoli, una ripresa dei
confini non come muri ma come linee di frontiera che non vanno
oltrepassate perché disegnano sicurezza, libertà e identità delle
nazioni. Confine come rifiuto della Dismisura, il peccato più grave per
gli antichi greci. E dunque protezione, in certi casi anche
protezionismo, cioè tutela dei sistemi economici nazionali, come noi non
abbiamo saputo fare. Di tutto questo Trump è solo una spia arancione,
come il colore dei suoi capelli e il segnale di pericolo.
Quel che da noi ci vorrebbe è dunque chi sia in grado di dire Prima l’Italia,
e non solo di declamarla ma di declinarlo poi nella realtà,
coinvolgendo le migliori energie del Paese, capeggiando un Progetto di
rinascita italiana. Non si tratta di spezzare un processo mondiale
gigantesco come la globalizzazione, ma di rispondere ai suoi effetti
devastanti, di frenare le emorragie che produce e gli effetti
collaterali. Insomma di compensare il flusso globale con un flusso di
segno opposto.
Niente ciuffi arancioni, o ancora colonialismi a stelle e strisce. Ma la politica, la cultura, il popolo degli italiani. Prima l’Italia.
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