Unione italiana food: no ai semafori alimentari, nì allo Stellone Italia
Emanuele Scarci
Nasce Unione italiana food, la più grande associazione di settore dell’alimentare in Europa. I cui principali obiettivi sono valorizzare i prodotti simbolo del food italiano, vincere le sfide del mercato globale e scrivere il futuro del cibo italiano nel mondo. Unione italiana food inizia però con due punti programmatici precisi: il no all’adozione delle cosiddette etichette nutrizionali a semafori proposte recentemente a Bruxelles da sei multinazionali (Mars, Mondelez International, Nestlé e Unilever, Coca-Cola e Pepsi); i dubbi sull’adozione dello Stellone (il simbolo grafico che identifica il made in Italy caldeggiato dal ministro Calenda) che finirebbe per discriminare le aziende che hanno investito all’estero e producono “all’italiana”.
Unione italiana food nasce dalla fusione di Aidepi (imprese del dolce e pasta) e Aiipa (caffè, cioccolato, gelati, salse e sughi, integratori) con 450 aziende, 35 miliardi di fatturato e 65mila addetti. «È un traguardo storico – ha detto ieri alla presentazione il neo presidente Paolo Barilla (nella foto in alto con Marco Lavazza) –. Uniamo le forze nel rispetto delle diverse identità aziendali e merceologiche e seguendo la riforma Pesenti». Con la fusione, le associazioni aderenti a Federalimentare scendono da 15 a 14.
Stellone Italia
Sul tema dello Stellone Barilla è stato molto chiaro: «Lo Stellone può aiutare a sconfiggere l’Italian sounding, ma il sistema industriale è fatto sia di aziende che operano in Italia sia di altre presenti in Italia e all’estero. Sarebbe strano che io che pago le tasse in Italia venga poi indicato come cittadino di serie B quando produco all’estero. Sono anch’io italiano e produco all’italiana». Secondo Barilla il brand dell’italianità rischia di essere un disincentivo per le aziende che internazionalizzano (cita anche il caso dello straordinario successo di Rana negli Usa) ma poi, a margine del convegno, ha aperto: «Lo Stellone va anche bene, ma dipende da come si scrive il regolamento».
Sulle etichette a semafori, il neo vicepresidente Marco Lavazza (fra due anni potrebbe alternarsi con Barilla) si è schierato nettamente contro , pur avendo nella nuova associazione soci come Mars, Mondelez, Nestlé e Unilever (i cui country manager probabilmente non saranno d’accordissimo con la casamadre). «Abbiamo le nostre idee e la maggioranza dei soci è contro le etichette a semafori – ha ribadito Lavazza -. Ma teniamo uniti tutti, anche chi non la pensa come noi».
Semafori da spegnere
Nelle stesse ore, a Roma, in un convegno il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia ribadiva il no «all’adozione di sistemi inutili e fuorvianti per il consumatore come il semaforo alimentare: non farebbe altro che favorire quel livellamento verso il basso dell’eccellenza del nostro sistema produttivo da cui l’intera filiera deve proteggersi». Unione italiana food è la più grande associazione di settore in Europa. E un messaggio? «È un dato di fatto – ha risposto Lavazza -, i numeri dell’associazione sono cospicui. Per il resto facciamo parte del sistema Federalimentare e ne seguiamo i suggerimenti, come quando abbiamo aperto una comunicazione con Calenda. Comunque quando c’è qualcosa che non funziona, le cose si cambiano stando dentro».
L’ad di Iri Angelo Massaro si è soffermato sull’evoluzione dei consumi. «Negli ultimi 4 anni – ha detto – il 30% della crescita dei consumi è arrivato dai cibi etnici, il 22% dal senza glutine, il 19% da vegetale e senza lattosio e il 18% dal bio. L’industria ha dimostrato di cogliere i cambiamenti ma non deve fermarsi».
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