L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 24 giugno 2017

24 giugno 2017 - Alberto Bagnai - Perchè la crisi.

24 giugno 2017 - Claudio Borghi a "Linea d'ombra" su TELENOVA: Le banche ed il Bail-in (...

24 giugno 2017 - Sky vs Youtube - serve una legge per rimuovere i video

PTV News 23.06.2017 - Salman: nel Golfo un nuovo giocatore d’azzardo

Mauro Bottarelli . l'Unione Europea non vuole trattare con Londra ma la vuole umiliare: La Strategia della Paura è utile per stroncare qualsiasi opposizione, larvata dissidenza. Le aspettative per lucrare sulla ricostruzione in Siria

SPY FINANZA/ Brexit, Italia, Siria: gli "schiaffi" arrivati dal Vertice Ue

Il vertice europeo di Bruxelles, spiega MAURO BOTTARELLI, ha mandato chiari messaggi a Regno Unito, Italia e Russia. Messaggi non positivi e concilianti

24 GIUGNO 2017 MAURO BOTTARELLI

Jean-Claude Juncker (Lapresse)

Come volevasi dimostrare, l'agenda Soros per azzoppare il Brexit è entrata nella sua modalità operativa. E con il massimo dell'ufficialità, visto che a fronte delle aperture fatte dalla premier britannica, Theresa May, sullo status dei cittadini Ue residenti nel Regno Unito - potrà restare senza alcuna condizione chi è già presente da almeno cinque anni -, ieri in apertura della seconda giornata del Vertice europeo è stato il capo della Commissione Ue in persona, Jean-Claude Juncker, a chiudere la porta. «Quello sui diritti dei cittadini europei è solo un primo passo, ma non è sufficiente», ha tagliato corto l'alto rappresentante dell'Unione. Come dire, avevamo promesso un negoziato duro e così sarà. 

Certo, quando si ha il coltello dalla parte del manico è giusto far valere la propria posizione di forza, ma questo denota un atteggiamento pregiudizialmente ostile: l'Ue non vuole trattare con Londra, vuole umiliarla. Non a caso, è partito - nelle segrete stanze del Vertice - un assalto alla diligenza per spartirsi le agenzie europee con sede a Londra che ora dovranno essere ricollocate all'interno dell'eurozona: e, avendo l'Italia puntato quella del farmaco per Milano, la continua polemica sui vaccini non pare un bel viatico di curriculum da portare in dote. Chissà che qualcuno non stia mestando nel torbido per puro interesse di parte. 

Non so cos'altro possa servire alla gente affinché apra finalmente gli occhi su cosa sia l'Unione europea: una consorteria di non eletti che impone ricette pre-determinate agli Stati membri, il tutto a prescindere dalle indicazioni che arrivano dalla volontà popolare, quando questa sia presa in considerazione. Sono tre le questioni particolarmente gravi emerse nelle discussioni degli ultimi due giorni, di fatto strettamente connesse. La prima riguarda la totale assenza di dignità politica e nazionale dell'Italia sulla questione migranti, visto che siamo letteralmente stati presi a pesci in faccia dagli altri partner sui ricollocamenti e sulla questione del trattato di Dublino: umiliati, non c'è altro termine da utilizzare. Certo, non mi aspettavo da Paolo Gentiloni un approccio in stile Bettino Craxi su Sigonella o quello di Giulio Andreotti sulla questione dell'indipendenza nei rapporti con il mondo arabo, ma un sussulto di dignità, sì: avrei voluto un premier che, ieri sera al termine dei lavori, salutasse tutti, prendesse l'aereo e disertasse la seconda giornata di lavori. Di più, ponendo un ultimatum: o ci si siede a trattare seriamente sul tema immigrazione oppure stop italiano al versamento di qualsiasi fondo all'Europa e veto sulla questione Brexit, ponendo il nodo della trattativa unica da parte della Commissione Ue e non dei singoli Stati. Nei miei sogni più proibiti, poi, ci sarebbe stato un premier che contestualmente annunciasse l'invito ufficiale a Roma per Theresa May per un vertice bilaterale in cui trattare il tema dei rapporti italo-britannici in vista dell'addio di Londra. Ma noi siamo solo una colonia imbelle ormai, incassiamo colpi come un vecchio pugile senza più dignità che deve solo stare in piedi a sufficienza per farsi pagare la borsa dell'incontro. Questo siamo, prendiamo atto e finiamola di appellarci alla necessità di dialogo e mediazione: quanti anni sono che l'Europa ci prende letteralmente per i fondelli su tutto, a fronte di 20 miliardi che recapitiamo puntualmente ogni anno a Bruxelles, rivenendo indietro 12? 

Secondo, il rinnovo di altri sei mesi delle sanzioni contro la Russia per la questione Ucraina, giustificato con il non rispetto da parte di Mosca degli accordi di Minsk. Al netto del silenzio criminale dell'Ue rispetto alle atrocità che si stanno compiendo anche in questi giorni nel Donbass da parte delle milizie filo-ucraine, con decine e decine di civili uccisi o costretti alla fuga dalle loro terre (questi profughi, veri, stranamente non indignano né l'Ue, né Boldrini e soci, chissà come mai), questo atto non è solo un suicidio politico-economico, ma anche un atto simbolico di fedeltà di Francia e Germania al Deep State statunitense e alla sua agenda di destabilizzazione dichiaratamente anti-russa. È stata infatti l'introduzione a cura di Angela Merkel ed Emmanuel Macron a fare da prologo al via libera dell'atto formale, un'accozzaglia di bugie con pochi precedenti, ma con una chiara finalità: instaurare da subito la supremazia del nuovo asse renano in seno alle istituzioni europee e stabilire un nuovo filo diretto con la Washington che conta, ovvero il Pentagono e i suoi addentellati, i quali hanno con Parigi e Berlino un nemico comune: Donald Trump. 

Anche perché giova ricordare le parole pronunciate in conferenza stampa da Emmanuel Macron durante la visita ufficiale di Vladimir Putin a Parigi, un mese fa: «Se in Siria si compiranno violazioni dei diritti mani, se verranno varcate le cosiddette "linee rosse", una reazione francese sarà inevitabile». E, state certi, qualcosa del genere sta per accadere in Siria, è solo questione di tempo: non a caso, ieri i russi hanno sparato dalle loro fregate e sottomarini 6 missili balistici contro postazioni Isis in Siria, eliminando poi i sopravvissuti in fuga con raid aerei. Si teme la classica false flag che crei il pretesto di un attacco, quindi si accelerano le operazioni di indebolimento operativo del nemico. E per inviare un segnale chiaro a Turchia e, soprattutto, Israele

Terzo e ultimo, il piano di difesa comune. Agitando lo spettro di una bombola di gas e di un trolley incendiato, Emmanuel Macron è infatti riuscito a ottenere in 5 minuti ciò che non era nato nemmeno nel pensiero in dieci anni: i prodromi della difesa comune europea con la costituzione, appunto, di un fondo ad hoc, reso necessario e inderogabile dall'emergenza terrorismo (in particolare i foreign fighters), casualmente palesatasi in maniera plateale proprio a ridosso del Vertice, prima a Parigi e poi a Bruxelles stessa. La finalità è giungere all'esercito comune europeo? No, non serve a nulla, tanto più che c'è già la Nato e quanto sta accadendo nel Baltico ci dice che la politica di difesa europea è totalmente delegata all'Alleanza e al suo socio di maggioranza, ovvero gli Usa. E proprio in ossequio alla richiesta statunitense di aumentare gli stanziamenti europei per la difesa, tra cui i versamenti partecipativi all'Alleanza da portare al 2% del Pil, Macron ha piazzato la zampata diplomatica: soldi, ma, soprattutto, mani libere. Il tutto in un contesto che vede il presidente francese in pieno controllo dell'Assemblea Nazionale e dotato di poteri pressoché assoluti garantiti dallo stato di emergenza, prorogato fino al prossimo 1 novembre. 

Macron ha già promesso una legge speciale anti-terrorismo e, d'accordo con Angela Merkel e Theresa May, sta spingendo fortissimo per una decisa stretta sulla Rete al fine di stroncare arruolamento, propaganda e addestramento on-line dei terroristi. Anzi, degli «estremisti di ogni genere», come ha detto Theresa May dopo l'attacco alla moschea di Finsbury Park. Insomma, siamo alle fasi preparative di una vera e propria guerra, il cui obiettivo primario sarà Bashar al-Assad per l'impossibilità di colpire direttamente la Russia, se non con le sanzioni. A questo è servito il Vertice Ue. A questo e a far capire all'Italia che non conta nulla, che i migranti se li tiene e sta zitta e che le carte in tavole torna a darle l'asse renano. 

Come abbia potuto Gentiloni restare a quel tavolo, è cosa come mi sconvolge. Ma si sa, qui ci sono i ballottaggi domani, banco che potrebbe far saltare il governo e spalancare le porte al voto anticipato in autunno. E poi ci sono leggi di fondamentale importanza da approvare a tutti i costi, come lo ius soli, il reato di tortura, la liberalizzazione della cannabis e il bio-testamento. Insomma, l'agenda dettata da Repubblica al governo. Con un mandante preciso, lo stesso che ieri ha armato la mano di Juncker contro la proposta della May per intimorirla e spingerla verso i più placidi lidi di un soft Brexit. 

A questo punto, non so nemmeno più perché andare a votare. Comincio a pensare che la ricetta di Schumpeter sia ormai l'unica applicabile, almeno per salvare il salvabile. Peggio di così, infatti, è duro immaginare il destino di un Paese con qualche millennio di storia alle spalle.

Mauro Bottarelli - l'Europa ha un sistema economico fortemente malato e neanche la droga del quatitative easing riesce a guarire. Ci sono condizioni intrinsiche all'Euro e condizioni estrinseche volute di austerità che non portano da nessuna parte

SPY FINANZA/ Così la Bce tappa i buchi delle grandi aziende europee

La Bce ha diffuso il suo bollettino economico mensile, ma, spiega MAURO BOTTARELLI, senza parlare di un effetto collaterale importane del suo Quantitative easing

23 GIUGNO 2017 MAURO BOTTARELLI

Mario Draghi (Lapresse)

Si è aperto ieri a Bruxelles il Vertice europeo dedicato a sicurezza e lotta al terrorismo, cominciato in mattinata con un vertice bilaterale tra Paolo Gentiloni e Jean-Claude Juncker, al termine del quale quest'ultimo ha dichiarato che «l'Italia può continuare a contare sull'Europa per quanto riguarda la questione migranti». Continuare? E quando mai l'Ue ha fatto qualcosa per aiutarci, visto che ci stiamo accollando migliaia di migranti alla settimana, mentre gli altri Stati si rifiutano di ricollocarli e blindano le frontiere? Va beh, siamo alle solite: l'ennesimo vertice presa in giro, ormai ci siamo abituati. Ma al netto di questo, c'è un fantasma che agita l'Ue: quello della sua identità futura. Se infatti l'enfant prodige del momento, Emmanuel Macron, in un'intervista al Corriere della Sera sembra voler allontanare l'aura del suo passato di banchiere, parlando di un'Europa che deve essere «un destino comune e non un market», il grande vecchio dell'Unione, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, si pone un problema più serio, quasi ontologico, quando si chiede se gli Usa siano consci del fatto che «una loro ritirata potrebbe portare al rischio di distruzione del nostro ordine liberale, attraverso una cessione di influenza a Russia e Cina». 

Una domanda non retorica di questi tempi e, soprattutto, paradigmatica: stiamo per vivere uno shift of power verso Paesi con grandi risorse ma basati su sistemi oligarchici ed economie protezionistiche, manipolate, stataliste e spesso prone al dumping? E sul tema è intervenuta direttamente anche la Bce, non prima di aver dipinto l'ennesimo, roseo quadro della situazione. L'Eurotower, infatti, «ritiene che l'economia dell'Eurozona possa crescere più delle attese e che i rischi sulle prospettive di crescita siano bilanciati. Per questo, esclude nuovi tagli dei tassi di interesse.

Le ultime informazioni disponibili confermano un maggior slancio dell'economia dell'area dell'euro che, secondo le proiezioni, dovrebbe crescere a un ritmo più rapido rispetto alle attese», si legge nell'ultimo bollettino mensile dell'Istituto centrale europeo. E ancora: «La trasmissione delle misure di politica monetaria della Bce ha anche agevolato il processo di riduzione della leva finanziaria e dovrebbe continuare a sostenere la domanda interna.

In particolare, la ripresa degli investimenti continua a essere sospinta da condizioni di finanziamento molto favorevoli e da miglioramenti nella redditività delle imprese. Al contempo, gli incrementi dell'occupazione, che traggono beneficio anche dalle passate riforme del mercato del lavoro, forniscono sostegno al reddito disponibile reale delle famiglie e ai consumi privati. L'attività economica dell'area è sospinta anche dalla sostenuta ripresa mondiale. Il commercio mondiale è cresciuto in maniera significativa negli ultimi mesi, beneficiando, tra gli altri fattori, della ripresa in atto nelle economie dei Paesi emergenti». 

Quest'ultima parte, relativa agli emergenti, ricordatevela, perché la toccheremo di nuovo più avanti. Infine, l'ultima pennellata al quadro del paradiso degli unicorni: «L'Eurotower ritiene che i rischi per le prospettive di crescita siano ora sostanzialmente bilanciati. In tale contesto, è sempre più ridotta la probabilità che si verifichino scenari avversi per le prospettive della stabilità dei prezzi, in particolare per effetto dell'attenuazione dei rischi di spinte deflazionistiche. Il Consiglio direttivo ha pertanto deciso di eliminare il riferimento a eventuali tagli dei tassi di riferimento dalle indicazioni prospettiche». 

Direte voi, cosa c'entrano questi giudizi con le suggestioni avanzate da Macron e, soprattutto, le preoccupazioni prospettate da Schaeuble? Ecco: «I rischi al ribasso per la crescita mondiale sono diminuiti nell'ultimo anno, ma non sono scomparsi. Sono emersi nuovi fattori di rischio, in particolare l'incertezza circa le intenzioni della nuova amministrazione statunitense in materia di politiche di bilancio e soprattutto commerciali; queste ultime potrebbero comportare significativi effetti negativi per l'economia globale». La Bce non teme, invece, la normalizzazione della politica monetaria della Fed: Un'attenta comunicazione da parte del Federal Reserve System, unita a un percorso molto graduale di inasprimento della politica monetaria e a una diminuzione delle vulnerabilità delle maggiori Eme, sembra aver attenuato il rischio di un inasprimento disordinato delle condizioni di finanziamento a livello mondiale. Dall'altro lato, nonostante gli interventi a sostegno dell'attività economica abbiano contribuito ad attenuare le preoccupazioni riguardanti le prospettive a breve termine della Cina, le vulnerabilità nel medio periodo rimangono elevate, in relazione all'ulteriore crescita della leva finanziaria». 

Ora, mettiamo due cosine in fila, tanto per avere una prospettiva. Primo, la Bce non teme l'assestamento dei tassi Usa e nemmeno una delle dinamiche a essi più connessa, ovvero il rischio di turbolenze valutarie sui mercati emergenti, i più esposti perché fortemente indebitati in dollari. A parte il fatto che uno dei due tra Bce e Fmi deve fare pace con il cervello, visto che non più tardi di due giorni fa l'istituto di Washington ha detto di avere pronto un piano di emergenza proprio per quei mercati, nel timore di un'altra crisi stile 1997, c'è da fare i conti con questi due grafici. Ci mostrano infatti come la volatilità sulle equities dei mercati emergenti sia oggi ai minimi record, essendo meno della metà della media storica di 29,7%, ma Bank of America mette in guardia: visti i toni della Fed della scorsa settimana, se la narrativa sui tassi non cambierà e resterà "da falco", nella seconda metà dell'anno andremo incontro a un netto aumento della volatilità. In più, quell'aumento appare già fattorizzato, visto il continuo collasso dell'impulso creditizio cinese, destinato a inviare scossoni a livello globale. 



Secondo e più importante, la Bce teme il protezionismo di Trump. In effetti, un'America fatta di dazi e balzelli, chiusa su se stessa, quasi autarchica e con un governo pronto a sostenere direttamente l'economia, sarebbe un bel problema per l'Europa e il mondo: occorre libero mercato, libero ed equo, con regole chiare per tutti. E vediamo come interpreta questa necessità la Bce, attraverso il bollettino che l'Eurotower ha pubblicato mercoledì sera e relativo agli acquisti di bond corporate all'interno del programma Cspp. Al netto di un bilancio di ormai 4,2 triliardi di euro, la Bce detiene 952 tipi di securities per un controvalore di 93,7 miliardi di euro, il 14% dell'outstanding totale di 664 miliardi e operando su circa 200 entità di emissione diverse. La Bce ci tiene a precisare che gli acquisti «non presentano deviazioni significative tra le detenzioni Cspp e le rispettive quote quote nell'universo di assets eligibili, in termini sia di attività economica che di gruppo di rating». In parole povere, sono acquisti bilanciati, diversificati e in linea con le regole statutarie del programma. 

Guardando al breakdown per nazione, stranamente gli emittenti di Francia e Germania continuano a dominare il conto negli acquisti obbligazionari, vantando un totale combinato di 494 emittenti per un controvalore di 363 miliardi ma anche i bond corporate non-Ue vanno forte, soprattutto quelli svizzeri (32 emittenti per 24 miliardi di controvalore): a livello di settore, restano prime le utilities (250 emittenti per 161 miliardi di controvalore), con i beni di consumo non ciclici secondi ben distanti (145 emittenti per 110 miliardi di controvalore). Ma arriviamo ai dati succulenti. La Bce detiene oggi 229 bonds su un totale di 952 (su un nozionale totale di 664 miliardi di euro, quindi il 24%) con rating BB+ o addirittura non-rated (Nr), di fatto non solo prospettando criticità livello di qualità inferiore nelle detenzioni ma aprendo la pota a una realtà inquietante: un quarto del bilancio della Bce, di fatto opera come una bad bank su assets di qualità negativa. Inoltre, la Bce stessa ammette che il 12% delle sue detenzioni di bond corporate sono state acquistate con rendimento negativo: a oggi, 85 su 952 securities nel bilancio di Francoforte (l'8,9%) ha rendimento negativo. 

Ma ecco la cosa più importante: nel documento, la Bce conferma che «gli acquisti sotto il programma Cspp sono fatti sia sul mercato primario che su quello secondario, tanto che il 15% del totale è stato operato proprio sul mercato primario», come ci mostra il grafico. E cosa ci dice questo? In parole povere, che la Bce sta offrendo finanziamento diretto alle aziende europee, invece che transare meramente sul mercato secondario. Gli acquisti netti a livello mensile nel periodo giugno 2016-maggio 2017 si sono mossi nel range subito sotto i 4 miliardi e sotto i 10 miliardi: insomma, si seguono le stagioni come per andare a caccia, quando si avvicina fine anno calano gli acquisti, visto che i bond hanno emissioni minori e la liquidità sul mercato secondario è molto bassa. Insomma, siamo alla monetizzazione pubblica del debito privato, un qualcosa che la Bce non fa con quello sovrano: di fatto, Francoforte con i nostri soldi sta finanziando direttamente - e, quindi, tenendo a galla - le aziende europee, le stesse che mettono quei soldi a bilancio per tamponare i buchi e non investono in occupazione o formazione e ricerca. 


Ecco la grande utilità del Qe, che ci porta a due domande: quando davvero finirà o, anche soltanto, interverrà un inizio vero di tapering, cosa succederà al mercato obbligazionario corporate senza più quel finanziatore di prima e ultima istanza? E al sistema bancario, il quale vedrà di colpo una schiera di aziende fiondarsi alla ricerca di liquidità, perché incapaci di continuare a finanziarsi a costo zero sul mercato obbligazionario? Secondo, sicuri che la Bce sia nelle condizioni di preoccuparsi e fare le pulci al protezionismo di Trump, visto che sta finanziando direttamente il fior fiore delle aziende europee, tra cui Aprr, Engie, HeidelbergCement, Metso, Sagess e Saint Gobain, tra le ultime regine delle emissioni sul mercato pianificato in stile sovietico della Bce? 

Chissà come mai di queste cose ai vertici non si parla mai. E, soprattutto, perché non ne parla la Bce nel suo bel bollettino mensile, limitandosi a comunicare le cifre in un oscuro report per addetti ai lavori, i cui contenuti non finiscono mai sui giornali. Qui sì, però.

Siria - mentre il corridoio che va da Teheran al mediterraneo si solidifica Germania e Francia cercano di mettere le loro bandierine mentre l'Italia guarda il proprio ombelico tipico di una classe dirigente inadeguata

SCENARIO/ Medio Oriente, i giochi di potere che coinvolgono Francia e Germania

Continua a evolvere la situazione in Medio Oriente. Francia e Germania si preparano alla fine della guerra in Siria per fare affari. L’analisi di GIULIO SAPELLI

23 GIUGNO 2017 GIULIO SAPELLI

Lapresse

Mohammed Bin Salman sarà il nuovo Re dell’Arabia Saudita, sconvolgendo le regole millenarie tipiche di un universo poligamico che imponevano la successione tra fratelli per grado di anzianità. La trasformazione ha due fondamentali concause. La prima è di origine interna all’apparato antropologico poligamico e segna l’emersione della consanguineità all’interno del sistema delle mogli. È prevalsa la linea di una delle mogli che ha via via conquistato gradi crescenti del potere saudita. Non è certo che si sia dinanzi a un mutamento irreversibile, ma certo si tratta di un cambiamento rilevantissimo, che è in corso anche negli Emirati Arabi Uniti e in Qatar. Emergono leader giovani che non hanno bisogno di rinnovare le loro piastrine nella valle del Giordano sotto il livello del mare e straordinariamente ricca di ossigeno. Ma il giovane Salman è ministro della Difesa e con l’altro giovane leader guida la battaglia contro gli sciti yemeniti che sta consumando un mare di dollari e inasprendo ogni giorno di più il conflitto con l’Iran e il Qatar.

Alla base di tutto vi è una divisione sull’atteggiamento da tenersi nei confronti dell’Iran e in definitiva nei confronti della coalizione russo-turco-iraniana che combatte in Siria in funzione pro Assad e anti-curda, mentre gli Usa non dismettono le loro illusioni in merito alla capacità dei curdi di essere non solo dei fantastici soldati, ma anche degli statisti in grado di superare le rivalità secolari tra clan talibani e clan barzani. È sempre andata diversamente. Neppure il Trattato di Sevres quasi un secolo fa, che creò uno stato curdo unito, li convinse a non massacrarsi a vicenda rendendo cosi instabile tutta l’area mesopotamica e turco-siriana.

L’avanzata della coalizione pro Assad prosegue invece senza sosta, unendo alla guerra sul campo la guerra diplomatica, così come è successo or ora in Libano, dove a Presidente della repubblica si e deciso di nominare il generale? Michel Aoun, capo storico dei cristiano maroniti e fortemente appoggiato da Hamas e quindi da Teheran. È una schiacciante sconfitta del clan Hariri e dei sauditi che vedono alzarsi la mezzaluna sciita da Teheran a Beirut con una schiacciante vittoria. La stessa esplosione a Mosul per mano dell’Isis della sua stessa moschea indica che il conflitto siriano si avvia alla conclusione. Tra gli europei i vittoriosi sono i francesi inventori un tempo degli alawiti di Assad e padroni de cristiano maroniti oggi.

La vittoria di Macron non a caso avviene in questo tempo di fine del conflitto siriano dove ci si prepara a sedersi ai tavoli della ricostruzione. Ed è infatti in questo contesto che la Germania lancia il Piano Marshall sull’Africa, che altro non è che la foglia del fico umanitario diretto a rinverdire il mito del Tankanica e a piantare la bandiera tedesca sul tavolo delle negoziazioni quando si apriranno. A Mosul c’è un’impresa italiana, ma non pare ch’essa sia la nostra carta vincente per sedere a quel tavolo. È più probabile che si rafforzerà l’asse francese.

È in atto un’enorme trasformazione nel mondo saudita, che si appresta a trovare nuove risorse quotando in Borsa la Aramco, la major petrolifera geostrategicamente più importante al mondo e frutto del cinquantennale impegno Usa profuso per fare dei sauditi alleati stabili e sicuri. Oggi tutto è instabile però, a partire dall’Opec e dal prezzo del barile, anche se quel terreno e l’unico su cui sciiti e sunniti trovano una roccia per sedersi a negoziare.

Di tutto ciò in Italia si tace e non si fa parola se non per cronache più o meno accurate. Eppure lì in quelle terre, in quei deserti, su quei mari c’è una parte importante della nostra storia, a cominciare dalla Libia e dall’Egitto, per finire in Etiopia, Somalia ed Eritrea. Ma tutto pare soffocato dalle perniciose e puerili beghe nostrane. Lo strapaese vince.

Immigrazione di Rimpiazzo - Non è accettabile dobbiamo mandare via chi manda via i nostri figli

I migranti dimenticati

24 giugno 2017  di Redazione in Opinioni


Marco e Gloria, i due fidanzati italiani morti a Londra nel rogo assurdo di un palazzo senza sicurezza sono il simbolo del sacrificio dei giovani italiani costretti all’emigrazione perché – nonostante la laurea e la buona volontà – per loro le porte in Italia restavano chiuse, senza concrete speranze di lavoro e di futuro e nonostante il costo di averli fatti crescere e studiare.

Calano le nascite perché non ci sono nuove famiglie, ma anche perché non c’è sicurezza di vita per crearle e anche i migliori devono fare i conti con la disoccupazione o i contratti di formazione gratuiti, gli apprendistati sottopagati, lo sfruttamento di chi può imporre qualsiasi cosa in un mercato del lavoro a senso unico.

Dove sono i bilanci onesti di un quinquennio di job act, di mille statistiche, di voucher cancellati per motivi demagogici (perché alla fine sette euro e mezzo all’ora sono pochi ma molto meglio del nulla e ora – via i voucher – è restato il nulla)?


Siamo una società di folli dove si manifesta “per il lavoro” e per questo si bloccano i servizi, in cui leggi, sindacati, diritti acquisiti sono intoccabili a vantaggio di chi ha già dei diritti, ma non c’è tutela per quelli – ormai la maggioranza – fuori dal mercato del lavoro e che, restandoci sine die, sono costretti ad emigrare.

Alla fine – e non certo contenti – ai tanti Marco e alle Gloria del nostro paese non resta che scappare, sperando per il meglio: 400.000 giovani italiani solo nell’area di Londra ma quelli in Germania, in USA e Australia sono anche di più.


Non sono molto diversi dai loro nonni obbligati a salpare per le Americhe. Oggi forse ci arrivano in poche ore in economy class o atterrano a Londra con Easyjet, ma alla fine scappano allo stesso modo e sono costretti a farlo perché in Italia risposte concrete non ce n’è.

Dobbiamo iniziare a porci delle domande, per esempio se sia drammaticamente meglio spendere miliardi per accogliere i migranti o per assicurare un prestito d’onore ai neolaureati.

E’ meglio – in termini di paese – aiutare centinaia di migliaia di persone che non parlano l’italiano e che si integrano con estrema difficoltà, che volenti o nolenti creano una infinità di problemi o aiutare finalmente altrettanti giovani che potrebbero rilanciare la nazione?

I conti sono presto fatti: ogni migrante ci costa almeno 1000 euro al mese di solo mantenimento, poi c’è tutto l’indotto dall’assistenza sanitaria alla sicurezza.

Migliaia di nostri giovani neolaureati o neodiplomati non meriterebbero forse un periodo di avvio al lavoro o di prestito d’onore a 1000 euro al mese?


Un arrivo in meno e un italiano aiutato e inserito in più: il conto è pari, visto che solo il 4% dei richiedenti asilo dimostra poi di averne diritto (vedi la tabella più sotto). Non si vuole preconcettualmente buttare a mare nessuno, ma forse è arrivata l’ora di un maggiore equilibrio, filtrando davvero gli arrivi e destinando risorse concrete a chi merita, ma soprattutto investendo nel futuro del nostro paese, ai minimi europei per lo sviluppo.

Quanto “perdiamo” ogni anno per i cervelli che – pur faticosamente formati – se ne vanno all’estero? Senza considerare tutte le problematiche sociali, umane, famigliari, e di mancata innovazione che innescano queste partenze.

E’ un conto drammatico cui non pensa nessuno, tantomeno Palazzo Chigi. Non si tratta di essere o meno “buonisti”, ma mantenere un atteggiamento responsabile e serio davanti al fenomeno dell’immigrazione clandestina. Sono i numeri che sottolineare il fallimento dell’Italia in questo campo e fanno comprendere lo scetticismo europeo nei nostri confronti.


Per esempio a fronte di centinaia di migliaia di arrivi, in tre anni (dal 1.1.2014 al 31.12.2016) dall’Italia sono stati espulse solo 9.925 persone contro i 35.745 della Francia e i 19.859 della Germania.

Guardate il caso dei nigeriani: arrivati nel solo 2016 in 18.542, sono stati accolti (compresi per arrivi negli anni precedenti) solo 521 domande di asilo e quindi 18.521 di loro (solo del 2016) sono ufficialmente clandestini, più tutti quelli che erano arrivati prima.

Eppure nel 2016 sono stati espulsi solo 120 cittadini nigeriani ovvero lo 0,7% di chi doveva esserlo. E poi ci stupiamo se arrivano a frotte e in Europa non vogliono aiutarci sostenendo che siamo poco seri, oppure che a Torino sia in corso un processo con 44 imputati per la mafia nigeriana che ha preso piede in Piemonte?

Foto: Marina Militare, Frontex e Marco Zacchera

'Ndrangheta - il 41 bis non può e non deve essere attenuato anzi potenziato

La massoneria è viva e governa insieme a noi. Relazione shock dell’Antimafia: la ‘ndrangheta presente in tutti i settori con pesanti legami con logge e servizi segreti

22 giugno 2017 dalla RedazioneCronaca


Le mafie che si pongono come vere e proprie autorità pubbliche, la ‘ndrangheta presente i tutti i settori nevralgici, in Italia e nel resto del mondo. E poi i legami della criminalità con massoneria, servizi segreti e istituzioni come emerso in alcune inchieste calabresi. È il quadro che emerge dalla Relazione della Direziona nazionale antimafia e antiterrorismo presentata dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e dalla presidente della commissione Rosy Bindi. Quelle indagini hanno rivelato come la criminalità organizzata nata in Calabria sia “presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia, creando le condizioni per un arricchimento, non più solo attraverso le tradizionali attività illecite del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni, ma anche intercettando, attraverso prestanome o imprenditori di riferimento, importanti flussi economici pubblici ad ogni livello, comunale, regionale, statale ed europeo“.

Massoneria e servizi segreti – Alcune indagini “hanno rivelato un rapporto tra la ‘ndrangheta, esponenti di rilievo delle Istituzioni e professionisti – legati anche ad organizzazioni massoniche ed ai Servizi segreti – di piena intraneità, al punto da giocare un ruolo di assoluto primo piano nelle scelte strategiche dell’associazione, facendo parte di una ‘struttura riservata’ di comando. Attenta riflessione – secondo la Relazione della Dna – merita soprattutto la figura di Paolo Romeo, ritenuto il vero e proprio motore dell’associazione segreta emersa nel procedimento Fata Morgana e delineatasi con le indagini Reghion e Mammasantissima, dimostratasi in grado di condizionare l’agire delle istituzioni locali, finendo con il piegarle ai propri desiderata, convergenti, ovviamente, con gli interessi più generali della ndrangheta”. Soggetto che, spiega la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, “le diverse indagini hanno delineato quale appartenente al mondo massonico e, al contempo, uomo di vertice dell’associazione criminale, dei cui interessi è portatore, nel mondo imprenditoriale ed in quello politico, ruolo svolto con accanto personaggi che sono sostanzialmente gli stessi quantomeno dal 2002, dunque da circa 15 anni, senza dimenticare i suoi antichi e dunque ben solidi rapporti con la destra estrema ed eversiva, nel cui contesto, versa la fine degli anni 70, ebbe modo di occuparsi della latitanza di Franco Freda, imputato a Catanzaro nel processo per la strage di piazza Fontana”.

“All’interno di questa cabina di regia criminale – si legge ancora nella Relazione – è stato gestito il potere, quello vero, quello reale, quello che decide chi, in un certo contesto territoriale, diventerà sindaco, consigliere o assessore comunale, consigliere o assessore regionale e addirittura parlamentare nazionale od europeo. Sono stati, invero, il Romeo ed il De Stefano a pianificare, fin nei minimi dettagli, l’ascesa politica di Alberto Sarra, consigliere regionale nel 2002 – subentrando a Giuseppe Scopelliti, fatto eleggere Sindaco di Reggio Calabria”.

Strapotere ‘ndranghetista – La ‘ndrangheta “è presente in quasi tutte le regioni italiane nonché in vari Stati, non solo europei, ma anche in America – negli Stati Uniti e in Canada – ed in Australia – prosegue la relazione. Continuano, poi, ad essere sempre solidi, i rapporti con le organizzazioni criminali del centro/sud America con riferimento alla gestione del traffico internazionale degli stupefacenti, in primis la cocaina, affare criminale in cui la ndrangheta continua mantenere una posizione di assoluta supremazia in tutta Europa”. In particolare, nel nord Italia, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana “sono territori in cui l’organizzazione criminale reinveste i cospicui proventi della propria variegata attività criminosa, nel settore immobiliare o attraverso operatori economici, talvolta veri e propri prestanome di esponenti apicali delle diverse famiglie calabresi, talaltra in stretti rapporti con esse, al punto da mettere la propria impresa al servizio delle stesse”. Piemonte e Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna e Umbria, “sono regioni in cui, invece, vari sodalizi di ‘ndrangheta hanno ormai realizzato una presenza stabile e preponderante, talvolta soppiantando altre organizzazioni criminali – così come avvenuto, per esempio, in Piemonte con le famiglie catanesi di cosa nostra – ma spesso in sinergia o, comunque, con accordi di non belligeranza, con le stesse, fenomeno riscontrato in Lombardia ed Emilia Romagna, ove sono attivi anche gruppi riconducibili alla camorra o a cosa nostra“. Quest’ultima “è in una fase di crisi”, sia perché “in Sicilia l’azione di contrasto è molto efficace e la situazione è controllata “, sia perché ha difficoltà a identificare nuovi referenti”.

La caccia alla Primula Rossa – Nella relazione si sottolinea anche come il 41bis non debba essere assolutamente modificato: “Il regime deve essere potenziato e mai attenuato, atteso che sul fronte della lotta alla mafia si può solo avanzare e non arretrare e che, in tale contesto, il ruolo dell’istituto previsto dall’art. 41 bis O.P. è imprescindibile”. Per l’Antimafia poi è prioritaria la cattura di “Matteo Messina Denaro, storico latitante, capo indiscusso delle famiglie mafiose del trapanese, che estende la propria influenza ben al di là dei territori indicati. Il suo arresto non può che costituire una priorità assoluta“. La Dna ritiene che, nella “situazione di difficoltà di “Cosa Nostra”, il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, così importanti in questi luoghi, un danno enorme per l’organizzazione”.

Immigrazione di rimpiazzo - più che migranti è tratta di schiavi e le istituzioni tutte lo sanno

I POVERI MIGRANTI

Maurizio Blondet 21 giugno 2017

Sbarchi in Italia

(Fonti varie)

2002 23.719.

2003 14.331.

2004 13.635.

2005 22.939

2006 22.016

2007 20.455

2008 36.951

2009 9.573

2010 4.406

POI LE PRIMAVERE ARABE:

2011 64.261

(ASSASSINATO GHEDDAFI, invasa Libia e Siria dall’impero tramite i suoi mercenari prezzolati)

2012 13.267

2013 42.925

2014 170mila

2015 153.842

2016 181.405

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 maggio 2017 sono sbarcate in Italia 60.309 persone. Un dato significativamente superiore a quello dello stesso periodo del 2016, quando arrivarono 47.858 persone (+26%). A maggio 2017 sono arrivati via mare in Italia 23 mila migranti, il 15,5% in più dello scorso anno.
***
I paesi di provenienza più rappresentati nel 2017 (dati aggiornati al 30 aprile) sono: Nigeria (14,1% degli arrivi, circa cinquemila persone) Bangladesh (12,5%, 4.600 persone), Guinea (11,2%, quattromila persone) e Costa d’Avorio (10,5%, 3.900 persone). Seguono Gambia, Senegal e Marocco, da cui sono arrivate nel 2017 tra le due e le tremila persona.
Quanti di questi sono profughi da guerre? Mah…

Siria - Stati Uniti esclusi dall'informativa

Siria: Mosca, missili da navi russe contro Isis
Ministero Difesa, distrutte postazioni comando e depositi armi

FOTO © ANSA/AP

Redazione ANSAMOSCA
23 giugno 2017 13:55NEWS

Missili lanciati da navi militari russe schierate nel Mediterraneo orientale hanno distrutto postazioni di comando e depositi di armi e munizioni dell'Isis vicino ad Akerbat, nella provincia siriana di Hama: lo riferisce il ministero della Difesa russo. "I lanci di sei missili da crociera Kalibr - sostiene Mosca - sono stati effettuati dalla parte orientale del Mediterraneo dalle fregate 'Ammiraglio Essen' e 'Ammiraglio Grigorovich' e dal sottomarino 'Krasnodar' su obiettivi del gruppo terroristico Isis in Siria".

Il sottomarino ha lanciato i razzi da posizione sommersa. Altri obiettivi dell'Isis - fa sapere il ministero della Difesa russo - sono stati colpiti con successivi raid aerei. Mosca sottolinea di aver avvertito in tempo Turchia e Israele dell'attacco.

Sistema Bancario - è l'ennesima prova di come il corrotto Pd abbia gestito in totale mala fede le crisi di sette banche sette

Il Fatto, Luigi Zingales: “Crisi bancarie gestite con leggerezza. Così ci perdono sia lo Stato che i creditori”

Di Rassegna Stampa | ieri alle 09:35
Carlo Di Foggia - Il Fatto Quotidiano


Dopo tutto il tempo perso, l'epilogo è davvero desolante. Nessuno ne esce bene, ma la partita peggiore l'ha giocata il ministero dell'Economia". Luigi Zingales, che insegna all'Università di Chicago, è tra gli economisti italiani più noti all'estero. Osserva stupefatto la piega presa dalla crisi delle banche venete. E non è la prima volta che accade.

Cosa pensa dell'offerta "guai ai vinti" di Intesa Sanpaolo: si prende ciò che vuole e senza rischi?
Intesa sfrutta la sua situazione di monopolio: è l'unica disponibile all'operazione e il governo è disperato. Si va verso una liquidazione delle due banche, con lo Stato a coprire le perdite.

È il modo peggiore per impiegare soldi pubblici. Nelle banche venete abbiamo più passività che attivi bancari, bisognerebbe perciò isolare la parte buona e farla funzionare, ma se vendo gli asset migliori a Intesa per un euro danneggio sia i contribuenti che i creditori delle banche. L'ideale sarebbe una bad bank in mano ai creditori che controlla la good bank, senza espropriare valore. Il fabbisogno di capitale sarebbe maggiore, ma così lo Stato pagherà l'equivalente di due volte il gettito Imu sulla prima casa solo, forse, per rimborsare i creditori. Anche dal punto di vista dell'efficienza economica non è l'ideale: meglio una banca indipendente in Veneto che un colosso come Intesa molto più forte nella Regione. Era quasi meglio il bail-in sui bond senior e il rimborso a tutti i risparmiatori truffati.

Si è perso troppo tempo?

La crisi delle banche venete è conclamata da un anno e mezzo, e rimandare il problema amplifica solo il disastro. E poi, oltre 18 mesi per partorire un risultato così...

Il Tesoro e il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan hanno sempre ripetuto: "stiamo lavorando"...

A questo punto è inutile girarci intorno: devono spiegare all'opinione pubblica come hanno gestito le trattative con l'Ue. Le banche sono una cosa delicata che necessita di competenze e polso fermo. Non ci si può muovere in modo dilettantesco.

È la settima banca che fallisce sotto gli occhi del governo, a partire da Etruria e le altre. Si poteva evitare?

Sì. È mancata una visione globale del problema, si è pensato si trattasse di casi isolati. L'Italia ha un problema strutturale: ha sofferto una recessione peggiore della grande depressione. Non è solo colpa della mala gestione. Serviva un intervento sistemico.

La famosa bad bank pubblica per i crediti deteriorati. Ma la Commissione europea vieta gli aiuti di Stato.

Conosco i regolatori europei: se si va con una mezza idea, neanche ben elaborata, non si ottiene nulla. Se invece si produce uno sforzo intellettuale e politico, con l'autorevolezza necessaria, ce la si può fare. Abbiamo cambiato idea troppe volte e perso 3 anni. Così le crisi continueranno.

Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco ha incolpato il governo Letta, e il suo ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, di aver contrattato male il bail-in...

In un sistema ideale, dove i bond vengono venduti solo agli investitori istituzionali, il bail-in è corretto. In Italia, dove sono stati rifilati alle famiglie, no. Il problema è che da noi non esiste una credibile assicurazione sui depositi bancari e se si toccano anche quelli sopra i 100 mila euro si rischia una corsa agli sportelli che porterebbe al collasso il Paese. In Germania c'è un'assicurazione implicita dello Stato e per questo non vuole garantirla agli altri Paesi. La versione che conosciamo è che l'Italia accettò di anticipare il bail-in al 2016 in cambio dell'assicurazione europea sui depositi, che non è arrivata: o ci siamo fatti fregare o non ci dicono la verità. La mancanza di trasparenza provoca disaffezione verso le istituzioni europee.

Perché la disparità di trattamento con Mps, che verrà ricapitalizzata dallo Stato?

È un fatto che alimenta dubbi e sospetti. Anche la fuga di notizie provenienti dalla Commissione è un modo non corretto di gestire le crisi bancarie.

venerdì 23 giugno 2017

'Ndrangheta - il Sistema mafioso massonico impregna ogni punto nevralgico dell'Italia, niente sfugge tutto è incanalato e controllato

Mafia, Roberti: La ‘ndrangheta è presente in tutti i settori nevralgici del paese

Presentata a Roma la relazione annuale sulle attività svolte dal procuratore nazionale antimafia e dalla direzione nazionale antimafia e antiterrorismo

di Raimondo Deriu 18 giugno 2017 fonte ilVelino/AGV NEWS Roma

 (AGV NEWS)

È radicata ovunque, anche in settori nevralgici del Paese. La ‘ndrangheta è “presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia, creando le condizioni per un arricchimento, non più solo attraverso le tradizionali attività illecite del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni, ma anche intercettando, attraverso prestanome o imprenditori di riferimento, importanti flussi economici pubblici ad ogni livello, comunale, regionale, statale ed europeo”. Questo è uno dei pasi più importanti del rapporto della Direzione nazionale antimafia presentata dal procuratore nazionale Franco Roberti e dal presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi. Il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana “sono territori in cui l’organizzazione criminale reinveste i cospicui proventi della propria variegata attività criminosa, nel settore immobiliare o attraverso operatori economici, talvolta veri e propri prestanome di esponenti apicali delle diverse famiglie calabresi, talaltra in stretti rapporti con esse, al punto da mettere la propria impresa al servizio delle stesse”, si legge nella relazione. Mentre Piemonte e Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna e Umbria, “sono regioni in cui, invece, vari sodalizi di ndrangheta hanno ormai realizzato una presenza stabile e preponderante, talvolta soppiantando altre organizzazioni criminali – così come avvenuto, per esempio, in Piemonte con le famiglie catanesi di Cosa Nostra – ma spesso in sinergia o, comunque, con accordi di non belligeranza, con le stesse, fenomeno riscontrato in Lombardia ed Emilia Romagna, ove sono attivi anche gruppi riconducibili alla Camorra o a Cosa Nostra”.

La sua presenza è profondamente radicata anche all’estero, non solo in Europa, ma anche in America – Stati Uniti e Canada - e Australia. Come continuano ad essere “sempre solidi”, i rapporti “con le organizzazioni criminali del Centro e del Sud America con riferimento alla gestione del traffico internazionale degli stupefacenti, in primis la cocaina, affare criminale in cui la ndrangheta continua mantenere una posizione di assoluta supremazia in tutta Europa", si legge nel documento. "Attenta riflessione - secondo la Relazione della Dna - merita soprattutto la figura di Paolo Romeo, ritenuto il vero e proprio motore dell'associazione segreta emersa nel procedimento Fata Morgana e delineatasi con le indagini Reghion e Mammasantissima, dimostratasi in grado di condizionare l'agire delle istituzioni locali, finendo con il piegarle ai propri desiderata, convergenti, ovviamente, con gli interessi più generali della 'ndrangheta". "All'interno di questa cabina di regia criminale - si legge ancora nella Relazione - è stato gestito il potere, quello vero, quello reale, quello che decide chi, in un certo contesto territoriale, diventerà sindaco, consigliere o assessore comunale, consigliere o assessore regionale e addirittura parlamentare nazionale od europeo. Sono stati, invero, il Romeo ed il De Stefano a pianificare, fin nei minimi dettagli, l'ascesa politica di Alberto Sarra, consigliere regionale nel 2002 - subentrando a Giuseppe Scopelliti, fatto eleggere Sindaco di Reggio Calabria".

Per le mafie la corruzione risulta ancora lo strumento “imprescindibile” attraverso cui queste organizzazioni mirano a diventare “autorità pubblica” in grado di gestire processi e sorti dell’economia. “L'uso stabile e continuo del metodo corruttivo-collusivo da parte delle associazioni mafiose – si legge nella relazione -, determina di fatto l'acquisizione (ma forse sarebbe meglio dire, l'acquisto) in capo alle mafie stesse, dei poteri dell'Autorità pubblica che governa il settore amministrativo ed economico che viene infiltrato. Con l'utilizzazione del metodo collusivo-corruttivo, le mafie si avvalgono sempre della forza d'intimidazione e dell' assoggettamento ma per ottenere il risultato, non usano direttamente della propria forza, ma - con risultati analoghi e generando un totale assoggettamento - quella di altri e cioè dei Pubblici Ufficiali a busta paga". Sul fronte della minaccia terroristica nel corso del 2016 “si è verificato in modo significativo l'arretramento territoriale del cosiddetto Stato islamico in più scenari, e si è quindi registrata una parallela minore capacità di espansione territoriale. Questa mutata realtà ha direttamente inciso sul fenomeno dei foreign fighters, con una contrazione del numero delle partenze" scrive ancora il Roberti.

Byoblu - truffa ad un blog libero

Come stanno derubando questo blog. Serve il vostro aiuto.

Pubblicato 23 giugno 2017 - 17.51 - Da Claudio Messora

In questi 10 anni di onorata attività (giudizio non unanime, come si può intuire), da pensatore libero e da divulgatore indipendente finanziato solo dai suoi lettori, questo blog ne ha subiti tanti di attacchi. Dalle querele alle denunce vere e proprie, dagli attacchi hacker agli oscuramenti, dalle intimidazioni al taglio delle fonti di finanziamento (Youtube in pochi mesi ha tagliato la pubblicità fino a 10/11 volte). Ogni volta, Byoblu è sopravvissuto. Qualche volta senza dire niente a nessuno, qualche volta è bastato scrivere perché tutti i lettori del blog si manifestassero, improvvisamente, come un’onda gigantesca, un’apparizione misteriosa di un’entità superiore e silenziosa, uno scudo invisibile fatto di tutte le persone che hanno appreso tanto, in questi anni. E non è questione di informazioni. Anche quelle, ma più che altro, questo è un posto dove si condividono idee, un approccio alle questioni fondamentali completamente differente rispetto a quello del sistema, vissuto come artefatto, manipolato. Qui ci si sente a casa e si dà espressione al bisogno fondamentale dell’essere umano: stare insieme e condividere valori, emozioni, interrogativi e obiettivi. Questa è la casa di tante persone che trovano conforto nel sapere che non sono soli, che i loro pensieri non sono folli, ma al contrario sono ragionevoli e condivisi da tanti. Qui si resta umani, si lotta per non essere fagocitati dal tritacarne dell’omologazione.

Sono queste le ragioni che spiegano numeri come le oltre 42 milioni di visualizzazioni video, le centinaia di migliaia di iscritti su tutti i network, i milioni e milioni di pagine viste sul blog ogni anno e così via. Forse una goccia nel mare dell’informazione, ma comunque una presenza ben definita e percepibile, come una radiofrequenza a impulsi regolari che arriva da una costellazione lontana, con alle spalle un quasar o una pulsar che racconta una storia diversa sulla vera natura dell’universo e della vita stessa.

Abbiamo bisogno di “storie diverse”, proprio perché ognuno vorrebbe raccontare solo “la sua storia”, quella che piace a lui, e cerca di distruggere tutto il resto in nome di una presunzione: quella di rappresentare il buono, il giusto, il bene, mentre dipinge tutto il resto come il cattivo, lo sbagliato, il male. E così facendo non si rende conto di diventare egli stesso il cattivo, lo sbagliato, il male. E io questo storie diverse non ho mai smesso di cercare di raccontarle, fin dai tempi del terremoto dell’Aquila, passando per l’economia, quando parlare di euro ed Europa era considerato un sacrilegio e io denunciavo Monti, intervistavo Bagnai, vi raccontavo cos’era il MES, passando per la politica, cercando di dare voce ai movimenti che ancora non ne avevano, fino alla comprensione di un fatto: che sia cioé necessario allargare il nostro respiro e ricercare una connessione tra gli individui a un livello superiore, esistenziale. Da qui sono nate le recenti interviste a Mauro Scardovelli, Ilaria Bifarini, Marco Guzzi, e tante altre possono ancora arrivare.

Ma di tutti gli attacchi che potevano essere fatti a un blog libero, senza padroni, uno si sta consumando in maniera tanto ingegnosa quanto efficace. Il progetto di “bruciare i granai” per tagliare le gambe all’informazione indipendente, iniziato con la nuova politica di Google Adsense qualche mese fa, ha trovato il suo gemello ideale in un’attacco diretto alle risorse finanziarie, non limitandosi ad eroderle, ma direttamente derubandole.

Come sapete, per il fatto che siete in molti a sostenerlo, byoblu si regge sulle donazioni. Queste donazioni vengono raccolte attraverso bonifico bancario, Paypal, carta PostePay, bitcoin e anche attraverso carta di credito, grazie al circuito gestito da Stripe. Bene, da qualche mese arrivano su tale circuito una quantità sterminata di microdonazioni, anche centinaia e centinaia in poche ore, spesso dall’importo estremamente ridotto, anche soli 50 centesimi. Tali donazioni provengono da decine, forse centinaia carte di credito clonate, che un algoritmo preleva e tenta di sfruttare generando transazioni ad alta frequenza. La maggior parte di queste transazioni vengono bloccate dal meccanismo di sicurezza di Stripe, ma una minima quantità, comunque per me rilevante, riesce a passare tra le maglie dei parametri valutati.

Perché lo fanno? Sembrerebbe un controsenso: se uno ha un numero elevato di carte di credito clonate, perché prova ad usarle nel circuito di donazioni di un blog? Mi è stato spiegato che i numeri di carta di credito clonati finiscono nelle mani dei card tester: sistemi automatizzati che ne testano la capienza e le soglie di utilizzo, per poi, una volta verificati, destinare le carte ad usi selezionati. Il problema è che i miei donatori sono spesso anonimi, e non è sempre immediato distinguere una donazione autentica da una generata da un card tester. In più, la loro frequenza rende difficile identificarle e rimborsarle. Ma ogni volta che una transazione fraudolenta non viene identificata e rimborsata come frode, viene poi contestata e finisce nel meccanismo della “disputa”. Questo comporta che non solo gli importi vengono rimborsati (questo sarebbe il minimo), ma dal portafoglio vengono dedotte le spese di transazione e viene applicata una commissione a perdere di 15 euro. Moltiplicate 15 euro, più il costo di transazione, per una serie di transazioni sfuggite al controllo, magari di soli 50 centesimi, e avrete un indebitamento netto di migliaia di euro.

Questo è quello che sta dunque accadendo: stanno derubando il blog. Oltre a generare una significativa perdita di tempo, ragione per cui il blog è fermo da qualche giorno. Ho un colloquio continuo con le forze dell’ordine, a cominciare dai carabinieri e dalla polizia postale, per indagare sugli autori della frode e per spiegare – laddove anche i magistrati me lo richiedano come persona informata sui fatti (raramente indagata, perché al di là delle verifiche tecnico-informatiche sugli indirizzi IP degli autori delle frodi, sull’estratto conto dei proprietari delle carta clonate appare in chiaro il mio nome e cognome, insieme al mio numero di telefono, dunque risulta abbastanza irragionevole pensare ad un mio coinvolgimento diverso dal ruolo di vittima).

Insieme ai gestori di Stripe abbiamo implementato tutte le regole di sicurezza per limitare al massimo l’attività dei card tester, ma poiché qualche transazione sfugge ancora al controllo, i trasferimenti in denaro verso il mio conto corrente sono stati temporaneamente sospesi, per non dare luogo ad accrediti automatici che poi evolvono in nuove dispute e in nuove commissioni da pagare, ma gli importi di tali dispute assommano già a qualche migliaio di euro (i conti precisi devono essere ancora fatti, ci vuole tempo), cifra che ovviamente un blog libero e indipendente non può sostenere senza il vostro aiuto.

Se ritenete opportuno conservare questo spazio di libertà, vi chiedo dunque di svolgere un ruolo di editore attivo, e costruire un ombrello contro i danni di questo nuovo, sottile quanto brutale attacco. È importante capire che il circuito di donazione attraverso carta di credito è sicuro e non è stato in alcun modo compromesso: si tratta unicamente di algoritmi che lo usano per testare numeri di carte di credito già clonate, quindi donare via carta di credito è non solo sicuro, ma anche molto importante perché ogni versamento contribuisce ad andare a ripianare il saldo negativo delle dispute accumulate.

Come sempre, trovate qui tutti i modi per contribuire: “tutti i metodi per donare“.

Nei prossimi giorni pubblicherò i rendiconti delle somme ricevute e l’elenco dei donatori (anche solo tramite iniziali), in modo che possiate riconoscervi.

Supereremo anche questa, tutti insieme. Come sempre. E ne usciremo più forti.

23 giugno 2017 - PTV News Speciale - Iran: “Abbiamo le prove del sostegno USA all’ISIS”

23 giugno 2017 - Intervista al dott Francesco Marino: "Vaccini e Omeopatia"

1 Tuscania, un'eccellenza italiana

TUSCANIA: L'ARMA PERFETTA (1 PARTE)


(di Giusy Federici)
22/06/17 

Uomini d’eccellenza, quelli delle nostre forze armate e, in questo caso, dei carabinieri. In un Paese normale andrebbero ringraziati ogni giorno per il lavoro che svolgono sul territorio italiano come all’estero, per la loro dedizione ai cittadini, per il rispetto delle regole e delle Istituzioni (e sia consentito a una”civile” di dire che lo fanno in silenzio, nonostante certe Istituzioni e certi cittadini, di quelli che “sparano” sulle divise per “partito” preso, gli pseudo intellettuali, gli pseudo pacifisti, gli pseudo… e basta…). Da ringraziare soprattutto perché servono un Paese che non ci si dovrebbe vergognare a chiamare Patria e perché onorano un tricolore che di quella Patria è l’emblema, perché tengono alta l’italianità nel mondo. Sono i carabinieri paracadutisti del primo reggimento Tuscania.

Chi aspira a entrare nel Tuscania, di tutti i gradi, viene sottoposto a una prima selezione fisica e psicologica. Poi, chi viene ammesso, come esploratore, segue nove mesi di corso, diviso in moduli e poi va al Battaglione a svolgere attività sul terreno, operativa, missione all’estero, recuperi, etc. A mano a mano, uno capisce qual è la sua propensione e decide se andare o meno al G.I.S. (Gruppo di Intervento Speciale), che fa un’interpellanza quando gli serve nuovo personale. Vi si accede anche dagli altri reparti ma sempre attraverso il corso di esploratore al Tuscania. Il ten. colonnello Neil Dario, comandante del reparto addestrativo del primo reggimento carabinieri del Tuscania, sintetizza così l’iter di un carabiniere paracadutista che voglia specializzarsi ulteriormente ed entrare in un’èlite: un addestramento duro dove per andare avanti devi essere davvero motivato.

“Una volta era peggio, era ancora più duro”, commentano alcuni parà in un momento di pausa alle macchinette del caffé.


Osservare l’addestramento dall’interno, condividere, per quel che è possibile, un po’ di vita sul campo con i carabinieri paracadutisti del Tuscania e con i ragazzi del corso esploratori, è un piacere e un privilegio. Li abbiamo incontrati alla caserma Vannucci di Livorno, che condividono, ognuno nel proprio settore, con Folgore e 9° Col Moschin. È gente ad altissima efficienza, sul territorio come fuori area.

Il Tuscania, che ha una storia e un medagliere di tutto rispetto, oggi dipende dal comando delle unità mobili e specializzate “Palidoro”, divisione unità mobili, seconda brigata mobile carabinieri che comprende il primo reggimento carabinieri paracadutisti del Tuscania, il settimo reggimento carabinieri Trentino Alto Adige, il tredicesimo reggimento carabinieri Friuli Venezia Giulia e il Gruppo di Intervento Speciale. L’organigramma del Tuscania è vasto: reggimento, ufficio comando, le sezioni come logistica, amministrazione, sanità , etc. Alle dirette dipendenze del comando del reggimento, c’è il reparto addestrativo (di cui il ten. col. Dario è il comandante) e la compagnia comando e servizi per il supporto logistico. Il battaglione carabinieri paracadutisti è suddiviso in tre compagnie più il comando, per l’assolvimento dei compiti istituzionali e per la pianificazione e l’addestramento specialistico e sezione supporto di aderenza. Le compagnie sono suddivise in plotoni e squadre.


I baschi amaranto del Tuscania sono una delle eccellenze delle nostre forze armate. Sono allo stesso tempo Arma territoriale perché carabinieri e militari perché paracadutisti. Partecipano a missioni all’estero, addestrano forze armate straniere, gestiscono le scorte di funzionari e diplomatici (e anche giornalisti) destinati a operare in aree di crisi e contribuiscono ai dispositivi di sicurezza delle sedi diplomatiche a rischio. Fanno da supporto al Gruppo di Intervento Speciale. Al Tuscania si svolgono anche i corsi per i carabinieri cacciatori: dopo Calabria e Sardegna, lo scorso 13 maggio è stato ufficialmente istituito, a Sigonella, lo squadrone carabinieri eliportato cacciatori di Sicilia.

Comandante Dario, come avviene la selezione per entrare nel Tuscania?

Come reparto addestrativo facciamo selezioni "a domicilio" nelle varie sedi scolastiche, quelle per carabinieri marescialli come anche ufficiali, con prove fisiche di selezione secondo criteri ben definiti. Lì avviene una prima scrematura che prosegue poi al Centro Nazionale Selezione e Reclutamento con le visite mediche, i test psicometrici e i colloqui. Quando arrivano al reparto addestrativo e rifanno le prove fisiche di ammissione qualcuno non le passa, nonostante la selezione precedente. Ovviamente, chi vuole entrare al Tuscania è già informato, sa già che deve prepararsi fisicamente, sa che per avere il punteggio massimo deve farmi 15 trazioni, 15 piegamenti alle parallele o 1.500 metri, come prova di corsa, in cinque minuti, come anche flessioni con lo schiaffo per il coordinamento perché è un aspetto importante, come pure i 35 piegamenti sulle braccia in un minuto, 25 metri a stile libero, 25 a rana e 4 minuti di galleggiamento statico in posizione verticale. Cose che si superano, ma chi non l’ha mai fatto arriva alla quinta trazione e si ferma, se non è allenato. Abbiamo un criterio minimo di selezione e uno massimo. Chi va sotto il minimo è fuori da subito. Ogni selezione è a punteggio per ogni prova effettuata, punteggi che poi vengono sommati. Solo se il conteggio finale è superiore a 1.257 la selezione è superata. Facciamo una tabella unica. Va detto che questo è il minimo per poter accedere all’attività addestrativa, perché noi non possiamo cominciare con uno a digiuno su tutto e poi “costruirlo” per farlo diventare un mezzo atleta. Deve essere già una persona in grado di muoversi in un certo modo.


Bisogna avere una minima costruzione fisica di base. Se cominciassimo con un livello basso, non riusciremmo ad andare avanti. Iniziamo quindi con un livello il più elevato possibile. Fin dall’inizio dei corsi da esploratori, sono state inserite anche prove acquatiche, perché quando si effettuano attività di guado, attraversamento di fiumi, etc, il personale che non sta a galla è un problema. Non possiamo insegnare a nuotare, bisogna saperlo già fare, dimostrare di essere a proprio agio in acqua e saper galleggiare.

Quindi le prove di ammissione seguono dei parametri precisi?

Come base, abbiamo gli stessi riferimenti che valgono per le prove di ammissione al corso di paracadutismo della SMIPAR di Pisa. Facciamo circa un mese di addestramento, con l’ultima settimana dedicata ai lanci, per il conseguimento della qualifica di paracadutista militare. È anche vero che i lanci sono legati alle condizioni meteo che, se avverse, ritardano l’inizio delle attività addestrative già in calendario, suddivise in pacchetti schedulati giorno per giorno. Il personale istruttore segue gli allievi. Oggi, ad esempio, abbiamo 28 persone sul terreno con un’attività già programmata nei giorni precedenti. Bisogna organizzarla, non è che ci si sveglia la mattina e si decide al momento. La pianificazione è annuale: con un corso che dura 41 settimane - quasi dieci mesi di addestramento compreso il corso di paracadutismo - è tutto pianificato, dalle aree addestrative alle attività da svolgere.


Voi del Tuscania siete in primis carabinieri paracadutisti, quindi i lanci sono fondamentali...

Sì, per il "brevetto militare di paracadutismo", Cinque lanci con fune di vincolo fanno conseguire la stella, tre soli lanci assegnano la qualifica di "paracadutista". La differenza è solo dal punto di vista del brevetto, con la stella o senza. I due ultimi lanci, effettuati con equipaggiamento, arma e zaino, assegnano il brevetto militare. Poi, se si parla un po’ di attività di Cl, cioè il lancio a caduta libera, quello è un altro corso, effettuato su un altro step, con il personale idoneo che mostra più propensione a questa attività, in base ai posti disponibili alla scuola di paracadutismo militare della brigata Folgore. Comunque, la base per diventare carabiniere paracadutista è conseguire anche il brevetto militare di paracadutismo. Se durante il corso uno arriva alla porta e si rifiuta di lanciarsi, lo si tira dentro, lo si fa sedere e il giorno dopo va a casa. Non puoi essere del Tuscania se non sei paracadutista.


La selezione in tal senso arriva già con le simulazioni, ad esempio con le torri che sono alla scuola di Pisa, alte 18/20 metri, che simulano l’ingresso nella cabina dell’aereo dove uno viene agganciato con imbracatura e cavi di acciaio. Si deve imparare a capire e gestire le emergenze, comprendere quando aprire il paracadute ausiliario, se si tratta di pacco chiuso o fiamma, etc. Questi sono criteri base che noi insegnanti di paracadutismo facciamo fare al termine della prima fase addestrativa, i primi tre mesi, in modo selettivo. A questo punto, di massima, avremo già capito le qualità del personale che decidiamo di far proseguire.

Entrando nel merito dell’iter selettivo, in che consistono i pacchetti addestrativi?

La selezione avviene attraverso dieci pacchetti per la prima fase addestrativa e diciannove per la seconda. Alla fine del primo stadio di due-tre mesi, c’è il corso di paracadutismo di un mese. Poi si ricomincia con il secondo ciclo di sei mesi. Se si fallisce una sola prova non si è idonei. Durante la permanenza, è naturale che si aumentino le capacità fisiche. Ci sono continue verifiche: uso delle armi, altre prove fisiche come il muro di 4 metri dove si sale e scende con la tecnica del ragno, la capacità di muoversi su territorio da soli e in gruppo. È importante che l’allievo abbia una testa pensante per evitare problemi di ogni tipo a se stesso e agli altri. Sono pacchetti monotematici che comprendono sopravvivenza, resistenza all’interrogatorio, contrasto alla minaccia e alla guerriglia. Al termine, il personale che passa e arriva alla fine dell’addestramento, diventa carabiniere paracadutista con la qualifica di "Esploratore", una qualifica ben precisa.


Per quando riguarda la tecnologia, siete dotati di armi, mezzi e particolari sistemi radio?

Tra le armi in dotazione, ora abbiamo l’M4 Bushmaster, un fucile d’assalto, che è un’arma sulla cui piattaforma si possono istallare numerosi sistemi di ausilio al tiro: dal lanciagranate al visore notturno, al puntatore laser e di tiro, qualunque cosa. Lo si prepara in base alla necessità. Poi c’è anche la Minimi, mitragliatrice leggera come arma di squadra, di supporto immediato, c’è l’Mg come arma di supporto medio pesante, c’è la Browning 0.50, come c’è il lanciagranate automatico da 40 millimetri, etc. In base alle attività c’è una configurazione, si prende un tipo di armamento e si utilizza. Ci sono fucili calibro 12, armi di precisione per tiratori scelti, dipende da cosa si va a fare. C’è il personale qualificato tiratore scelto e c’è chi ha altre qualifiche: quando c’è un’attività, dipende da quale è l’ambiente operativo.

Ovviamente In Italia non andiamo in giro con armi da impiego bellico. C’è un team che opera con l’M4, con calibro 12 o con calibro 9, si utilizzano solo armi di una certa tipologia e solo in casi estremi. Per il lavoro sul territorio abbiamo in dotazione anche radio con frequenze per interfacciarsi ovunque tra carabinieri e visori notturni.

I G.I.S. (Gruppo di Intervento Speciale): per essere ammessi si deve in ogni caso passare dal Tuscania. Il vostro è un addestramento quasi da “incursori”, però sulla carta non lo siete…

Attualmente, chi vuole andare al G.I.S. deve prima passare all’attività addestrativa del Tuscania e poi aderire alle interpellanze per quanto riguarda i corsi di ammissione per il loro corso basico.

Noi sulla carta non siamo "incursori". Il nostro è un addestramento avanzato e specializzato, perché operiamo in vari ambienti: operiamo in aria col paracadute, operiamo sulla neve in montagna , in acqua perché ci siamo specializzati con varie attività. Però - ripeto - noi sulla carta non siamo incursori. Il personale prende la prima qualifica da esploratore. È un primo passo, forse, per evolvere in qualche modo. Ma siamo cosa diversa dagli incursori. Ad esempio, il 9° (Col Moschin) lavora come Forza speciale e con un certo criterio e tipologia d’impiego, il G.I.S. è forza speciale ma ha anche un impiego di polizia.


Voi siete carabinieri ma operate anche come militari, oltre che sul territorio…

Si, noi siamo l’unico reparto dei carabinieri che ha questa tipologia di addestramento. Direi che siamo multi-task. Abbiamo un doppio addestramento, militare e di polizia. Addestramento militare, perché siamo carabinieri paracadutisti e abbiamo compiti anche con impieghi in ambienti internazionali. Il personale deve però operare anche in supporto all’Arma territoriale e lì non vai con un lancia granate, vai con armi di impiego in ambiente urbano. Cambiano le regole, cambia tutto. Gli uomini devono essere in grado di passare dal modo cambact al modo operativo territoriale di polizia. Questo è importante.

E in caso di terrorismo?

Non si potrebbe fare nemmeno in caso di minaccia terroristica, perché si opera in base a disposizioni che vengono emanate appositamente. In caso di terrorismo, di liberazione ostaggi, etc, l’impiego primario è del G.I.S. e noi andiamo in appoggio. Il Tuscania viene impiegato, in Italia, in ausilio al Gruppo di Intervento Speciale, che interviene, fa un’operazione di polizia e noi facciamo attività di supporto. È logico: loro devono operare in un ambiente compartimentato, noi chiudiamo a cintura l’area esterna, mentre l’Arma territoriale fa la cinturazione più ampia. Si mettere in sicurezza la zona di operazione attorno alla quale prendiamo posizione. I G.I.S. intervengono in un ambiente senza pensare più di tanto a cosa c’è intorno. Come detto, l’Arma territoriale protegge l'area più esterna. Tutto questo è fatto anche per evitare che arrivi qualcuno, magari un civile distratto al telefono, che si ritrova in mezzo ad un'operazione. Succede. Bisogna preventivare tutto.


Soprattutto all’estero vi occupate di check point e gestione delle scorte. Collaborate anche con le Forze speciali come 9° Col Moschin o il GOI (Gruppo Operativo Incursori, ndr)?

Noi non collaboriamo con loro perché non siamo nell’ambito delle forze speciali. In contesto internazionale, dipende cosa si va a fare nell’attività all’estero, se addestrativa o altro. Adesso, il nostro impiego fuori dell’Italia è in attività di formazione delle forze di polizia mentre abbiamo molto personale, oltre cento unità, impiegato per le scorte alle ambasciate a rischio. Siamo in Iraq, in Libano, in Afghanistan, in molti altri posti. Dove sono le sedi diplomatiche a rischio, abbiamo chi fa scorta all’ambasciatore. In questo momento, all’estero seguiamo molte attività di training con missioni in Palestina, a Gibuti e la Inherent Resolve in Iraq, a Baghdad, dove si fa addestramento, con una task force carabinieri, alle forze di polizia locali. I riscontri sembrano buoni. Ora stanno nascendo dei team sul terreno, nelle varie province dell’Iraq, per vedere se l’addestramento che viene svolto ha poi un esito positivo o meno sulle stesse forze di polizia irachene.

Possiamo dire che, viste le risorse a disposizione, fate miracoli per mantenere il livello di eccellenza?

Non è facile avere il personale per le attività. È un problema anche quello. Noi, come anche il Battaglione, con le forze a disposizione, facciamo miracoli. Portiamo avanti un’attività operativa e addestrativa che non è indifferente e che è costante, sempre dura. Il personale è sempre impiegato, continuamente, magari quattro mesi all’estero, poi altre sei - al massimo - in Italia, poi di nuovo fuori, reimpiegati, altrimenti non si riesce a coprire l’attività programmata. Chi passa qui è addestrato e preparato ma, ad esempio, abbiamo pochi ufficiali che devono coprire tante attività e in sede rimane poca gente. Per noi non è una questione di tagli, ma di organizzazione. La difficoltà riguarda quindi più l’attività organizzativa che quella addestrativa. Le regole son fatte per chi lavora in ufficio, per chi è operativo sono un problema.


A proposito di problemi, anche voi avete quello delle altre forze armate e della polizia dove l’età media è di 35 anni e oltre? Se è così, non è alta per un livello operativo come il vostro?

Il limite di 35 anni è abbastanza alto. Ma l’età media del Tuscania è anche 40 anni. L’anno scorso e questo, abbiamo selezionato allievi dalle scuole di 23, 24 anni per cominciare ad abbassare questa media. Ci sarebbe anche personale che è stato selezionata dall’Arma territoriale, ma in questo momento non lo stiamo inserendo perché arriva a 32-35 anni e stiamo preferendo un’età più bassa. Chi viene dalle scuole allievi ha già fatto il servizio militare e vuol dire che ha già 24, 26 anni. Una volta il carabiniere ausiliario aveva 19 anni e in Accademia entrava a 20 anni. Negli ultimi concorsi sono stati riservati dei posti ai civili. Questo forse permetterà di abbassare l’età.

Qui al primo reggimento carabinieri Tuscania avete anche la sezione di paracadutismo sportivo.

In passato hanno avuto grandi riscontri a livello internazionale. Fondato nel ’76, fanno atterraggio di precisione, figure, evoluzioni. Hanno ottenuto risultati non indifferenti, vinto campionati del mondo con medaglie d’oro, campionati del mondo militari, campionati europei e italiani. Il medagliere della sezione paracadutismo sportivo è veramente elevato. Non è semplice lanciarsi da mille metri e atterrare su una “monetina”. Dipendono da me come primo impiego però si dedicano esclusivamente alle attività finalizzate alle gare. Sono atleti, il loro compito è allenarsi.

Il Tuscania è un’eccellenza e anche una peculiarità…

Noi finora siamo un reggimento di carabinieri paracadutisti con capacità di fanteria base, secondo il canone ordinativo dell’Esercito. Ma, senza dubbio, il Tuscania è una realtà veramente particolare.

(continua)

Siria - Gli stati Uniti sono in quelle terre come invasori, non sono stati invitati. C'è un'escalation intenzionale statunitense per creare il contesto di guerra

USA – Iran: prepararsi all’impatto?

I maggiori analisti americani riflettono seriamente su un possibile scontro armato tra le due potenze nucleari

di ROBERTA TESTA 22 giugno 2017 16:00


Mercoledì 7 Giugno un velivolo USA, nei pressi di al–Tanf, nel sud della Siria, ha abbattuto un drone che aveva sparato dei missili contro una forza ribelle supportata dagli statunitensi per combattere lo Stato islamico. Tre volte nell’ultimo mese, le milizie americane sono entrate in un conflitto diretto sia con le forze del regime (?!?! imbecillagine) di Assad, che con le milizie sciite supportate dall’Iran, con gli Hezbollah e, probabilmente, anche con i Corpi di Guardia Rivoluzionari Islamici iraniani (IRGC).

Insomma, più volte è stato aperto il fuoco sulle forze di sostegno iraniane in Siria, e questo non fa che innalzare il grado di tensione che gli analisti e gli ex ufficiali americani, e non solo, pensano possa facilmente trasformarsi in un conflitto a spirale. I tre recenti incidenti sono avvenuti ad al-Tanf, un deserto vicino al punto di incontro dei confini di Siria, Iraq e Giordania. Lì, un contingente di 150 soldati americani sta addestrando combattenti del luogo per affrontare lo Stato Islamico, avvicinato da convogli di milizie schierate contro il regime (?!?! imbecillagine) di Assad. Le forze in avanzamento sembra siano milizie siriane e sciite irachene, forse accompagnate dai loro principali promotori, i corpi di guardia iraniani dell’IRGC.

Questi ultimi non si sono affatto preoccupati di nascondere le loro tracce. Infatti, il loro comandante, Qassem Soleimani, è stato fotografato con le sue milizie sulla linea del confine siriano in Iraq, esattamente nelle vicinanze del drone abbattuto dalle forze americane. Le immagini evidenziano l’importanza delle operazioni dell’IRGC sull’area del confine Iraq – Siria da quando lo Stato Islamico è stato allontanato da quei territori. I diversi obiettivi dei protagonisti della vicenda stanno sempre più aumentato l’eventualità di una collisione. Solo qualche giorno fa, inoltre, le forze russe hanno minacciato di abbattere i velivoli dalla coalizione americana qualora si fossero spinti a Ovest del fiume Eufrate nel nord della Siria, avvertimento che rimbomba dopo che un aereo americano ha colpito un attentatore del regime (?!?! imbecillagine) siriano.

Comprendere cosa c’è alla base di questo contesto, non è poi difficile. Da quando l’Isis è stato cacciato dalle sue storiche roccaforti, a divampare è la competizione per il controllo di quel territorio. L’ultimo potenziale scontro tra Iran e USA si è svolto intorno allo Stretto di Hormuz. Lo scorso Mercoledì, una nave iraniana si è avvicinata a 800 yard di distanza da una flotta americana che stava viaggiando attraverso lo stretto, puntando le luci sulle navi statunitensi e un laser ad un elicottero. Questo strano incontro è stato descritto dai militari americani come non professionale e pericoloso. Ricordiamo, però, che incontri del genere sono tutt’altro che nuovi nell’affollato canale di Hormuz; ad essere una novità, semmai è il contesto attuale. La grossa novità, infatti, che sottende il tutto è la nuova Presidenza americana, concorde nel voler respingere l’influenza dell’Iran nella regione.

D’altra parte, anche gli accordi USA e Iran portati avanti dall’Amministrazione Obama nel 2015 sono ormai carta straccia. Dalla Casa Bianca, Donald Trump ha, infatti, mantenuto la linea della sua campagna elettorale, portando avanti la retorica anti–iraniana con sfrontatezza. Nella stessa linea d’onda, anche il suo primo viaggio all’estero in Arabia Saudita, inequivocabilmente in antagonismo con Teheran. Trump ha dipinto l’influenza iraniana come una minaccia globale sullo stesso piano del terrorismo dell’Isis e di al–Qaida. Anche lo scorso 7 Giugno, giorno dell’attacco terroristico a Teheran, il Presidente americano non si è trattenuto ed ha insinuato la responsabilità del Governo iraniano per l’accaduto. «Sottolineiamo che gli Stati che sponsorizzano il terrorismo rischiano di cadere vittima del male che promuovono», ha affermato lo stesso in una dichiarazione della Casa Bianca.

Per un verso, Trump ha continuato a versare disprezzo sull’Iran e per l’altro, i Repubblicani al Congresso hanno spinto verso l’approvazione di nuove sanzioni che avrebbero messo a repentaglio la sopravvivenza dell’accordo stesso. Trita Parsi, capo del National Iranian American Council, ha scritto nel suo libro che «andando in Arabia e dichiarando che ci sarebbe stato un isolamento dell’Iran, Trump non solo ha chiuso la porta per il dialogo, ma ne ha aperta una per una potenziale guerra con l’Iran». «Non c’è dibattito nel Paese su questo. Potrebbe avere l’apparenza di essere accidentale ma se seguite da vicino la faccenda, vi accorgerete che è un’escalation del tutto intenzionale», ha continuato.

«Tre dei luoghi più pericolosi sul pianeta oggi sono lo Yemen, l’area tra la Siria orientale e l’Iraq occidentale e le mura del Congresso americano», ha detto in proposito Robert Malley, ex funzionario della Presidenza Obama, impegnatosi per l’accordo sul nucleare. «Arrivati a questo punto, quello che sto sentendo dagli iraniani è che sono determinati a mantenere la calma e a non reagire a ciò che gli Stati Uniti fanno, mostrando che sono completamente condiscendenti. Ma allo stesso momento, può darsi che il loro leader decida di fare qualcosa».

L’Amministrazione Trump cerca di mettere a tacere le preoccupazioni, affermando di occuparsi della politica iraniana e la scorsa settimana, il segretario Rex Tillerson ha detto al Senato che gli USA vorrebbero «lavorare per supportare quegli elementi all’interno dell’Iran che potrebbero portare ad una transizione pacifica». Ma non è tutto semplice, anzi. In USA si parla ufficialmente di ‘pace’, ma alle orecchie del Governo iraniano, questo suona più come un ritorno all’era Bush e fa riecheggiare memorie anche più lontane. La controparte di Tillerson, Mohammad Javad Zarif, ha scritto a proposito del vortice del Russiagate che «per il loro bene, gli americani dovrebbero preoccuparsi di più di salvare il loro stesso Paese, piuttosto che di cambiare quello dell’Iran, dove il 75% della popolazione ha votato». Un ammonimento che porta a riflettere.

Dovrebbero almeno discutere sulla strategia migliore per indirizzare l’influenza iraniana nella regione, prima di occuparsi di altro. La preoccupazione sull’atteggiamento di Trump cresce anche nelle fila degli alleati americani in Europa, anche alla luce di una posizione dell’Amministrazione Trump ancora più netta e pericolosa qualora il Presidente dovesse venire schiacciato dalle investigazioni sul Russiagate. Proprio le tensioni e i conflitti in continua evoluzione tra Siria e Iraq stanno portando Iran e USA ad una collisione. Nella campagna contro l’Isis, il nemico comune, abbiamo assistito in parte ad una sottintesa e reciproca non aggressione ma, ciò che si prospetta nelle fila degli analisti è che, dopo la caduta delle roccaforti di Mosul e Raqqa, il tacito accordo probabilmente franerà. «Non appena l’Isis sparirà dalle mappe, questa tolleranza che i gruppi iraniani e quelli americani hanno mostrato gli uni nei confronti degli altri, rischia di frantumarsi», dice Ilan Goldenberg, ex funzionario nella difesa. «Potrete vedere che tutto andrà a rotoli piuttosto velocemente».

Jennifer Cafarella, esperta dell’Institute for the Study of War, ha evidenziato che «l’immagine più chiara che abbiamo è la ‘guerra dopo l’Isis’, la guerra per dominare la sfera della sicurezza dopo la riconquista di Mosul. L’Iran si sta già preparando per la prossima fase ed ha incominciato a fare i primi passi per vincerla. Gli Stati Uniti sono ancora bloccati sull’Isis, come se fosse la sola priorità strategica nella regione». Infatti, la decisione americana di aprire un nuovo fronte contro l’Isis in quella zona della Siria, e di predisporre un avamposto ad al-Tanf, è da leggersi come una sfida alle aspirazioni iraniane di controllare il corridoio da Tehran a Damasco, fino al Libano. Quel corridoio passerà proprio da al-Tanf. Non può essere un caso.

«Sembra che gli iraniani, Assad, e le milizie irachene abbiano deciso che non permetteranno che gli USA abbiamo il libero accesso per guadagnarsi più territorio nel deserto siriano», ha detto Nicholas Heras, analista del Centre for a New American Security. Finora, gli USA hanno mantenuto la loro posizione nell’area. Ma non è chiaro se riusciranno ancora a mantenere il controllo.

Anche il Segretario alla Difesa, James Mattis che era in Iraq come generale quando le sue truppe finirono sotto un attacco iraniano in Iraq, mostra preoccupazione. Nel suo nuovo ruolo, comunque, ha dato priorità alla lotta alll’Isis e alla minaccia nordcoreana, ma ha resistito alle pressioni dalla Casa Bianca per procedere con l’offensiva contro le forze iraniane nel Sud della Siria. Decisioni che, infatti, sono state delegate al Pentagono.

Non c’è una strategia completa dettata dalla Casa Bianca, questa la verità. Le maggiori preoccupazioni, dunque, sono proprio quelle sul fronte tattico che potrebbero portare ad un conflitto più ampio. «E’ mia intenzione parlare con chi, al Governo, sta lavorando su questi problemi, perché non c’è molto materiale sostanziale o delle deliberazioni su questo, il che è un grosso problema», ha continuato Goldenberg, l’ex funzionario nella difesa. «Questo è ciò che più mi spaventa».