Non smettono di lottare per la terra, non smettono di difendere l’autonomia del movimento, non smettono di ascoltare. Una brigata del Movimento sem terra è in Italia per conoscere alcune realtà sociali (tra cui, Mondeggi Bene Comune, Associazione Rurale Italiana, Ri-Maflow, Sos-Rosarno…). Sono stati in tanti a rispondere all’appello, organizzando l’ospitalità dei senza terra e costruendo intorno a questa svariate iniziative sul territorio per ragionare di agroecologia, multinazionali, semi, rivoluzione. A proposito della situazione politica in Brasile, Mauricio Boni, del Mst, dice: “Un governo non potrà mai realizzare quella profonda trasformazione sociale che è al centro della nostra lotta, perché questa potrà venire solo dalla base, dal popolo brasiliano. Non è un capo del governo che farà la rivoluzione: questa avverrà solo nel lungo periodo e come frutto di molte lotte…”
di Claudia Fanti
È davvero con grande interesse che la realtà contadina italiana guarda al Movimento dei Senza Terra, il più rappresentativo, autorevole e prestigioso movimento popolare del Brasile (se non dell’intera America Latina). E non poteva essere altrimenti, essendo la fama di cui gode il MST edificata sulla base di una lotta indomita e ininterrotta, fatta di epiche occupazioni di terra e di marce interminabili, di un’ostinata resistenza a persecuzioni, massacri e campagne di discredito, come pure alle durissime condizioni di vita negli accampamenti, dove si è costretti anche per diversi anni a sopportare sole, vento, pioggia, fame, intimidazioni sotto i teloni di plastica neri che ancora oggi costituiscono il noto paesaggio degli accampamenti del MST.
Non stupisce allora che, in occasione dell’arrivo in Italia di una brigata di nove militanti del Movimento dei Senza Terra, interessati a conoscere la realtà agricola, sociale e culturale del nostro Paese, siano stati in tanti – tra piccole aziende, famiglie contadine, comuni e consorzi, dal Trentino alla Sicilia – a rispondere all’appello, organizzando l’ospitalità dei senza terra e costruendo intorno a questa svariate iniziative sul territorio. Ed ecco allora che i nove militanti del MST provenienti da diversi Stati brasiliani, dal Ceará al Rio Grande do Sul, ciascuno con la sua storia e la sua formazione, ma
tutti accomunati dall’impegno a favore della produzione agroecologica, hanno potuto realizzare, sotto il coordinamento dell’Associazione Amig@s Mst-Italia (l’associazione che sostiene il movimento da vent’anni;
www.comitatomst.it), uno scambio fecondo con alcune delle più interessanti esperienze dell’agricoltura contadina italiana: ARI, l’Associazione Rurale Italiana che fa parte del Coordinamento Europeo della Via Campesina; la Campagna per l’agricoltura contadina, promossa da un’ampia rete di associazioni impegnate per il riconoscimento dell’agricoltura di piccola scala, a zero impatto ambientale, basata sul lavoro contadino e sull’economia familiare e orientata all’autoconsumo e alla vendita diretta (affinché siano rimossi quegli impedimenti burocratici e quei pesi fiscali che ostacolano e minacciano l’esistenza stessa di tale agricoltura); la Rete Nazionale Fuori Mercato, interessata a uno sviluppo «progettato dal basso in base ai bisogni reali di comunità solidali e coese, nel rispetto della terra, degli esseri umani e dei viventi» (ne fanno parte, tra gli altri, la RiMaflow, fabbrica di Trezzano sul Naviglio recuperata e autogestita; Mondeggi Bene Comune–La Fattoria senza padroni; Sos Rosarno, un’associazione che riunisce piccoli contadini, pastori e produttori agrocaseari, braccianti migranti, disoccupati e attivisti, oltre che piccoli artigiani e operatori di turismo responsabile, per dare vita a un’economia locale solidale integrata nel segno della decrescita); Genuino Clandestino, un insieme di reti territoriali di contadini, artigiani, studenti, lavoratori delle comunità rurali e delle città, persone e famiglie in lotta per l’audeterminazione e la sovranità alimentare, contro quell’insieme di norme ingiuste che, equiparando i cibi contadini trasformati a quelli delle grandi industrie alimentari, li ha di fatto resi fuorilegge; WWOOF (World-Wide Opportunities on Organic Farms), movimento nato nel Regno Unito negli anni ’ 70 per mettere in contatto le fattorie biologiche con chi voglia, viaggiando, offrire il proprio aiuto in cambio di vitto e alloggio, allo scopo di sostenere, divulgare e condividere la quotidianità in campagna secondo i principi dell’agricoltura biologica.
Realtà, tutte queste, che, attraverso la “Brigata Antonio Candido”, hanno avuto modo di conoscere da vicino il MST, con la sua metodologia di lotta, la sua apertura ad alleanze sempre più ampie (con movimenti contadini nazionali e internazionali, con movimenti urbani, con i movimenti sociali del mondo intero) nel rifiuto di ogni forma di autoreferenzialità; la sua insistenza su una formazione politica permanente; il suo originale mix di chiarezza ideologica, rigore analitico e cura della dimensione simbolica; il suo rifiuto del leaderismo a favore di un processo decisionale realmente democratico; la sua difesa della propria autonomia senza però mai rinunciare al dialogo con le istituzioni.
Ed è approfittando di questa presenza che abbiamo voluto conversare con un rappresentante della brigata, Mauricio Boni, trent’anni, agronomo del Rio Grande del Sud, di origine italiana, il quale, dopo la laurea ottenuta nel 2010 in agronomia, ha deciso di entrare nel MST, partecipando per due anni a una brigata di solidarietà in Venezuela, ed è attualmente impegnato nell’assistenza tecnica agli insediamenti del movimento e all’interno della Bionatur (organizzazione del MST che si occupa della produzione di semi). Di seguito l’intervista.
Con quali obiettivi è nata la Brigata Antonio Candido?
La brigata è nata dalla relazione che il Movimento dei Senza Terra ha stretto con i suoi amici in Italia. Il suo obiettivo è quello di portare nel vostro Paese la nostra esperienza organizzativa, la nostra metodologia, la nostra lotta – offrendo anche un quadro della realtà agraria brasiliana, del contesto in cui sta operando attualmente il MST – e di cercare di capire come la nostra più che trentennale esperienza possa risultare utile ai movimenti e alle organizzazioni contadine presenti in Italia, nel nome di quell’internazionalismo che rappresenta un principio fondamentale del MST fin dalla sua nascita. Si tratta di un elemento importante della nostra metodologia: diffondere in altri luoghi la lotta per la terra e lo stile di vita contadino e operare uno scambio reale, dando e ricevendo conoscenze, tanto dal punto di vista organizzativo quanto da quello più tecnico (rispetto, per esempio, a metodi e pratiche dell’agricoltura biologica), raccontando cosa avviene in Brasile e riportando in Brasile il modo di operare dei contadini italiani.
Come è stato scelto il nome della brigata?
Antonio Candido è stato uno dei principali intellettuali del Brasile, scomparso il 12 maggio scorso: poeta, saggista e critico letterario, sociologo e militante, sostenitore del Movimento dei Senza Terra. Fedeli alla consuetudine del MST di dare alle brigate internazionaliste e ai gruppi di studenti delle nostre scuole nomi di compagni che ci hanno lasciato, per rendere loro omaggio, abbiamo deciso di intitolare a lui la nostra brigata, volendo in questo modo ricordare il suo impegno, a partire dall’ambito accademico, in difesa dei movimenti sociali e del popolo brasiliano.
In base a quali criteri è stato formato il gruppo?
Il primo criterio è stato quello della scelta di militanti impegnati in qualche modo nel settore dell’agroecologia. Il secondo è stato quello della rappresentanza geografica, per fare in modo che partecipassero persone di Stati diversi del Paese. La nostra brigata è costituita da nove militanti di otto diversi Stati del Brasile, tutti dirigenti del MST all’interno dei singoli Stati o tecnici che lavorano con i contadini nell’agricoltura biologica.
In quali altri Paesi del mondo sono presenti brigate del Movimento?
In questo momento sono attive le brigate in Venezuela, a Cuba, in America Centrale, con sede in Guatemala, in Paraguay, in Cina, in Sudafrica, in Palestina. In Europa, solo la nostra qui in Italia. Perché qui possiamo contare su un comitato che ha venti anni di vita, dunque su una lunga e consolidata relazione. Inoltre, poiché qui ha già operato una brigata nel 2014/15 (la Brigata Egidio Brunetto/Antonio Gramsci, formata da nove militanti del MST, in Italia dal 30 ottobre 2014 al 27 settembre 2015), con buoni risultati, il MST ha ritenuto giusto inviarne una seconda. E questa seconda può preparare la strada per una brigata futura.
La vostra presenza ha attivato molte energie sul territorio, da nord a sud del Paese. Come ti è apparsa la realtà dei movimenti italiani?
In tutte le attività che stiamo portando avanti – incontri, conferenze, seminari – la risposta dei presenti è stata sempre molto positiva. Si sono mostrati tutti molto interessati a conoscere il MST e tutti hanno apprezzato la nostra metodologia. Lo scambio di conoscenze che si è registrato in queste attività è stato ottimo. Quello che noi vogliamo far passare come messaggio principale delle nostre attività è l’importanza dell’unione tra le diverse associazioni e organizzazioni contadine dell’Italia, perché la realtà che ci troviamo di fronte è quella di un gran numero di organizzazioni che tuttavia non riescono a unire le proprie forze per perseguire insieme obiettivi più grandi. Perché le organizzazioni tendono a dare più importanza a ciò che le separa che a ciò che le unisce, a quegli obiettivi comuni che potrebbero portarle a confluire in un movimento più ampio in grado di rivendicare con maggiore efficacia i diritti dei contadini e delle contadine. Il nostro invito è dunque quello a mettere un po’ da parte le differenze politiche e ideologiche per ottenere maggiori conquiste per tutto il movimento contadino.
L’intera storia del movimento è indubbiamente una grande fonte di ispirazione per i movimenti italiani. Ma c’è qualcosa della nostra realtà che ritieni possa tornare utile alla vostra lotta?
Vi sono due aspetti che mi sembrano importanti. Il primo è dato dall’ottimo rapporto che le organizzazioni contadine riescono a stabilire con i cittadini consumatori, dalle varie forme di acquisto solidale alla creazione di mercati in cui si pratica la vendita diretta. Anche in Brasile, negli ultimi anni, abbiamo lavorato in questa direzione, quella cioè di un consolidamento del rapporto con i consumatori, ma è ancora un processo in corso, un processo che intendiamo sviluppare. L’altro aspetto è quello legato all’esperienza, che per esempio ho visto realizzata a Capodarco, dell’agricoltura sociale. È un concetto che esiste anche in Brasile ma che qui è molto più presente. Si tratta di portare l’agroecologia in altri spazi, in spazi dove si promuove l’inclusione sociale attraverso la pratica dell’agricoltura e la convivenza nei campi. È una proposta molto buona, grazie a cui possiamo ampliare la nostra lotta coinvolgendo nuovi settori della società.

Quali sono invece i limiti più gravi che hai colto nella realtà dei movimenti italiani?
Il primo limite è quello della frammentazione esistente nel movimento contadino. Chi, per esempio, esprime un’ideologia tendenzialmente anarchica non accetta di convivere con gruppi di altre tendenze, chi ha seguito la strada della certificazione biologica non ha nulla a che vedere con chi, come Genuino Clandestino, porta avanti metodi di autocertificazione alternativi a quella ufficiale, basati sulla partecipazione attiva dei consumatori, considerati come co-produttori. E così via… Un altro limite riguarda la legislazione italiana, che nega all’agricoltura contadina diritti che sono invece garantiti in Brasile, conquiste che facilitano l’esistenza della piccola agricoltura biologica. Pensiamo alla certificazione partecipativa (realizzata dagli stessi contadini e distinta da quella gestita da terzi), che in Brasile è riconosciuta dalla legge, o alla possibilità, ottenuta in seguito a molte rivendicazioni e a molte lotte, di produrre e commercializzare semi locali. Abbiamo conosciuto un agricoltore in Veneto che produce semi tipici della regione, ma che può utilizzarli solo per uso personale, perché è vietato commercializzarli. Tutti gli anni riceve visite di controllo: se gli ispettori trovano una quantità di semi maggiore a quella prevista per l’uso personale, gli vengono sequestrati perché illegali. Un altro diritto garantito in Brasile e non qui in Italia ai piccoli agricoltori è quello all’assistenza tecnica, senza la quale è difficile avanzare su alcuni versanti, tanto più che la figura del tecnico serve anche come elemento di collegamento tra gli agricoltori. L’assenza di questi diritti limita notevolmente le possibilità della piccola agricoltura contadina, non solo biologica.
Quanto spazio occupa l’agricoltura biologica nella pratica del Movimento dei Senza Terra?
È un processo in corso: l’agricoltura biologica non è ancora maggioritaria all’interno del movimento, ma le cooperative del MST che producono biologico sono quelle più sviluppate. La maggior parte dei nostri contadini non usa veleni agricoli, ma non tutti sono completamente “biologici” secondo quanto prescrive la legge. Il settore agroecologico del MST è, tuttavia, molto forte in ogni Stato: esiste un dibattito all’interno di ogni insediamento e l’obiettivo della direzione nazionale è quello di ottenere un’adesione generalizzata al modello dell’agroecologia. Non a caso le cooperative del MST che riportano i maggiori successi sono quelle che producono biologico: riescono a vendere tutto quello che producono. In questa fase, poi, stiamo promuovendo lo sviluppo di mercati municipali di prodotti biologici, per mostrare alla società e anche alle nostre basi quanto il biologico rappresenti una strada praticabile. Purtroppo, soprattutto nel sud del Brasile, esiste una pressione molto forte del settore transgenico in aree di riforma agraria, al fine di indurre i nostri agricoltori a dedicarsi, per esempio, alla produzione di soia transgenica. Vi sono agricoltori che vivono condizioni molto difficili perché, circondati da aziende che coltivano ogm e fanno ricorso a un uso massiccio di veleni, anche irrorati da elicotteri, si trovano di fatto nell’impossibilità di praticare l’agricoltura biologica. Sono in trappola e non esistono leggi che li tutelino.
In Italia si registra una sensibilità crescente rispetto alla necessità di un’alimentazione sana e libera da veleni. È lo stesso anche in Brasile?
Sì, anno dopo anno, la popolazione sta diventando sempre più cosciente dell’importanza degli alimenti biologici. Solo per fare un esempio, a Porto Alegre, qualche anno fa, esistevano appena sette/otto mercati di prodotti biologici: oggi, all’interno del Comune, i mercati e i punti vendita sono diventati cinquantasei. Grazie alle pressioni dei consumatori, in pochi anni la situazione è molto cambiata. Il Brasile è il maggiore consumatore mondiale di veleni agricoli e le conseguenze sono molto evidenti, a cominciare dal livello di contaminazione dell’acqua. Nei municipi che fanno ampio ricorso ai pesticidi, gli studi hanno mostrato tracce di veleni nel latte materno e queste ricerche sono note ai cittadini. L’Anvisa (Agenzia nazionale di vigilanza sanitaria) cura tutti gli anni un rapporto sugli indici di contaminazione dei prodotti di base che si consumano nel Paese e il livello risulta molto alto. La coscienza della necessità del biologico è dunque in crescita e l’obiettivo del MST è quello di ottenere un prezzo accessibile per i prodotti biologici, i quali devono essere destinati a tutta la popolazione e non solo a chi si può permettere di acquistarli.
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Cosa significa per te passare questi mesi in Italia mentre il Brasile attraversa una delle peggiori crisi della sua storia?
È importante essere qui a parlare della situazione del Brasile perché molte delle informazioni che circolano in Europa non sono corrette. Abbiamo quindi la possibilità di far conoscere quello che sta vivendo realmente il popolo brasiliano. E quello che pensano i movimenti sociali di questa crisi e dei modi per uscirne. In Brasile si è consumato un colpo di Stato e, quindi, tutte le misure che sta adottando attualmente il governo sono illegittime. Questo governo non è stato eletto: si è insediato per decisione del Parlamento in seguito a un impeachmentsenza fondamento legale. E può contare appena sull’8 per cento di consenso da parte della popolazione. Per di più l’attuale presidente è stato ora formalmente accusato di corruzione da parte del Procuratore generale del Paese Rodrigo Janot. Viviamo una condizione di illegittimità e di corruzione dilagante, di attacchi frontali a tutti i diritti conquistati in anni di lotta per la democratizzazione del Brasile, dalla legislazione del lavoro a quella della previdenza, fino alla proposta, contro cui il MST si è sempre opposto, di assegnare titoli individuali di proprietà agli insediati, al posto della concessione d’uso attualmente in vigore, rendendo così possibile la commercializzazione di quelle terre. Quello che noi chiediamo è la rinuncia di Temer e il ricorso a elezioni dirette anticipate (rispetto alla data prevista del 2018), in maniera da restituire al popolo il diritto di scegliere da chi farsi governare.
La candidatura di Lula – su cui a sinistra si punta ancora, maggioritariamente, malgrado i limiti evidenziati dalla sua amministrazione – appare molto più incerta dopo la sua condanna in primo grado a nove anni e sei mesi (e all’interdizione dai pubblici uffici per diciannove anni) per corruzione in uno dei processi dell’inchiesta Lava Jato. Al di là dell’evidente accanimento del potere giudiziario nei suoi confronti (in molti parlano di un golpe della magistratura) e in attesa della sentenza d’appello, cos’è che può indurre i movimenti a pensare che un suo eventuale nuovo governo sarebbe maggiormente spostato a sinistra?
Il governo Lula aveva suscitato all’inizio grandi speranze nel nostro movimento. Con Lula sono stati realizzati molti passi avanti rispetto, per esempio, alle condizioni degli insediamenti, in direzione di un miglioramento della produzione, della commercializzazione, della cooperazione. Del resto, Lula ha combattuto con successo la fame in Brasile e questo è già un grandissimo risultato. Tuttavia, per essere eletto, Lula ha dovuto allearsi con diversi partiti e settori della società, compresi settori della destra e dell’agribusiness, i cui rappresentanti hanno trovato posto sia nei governi di Lula che in quelli di Dilma. È chiaro che, in questa situazione, la riforma agraria proposta dal MST non poteva essere realizzata. La nostra speranza è che, se Lula dovesse riconquistare il governo, tanto lui quanto il PT si ricordino bene di cosa ha voluto dire governare con la destra e delle conseguenze che ne sono derivate, a cominciare dal colpo di Stato. Basti pensare come il partito di Temer, il PMDB, sia stato il grande alleato del PT durante tutti i suoi governi. È per questo che noi speriamo che nasca un governo più a sinistra, più popolare. D’altro canto, noi, come militanti del MST (molti dei quali appoggiano Lula), abbiamo sempre mantenuto la nostra autonomia.
Un governo non potrà mai realizzare quella profonda trasformazione sociale che è al centro della nostra lotta, perché questa potrà venire solo dalla base, dal popolo brasiliano. Non è un capo del governo che farà la rivoluzione: questa avverrà solo nel lungo periodo e come frutto di molte lotte.