L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 12 agosto 2017

11 agosto 2017 - Una brutta storia per urlare anche a Ferragosto - Mario Giordano

12 agosto 2017 - GIORGIA MELONI: L' ULTIMA TROVATA DEL' UNIONE EUROPEA (CETA)

12 agosto 2017 - SUI VACCINI I POLITICI DOVREBBERO DIRCI... - GIANLUIGI PARAGONE

Cacciare Soros dall'Italia - Rutelli, il popolo romano l'ha capito e per questo l'ha ripudiato come il 4 dicembre 2016 il popolo italiano ha dato una sberla mortale a Renzi

PD CHIAMO’ SOROS IN ITALIA. E SOROS RISPOSE.

Maurizio Blondet 12 agosto 2017 

Daniel Wedi Korbaria

Colour revolution in Italia (riuscita)

A questo punto della storia la domanda sorge spontanea: ma come ha fatto Soros ad arrivare fin nel cuore del Mediterraneo? Chi ce l’ha portato da oltreoceano?Il primo tentativo, di una serie di riverenti salamelecchi per ridursi a zerbini, è stato quello di Francesco Rutelli accompagnato da Lapo Pistelli e da una delegazione della Margherita. Nell’ufficio al 33° piano di un grattacielo che si affaccia su Central Park, per la prima volta, Rutelli incontra Soros al quale consegna una lettera di presentazione scritta dall’amico Carlo De Benedetti che lo raccomandava come “un giovane politico di sicuro avvenire”. Era il luglio del 2005.

Scrive l’inviato di la Repubblica Umberto Rosso: “E tutti rimasti piuttosto affascinati dal personaggio, «certamente stimolante», tanto che questo è stato solo il primo di una serie di incontri, il rapporto certamente andrà avanti”. L’incontro aveva prodotto una prima iniziativa concreta: una convention su Democrazia e Islam da farsi a Venezia a fine settembre organizzata dal Partito democratico europeo.

“Rutelli ha gettato le basi per un rapporto duraturo con la Open society, la più famosa delle fondazioni create dal finanziere. A tavola c’era anche il presidente della struttura Aryeh Neier.” scrive Francesco Verderami sul Corriere della Sera.

“By 2010 we played a role in every region of the world. Entro il 2010 saremo protagonisti in ogni regione del mondo” Open Society Foundations.

Primo flashback: il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore per una speculazione mirata a far crollare lira e sterlina, una notte brava in cui Soros guadagnò 10 miliardi di dollari. Come scrive Antonella Randazzo nel suo articolo intitolato Come è stata svenduta l’Italia: “Soros ebbe l’incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che egli riceveva dall’élite finanziaria. Egli fece attacchi speculativi degli hedge funds per far crollare la lira.” La sua speculazione costrinse la Banca d’Italia a bruciare circa 40 mila miliardi di lire in riserve valutarie. Quasi tre anni dopo, il 30 ottobre 1995, Romano Prodi offrì a Soros la laurea honoris causa in economia.

Marco Marozzi scrive su la Repubblica: “Ieri a Bologna, nella più antica università del mondo, gli hanno dato la laurea honoris causa. In economia. Festa di professori, banchieri, industriali. Ma anche un abbozzo di contestazione”. Lo stesso Prodi si incarica di presentare l’ultimo libro di Soros: “Le contestazioni sono incoerenti. Fanno ridere. Non hanno letto il libro” replica.

“Tutti a riconoscere l’importanza della Open Society Fund creata da Soros per allargare nel mondo il concetto di democrazia economica e politica” scrive il giornalista de la Repubblica. Nel dicembre 2005, al rientro dalla sua visita a New York, Carlo De Benedetti organizza una conferenza nazionale sul futuro del Partito Democratico (PD) dove promuove Rutelli e il sindaco di Roma Walter Veltroni a candidati alla guida del partito. Così, il 14 ottobre 2007, dalla fusione dei due partiti La Margherita e i DS nasceva il PD. Sei mesi dopo, nell’aprile del 2008 nella capitale italiana c’era già fermento sulla voce che vedeva Soros interessato alla compravendita della squadra calcistica AS Roma. Questi i commenti di allora: Rutelli (laziale) “L’interesse di Soros è serio”, Veltroni (juventino) “La politica non si metta in mezzo”, Massimo D’Alema (romanista) “È un uomo di grande valore, un intellettuale impegnato in grandi azioni umanitarie”. Come dire: “Quando un uomo mette sulla stessa linea un juventino, un laziale e un romanista!”

Ma perché il centro-sinistra ha viaggiato fino a New York per chiamare Soros in Italia?

Vista l’esperienza americana del 2003 in cui Soros investì 15 milioni di dollari per sconfiggere il presidente Bush nelle elezioni del novembre 2004, che a suo dire era diventata “una questione di vita o di morte”, qualcuno in Italia ha pensato bene di approfittare del filantropo per sconfiggere il presidente Berlusconi. Il 2011 è l’anno delle primavere arabe, la nuova versione delle rivoluzioni colorate per i paesi del Maghreb. Quello che era successo precedentemente in Serbia, Georgia, Tunisia ed Egitto sarebbe successo anche in Italia all’insaputa degli italiani. E fu per attuare questo progetto “non violento” che Soros sbarcò in Italia. Doveva battere “democraticamente” il Cavaliere organizzandogli una bella rivoluzione colorata, una di quelle che sapeva fare benissimo e, visto che i colori li aveva quasi finiti, scelse per l’Italia l’ultimo rimasto nella sua scatola Giotto, il colore viola. Così nacque il Popolo viola. E, il 5 dicembre 2009, la piazza San Giovanni a Roma si riempì di centinaia di migliaia di persone del popolo viola organizzate su Facebook per chiedere al governo le dimissioni. Quel giorno venne chiamato il No B. Day.

Ovviamente, Berlusconi non si dimise e il movimento “spontaneo” perse il suo slancio innovativo per il cambiamento e andò scemando. A questo punto serviva un altro sistema efficace per dimissionare Silvio Berlusconi. E qual è il miglior sistema per un Grande Speculatore come Soros, che già nel 1993 aveva fatto svalutare la lira italiana del 30%, se non un altro attacco economico?

Infatti, ad un anno dal No B. Day, gli italiani dovettero imparare una nuova parola straniera: lo spread fra Bund tedeschi e i Btp italiani. Il “4 gennaio 2011 lo spread è a 173 punti. Il 30 dicembre arriverà a quota 528, con un incremento di 355 punti” scrive Michela Scacchioli su la Repubblica e aggiunge: “Il 9 novembre Napolitano nomina Monti senatore a vita (…) Tre giorni dopo Silvio Berlusconi sale al Colle per dimettersi (…) Il 16 novembre il presidente della Repubblica dà a Monti l’incarico di formare un governo tecnico.”

Così, finalmente, a colpi di spread, Soros archiviò il ventennio di Berlusconi. Un regime-change economico, un silenzioso Colour revolution. Il centro-sinistra è entrato finalmente a Palazzo Chigi senza alcun bisogno di andare alle elezioni.

Una nota complottistica: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, George Soros, Mario Monti, e il suo successore a Palazzo Chigi Enrico Letta fanno tutti parte del gruppo Bilderberg, un’organizzazione internazionale massonica.

Gli Smart Dissidents

A sorpresa, il 17 febbraio 2014 sbuca dal nulla Matteo Renzi, il sindaco di Firenze, che riceve dal presidente Napolitano l’incarico di formare un nuovo Governo. Una carriera fulminea quella di Matteo Renzi che diventa il 63° Presidente del Consiglio scalzando il Governo Letta dopo averlo prima rincuorato con un “Enrico stai sereno!”

Ma come è potuto accadere?

Secondo flashback: un giorno, chissà perché a Renzi venne in mente di regalare a Soros Le Murate, l’ex carcere nel centro di Firenze. E, George, sebbene non fosse il suo compleanno, accettò di buon grado l’omaggio del Sindaco di Firenze. E non ci mise molto ad avere l’idea di trasformare quel mostruoso edificio, all’interno del quale nel medioevo si torturavano e si uccidevano le persone, in uno spazio pieno di vita, un’isola felice in cui far regnare i diritti umani per esportarli dappertutto. Così, per la ristrutturazione, ha incaricato il famoso architetto Renzo Piano che, senza badare a spese, è riuscito a trasformare l’ex carcere in un albergo di lusso per ospitare attivisti e bloggers dei diritti umani provenienti da tutto il mondo. Il vecchio carcere divenne così il Centro per gli Smart Dissidents.

Il 17 maggio 2013, giorno dell’inaugurazione, assieme all’Ambasciatore americano c’era anche Kerry, la figlia di Robert Kennedy. Al taglio del nastro il Centro fu battezzato: Robert Kennedy Center for Justice and Human Rightsdi cui Kerry divenne la presidente. Era il 2010.

“Can Smart Dissident Create Change?” era la scritta che campeggiava nel Centro: Può un blogger provocare una rivoluzione? Cioè si può fare rivoluzione usando il computer chiusi in una stanza ben arredata? L’idea di Soros era quella di ospitare a tempo indeterminato, come fosse un rifugio, tutti quei bloggers perseguitati nei loro paesi di origine che volevano fare regime-change stile OTPOR nel proprio paese e, ovviamente, questi rivoluzionari della tastiera dovevano provenire da quei paesi cosiddetti “chiusi” come la Cina, la Russia, l’Afghanistan e l’Iran.

Il centro iniziò il suo percorso rivoluzionario e nel tempo furono invitati esperti della color-revolution e attivisti della primavera araba come Dalia Ziada (Egitto), Kerim Bouzouita (Tunisia) per offrire corsi di specializzazione su “Human Rights and Social Media” ad esperti di diritto internazionale, nonché ad esperti di comunicazione, professionisti, giornalisti del web, docenti, dottorandi e studenti di corsi post-universitari.

Così, grazie al Sindaco di Firenze, la città che ha dato i natali a Dante Alighieri, Sandro Botticelli, Filippo Brunelleschi, Benvenuto Cellini, Donatello, Giotto, Cimabue, Nicolò Macchiavelli, Lorenzo il Magnifico e Amerigo Vespucci, da questa città ogni giorno nascono idee rivoluzionarie atte a destabilizzare il mondo.

Marzio Fatucchi definisce “una vera e propria casa l’International house of human rights del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights (…) Messico, Pakistan, Myanmar, Sri Lanka, Filippine, Zimbabwe, Uganda, da lì viene questo primo gruppo di dissidenti che questa settimana sta partecipando all’Empowerment laboratory organizzato dal RFK Training Institute. (…) hanno avuto la possibilità di confrontarsi con alcuni dei più autorevoli esperti di nuove tecnologie applicate alla difesa dei diritti umani al mondo, come Tactical Technology Collective (TTC); Global Voices Online (GVO), OneWorld Digital Security Exchange (ODSE); Witness.org; Electronic Freedom Frontier (EFF), e Human Rights Watch (HRW).”

“Con questo corso vogliamo creare uno spazio in cui i dissidenti digitali possano conoscersi e lavorare insieme per promuovere democrazia e pace nei propri paesi” spiega Federico Moro, responsabile del Robert F. Kennedy Center.

Do Ut Des

Nessuno fa nulla per nulla, men che meno Soros il filantropo. Bisognerà pur dargli qualcosa in cambio. Si chiama Do ut des, ed è una filosofia di vita inventata dai Romani. A quei tempi funzionava non solo con gli esseri umani ma anche con le divinità. I Romani chiedevano alla Divinità di turno una grazia e in cambio gli promettevano la costruzione di un Tempio, una specie di fioretto che veniva onorato solo nel caso in cui la grazia fosse stata soddisfatta altrimenti la promessa era da non ritenersi valida. Do ut des appunto, io ti do una cosa così che tu me ne dai un’altra. Sono passati migliaia di anni da allora ma i discendenti di quella civiltà, ossia gli italiani di oggi, non hanno mai smesso di applicarla ogniqualvolta se ne sia presentata l’occasione. In Italia funziona tutto così, Tangentopoli docet. Ma a quanto pare anche i “filantropi” d’oltreoceano non disdegnano questa tradizione italica.

Il do ut des alla Soros recita pressappoco così: “Io ti metto a capo di un Governo ma tu fai quello che ti dico di fare. Intanto come antipasto voglio iniziare con qualche piccolo business, giusto per rientrare di qualche spesuccia”.

Sarà pure una coincidenza ma appena Renzi diviene il nuovo Presidente del Consiglio ecco che viene registrata la compravendita del 5% della COOP, 20 milioni investiti nell’IDG. Altre voci lo vedrebbero in lizza per l’acquisto di caserme e immobili statali per un valore che sarebbe attorno agli 800 milioni di euro. Poi, nel febbraio 2016 il Soros Fund Management ha invece acquisito lo 0,45% di Ferrari, pari a un pacchetto di 850 mila azioni. Ma forse è troppo riduttivo confinare Soros ad un discorso meramente economico, forse c’è dell’altro. Tipo una qualche riforma “progressista”.

In tutti i parlamenti che hanno discusso ed approvato le “Unioni Civili” è passato l’uragano Soros e la sua rivoluzione colorata. Lui usa come carota le unioni civili mentre il bastone cade come un macigno sull’economia di quello stesso paese per schiacciarlo. Le Unioni Civili sono delle riforme che distraggono l’opinione pubblica mentre si privatizza l’economia e ci si indebita. Con tutti i problemi economici che ha avuto la Grecia, vendita del suo patrimonio e austerity, il presidente eletto Tsipras che fretta aveva di far approvare in parlamento le unioni civili? Con tutti i problemi politici e militari che aveva l’Ucraina, Poroshenko aveva forse fretta di far approvare quella legge? Con tutti i problemi economici e di disoccupazione dell’Italia, Renzi aveva forse bisogno di occupare il parlamento per discutere di Unioni civili?

Secondo il segretario del Partito Comunista Rizzo le unioni civili sono dei falsi bisogni creati appositamente per distogliere le attenzioni del popolo dai problemi reali che lo affliggono (i salari, il lavoro, le pensioni). Sono: “un’arma di distrazione di massa” dice in un’intervista rilasciata a Federico Cenci: “L’esempio concreto è la Grecia di Tsipras, dove vengono tagliate le pensioni, viene ridimensionata l’assistenza sanitaria, aumentano i meccanismi di sfruttamento, si cancella lo stato sociale (…) La sinistra è oggi una costola del capitalismo, che crea false esigenze e contrapposizioni ingannevoli: il problema non è tra omosessuale ed eterosessuale, bensì tra gay povero e gay ricco.”

Per esempio, uno degli attivisti delle Unioni Civili in Italia è stato il giornalista Vittorio Longhi che ha promosso una petizione sulla sua piattaforma Progressi.org, figlia della sorosiana MoveOn.org, dal titolo: Approviamo subito il testo sulle unioni civili. Il giornalista Longhi rappresenta quella categoria di giornalisti riverenti, impiegatucci e affascinati dal suo potere che ha ritenuto “non appropriata” una petizione che voleva cacciare Soros e la sua organizzazione fuori dall’Italia quando invece nella sua piattaforma promuove petizioni assurde contro Trump.

Ma torniamo a “Lui”. Ora per Soros è più interessante l’immigrazione del semplice business o delle Unioni Civili.

Lo si deduce dalla lettera aperta scritta a Renzi con un tono pretenzioso da Costanza Hermanin, (senior policy officer presso l’Open Society Foundations) a due settimane dal suo insediamento a Palazzo Chigi intitolata: “Caro Matteo, adesso dammi una ragione per non dover più lavorare sui diritti umani in Italia.”

Nel primo paragrafo la Hermanin dice: “Adesso che il governo è pronto a mettersi al lavoro è giunto il momento di domandarti d’includere l’immigrazione, la parità e i diritti fondamentali nell’agenda delle riforme, politiche ma soprattutto istituzionali.”

Difatti, erano già cinque anni che la Open Society Foundations si occupava di “diritti umani” in Italia.

“Open Society Foundations, per quelli di voi che non la conoscono- dice Hermanin ad una presentazione - è una fondazione internazionale che ha la sede principale a New York e il cui fondatore è il filantropo e finanziatore George Soros. (…) Ciò detto, dal 2009 lavoriamo in Italia e sosteniamo studi e ricerche ma anche campagne. La nostra è una fondazione un po’ politicamente scorretta, ossia ci interessiamo a temi complessi: dalla prostituzione, all’abuso di droghe, ai temi di immigrazione, e lo facciamo non solo con i finanziamenti, ma anche cercando di affiancare il nostro peso nell’advocacy su questi fenomeni.”

Una delle sue prime creazioni della OSF in materia dei diritti umani che serviva come una piattaforma di lancio, una base per quel che sarebbe arrivato dopo, fu chiamata CILD, la Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili, un’associazione che raggruppa varie Onlus di diversa natura e provenienza politica. Per esempio A Buon Diritto del senatore PD Luigi Manconi, Associazione Luca Coscioni dei Radicali, ecc.

Nella seconda edizione il suo “Premio Cild per le Libertà Civili” è stato assegnato quest’anno al cronista Valerio Cataldi (TG2) e Diego Bianchi detto Zoro (Gazebo). “Ecco chi sono i nostri eroi dei diritti umani” scrive CILD annunciando il suo evento della premiazione del 16 dicembre 2016. Ovviamente il giornalista Cataldi che si appresta a vincere il premio made by Soros aveva già scritto vari articoli sull’Eritrea e aveva partecipato a tante iniziative della OSF come moderatore ed è anche membro fondatore del Comitato 3Ottobre. Della serie “se la suonano e se la cantano da soli”!

Le iniziative della sorosiana CILD si moltiplicano ogni mese. Le sue ultime due creature legate al giornalismo-online sono 19 Million Project struttura battezzata a Roma dove vi lavora il fior fiore di esperti del web e della migrazione, il loro slogan recita: “Siamo una coalizione di giornalisti, programmatori, progettisti, strateghi digitali e cittadini del mondo che si uniscono per affrontare la crisi migratoria nel Mediterraneo”.

La seconda è nata ad un mese di distanza e si chiama: OpenMigration e offre suggerimenti agli addetti ai lavori (dell’immigrazione) basandosi su cifre, numeri, statistiche, ossia, in una sola parola, Datagiornalismo, un sistema politically correct di raccontare ai cittadini europei il #RefugeeCrisis o #MigrationCrisis e convincerli a non aver paura dei migranti.

Il Manifesto ha accolto la nascita di CILD con toni molto entusiastici: “Eppure, ricorda Aryeh Neier, ex direttore dell’American Civil Liberties Union e co-fondatore di Human Rights Watch e presidente della Open Society Foundations, in tutto il mondo si sta ancora aspettando quell’età d’oro per i diritti civili che ci si aspettava si sarebbe “aperta dopo la caduta del muro” (…) “Nel creare questa coalizione in Italia – conclude Neier – non solo riuscirete a rafforzare la lotta nazionale ma in sinergia con altre organizzazioni europee porterete questa battaglia a un livello superiore”.

Ma il 27 settembre 2015 succede un imprevisto, cinematograficamente si chiama colpo di scena.

Al Clinton Global Initiative di New York, inaspettatamente, Matteo Renzismentisce Soros che aveva appena finito di dire che la minaccia dell’Europa è la Russia di Putin: “I think it could be a tragic mistake consider identity of Europe against Russia”, (Penso che potrebbe essere un tragico errore riconoscere l’identità dell’Europa solo in contrapposizione alla Russia).

Per Renzi la vera minaccia non è la Russia bensì l’Ungheria che continua a costruire muri contro i rifugiati. George Soros col suo sorriso sprezzante incassò il colpo non aspettandosi quelle dichiarazione da una “sua creatura” e meditò vendetta. Dopo varie peripezie e un fallimento referendario sul suo operato, il 5 dicembre 2016 Matteo Renzi ammette la sconfitta al referendum costituzionale e si dimette da presidente del Consiglio. Il 12 dicembre Paolo Gentiloni viene eletto nuovo Presidente del Consiglio.

Anche l’ex ministro degli esteri Gentiloni non è nuovo ad iniziative della Open Society Foundations come per esempio: 10 novembre 2014 si è tenuto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri l’incontro di alto livello “Verso un quadro coerente sui diritti fondamentali in UE e un’istituzione indipendente per i diritti umani in Italia”, organizzato dal CIDU, dall’Associazione Parsec e da Open Society Foundations, in collaborazione con il Dipartimento Politiche Europee. Presentata dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni”.

(Segue:

La OSF entra nel cuore del Parlamento italiano)

Niente da fare, l'odio che la Boldrini raccoglie è il frutto della sua superbia, del voler imporre a tutti il suo pensiero Politicamente Corretto con una violenza inaudita nella sostanza delle cose

La violenza verbale contro Laura Boldrini è umanamente inaccettabile

11/08/2017 16:02 CEST | Aggiornato 11/08/2017 16:11 CEST
Ilaria CucchiIn memoria di Dino Budroni

ROBERTO SERRA - IGUANA PRESS VIA GETTY IMAGES

Si possono condividere o meno le sue idee politiche. La si può considerare simpatica o antipatica. Ma ciò che sta accadendo a Laura Boldrini è umanamente inaccettabile, eticamente esecrabile. Come donna posso solo dire che mi ripugna questa violenza, che è spiegabile soltanto perché si tratta di una donna e non per altro.

Mi piacerebbe tanto se Matteo Salvini, il Movimento 5 stelle e tutto il mondo politico si stringessero intorno a lei come persona. Potrebbe essere una boccata d'ossigeno in questo momento di delirio dovuto, spero, al caldo.

Antonio Socci e la sua cantonata palese su Maduro e il petrolio venezuelano


Posted: 11 Aug 2017 02:44 AM PDT


Anche la svolta, di queste ore, della Cei sulla questione migranti/Ong, da parte del card. Bassetti sembra avere dietro l’ispirazione della Segreteria di stato del card. Parolin, dove il ministro Minniti si è recato riservatamente, martedì scorso, a spiegare la sua posizione (QUI). E’ evidente che la dichiarazione di Bassetti rappresenta una presa di distanza dall’estremismo migrazionista di Bergoglio e Galantino. Speriamo che sia permanente. Nell’ambiente bergogliano già negano che vi sia stata una svolta, ma basta confrontare le parole del card. Bassetti con quelle dell’ultrabergogliano mons. Perego(Fondazione Migrantes della Cei) intervistato lunedì scorso da “Repubblica” ( QUI ).

* * *

Dietro l’irritazione del Vaticano per il mio articolo sui temi che oppongono Bergoglio e Parolin (anzitutto il dittatore (?!?!) Maduro), c’è il progetto del “partito curiale” che punta alla successione di Bergoglio proprio con il suo Segretario di stato. Ecco perché il tema Parolin-Bergoglio è oggi un tabù indicibile. Ci tornerò.

Prima va detto che per il papa la storia del despota rosso Maduro non è solo un disastroso scivolone che scredita un pontificato già sprofondato nel castrismo sudamericano. E’ pure l’evento che segna il naufragio dell’ideologia politica bergogliana.

Con buona pace dell’improvvisata difesa d’ufficio di Luigi Bisignani, l’opposizione fra Bergoglio e Parolin qui è palese.

Maduro stesso ha ripetuto domenica che papa Bergoglio è buono e amico dei compagni, mentre il card. Parolin è cattivo e sta con i vescovi venezuelani.

Il “Wall Street Journal”, il 7 agosto, è uscito con un editoriale chiaro: “Parla per il Venezuela, Papa Francesco”. Sottotitolo: “Il primo pontefice latinoamericano è più duro verso Trump che verso il despota di Caracas”.

L’editorialista William McGurn ricorda le invettive di Bergoglio contro il presidente Usa e le paragona al suo silenzio “quando si tratta della brutalità del governo del Venezuela contro il suo popolo”.

Mentre i vescovi del Venezuela pregano per “liberare la nostra patria dagli artigli del comunismo e del socialismo”, Bergoglio tace.

Com’è diverso il tono del papa – osserva il Wsj – quando si scaglia contro il presidente Trump, dicendo “che il signor Trump non è cristiano, avvertendo – nel giorno inaugurale del signor Trump – che il populismo può portare a Hitler o affermando che la nostra è un’economia che ‘uccide’ ”.

A dire il vero, ironizza il Wsj, se si cerca “un esempio di populismo che porta al totalitarismo o di un’economia che uccide, è difficile battere il Venezuela ricco di petrolio e minerali, i cui cittadini sono stati ora ridotti a ravanare nei bidoni dei rifiuti mentre i loro capi si tengono su con la repressione. Per non parlare del colonialismo militare-socialista di Cuba”.

Il Wsj riferisce l’insistenza dei vescovi venezuelani su Bergoglio perché la smetta di essere “morbido sul nostro despota”. Ma il problema sta nella sua ideologia, quella della sinistra sudamericana.

Samuel Gregg dell’Acton Institute nota che la tragedia del Venezuela spazza via tutto “il modo standard di Papa Francesco di spiegare i problemi politici ed economici contemporanei”. Perché lì non può accusare l’Occidente, la speculazione finanziaria o i mercanti d’armi.

Dovrebbe invece accusare il chavismo, frutto della sinistra sudamericana come il castrismo. Ma non vuole farlo.

Il Wsj ricorda che, prima di essere eletto papa, Bergoglio fu accusato di non aver criticato la dittatura militare argentina negli anni Settanta, quando era a capo dei gesuiti. “Oggi che i sacerdoti e i vescovi cattolici sfidano coraggiosamente il regime venezuelano”, scrive il Wsj, meriterebbero l’appoggio del papa sudamericano. E purtroppo non ce l’hanno.

Con buona pace di Bisignani, ieri, anche uno dei massimi esperti di America latina, il professor Loris Zanatta, docente all’Università di Bologna, sul “Foglio”, ha confermato ciò che avevo scritto su queste colonne.

Zanatta ha ricordato i calorosi incontri (e le foto!) di Bergoglio con Maduro, usati dal dittatore a fini propagandistici: di fatto “il Papa rimane agganciato a Maduro” e “sul Venezuela balbetta”.

“Ma” scrive Zanatta “per fortuna c’è Pietro Parolin a cavare le castagne dal fuoco, contenere i danni, prendersi i fulmini: un diplomatico di grande scuola che il governo chavista coprì infatti di ingiurie al tempo in cui fu Nunzio in Venezuela contrapponendolo al Papa. A lui si deve il documento con cui la Santa Sede ha scaricato una buona volta Maduro”, tuttavia “quel documento è una improvvisata toppa sotto la quale fa capolino una catena di sconfitte in cui il pontificato è incorso”.

Nel naufragio del bergoglismo il ruolo Parolin cresce sempre più. Perfino il felpatissimo John Allen ora arriva a scrivere che Parolin sembra “il più potente Segretario di Stato vaticano forse dai tempi del cardinale Pacelli” e questa analogia “potrebbe suggerire che lo stesso Parolin abbia un futuro come candidato pontificio”.

Io, mesi fa, ho già scritto che proprio il papato per Parolin è l’obiettivo del “partito curiale” e il mio articolo fu ripreso dal “Times”.

Pian piano arrivano tutti. Evidenziare questi giochi di potere irrita oltretevere. Ma “questa è la stampa, bellezza”. Almeno quella vera.

Maduro vuole incontrare Trump

Maduro:"Voglio Incontrare Donald Trump"



ultimo aggiornamento:11/08/2017

Dopo le dure sanzioni imposte dagli Stati Uniti contro il Venezuela, il presidente Nicolas Maduro, tende la mano verso l’inquilino della Casa Bianca, chiedendo di poterlo incontrare. L’annuncio è arrivato durante un lungo discorso davanti ai 545 membri della nuova costituente che hanno accolto le parole di Maduro con un applauso.

“Autorizzo il ministro degli esteri”, ha detto Maduro,“ad iniziare le negoziazioni affinché io possa avere una conversazione personale con Donald Trump , anche telefonica, per questo è importante che inizino le trattative. Andando a New York tra due o tre settimane per recarmi alle Nazioni Unite, vorrei incontrare Donald Trump. Se è interessato al Venezuela, eccomi, l’argomento dei suoi interessi : Nicolas Maduro Moro , Presidente costituzionale della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Mr Trump ecco la mia mano. Se si tratta di dare la mano ecco la mia promessa”.

Un’apertura quella di Maduro a Trump, con l’augurio che gli Stati Uniti possano cambiare atteggiamento verso il Venezuela soprattutto viste le ultime misure varate da Washington contro Caracas.

Gli ebrei mala genia

Da ottobre 2015 le forze israeliane hanno demolito e chiuso 41 case palestinesi

Evidenza - 12/8/2017

Ramallah-PIC. Le autorità di occupazione israeliana (IOA) hanno demolito e chiuso 41 case palestinesi dopo l’inizio dell’Intifada (rivolta) di Gerusalemme, nell’ottobre 2015, secondo quanto ha riferito il Centro studi Abdullah al-Hourani.

In un rapporto divulgato giovedì 10 agosto, il Centro ha informato che 36 case sono state demolite e altre 4 sono state chiuse con colate di cemento. Una quinta è stata chiusa saldando porte e finestre.


Il direttore del Centro, Suleiman al-Wari, ha affermato che l’IOA utilizza la politica di demolizione delle abitazioni come misura di punizione collettiva contro i Palestinesi, ciò è contrario alle leggi internazionali e alla Convenzione internazionale di Ginevra.

In una dichiarazione diffusa giovedì, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP) ha dichiarato che la demolizione e la chiusura delle case palestinesi nelle città di Deir Abu Mishaal e di Silwad, nella Gerusalemme occupata, dimostra che l’IOA non è riuscito a impedire l’Intifada di Gerusalemme.

Il PFLP ha invitato le autorità ufficiali e le istituzioni civili a documentare le violazioni israeliane della Risoluzione 1544 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e della IV Convenzione di Ginevra, nonché dell’articolo 17 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – che criminalizzano la distruzione delle proprietà -, al fine di perseguire i leader israeliani presso i tribunali internazionali.

Traduzione di Edy Meroli

Napolitano traditore del popolo libico, traditore degli Interessi Nazionali

BASTA MENZOGNE

Becchi inchioda Napolitano: "La guerra in Libia l'ha decisa lui, quel giorno..."

10 Agosto 2017
di Paolo Becchi e Paolo Palma
Dal blog ilvelodimaya.org



Sull'attacco in Libia del 2011 si è scritto moltissimo, e molto altro si scriverà ancora, ma le dichiarazioni degli ultimi giorni di Giorgio Napolitano – all'epoca Presidente della Repubblica – lasciano allibito anche il lettore meno accorto. Re Giorgio ha, in una intervista rilasciata a Repubblica il 3 agosto, scaricato ogni responsabilità decisionale sull'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ma la verità è totalmente differente. Come noto a tutti, Silvio Berlusconi aveva stretto degli accordi economici con l'allora dittatore libico Gheddafi che prevedevano, tra le altre cose, che dalle coste libiche non partisse più nessuno verso le coste italiane, accordo pienamente rispettato fino a che la Francia, sotto la presidenza Sarkozy, non decise di liberarsi definitivamente del regime di Gheddafi (ma i veri motivi erano economici) attraverso un attacco aereo avallato dagli americani sotto la presidenza di Barack Obama.

L'articolo apparso sul blog Indipendenza e Costituzione parla di pari responsabilità da suddividere tra Napolitano e Berlusconi nella questione libica. Ma ciò non corrisponde a realtà. Per questo ci permettiamo di dissentire e di fornire una versione critica.
La sera del 17 marzo 2011, mentre al Teatro dell'Opera a Roma andava in scena il Nabucco di Verdi diretto da Muti per il 150°anniversario dell'Unità d'Italia, Napolitano tenne una riunione in un salotto del Teatro alla presenza di Berlusconi, del ministro della Difesa La Russa e del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi Bruno Archi. Berlusconi sostiene, come scritto da Alan Friedmannella biografia del Cavaliere, che Napolitano "continuava a insistere che dovessimo allinearci con gli altri in Europa", e che quindi la decisione era già presa, facendo pesare il suo ruolo di Capo supremo delle forze armate.

Ma attenzione. Il giorno dopo, siamo al 18 marzo, la forte contrarietà della Lega e dello stesso Berlusconi all'operazione militare in Libia fermò tutto, tant'è che alcuni nostri obiettivi militari furono provvisoriamente assegnati al Regno Unito. Berlusconi fu costretto a cedere solo successivamente, per non ostacolare una decisione già assunta non solo a livello europeo, ma soprattutto americano. Ma anche per non creare una rottura dei rapporti istituzionali tra Governo e Quirinale. Tale versione è stata confermata – tra gli altri – anche dall'ex ministro degli Esteri Frattini, che durante la riunione del 17 marzo fu convocato via etere in quanto non si trovava in Italia.

A sostegno della nostra tesi viene in soccorso anche la logica. Come poteva Silvio Berlusconi, che con Gheddafi si era accordato per non far partire più nessuno dalle coste libiche verso l'Italia, a decidere senza esitazione di partecipare all'attacco militare in Libia? Certamente fu il Governo Berlusconi a decidere formalmente la nostra partecipazione alle operazioni militari, ma solo dopo aver subito forti pressioni sia da parte del Presidente della Repubblica che da parte della sovrastruttura europea. Da ciò ne deriva che, sul piano delle responsabilità politiche, certamente Napolitano ebbe un ruolo marcatamente incisivo, molto più pesante e decisivo di quello che egli stesso vorrebbe oggi scaricare su Silvio Berlusconi. Del resto, dopo pochi mesi dall'attacco in Libia, lo stesso Napolitano preparerà il Colpo di Stato che si concretizzerà nel novembre di quello stesso anno con la caduta del Governo Berlusconi e la nascita del Governo Monti.

Immigrazione di Rimpiazzo - stanno uscendo una alla volta quelli che vogliono la strategia per disintegrare l'identità, la cultura le tradizioni dell'Italia

Nuovo stop alle Ong La Marina libica le allontana dalla costa

Soccorsi vietati anche oltre le 12 miglia: le navi straniere non potranno avvicinarsi

Pier Francesco Borgia - Ven, 11/08/2017 - 08:16

Sempre più agitate le acque del Mediterraneo. È notizia di ieri che la Marina libica, fedele al premier del governo di unita nazionale di Tripoli, Fayez al Sarraj, ha imposto a tute le navi straniere il divieto di soccorrere i migranti nelle cosiddette aree di search and rescue (ricerca e recupero) che vanno molto oltre le 12 miglia nautiche delle acque territoriali.


Questa decisione avrà come primo effetto quello di impedire alle navi delle Ong di intervenire non solo nelle acque territoriali libiche. Le stesse navi si dovranno tenere a una distanza di centinaia di chilometri dalla costa.

A dare la notizia è il generale Abdelhakim Bouhaliya, comandante della base navale di Abu Sitta che ospita anche lo stesso premier Serraj. La Libia, si legge nel comunicato che ha il crisma dell'ufficialità, ha «istituito ufficialmente una zona di ricerca e salvataggio nella quale nessuna nave straniera avrà il diritto di accedere salvo una richiesta espressa alle autorità libiche». Un portavoce della Marina libica ha chiarito che il provvedimento è stato adottato esplicitamente per frenare «le Ong che pretendono di salvare i migranti clandestini sostenendo si tratti di azioni umanitarie». Insomma la Marina libica ribadisce con forza la necessità di far rispettare la sua sovranità.

Benché non esplicitamente fissata nell'annuncio dato dalla Marina libica, l'area search and rescue, secondo le cartine in uso alla missione EuNavFor Med (Sophia), è quella esistente ai tempi del colonnello Muammar Gheddafi e si estende fino ad almeno 97 miglia nautiche dalla costa libica, ossia 180 km. Al momento le navi delle Ong, invece, operano al limite od anche entro le 12 miglia nautiche delle acque territoriali, pari a 22 km.

L'annuncio rende ancor più problematico districarsi tra veti, divieti e allarmi. Tra i quali spicca quello di don Mussi Zerai, il religioso eritreo indagato dalla Procura di Trapani per l'inchiesta sulle presunte collusioni tra scafisti alcune delle Ong che si occupano del recupero dei migranti in difficoltà nelle acque del Mediterraneo. «Nei centri di detenzione in Libia e anche nel Niger - ha spiegato il religioso nel corso di un'intervista a Radio Vaticana -, c'è gente che viene abbandonata, che muore di fame e di sete, perché i percorsi di fuga sono sorvegliati e quindi i trafficanti ora li fanno transitare da altre parti, che sono spesso zone minate e dove non si trova facilmente l'acqua: le persone rischiano la vita». Padre Zerai attacca poi il ministro Marco Minniti. «Il ministro sa benissimo qual è la situazione laggiù, quindi si assume la responsabilità, insieme con le autorità libiche di tutto quello che sta succedendo, gli abusi i maltrattamenti e le torture che avvengono nei centri di detenzione in Libia».

Intanto, dopo la notizia dell'indagine a suo carico da parte della Procura di Trapani, padre Zerai incassa la solidarietà di esponenti del mondo del volontariato e di esponenti del mondo politico. A iniziare da Luigi Manconi. «Conosco da quindici anni padre Zerai - spiega il deputato del Pd - e so quante persone è stato capace di mettere in salvo, sottraendole non solo alla morte nel Mediterraneo, ma anche al rapimento, al sequestro nei campi di prigionia sul Sinai, alle torture, alla vendita come schiavi e al traffico degli organi. Indagare padre Mussie Zerai per favoreggiamento all'immigrazione clandestina è come accusare il Dalai Lama di invocare la pace». Anche l'Arci e le Acli si schierano dalla parte del religioso. «Ha salvato molte vite - conferma Francesca Chiavacci, presidente dell'Arci -. Insieme con lui abbiamo lottato, sempre, per i diritti e la dignità dei migranti. Diritti che non vengono rispettati nelle carceri libiche in cui l'Europa vorrebbe rispedirli dopo averli intercettati in mare».



Siria - Isis un atto stupido, superfluo che la Persia vendicherà

World

L'Isis decapita un militare iraniano. La furia di Teheran: spazzeremo i terroristi

I jihadisti hanno catturato e ucciso un soldato in Iraq: vendicheremo questo atto bestiale


Il generale Qassem Soleiman
globalist11 agosto 2017

Sarà una reazione durissima anche se, è bene dire, già lo è da tempo, visto che i territori sotratti all'Isis dalle milizie sciite sono sottoposti a una sorta di pulizia etnica: "I militari iraniani vendicheranno questo atto bestiale" e "non avranno tregua finché non avranno tolto l'ultimo terrorista dalla faccia del mondo musulmano".
Lo ha detto il comandante della forza 'Quds' del Corpo dei guardiani della Rivoluzione islamica, generale Qassem Soleimani, dopo la decapitazione da parte dell'Isis in Siria di un giovane consigliere militare iraniano, Mohsen Hojaji, che era stato catturato lunedì dai terroristi al confine con l'Iraq. "Si tratta di un crimine orribile e disumano", ha aggiunto Soleimani sottolineando che "l'atrocita' non è contemplata da alcun principio o legge islamica, o anche umanitaria" e che è necessaria "l'eradicazione del terrorismo, frutto della cattiva crescita del wahhabismo". 
I Pasdaran avevano già reagito nei mesi scorsi agli attentati compiuti dall'Isis contro il Parlamento e il mausoleo di Khomeini a Teheran. Avevano compiuto un attacco missilistico alle basi dell'Isis in Siria orientale uccidendo 170 terroristi e distruggendo i loro sistemi di armi e di comunicazioni.