L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 9 settembre 2017

Mauro Bottarelli - alcuni servi euroimbecilli al servizio di Washington, il coccio di vetro italiano potrebbe rompersi questo autunno

SPY FINANZA/ Nella Bce c'è un "corvo" che inguaia Draghi e l'Italia

Delle due, l'una: o Draghi sta ponendo in essere una strategia suicida, oppure all'interno della Bce c'è un corvo. Ecco tutti gli indizi e i conti che non tornano. MAURO BOTTARELLI

09 SETTEMBRE 2017 MAURO BOTTARELLI

Viva l'euro? (LaPresse)

Delle due, l'una: tertium non datur. O Mario Draghi sta ponendo in essere una strategia diabolica, talmente diabolica da essere scambiata dall'occhio del comune mortale per una pratica suicida, oppure all'interno della Bce c'è un corvo, esattamente come accadde alla Procura di Palermo ai tempi del maxi-processo condotto da Falcone e Borsellino. E non scomodo un paragone del genere per caso o tantomeno a cuor leggero: qui c'è qualcuno che sta giocando con il futuro dell'euro e dell'eurozona. Soggetti, entrambi, che con ogni probabilità non esisterebbero più, almeno nella forma attuale che conosciamo, se Mario Draghi non avesse agito come ha fatto, meglio che ne prendiamo atto e coscienza. 

Ma partiamo dalla mera cronaca. Come vi avevo detto e come era facilmente prevedibile senza il bisogno di una laurea in economia, quanto dichiarato giovedì da Mario Draghi in conferenza stampa ha sortito l'effetto contrario a quanto formalmente desiderato dalla Bce: l'euro, infatti, ieri è salito a 1,21 sul dollaro, massimo dal gennaio 2015. Se ricordate, però, sempre nel mio articolo di ieri vi avevo anche detto che se da un lato dobbiamo fare i conti con un dollaro volutamente mantenuto debole attraverso l'arma dell'incertezza politica interna e dell'instabilità globale per pompare l'export a stelle e strisce, dall'altro Draghi è prigioniero del paradossale successo della sua azione. Continuare a rivedere al rialzo le stime di crescita dell'eurozona, infatti, non può che portare a un apprezzamento della moneta unica, non certo a una sua svalutazione. Quindi, di base siamo già di fronte a uno scenario macro che gioca a favore di un euro forte. Se poi, come accaduto ieri mattina all'alba, prima che aprissero i mercati del Vecchio Continente, qualcuno ci mette il carico come quando si gioca a scopa, allora si torna al dilemma iniziale: strategia o boicottaggio in seno all'Eurotower? 

Sulla coda di chiusura dei mercati asiatici, infatti, esattamente come venerdì scorso, quando svelò i timori di una larga parte del board rispetto proprio all'overshooting dell'euro, di fatto anticipando il rimando a ottobre sostanziatosi giovedì in conferenza stampa, ecco che l'agenzia stampa Reuters torna a dare voce alle fonti interne e anonime della Bce. Le quali, guarda caso, ancora una volta nella loro versione dei fatti smentiscono clamorosamente quella ufficiale di Mario Draghi. Ecco i contenuti del lancio: "I membri del board Bce hanno discusso 4 scenari relativi al Qe giovedì e hanno convenuto che il prossimo passo sarà tagliare lo stimolo, atto che dovrebbe essere compiuto con il più ampio consenso". Ma non basta: "Le opzioni della Bce includono acquisti a 40 miliardi di euro o 20 miliardi di euro al mese, mentre le opzioni di estensioni includono 6 o 9 mesi". 

Infine, in un sorta di post-scriptum al suo servizio, la Reuters scriveva che chi sta scommettendo al rialzo sull'euro era assolutamente conscio di questi contenuti e che la Bce, d'altronde, non ha altra alternativa se non quella di operare il tapering sul Qe. E in fretta. Di fatto, i prodromi per sparare l'euro in area 1,25 prima del fondamentale board del 25-26 ottobre della Bce, proprio quello che nelle dichiarazioni di Draghi alla stampa dovrebbe decidere sul futuro del Qe. Il quale, invece, in base alla "fonte anonima" sarebbe già deciso, resta soltanto da capire se la riduzione degli acquisti sarà da 60 a 40 miliardi o, più drasticamente, da 60 a 20 miliardi al mese. 

La questione, già di per sé grave, diviene ancora più seria per due motivi. Primo, si smentisce in pieno quanto dichiarato da Draghi, ovvero che il board avrebbe parlato del taper del Qe solo in maniera informale e quasi teorica, senza opzioni sul tavolo. Secondo, per il timing: il giorno dopo la riunione del board e con le Borse aperte prima del weekend, quindi con l'euro ai massimi prima di due giorni di stop alle contrattazioni, durante i quali banche e investitori potranno elucubrare e reagire di conseguenza. Inoltre, fa pensare il fatto che lo scenario delineato dalla fonte sia esattamente pari al percorso di normalizzazione della Fed, relativamente al dimagrimento del proprio stato patrimoniale dopo anni di pantagruelici acquisti sul mercato: il tutto, attraverso il reinvestimento dei proceeds dei bond in maturazione, i quali saliranno verso i 15 miliardi di euro al mese a partire dal nuovo anno. 

Ancora più sospetto è poi il diretto riferimento della "fonte" al cosiddetto issuer limit, ovvero la possibilità per la Bce di comprare solo fino a un terzo del debito di ogni nazione dell'eurozona, il quale stando alle indiscrezioni non verrà toccato perché già sotto scrutinio della Corte europea di Giustizia: un bel favore alla volontà di taper al più presto della Bundesbank, non vi pare? Anche perché, al netto di tutto, il grande appuntamento dei mercati ha superato le colonne d'Ercole: l'importante era non creare caos e instabilità prima del voto tedesco del 24 settembre e così è stato, con il barattolo calciato per l'ennesima volta fino al 26 ottobre, nonostante i molti rumors in circolazione e il cross euro/dollaro a fare da cartina di tornasole en plein air di quanto sta accadendo in realtà. 

Strano, poi, che all'interno della nota si faccia notare, in virgolettato, che proseguendo con l'attuale ammontare di acquisti di bond sovrani, "la Germania potrebbe toccare il limite di emissione nella prima metà del 2018". Come dire, niente più Bund da monetizzare già la prossima primavera. E, soprattutto, nessuna possibilità di alzare il tetto del 33%: così vuole la Bundesbank. E con il mercato che ormai traccia come benchmark obbligazionario solo lo spread fra Bund e Treasury Usa, qualche serio dubbio sull'ipotesi del boicottaggio interno alla Bce — magari spinto da Washington attraverso "alleati" — sorge davvero spontaneo. 

Attenzione a bollare questa mia ricostruzione come complottista. E non tanto perché in passato molti miei critici hanno poi dovuto rimangiarsi quanto detto ma perché qui siamo di fronte a uno snodo epocale per la tenuta stessa dell'eurozona. Qui qualcuno vince e qualcuno perde. E, purtroppo, stante la situazione attuale, vedo l'Italia in posizione privilegiata per la seconda ipotesi. Gli elementi per una tempesta perfetta per l'autunno/inverno ci sono tutti.

Autovelox - lo sanno tutti che servono per fare cassa, è un ulteriore balzello con limiti di velocità irreali- E' scritto che aumenteranno sempre di più gli atti contro questi strumenti vessatori

Oltre seimila multe in tre mesi. Autovelox preso a fucilate

I vandali danneggiano l’apparecchio a Colle di Malamerenda

Pubblicato il 7 settembre 2017 ore 10:28


IL BLITZ Ignoti hanno preso di mira l’autovelox lungo la Cassia a Colle di Malamerenda, danneggiandolo a colpi di fucile: sono in corso indagini

Siena, 7 settembre 2017 - ATTO vandalico contro l’autovelox sulla Cassia al Colle di Malamerenda, colpito con ogni probabilità da un’arma da fuoco e che ieri è stato disinstallato per compiere le opportune indagini. Un gesto senza precedenti e sul quale per ora da palazzo pubblico e dal comando della polizia municipale non si sbilanciano, in attesa che gli esami balistici e il materiale sequestrato nella zona forniscano elementi di maggiore chiarezza.

L’AUTOVELOX era entrato in funzione il 10 maggio, primo impianto fisso sul territorio comunale. E poco dopo, il 26 giugno, è stato seguito da quello sul «lotto zero» della Due Mari, nel raccordo tra Siena-Grosseto e Siena-Bettolle. Ci vorrà qualche giorno per provvedere alla nuova installazione in quel tratto di strada considerato pericoloso.

PROPRIO IERI Marco Falorni di Impegno per Siena ha reso noti i numeri delle contravvenzioni elevate dai due impianti, comunicati dall’assessore Stefano Maggi in seguito a una sua interrogazione a risposta scritta. E come già anticipato con le variazioni al bilancio, sono numeri da capogiro: in cento giorni l’autovelox al Colle di Malamerenda (quello ora colpito) ha prodotto 6081 verbali, oltre 60 al giorno di media. L’altro viaggia a ritmi ancora più impressionanti: 11.167 multe in 53 giorni, oltre 210 al giorni di media con picchi elevatissimi nel fine settimana.

PER FARE IL BILANCIO degli incassi bisognerà attendere, perché le notifiche sono partite da poco e perché gli importi possono variare in base al momento del pagamento, ai ricorsi e alla capacità di riscossione in caso di vetture straniere. Ma il notevole incremento in bilancio – stimato per ora in 2,5 milioni di euro annui – è garantito.

L'uomo è maschio o femmina

Così Caffarra smontava il gender 25 anni fa

-7 settembre 2017


L’eredità che ci lascia il cardinal Carlo Caffarra (1938-2017) è realmente immensa e non certo riassumibile, neppure per sommi capi, in poche battute. I tantissimi che lo hanno conosciuto, frequentato e amato potranno senza dubbio confermare. Ma lo può confermare anche chi, come il sottoscritto, pur avendolo incontrato di persona, lo ha soprattutto letto e studiato, rintracciando nella sua opera non solo il riflesso di una cultura sterminata, ma anche – soprattutto, direi – di un’intelligenza viva, capace di leggere e anticipare i tempi.

Una dimostrazione di ciò lo si ha nella capacità che Caffarra ebbe di cogliere l’importanza, negli ultimi anni divenuta decisiva, della partita antropologica per quanto concerne sia la difesa della bellezza e della santità del matrimonio, sia quella differenza sessuale a prima vista elementare ma oggi minacciata dall’ideologia cosiddetta del gender. Non è un caso che già decenni fa, quello che fu il ghost writer sui temi della bioetica e della morale di un certo Giovanni Paolo II (1920-2005), insistesse con forza sul valore della mascolinità e della femminilità.

Una conferma la si ha nel suo testo Etica generale della sessualità (Ares, 1992), laddove egli sottolineava e spiegava ciò che oggi, 25 anni dopo, converrete, è drammaticamente urgente ribadire: «L’uomo è maschio o femmina. E anche già a questo livello di immediatezza nell’osservazione […] L’uomo, prima di essere italiano o francese o prima di essere avvocato o medico o (e le classificazioni potrebbero continuare ancora più a lungo),è maschio o femmina». Ora, perché Caffarra ribadiva l’ovvio, affermando che «l’uomo è maschio o femmina»?

Semplice: perché sapeva che l’ovvio, presto – in una sorta di rovesciamento della logica e, culturalmente, di finestra di Overton al contrario – sarebbe stato destinato a divenire discutibile, minoritario, quindi rivoluzionario. Esattamente com’è oggi dire che «l’uomo è maschio o femmina». Un’affermazione, anzi una constatazione dinnanzi alla quale non bisogna avere incertezze di alcun tipo. Perché – disse sempre il cardinale ieri scomparso, in una conferenza tenuta il 16 gennaio 1996, una vita fa – «L’uomo e la donna portano impressa in se stessi l’immagine di Dio e sono così interiormente “riferiti”, appunto “ricapitolati in Cristo”».

«Nessuna forza avversa – aggiunse poi – sarà in grado di distruggere questo orientamento. E’ necessario solo essere vigilanti nella propria coscienza interiore per fare quella giusta scelta di campo per la salvezza dell’uomo. E’ necessario non avere paura. La forza divina è di gran lunga più potente, smisuratamente più grande del male che opera oggi per distruggere matrimonio e famiglia». Aveva insomma capito, con straordinario anticipo, che la battaglia contro la famiglia sarebbe arrivata alle negazione dell’uomo e della donna. Anche di questo, oltre che di tutto il resto, occorre essergli grati. Riposi in pace.

Giulio Sapelli - difficile credere che l'elitè mondiale occidentale si rinsavisca e accetti la multipolarità necessaria e ormai inesorabilmente dominante

DIETRO LE QUINTE/ Il risiko per mandare via Trump dalla Casa Bianca

Nel sistema del potere mondiale spesso rotolano palle di neve che possono dar luogo a pesanti slavine. E' il caso delle dimissioni di Stanley Fischer dalla Federal Reserve. GIULIO SAPELLI

08 SETTEMBRE 2017 GIULIO SAPELLI

Donald Trump (LaPresse)

Nel sistema del potere mondiale spesso rotolano palle di neve che possono trascinare o dar luogo a pesanti slavine. E' il caso delle dimissioni di Stanley Fischer dalla Federal Reserve, ossia dalla Banca centrale più importante del mondo. La signora Yellen, vicinissima a Fischer, in primo luogo per carriera accademica e vicinanza teorica, rischia di rimanere sempre più sola. Dei tredici posti raccolti attorno al grande tavolo del governo centrale della banca, sette da lungo tempo sono vacanti per nomine non effettuate né da Obama né da Trump e a questi sette via via se ne sono aggiunti altri di vuoti per dimissioni dei componenti. La dimissione di Fischer è dunque l'ultima. 

Non si tratta di una dimissione qualunque. Fischer è una figura centrale tanto nella storia del pensiero teorico economico quanto in quella del potere mondiale. Il giovane Fischer nasce keynesiano ma soprattutto innovatore, proseguendo quel percorso interdisciplinare inaugurato dal conferimento del premio Nobel dell'economia a Simon nel 1978, il quale sosteneva che l'organizzazione dell'impresa e di qualsiasi altro costrutto sociale era necessaria perché rispondeva al bisogno di sopperire ai comportamenti irrazionali degli individui singolarmente intesi. La teoria neo-classica delle aspettative razionali andava in frantumi, come in frantumi andava la subteoria dell'allocazione razionale delle risorse per mano del mercato. Il principio di gerarchia era ineliminabile. 

Un altro Nobel, Coase, l'aveva già affermato in un famoso scritto del 1927 sulla natura dell'impresa, ma la controrivoluzione liberista e sregolatrice aveva tutto travolto negli anni Ottanta-Novanta del Novecento. Fischer invece teneva duro con i suoi testi famosissimi quanti poco letti sulle aspettative razionali e soprattutto sul ruolo che le banche centrali erano destinate ad assumere in forma sempre più compulsiva via via che le bolle speculative aumentavano

Quando la crisi finanziaria mondiale scoppiò nel 2007, memorabile fu il discorso che Fischer presentò alla riunione della Trilaterale, che si svolse a Parigi nel 2008, e in cui predisse, con straordinaria lucidità, ciò che sarebbe venuto negli anni a seguire. Predisse il Quantitative easing e tutto ciò cui stiamo assistendo in questi anni. Significativo il fatto che lo fece citando un brano della famosa opera di uno dei suoi più importanti maestri, Charles Kindleberger, sulla storia delle crisi finanziarie, in cui richiamava, dal punto di vista dell'economia mondiale, la via via crescente necessità del ruolo delle banche centrali. Kindleberger aveva riflettuto a lungo sulla crisi del '29 e sui rapporti tra diritto ed economia, tanto da essere un riferimento intellettuale imprescindibile anche per coloro che studiavano e studiano il potere mondiale. 

Fischer, come dimostrò la sua relazione in quella cuspide visibile ma tuttavia importantissima degli arcani imperi mondiali, aveva visto sotto i suoi occhi avvicinarsi la crisi, avendo lavorato con altissime responsabilità direttive sia alla Banca mondiale sia al Fondo monetario internazionale. 

Ma Fischer, ed è questo che rende estremamente interessanti le sue dimissioni, appartiene a quella ristrettissima élite internazionale che contribuisce, dall'avvento dell'internazionalizzazione dei capitali e dei mercati, a configurare il meccanismo di potere che come un anello lega economia e politica. Sulla scia, per esempio, di Aristide Briand, Pierre Mendes-France, Jean Monnet, Fischer — nato in Rhodesia, cresciuto in America e in Israele, tanto da averne la doppia cittadinanza, oltre a essere stato uno dei capi della banca privata Citigroup — è stato per due volte governatore della banca centrale israeliana, chiamato a farne parte nel 2005, negli anni difficilissimi e tormentosi del governo Likud Kadima di Ariel Sharon, per essere poi riconfermato da Olmert, e per dimettersi poi da governatore nel corso del secondo mandato, durante il primo governo di Netanyahu. 

Tutto si può dire di lui ma non che non sia un grande intellettuale e un uomo con la schiena diritta. Le sue dimissioni sono un grave colpo per la governatrice Yellen, che si vede privata non solo del migliore amico, ma altresì del sostegno di un rappresentante di una delle correnti più interessanti e più pensose del potere mondiale. Fischer si dimette infatti perché, sulla scia del suo famoso discorso alla Trilaterale, non cessa di insistere sulla necessità di una sempre più severa regolazione dei mercati e delle organizzazioni che in essi operano, fino a ritornare al Glass Steagall Act di rooseveltiana memoria. Fischer non è mai stato un blairiano o un clintoniano: non si è mai sottomesso all'alta finanza, anzi ha sempre cercato di vedere in essa uno strumento, per dirla nel linguaggio profetico ebraico, una sorta di stella della redenzione. 

Tutto il contrario di ciò che è successo dagli anni Ottanta a oggi. Di qui, queste dimissioni in chiara polemica con Trump, che tutto vuole tornare a sregolare, dopo i timidi passi avanti fatti con il Dodd-Franck Act e altre timide riforme dello stock exchange. 

Questo significa che lo scontro al vertice delle élite al potere si fa sempre più duro. Fischer non è Soros. Soros polemizza con Trump per difendere i suoi affari e quelli della famiglia Clinton, fino a finanziare manifestazioni e rivolte tanto negli Usa come in Romania, Ungheria e Russia. E si tratta di un'altra corrente del potere mondiale molto potente, che ha co-governato la politica mondiale per circa un trentennio, con i risultati che abbiamo dinanzi ai nostri occhi

Il problema è capire che conseguenze avranno queste dimissioni. Fischer, e le forze che a lui fanno riferimento, sanno che il rischio è il fatto che queste dimissioni consentano a Trump nell'immediato un'ampia libertà di manovra, nominando dei nuovi componenti della Fed più vicini a lui, così come ha sempre fatto sino ad ora, salvo per quel che concerne il potere militare che fa buona guardia e un'industria strategica dell'eccellenza come quella energetica. 

Ma le dimissioni di Fischer possono anche far presagire, soprattutto in un contesto internazionale così turbolento da sfiorare la guerra nucleare, per l'impressionante prevalere del disegno cinese (la Nord Corea altro non è che una pedina del grande impero di mezzo), un'accelerazione nella sostituzione di Trump, nonostante gli immensi problemi che ciò provocherebbe. Ma il filone del potere mondiale che Fischer rappresenta ha peraltro buoni rapporti con la Russia, con quella Russia che inizia sempre più a considerare il fatto che Trump non solo non mantiene le sue promesse elettorali, ma è l'ostacolo decisivo oggi al lento ritorno a una stabilità internazionale che non può non essere fondata su un deciso roll-back anticinese.

Agli euroimbecilli è tornata la voglia di guerra, la Strategia della Paura non gli è sufficiente per mantenere il potere sulle masse

D’improvviso, in tutte le capitali d’Europa c’è voglia di guerra…

Maurizio Blondet 8 settembre 2017 

Quello che appare nella foto è il ministro degli esteri britannico Boris Johnson. Andato in Estonia si è mascherato da carrista e “s’è goduto un giro”, scrive il Telegraph, su un carro armato Challenger delle forze armate inglesi, che opera in Estonia nel quadro del riarmo NATO. Questi carri armati, ha dichiarato, sono “un presenza rassicurante per gli alleati confrontati all’antagonismo russo nell’Europa del Nord e nella regione Baltica”.


Insieme alla dichiarazione del francese Macron secondo cui “i 70 anni di pace sono un’aberrazione della nostra storia”, l’immagine di un diplomatico che si fa riprendere con l’elmetto mostrano nella cosiddetta classe dirigente una strana voglia di guerra per antagonizzare Mosca; e con manifestazioni così simultanee, che sembrano obbedire “a un segnale convenuto”.

Chi ha visto il dibattito pre-elettorale fra i due competitori alla Cancelleria, Angela Merkel e Martin Schulz, ha potuto constatare come fosse finto: più che l’antagonista e il concorrente, Schulz è stato quella che nel teatro dell’arte si chiama “la spalla”, l’attore che porge le battute al comico protagonista. Nessuna critica sulla conduzione della UE, sull’euro, sulla riduzione della Grecia alla mendicità, nessuna domanda scomoda di Schulz che ostacolasse la vittoria già scritta nelle stella della Mutti – per maggior prudenza, è stato un dibattito unico, non ce ne sono altri (basta chiacchiere, questa è la democrazia tedesca).

Il motivo è che probabilmente i due pseudo concorrenti si preparano a formare un governo di coalizione; l’altro motivo è che sulle questioni di fondo sul tipo di egemonia tedesca da imporre all’Europa si sono intesi sottobanco, e non serve allarmare le parti terze col progetto.

Che è, manco a dirlo, militare.

“Il think tank ufficiale della Germania federale, SWP (Stiftung für Wissenschaft und Politik) propone che Berlino prenda la leadreship militare sia della UE sia della NATO- scrive il sito German Foreign Policy . Secondo il suddetto centro strategico, la Germania deve mostrare una “decisa leadership” in seno alla NATO, e indurre l’intero “occidente” a adottare un nuovo orientamento strategico”.

E quale è il “nuovo” concetto strategico? Potete indovinarlo: “Il ri-orientamento della politica mondiale germanica che, dopo la presa della Crimea da parte della Russia, non mira più soltanto ad interventi militari nel mondo intero per assicurare interessi strategici o economici [ossia a partecipare alle guerre neocon], ma a lottare contro “progetti concorrenti di concezione” della politica internazionale. I progetti concorrenti di concezione sono quelli di Russia e Pechino, e sono cattivi in quanto rappresentano “un ordine multipolare in formazione”, e “conoscono un’influenza crescente sul piano economico, politico e militare” – quindi riducono la libertà dell’Occidente di intervenire militarmente come in Siria, Irak, Afghanistan, Libia…


L’aggressività di Mosca si manifesta nel fatto che “si presenta come un centro di gravitazione indipendente con mire globali”. E finché Mosca insiste ad “operare indipendentemente” [dai desideri di Merkel e Mogherini] costituisce “una sfida per il nostro continente”, dice il think tank germanico.

Berlino, detta la SWP, avrà il comando e l’egemonia nella creazione di divisioni multinazionali “destinate a completare le truppe NATO stazionate nei paesi Baltici e in Polonia; che saranno “il ferro di lancia” dell’Alleanza contro Mosca l’aggressiva. Due delle tre divisioni multinazionali dovranno essere formate “a partire dal personale e dalle strutture delle divisioni tedesche”, insomma fatte alla tedesca e comandate da tedeschi. In più, la task force congiunta dell’aviazione NATO “si baserà per oltre il 75% sulle capacità della Repubblica Federale”, sostiene il Libro Bianco della SWP, evidentemente trascurando l’apporto francese, il solo che abbia una produzione di aerea guerra indipendenti. Quanto alla Marina, il progetto si accaparra “un comando navale nel Baltico dominato dalla Germania”; onde “Il ruolo della Germania in queste alleanze e strutture sia significativo per terra, per cielo e per mare”. Insomma, Berlino si prepara a sostituire gli Usa “nel ruolo tradizionale di leader dell’Alleanza”, che oggi “non coprono completamente”. Tutto ciò costerà molto più dei 130 miliardi stanziati dal ministero Difesa fino al 2030; “ma la leadership politico-militare ha il suo prezzo” e Mutti coi tedeschi, così tirchi di solito, è disposta a pagarlo.

La Bundeswehr diverrà “uno degli eserciti più importanti del continente”, delira il SWP: anzi, le formazioni di combattimento multinazionali a guida tedesca “in via di principio” potranno essere utilizzate “in operazioni della UE”: dunque al di fuori del quadro della NATO, in una specie di esercito dell’Unione Europea ad egemonia germanica.


E la UE si comporta infatti come un nemico bellico di Mosca. VladimiPutin ad esempio ha proposto a sorpresa di introdurre nel Donbass una missione d Caschi Blu, nella speranza di mettere fine alla “ferita aperta” e lo spargimento di sangue nella regione? Ebbene: come risposta, il 6 settembre l’Unione Europea ha esteso di altri sei mesi le sanzioni contro la Russia, compreso “ il congelamento dei beni e il divieto di ingresso nell’UE, contro i funzionari russi e i separatisti ucraini “sostenuti da Mosca”. Allo stesso tempo, il nuovo ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, è probabile che rimanga sulla lista delle sanzioni”, scrive Sputnik. In ciò l’Europa supera persino l’America: contro Antonov infatti Washington non ha imposto restrizioni, tanto che lo ha accettato come nuovo ambasciatore russo.

Insomma, una gran voglia di guerra ha colto Mutti, Macron, Boris Johnson…come a segnale convenuto. A voi italiani, va bene così?

Gli euroimbecilli hanno deciso di proteggere e coccolare i mercenari tagliagola che gli sono serviti in Siria per creare terrore, distruggere ed uccidere, inserirli nella Strategia della Paura nata 11 settembre 2001 negli Stati Uniti

I terroristi islamici tornano a casa














SET 8, 2017 

In Svezia il ministro della Cultura Alice Bah Kuhnke, non ha dubbi. A sentire lei i circa 140 jihadisti rientrati nel paese dopo avere combattuto tra le file dell’Isis in Siria e in Irak non devono essere spediti in galera, ma devono essere «reinseriti nella società democratica». La signora Kuhnke, figlia di un immigrato del Gambia e di una donna svedese, è molto più in sintonia con lo spirito nazionale di quanto non suggeriscano nome e origini. Nonostante le polemiche suscitate dalle sue affermazioni il paese scandinavo, da cui sono partiti circa 300 volontari della Jihad, si è già mosso in quella direzione. Decine di reduci dell’Isis considerati non più alla stregua di terroristi, ma di potenziali collaboratori stanno ricevendo nuove identità protette. E lo stesso trattamento di favore potrebbe essere riservato a quelli ancora impegnati a combattere in Siria e in Irak.


Walad Alì Yousef è uno di quelli già rientrati. Nel 2014, dopo una carriera da delinquente di basso rango in quel di Malmo, raggiunse Raqqa e pubblicò su Facebook le sue foto in mimetica e kalashnikov, invitando amici conoscenti a seguirlo. Oggi non pago di avere ottenuto una nuova identità si lamenta di non trovare lavoro a causa – spiega al tabloid Expressen – di quelle «fotografie ancora in giro». A piede libero e con nuovi documenti c’è pure il 39enne Bherlin Dequilla Gildo che nel 2012 partecipò alla mattanza di alcuni soldati siriani e subito dopo postò in rete alcuni selfie scattati davanti ai cadaveri dei «cani di Assad». Ma il problema dei jihadisti di ritorno non riguarda solo la Svezia. Stando a uno studio del Ran (European radicalisation awareness network) almeno un 15-20 per cento degli oltre 5mila jihadisti partiti dall’Europa è morto in battaglia, un 30-35 per cento è già rientrato ed è monitorato dalle forze di sicurezza dei vari paesi, Italia compresa, mentre un numero oscillante tra i 1.200 e tremila – tra cui molte donne e bambini – potrebbe bussare alle nostre porte nei prossimi mesi.

La domanda che divide l’Unione europea è «cosa fare di costoro?». La tendenza svedese al «reinserimento» trova infatti autorevoli sostenitori anche nel resto del Vecchio continente. Uno di questi è Gilles de Kerchove, l’euro burocrate belga che – nonostante l’assenza d’una specifica competenza pregressa nel settore – occupa da dieci anni la poltrona di «coordinatore dell’Unione europea nella lotta al terrorismo». A sentire lui i jihadisti che non hanno le mani sporche di sangue rappresentano «una voce forte e credibile», indispensabile per dare vita a una narrazione in grado di contrastare efficacemente la propaganda dell’Isis. «Possono raccontare – sostiene Kerchove – quello che hanno passato, spiegare che pensavano di seguire una nobile idea, ma si sono imbattuti in persone violente o che abusavano sessualmente di altre». Le convinzioni di Kerchove, della ministra della cultura svedese e di quanti in Europa scommettono sul reinserimento sociale di individui abituati a decapitare, stuprare e ridurre in schiavitù i cosiddetti «infedeli» non sembrano tenere conto del fanatismo di questi individui. Individui convinti d’agire nel nome di Allah e pronti per questo a sacrificare non solo se stessi, ma chiunque altro, dai nemici ai propri stessi familiari.

Una ricerca condotta dall’antropologo americano Scott Atran intervistando numerosi prigionieri dell’Isis rivela che gran parte dei militanti sono mossi da una profonda adesione a valori religiosi considerati sacri, dalla disponibilità a sacrificare anche la propria famiglia nel nome di quei valori e dalla forza spirituale del gruppo o della comunità in cui il combattente s’identifica. Proprio per questo il pentimento o il ripensamento risulta quasi inesistente. O dura soltanto fino a quando il jihadista non trova un’altra occasione per esercitare la propria fede. Insomma il reinserimento sociale sognato da Kerchove e dalla Kuhnke rischia di rivelarsi un’illusione. O, peggio, un’opportunità offerta al terrorista di trovare nuovi complici e nuove occasioni per colpire. Anche perché nessuno, a oggi, è in grado di dire quali dei terroristi rientrati, o in procinto di rientrare, in Europa lo stiano facendo perché seriamente disillusi dopo la sconfitta del Califfato o, più banalmente per continuare la lotta nelle città europee. Molti indizi fanno temere che la seconda ipotesi sia quanto mai concreta.

Ma ci illudiamo a pensare che si pentano e rinuncino alla jihad: sono convinti di agire in nome di Allah

Stando ai racconti di un militante dell’Isis prigioniero dei curdi, la Brigata Al Kharsa, la stessa unità che progettò gli attacchi di Parigi e di Bruxelles ma di cui fino a oggi non si conosceva il nome, sarebbe ancora in piena attività, e conterebbe su una cinquantina di militanti pronti a colpire in Europa. Secondo il racconto del prigioniero, l’Isis offre a tutti i jihadisti d’origine europea l’opportunità di entrare in questa truppa d’élite, ma al termine di una durissima selezione solo un volontario su cinque supera i test d’ammissione. A quel punto per i pochi selezionati iniziano mesi di addestramento che spaziano dall’assemblaggio di cinture esplosive e autobombe fino ai test di sopravvivenza e ai corsi di fede religiosa. Al termine del corso – stando a quanto rivelato negli interrogatori – i militanti pronti a raggiungere l’Europa vengono fatti passare in Turchia dal valico di Bab al Hawa, nel nord ovest della Siria e portati nelle citta turche di Konja, Gaziantep o Istanbul dove le locali cellule locali dell’Isis forniscono loro passaporti e documenti falsi per il viaggio. Ma la stessa Al Kharsa si occuperebbe anche d’istruire e condurre all’azione i «lupi solitari» pronti a morire per la causa.

La fine della guerra all’Isis è, insomma, ancora lontana. E, nonostante le illusioni di qualcuno, il ritorno dei veterani del jihad rischia di spostare la prima linea nel cuore delle nostre città.

Vaccinazioni - chi ha preparato il decreto risiede nel medesimo consiglio d'Amministrazione, Glaxo Smith Kline produttrice di 10 vaccini. Conflitto d'interesse e abuso d'ufficio

Giovedì, 7 settembre 2017 - 19:55:00
La guerra dei vaccini: il giudice Imposimato risponde a Matteo Renzi
Esclusiva Affaritaliani


Che dire a Renzi, poveretto! Se c'è un gioco sporco, questo riguarda lui e le leggi da lui volute, tutte a favore di potenti gruppi di potere, amici e lobbies. 

Per me è stato un grande onore avere avuto, come candidato alla Presidenza della Repubblica, il voto del M5S, la formazione politica più vicina ai cittadini, ai lavoratori, ai pensionati, agli insegnanti, ai risparmiatori e ai giovani. Senza il Movimento la democrazia sarebbe morta prima con la modifica dell'art 138 e poi con l'infame legge liberticida voluta da Matteo Renzi , che si è servito di ogni mezzo per vincere; perfino dell'aiuto di Obama, Merkel e Hollande. E di una marea di opportunisti, tra cui Benigni e Eugenio Scalfari. Una delusione è stato il Presidente Sergio Mattarella che avendo il dovere di imparzialità, si è schierato per la riforma.

Il Movimento resta la mia speranza di riscatto, di cambiamento e alternanza. Le mie critiche sono solo ad adiuvandum, come credo sia giusto fare, e non mirano a distruggere il Movimento.

Quanto al resto, il Governo Renzi e quello Gentiloni avevano il dovere di agire con imparzialità secondo l'art. 97 della Costituzione. Questo dovere si estende al direttore generale del Ministero della Sanità . Sennonché un membro del Consiglio di Amministrazione di Glaxo Smith Kline, produttrice dei 10 vaccini, è anche direttore generale del ministero della “salute”. Egli ha preparato il decreto sui vaccini e i provvedimenti attuativi. Un clamoroso conflitto d'interesse e abuso d'ufficio: è stato presentato esposto del Codacons all'autorità anticorruzione. Ma a parte ciò esistono nella legge sui vaccini gravi violazioni della Costituzione. In primo luogo le legge è stata approvata da un Parlamento illegittimo, secondo la sentenza n.1 2014 della Corte Costituzionale. La legge viola la libertà individuale, come emerge dai lavori preparatori dell'art 32 Costituzione <si tratta di libertà individuale che non può non essere garantito dalla Costituzione> (A Moro Commiss Costituzione 28 genn 1947) Moro impose <un limite al legislatore, impedendo pratiche sanitarie lesive della dignità umana>. La legge è in contrasto con l'art 34 che prevede “la scuola dell'obbligo per almeno otto anni”: sicché i ragazzi fino a 5 anni, se non vaccinati, sono esclusi dalla scuola , mentre quelli da sei anni in su, soggetti alla scuola dell'obbligo, hanno il diritto e il dovere di accedere alla scuola, anche se non vaccinati. Assurdo! L'esclusione del bambino tra i 6 e i 14 anni dalla scuola dell'obbligo per violazione della legge sui vaccini ridurrebbe in modo immotivato uno dei diritti cardine della nostra Carta fondamentale, il diritto allo studio, con un’illegittima discriminazione a totale discapito dei singoli individui.

La legge sui vaccini obbligatori viola anche l'art 3 sulla eguaglianza di fronte alla legge: vi è disparità di trattamento tra i bambini fino a 5 anni e quelli che hanno superato questa età. C'è disparità di trattamento tra italiani e stranieri : questi, a differenza degli italiani, devono vaccinarsi senza distinzione di età. Un gran pasticcio dovuto all'analfabetismo dei governanti italiani che ignorano la Costituzione. La Corte Costituzionale (n 307 14 giugno 1990 ) afferma che la legge che impone un trattamento sanitario <deve essere accompagnata dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l'arte prescrivono >. Fra queste < la comunicazione alla persona interessata di adeguate notizie circa i rischi di lesione o di contagio, nonché delle particolari precauzioni che, allo stato delle conoscenze scientifiche , siano verificabili ed adottabili>. Tali informazioni sono mancate. Sono stati imposti medicinali e sieri sperimentali che possono incidere sui bambini dal punto di vista organico, come è accaduto spesso

Il Governo Renzi è stato uno dei peggiori degli ultimi anni per leggi a favore di amici e parenti. Ha favorito corruzione, falso in bilancio, riciclaggio, voto di scambio . Ha ignorato la Commissione Europea che segnalò il 3 febbraio 2014 “in Italia il costo delle opere pubbliche è del 600 per cento in più rispetto a Francia, Spagna e Giappone” . Carente fu la lotta all'evasione fiscale che costa agli italiani 154 miliardi di euro l'anno. Il danno per l'economia è enorme. Ed è assurdo pensare, come fa Renzi, che la mancanza di condanne sia dovuta ad inazione dei giudici, vittime di leggi favorevoli ai corrotti. Il magistrato Davigo denunziò che Governo Renzi non combatte la corruzione ma l'alimenta con leggi criminogene. Del resto l'affare Consip è uno scandalo enorme che coinvolge il governo Renzi. Sotto la pressione di una pubblica opinione esasperata da scandali e ruberie, il premier fece approvare dalla Camera dei deputati, il 20 marzo 2015 , la legge sulla prescrizione più lunga. In attesa del voto del Senato. Senonché il premier Renzi, così sollecito al voto di fiducia per leggi criminogene, come la sblocca Italia, la legge salva banche, la legge Imu Banchitalia, la legge sulla scuola, insabbiò la legge sulla prescrizione. Che giace al Senato da anni. Egli vuole fare credere che ritardi e impunità di corrotti e corruttori siano dovuti a negligenza di magistrati. E ha trovato l'appoggio di gran parte della stampa nazionale e di una TV che parla con una sola voce: quella del Capo del Governo. Eppure la legge sulla prescrizione al Senato si sarebbe potuta fare in pochi minuti, col voto di fiducia. Come avvenne con leggi che interessavano un Ministro. La più vergognosa legge ad personam del Governo Renzi fu il decreto n. 183 del 22 novembre 2015, «salvabanche». Con essa il Renzi individuò un sistema di salvataggio, che ebbe immediata applicazione per quattro banche (Banca Marche, Carife, Carichieti, BancaEtruria) e i loro amministratori. Essa si risolse nella creazione per ciascuno dei quattro istituti di una «good bank» cui affidare la prosecuzione delle attività bancarie e di una «bad bank» in cui lasciare tutti i crediti non riscossi. Di fatto implicava il sacrificio dei creditori attraverso l'azzeramento del valore dei titoli, ignorando i danni di migliaia di lavoratori, pensionati, agricoltori, casalinghe e piccoli imprenditori, molti dei quali suicidi per la vergogna che invece era di Renzi. Nè il Governo Renzi ha fatto una legge contro le lobbies o il conflitto di interessi che investono l'essenza della democrazia. Che sono il principale strumento di corruzione. Chi dovrebbe debellarlo – il governo – versa in conflitti di interessi e non ha interesse a risolverlo. Renzi è nefasto per il paese.

Ferdinando Imposimato

6 settembre 2017 - I numeri DEVASTANTI del nostro artigianato. Chi Governava all'epoca ?

8 settembre 2017 - DIEGO FUSARO: Su eros, filosofia e godimento (La Zanzara, Radio24)





Pubblicato il 08 set 2017
DIEGO FUSARO, filosofo, scrittore saggista, https://www.ibs.it/search/?ts=gs&quer... commentatore politico, giornalista, contro il sistema capitalistico, contro l’Europa delle banche e del pensiero unico globalizzato. Mi impegno nello studio del pensiero dei filosofi nei secoli, soprattutto Marx e Gramsci, per dar vita a un progetto sociale con cui attirare l’attenzione dei politici verso programmi che abbiano come priorità di governo l’attenzione agli offesi della Terra e alla tutela delle diverse culture, possibilmente dove esse si sono sviluppate.

8 settembre 2017 - DIEGO FUSARO: Pensiero unico come rieducazione dei popoli al globalismo





DIEGO FUSARO http://www.filosofico.nethttp://www.diegofusaro.com
DIEGO FUSARO, filosofo, scrittore saggista,
https://www.ibs.it/search/?ts=gs&quer... commentatore politico, giornalista, contro il sistema capitalistico, contro l’Europa delle banche e del pensiero unico globalizzato. Mi impegno nello studio del pensiero dei filosofi nei secoli, soprattutto Marx e Gramsci, per dar vita a un progetto sociale con cui attirare l’attenzione dei politici verso programmi che abbiano come priorità di governo l’attenzione agli offesi della Terra e alla tutela delle diverse culture, possibilmente dove esse si sono sviluppate.

8 settembre 2017 - Marco Zanni: «L'Europa è stata distrutta dalle politiche imposte dall'Un...

venerdì 8 settembre 2017

PTV News 08.09.17 - Il Giappone valuta l’opzione nucleare





PandoraTV

Pubblicato il 08 set 2017

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- Sira, ucciso il ministro della Guerra dell’ISIS

- Italia: preoccupa la voragine finanziaria degli Enti Locali

- Secessione Catalogna. Rajoy: ‘Questo referendum non s’ha da fare’



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8 settembre 2017 - Propaganda travestita da informazione





I canali dell'informazione mainstream sono ormai specializzati nell'arte del camuffamento. Dietro l'apparenza di un servizio obiettivo, attraverso pochi affermazioni, passa il senso della propaganda che si vuole trasmettere. Eccone un perfetto esempio, da un servizio della NBC sui campi scuola

PTV News 07.09.17 - Provocazioni contro Damasco in vista





- Israele colpisce l’esercito siriano

 - Corea: all'embargo USA, la Russia preferisce la "modalità lenta” della diplomazia

 - Libia: l’Italia, comincia a trattare con chi conta

7 settembre 2017 - PTV Speciale - Il numero due di Hezbollah: “Il mostro (ISIS) ha attaccat...





Sheikh Naim Qassem, numero due di Hezbollah: “Il mostro (ISIS) ha attaccato il suo creatore (USA), che ora deve trovare un’altra via per mantenere i suoi interessi nella regione"

7 settembre 2017 - L'arte della guerra - La Corea del Nord nel grande gioco nucleare

8 settembre 2017 - Perché massacrano Ferdinando Imposimato

6 settembre 2017 - Vaccini e morbillo - Le sbalorditive dichiarazioni della ministra Lorenzin

Mauro Bottarelli - Non abbiamo nessun strumento per uscirne indenni, le alternative sono solo possibilità

SPY FINANZA/ Draghi prigioniero della sua bolla spera in un autogol della Fed

La conferenza stampa di Draghi al termine del board, che ha lasciato invariati i tassi di riferimenti, è riassumibile in due parole: euro e inflazione. MAURO BOTTARELLI

08 SETTEMBRE 2017 MAURO BOTTARELLI

Stanley Fisher si è dimesso dalla Fed (LaPresse)

Stavolta il rinvio della decisione sul tapering del Qe è stato talmente palese da non essere credibile per nulla, stavolta Draghi — paradossalmente — ha voluto negare una decisione in effetti già presa e che vuole che i mercati sappiano fin da ora: si va avanti. A forza quattro, se serve. Che questo piaccia alla Bundesbank oppure no. 

La conferenza stampa del numero uno dell'Eurotower al termine del board, che ha lasciato invariati i tassi di riferimenti, è infatti riassumibile in due parole: euro e inflazione. E in un paradosso: l'eurozona va talmente bene che alziamo le stime di crescita ma, contemporaneamente, ci spaventa una moneta forte. Insomma, Draghi invita a credere nell'Europa ma, al tempo stesso, a vendere euro per dollari. Alla Fed immagino siano deliziati della mossa. 

Stavolta, occorre dirlo, il panico era palpabile, perché quando un uomo come Mario Draghi si muove come un elefante in una cristalleria, vuol dire che siamo veramente ai titoli di coda di un gioco che potremmo riassumere così: ci si passa una bomba a mano senza spoletta, vediamo chi è il fortunato a cui esplode in mano. Rispondendo ai giornalisti, Mario Draghi ha detto che "la Bce deciderà in autunno, probabilmente a ottobre", ovvero nel corso del meeting previsto per il 25 e 26 di quel mese, ma ha anche sottolineato, come anticipato dalla velina via Reuters di cui vi ho parlato giorni fa, che sul futuro del Qe il direttivo "ha discusso vari scenari ma si è trattato di una discussione molto preliminare, piuttosto che delle opzioni o delle decisioni politiche"

Ma ecco la parte sostanziosa, sempre riferibile a quell'anticipazione che aveva contemporaneamente il tono di sfida alla Fed ma anche il sapore amaro di una guerra valutaria che l'Europa ha capito di dover combattere troppo tardi (i tempi sono sempre fondamentali): "La recente volatilità del tasso di cambio rappresenta una fonte d'incertezza che richiede di essere monitorata, per le sue implicazioni sulla stabilità dei prezzi nel medio termine", ha detto il presidente della Bce, a detta del quale "l'apprezzamento dell'euro è molto importante per la crescita e l'inflazione. Così importante che le prospettive d'inflazione di medio termine sono state riviste al ribasso e, dunque, la Bce dovrà tenerne conto nell'insieme delle informazioni con cui prenderà le future decisioni di politica monetaria". Di più, "diversi componenti del consiglio direttivo della Bce hanno espresso timori sull'andamento dei tassi di cambio", ha confermato Draghi, aggiungendo che invece nell'ultima riunione di luglio "solo alcuni componenti" avevano espresso le loro preoccupazione sull'euro. 

In effetti, aver passato agosto stabilmente sopra 1,17 e con frequenti puntate in area 1,19 è riuscito nel miracolo di far svegliare anche i membri del board della Bce dal loro torpore monetario, meglio tardi che mai. E, come confermato da Draghi, ecco che l'Eurotower ha abbassato le sue stime sull'inflazione dell'Eurozona per il 2017 (a 1,5%) il 2018 (a 1,2% dal precedente 1,3%) e il 2019 (a 1,5% dal precedente 1,6%). Per il numero uno della Bce, "l'inflazione nell'eurozona deve ancora mostrare segnali convincenti di un rialzo sostenuto". In compenso, sono state viste al rialzo le stime sul Pil dell'eurozona al +2,2% nel 2017, a fronte dell'1,9% previsto in giugno, mentre ha mantenuto invariati il +1,8% per il 2018 e il +1,7 per il 2019. Per Draghi, "i rischi al ribasso continuano ad esserci", citando il tasso di cambio e i fattori globali, per questo "se l'outlook diventerà meno favorevole o l'inflazione nell'eurozona si indebolirà, siamo pronti a incrementare il nostro programma di acquisti di asset in termini di portata o durata". 

Ora, non starò a dilungarmi, visto che di questo argomento parlo da almeno un mese e mezzo, senza mai cambiare opinione di una virgola: siamo nel più classico dei cul de sac e non abbiamo alcuno strumento per uscire indenni. Anzi no, uno c'è: un clamoroso autogol della Fed che sposti attenzioni e rischi su Washington, lasciando un margine all'Europa per flettere la bolla. Il problema di Draghi è duplice: non può evidentemente bloccare il Qe, pena mandare la famose eurozona in ripresa di nuovo nel baratro, ma nemmeno forzarlo troppo, perché sarebbe come ammettere di fronte ai mercati di aver sbagliato tutto. Con le conseguenze del caso. 

La Bce in effetti non ha sbagliato tutto, la decisione di acquistare bond corporate — per quanto mortalmente distorsiva in fieri — ha evitato (anzi, posticipato) una nuova crisi bancaria dell'eurozona, ma le previsioni inflazionistiche al ribasso parlano di una china giapponese, ancorché non di quella magnitudo. Se abbassi e vai all'1,2% nel 2018, quando il tuo target è il 2% circa e statutariamente e formalmente il Qe dovrebbe chiudersi a dicembre 2017, il quadro d'insieme è chiaro: fallimento. Il quale, segno dei tempi malati che viviamo, è un bene per gli indici di Borsa, perché vuol dire nuovo metadone della Bce e giostra che continua a girare. Ma se cominciano a essere tre le Banche centrali che mandano contemporaneamente segnali d'affanno (Bce, Fed e Bank of Japan), anche l'investitore più ottimista qualche dubbio potrebbe cominciare a porselo, magari con l'anno nuovo, in vista delle revisioni dei portafogli. Tanto più che l'Ue dovrebbe essere super-bid, viste le stime di crescita della Bce, ma il magister Mario Draghi e i suoi colleghi si dicono preoccupati dell'euro forte: cosa vogliono, la botte piena della crescita e la moglie ubriaca della moneta svalutata per pompare l'export? 

Non si può, spiacente. A meno che non si mettano sul piatto strumenti ancora più straordinari, ovvero che non si dichiari guerra aperta alla Bundesbank. La quale, oltre al Qe, sappiamo che ha l'orticaria — in questo caso storica — per l'inflazione, la quale appena sale sopra l'1% scatena insensati fantasmi di Weimar dalle parti di Francoforte. 

La speranza? Forse, c'è. Come dicevo prima, potrebbe darcela la Fed, la quale a febbraio vedrà scadere il mandato di Janet Yellen e che da ieri ha visto crollare le quotazioni dell'uomo Goldman, Gary Cohn, come suo successore, come riportava uno scoop del Wall Street Journal. La sua colpa? Ha criticato Donald Trump con un tweet rispetto a quanto accaduto a Charlottesville. Ovviamente è un pretesto, ma una bella guerra aperta fra la Casa Bianca e Wall Street su chi guiderà la politica monetaria Usa potrebbe offrire qualche colpo da sparare alla Bce. Speriamo, perché da ieri il Re è davvero nudo. Grazie al cielo, nessun bambino lo ha anche gridato. Tutti tengono famiglia, si sa. E come diceva Totò, hanno fatto il militare a Cuneo.

Atac - Rutelli, Veltroni, Alemanno hanno fatto scempio di questa azienda

LA CRISI DEL TRASPORTO PUBBLICO

Raggi: «Atac usata come bancomat, ma privatizzarla non è la soluzione»

Consiglio comunale straordinario sul concordato preventivo: la sindaca punta a salvare l’azienda affossata da 1,4 miliardi di debiti. Proteste dentro e fuori l’aula Giulio Cesare


(LaPresse)

Virginia Raggi in Aula per esporre il piano anti fallimento su Atac e i sindacati, in attesa della raffica di scioperi della prossima settimana, in piazza del Campidoglio per protestare contro la soluzione scelta dalla giunta Cinque Stelle su input dei vertici «milanesi» del Movimento, il concordato preventivo. L’assemblea capitolina su Atac è iniziata poco dopo le 15.30 di giovedì e, nell’aula Giulio Cesare, è partita subito la protesta quando la sindaca Raggi ha iniziato ad esporre la sua relazione. Il presidente dell’Assemblea Marcello De Vito ha chiesto di allontanare i radicali, guidati daRiccardo Magi, che avevano srotolato uno striscione con scritto «referendum».

L’ex consigliere Magi si è poi rivolto alla sindaca prima di essere bloccato dai vigili urbani e scortato fuori dall’aula: «Siete quelli della democrazia diretta: fate dire ai cittadini come vogliono risolvere la situazione. Un anno fa l’azienda era il fiore all’occhiello ora è in fallimento», ha detto a voce alta. La Raggi si interrompe ma poi esordisce andando dritta al nodo privatizzazione: «Per noi privatizzare non è un’alternativa né una soluzione, significherebbe svendere l’azienda e pare evidente come questa fosse l’obiettivo finale di una operazione prolungata nel tempo e che ha spolpato pezzo dopo pezzo ciò che appartiene a tutti i cittadini romani».

«Atac stava fallendo, noi la salveremo»

Per «effetto di politiche sciagurate Atac rischiava il fallimento. Noi la salveremo», prosegue la Raggi. E «lo strumento per concretizzare questo impegno si chiama concordato preventivo in continuità». «Ribadisco che vogliamo mantenere i livelli occupazionali - sottolinea la sindaca - i lavoratori onesti non hanno nulla da temere, mentre non saranno più tollerate posizioni rendita: come abbiamo dimostrato con i licenziamenti per parentopoli non facciamo sconti a nessuno». La sindaca parla senza mezzi termini di «una vera e propria rivoluzione per far rinascere l’azienda»: «La soluzione sta nel rinnovamento totale, nel rilancio dell’azienda - sottolinea Raggi - Chiediamo, con forza e guardando dritti negli occhi, a cittadini e dipendenti di Atac di sostenerci in questo percorso». L’Assemblea (a maggioranza) ha votato un ordine del giorno presentato dal M5s che «impegna» la sindaca Virginia Raggi e la Giunta «a dare seguito all’indirizzo espresso dall’organo amministrativo della società», di «porre in essere tutti gli atti necessari e propedeutici al superamento della situazione di crisi d’impresa attraverso il prospettato avvio e la prosecuzione della procedura di concordato preventivo in continuità». Sì dell’aula anche all’odg presentato da Fratelli d’Italia per la creazione di una commissione d’indagine sul debito di Atac «con funzione di verifica e di controllo, che accerti in modo esaustivo effettivo impatto sui bilanci in particolare in merito ai rapporti economici con i soggetti istituzionali già menzionati».

Meleo: «Pagate liquidazioni scandalose a chi produceva debito»

L’azienda del trasporto pubblico, prosegue la Raggi, è stata usata «come un bancomat»: «Potremmo rifinanziare la società avallando l’ennesimo spreco di risorse pubbliche, senza cambiare nulla, magari a fronte di facili consensi e ritorni elettorali e invece no: abbiamo messo le mani nel disastro ereditato - dice la sindaca - Perché noi abbiamo voluto scoperchiare senza paura e una volta per tutte il rapporto malato tra il comune di Roma e Atac, tra la politica e le società partecipate che nel tempo si sono trasformate in bancomat della politica». Entra nel dettaglio, l’assessora alla Mobilità Linda Meleo: «Ci sono stati una quantità di sprechi enormi e oserei dire anche scandalosi. Vorrei farvi vedere il totale dei compensi pagati ai Cda, ai presidenti e agli amministratori di Atac dal 2010 al 2016. Io trovo vergognoso aver avuto liquidazioni pari a 1 milione e 420mila euro nel 2012 e a 1 milione e 691mila euro nel 2013 come compenso per chi gestiva un’azienda che in quegli anni ha registrato perdite pari a 150-160-200 milioni di euro». Meleo ha poi aggiunto: «Per non parlare anche dell’uso strumentale dell’azienda fatto all’epoca parentopoli: Atac è stato un bacino elettorale a tutti gli effetti, e questo ha rovinato tutta l’attività gestionale già abbastanza deficitaria che c’è stata nel corso degli anni».

Lemmetti: «Concordato manterrà solido il bilancio»

Nel corso della seduta straordinaria dell’Assemblea capitolina entra negli aspetti tecnici della questione l’assessore comunale al Bilancio, Gianni Lemmetti; «Siamo qui a rivendicare una scelta di risanamento attraverso la procedura di concordato che consente anche all’ente di fare i conti con le partite tra Roma Capitale e Atac - ha detto Lemmetti - Nel momento in cui l’amministrazione decide di iniziare un processo di risanamento ci dà la possibilità di migliorare il più possibile questo modello cercando e riuscendo a mantenere solido il bilancio di Roma Capitale». Ribatte Michela Di Biase, capogruppo del Pd in Campidoglio: «Di fatto l’amministrazione a 5 Stelle, lei sindaco, ha scelto di non scegliere. Il concordato preventivo è un tunnel di cui non sappiamo l’esito». Poi rivolgendosi all’assessore Lemmetti: «Credo nella sua buona volontà, ma l’azienda di Livorno in cui lei ha fatto il concordato preventivo aveva 300 dipendenti, Atac ne ha 12 mila, faccia lei». Per Stefano Pedica, Pd, «Raggi non si smentisce mai»: «Il concordato porterà a far chiudere altre aziende, quelle che vantano soldi dall’Atac e che non vedranno un euro grazie alla furbata di Raggi&co - aggiunge -. Nei prossimi giorni ne vedremo delle belle, sia in Consiglio comunale che da parte dei creditori, che immagino non staranno zitti».

L’iter

Prima della ratifica in giunta non dovrebbe esserci il voto dei consiglieri, con quelli M5S che restano divisi tra i pro-concordato e quelli che, seguendo le indicazioni dell’ex assessore al Bilancio Andrea Mazzillo (sotto il Marc’Aurelio insieme ai lavoratori) considerano «un salto nel vuoto» il ricorso alla procedura del diritto fallimentare che prevede l’investitura di un commissario da parte del tribunale, Ma il Consiglio comunale straordinario più volte richiesto dalle opposizioni servirà alla sindaca per parlare pubblicamente del concordato e per dettare i tempi del progetto che intende evitare il default dell’Atac, municipalizzata dei trasporti con 11700 dipendenti alle prese con un maxi debito da circa 1,4 miliardi di euro (di cui 500 milioni con il Comune).
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Tavolo Meleo-sindacati

In mattinata, mentre i sindacati si preparavano alla protesta e la diplomazia M5S era a lavoro per ricomporre la frattura interna alla maggioranza in Campidoglio, l’assessora alla Mobilità Linda Meleo, accompagnata dal delegato al Personale Antonio De Santis, ha incontrato le sigle sindacali nella sede di via Capitan Bavastro per parlare del concordato e per dare rassicurazioni sul no della giunta ai licenziamenti ipotizzati nelle scorse settimane. Sul no ai tagli è intervenuta a più riprese anche la sindaca, iniziando con questo tema anche la sua relazione: «Non ce ne saranno».
7 settembre 2017 | 11:55

Siria - gli ebrei schiumano rabbia e i loro gesti sono proporzionati alle loro scempiagini

Raid aereo israeliano contro “le armi chimiche” di Assad

7 settembre 2017 
in News



Israele ha condotto la notte scorsa l’ennesimo raid aereo in Siria, questa volta non su armi e mezzi che Gerusalemme riteneva destinati alle milizie scite libanesi Hezbollah ma contro un sito militare a nord della località di Mesyaf, tra la città di Hama (centro della Siria) e il porto di Tartous, sospettato di essere una struttura utilizzata per la produzione di armi chimiche.

Due militari sono stati uccisi e 5 feriti, hanno riferito fonti militari siriane, nell’attacco condotto a quanto sembra da quattro aerei con la Stella di David. Secondo il direttore dell’Osservatorio siriano dei diritti umani (Ondus, organizzazione con sede a Londra vicina ai ribelli anti-Assad filo occidentali), Rami Abdel Rahman, il sito colpito è conosciuto per essere utilizzato dal personale militare iraniano e dai combattenti di Hezbollah.


Il sito in questione sarebbe utilizzato anche dalle forze russe e comprenderebbe un campo di addestramento e una filiale del Centro di ricerche e studi scientifici della Siria (SSRC). Gli Usa hanno accusato il SSRC di sviluppare gas Sarin, usato secondo un rapporto dell’Onu per un attacco chimico letale su Khan Sheikhoun, lo scorso 4 aprile.

Accuse sempre respinte da Assad e basate però solo su prove poco credibili fornite dai ribelli (i qaedisti dell’ex Fronte al–Nusra che controllano Idlib). Ufficialmente la Siria ha consegnato alla Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche tutti i suoi arsenali chimici nel 2014.

Nel comunicato con cui Damasco ha confermato l’attacco da parte israeliana non viene menzionato il centro di ricerche SSRC. “Aerei israeliani alle 2:42 hanno lanciato una serie di missili dallo spazio aereo libanese, prendendo di mira una delle nostre posizioni nei pressi di Masyaf, causando danni materiali e la morte di due addetti al sito” recita la nota dello Stato Maggiore Difesa siriano. “L’esercito siriano mette in guardia dalle serie ripercussioni di tali atti d’aggressione sulla sicurezza e la stabilità della regione” ha aggiunto.

Il timore israeliano è che la Siria venga usata dall’Iran come laboratorio e fabbrica di sofisticate armi che sarebbero a quel punto anche a disposizione degli Hezbollah.

“L’Iran si sta dando da fare per trasformare la Siria in una base militare di retrovia”, ha dichiarato nell’agosto scorso il premier Benjamin Netanyahau e l’ex capo dell’intelligence militare israeliana, Amos Yadlin, con un tweet ha fatto sapere che l’attacco aereo israeliano ”non era un’operazione di routine” e che nel sito colpito si ”producono armi chimiche e barili esplosivi che hanno ucciso migliaia di civili siriani”.


Una versione che suscita perplessità poiché i cosiddetti “barili bomba” sono ordigni artigianali e in alcuni casi si sospetta siano stati caricati con cloro industriale ad alta concentrazione ceabdo così un’arma chimica artigianale con un aggressivo utilizzato da diversi contendenti in Iraq e Siria, incluso lo Stato Islamico. Nulla a che vedere però con il Sarin o altri agenti nervini.

”Questo attacco ha finalmente mostrato la posizione morale israeliana rispetto al massacro in Siria” ha aggiunto Yadlin anche se resta da capire e da dimostrare quale tipo di armi chimiche venissero prodotte nel sito colpito.

Fonti vicine all’intelligence israeliano hanno rivelato che lo SSRC “beneficia di grandi investimenti e coopera strettamente con i centri di ricerca analoghi iraniano e nord coeano”.

Benchè le autorità di Gerusalemme non abbiano voluto commentare (come di consueto) il raid a Meysaf ma il ministro israeliano della Difesa, Avigdor Lieberman, ha sferrato un duro attacco verbale contro la Siria e l’Iran, minacciando attacchi preventivi in caso di pericolo per lo Stato ebraico.

“Siamo determinati – ha dichiarato il ministro Lieberman – a impedire ai nostri nemici di minacciare, o anche solo di creare le condizioni per costituire una minaccia alla sicurezza dei cittadini di Israele. Faremo di tutto per impedire l’esistenza di un corridoio sciita” che va “da Teheran a Damasco”.

Dieci anni or sono i jet israeliani distrussero non lontano da Deir Ezzor un sito militare siriano sospettato di ospitare le infrastrutture per la produzione di plutonio impiantate da tecnici nordcoreani (molti dei quali morirono sotto le bombe) per lo sviluppo del programma nucleare segreto di Damasco.

Foto: IDF e Tv siriana

Industria Italiana Autobus - Finalmente

Il fatto
Flumeri produce e vende, il sogno Industria Italiana Autobus è finalmente realtà

Dopo i primi 4 autobus, altrettanti sono partiti in direzione Messina. E’ la prima commessa "made in Irpinia". A dispetto di quanti non credevano al miracolo che lo stabilimento potesse riaprire



I primi quattro MENARINI- VIVACITY Urbani 8,00 mt. Diesel hanno già raggiunto la città di Messina: a questi se ne sono aggiunti altrettanti in partenza dallo stabilimento di Industria Italiana Autobus. A portare a destinazione la prima commessa realizzata completamente nel sito industriale irpino ci penseranno i dipendenti di Flumeri scelti dall’azienda.

Le foto dei mezzi già pronti per la consegna erano già ampiamente circolate nei giorni precedenti alla loro partenza. Probabilmente l’azienda avrebbe preferito metterli su strada dopo la cerimonia programmata per venerdì 8 settembre, poi rinviata a data da destinarsi a causa dell’indisponibilità del Ministro Claudio De Vincenti.

Poco male, quello che importa in questo momento è che Flumeri lavora, che Flumeri produce e che Flumeri vende. Industria Italiana Autobus, con la politica dei piccoli passi, sta rispettando quanto promesso. «Il 2017 sarà l’anno della svolta»: si disse. E a dispetto di quanti non ci hanno creduto ed hanno remato contro, molto spesso per partito preso, tutto quanto preventivato si sta verificando.

Probabilmente è ancora presto per cantare vittoria e stappare bottiglie di champagne, visto che prima che tutta la forza lavoro venga reinserita dovrà trascorrere ancora qualche mese. Ma ora che l’azienda chiusa ha ripreso a lavorare risulta davvero difficile pensare che qualcosa o qualcuno possa richiudere quei cancelli. Quello che era un sogno, Industria Italiana Autobus lo ha trasformato in realtà.

Golan - gli ebrei pezzenti, prima rubano e poi pretendono per restituire

Israele: “La Siria potrebbe riavere il Golan se…”

Maurizio Blondet 7 settembre 2017 

Il quotidiano “Huffington Post” ha pubblicato un articolo in cui fa riferimento ai “disperati sforzi di Israele per rompere l’alleanza strategica che unisce la Siria all’Iran“, sforzi che però sono “falliti“. Cercando di recuperare in Siria, dove i propri errori di calcolo le sono costati caro, Israele sta bussando a ogni porta. Il quotidiano afferma che “l‘Iran svolge infatti un ruolo chiave nelle evoluzioni delle vicende siriane ed è all’Iran che il governo di Assad deve in gran parte la sua sopravvivenza“, aggiungendo poi che “anche se Israele da decenni ha fatto di tutto per tenere la Siria lontano dall’Iran, i legami di Damasco-Teheran si sono costantemente rafforzati e sono ora di natura strettamente strategica. A partire dal 1998, tutti i Primi Ministri del governo israeliano hanno offerto a Assad un accordo: restituire alla Siria le Alture del Golan (occupate illegalmente dal regime israeliano, ndt) in cambio di una sola cosa, la fine dell’alleanza strategica Damasco-Teheran. Ma i siriani non hanno mai ceduto a questa seducente offerta. Anche nel momento peggiore, quando furono costretti a lasciare il Libano“.

Il quotidiano scrive che questa offerta è stata rinnovata dopo il 2011, quando ha avuto inizio la guerra programmata contro la Siria: “Sia Riyadh che Tel Aviv hanno fatto capire ad Assad che la “rivoluzione” che voleva rovesciarlo si sarebbe “calmata” nelle settimane successive, se avesse rinunciato alla sua alleanza con Teheran. Ma i siriani hanno visto bene e fatto la scelta di campo giusta. Sei anni dopo, Assad e il suo entourage saranno felici di aver fatto la cosa giusta. Hanno scelto di preservare la loro alleanza con l’Iran e i risultati si vedono oggi: come ammettono le fonti israeliane, Assad sarà in grado di riconquistare tutto il territorio siriano nel 2018″.

Israele ha recentemente minacciato di intervenire direttamente in Siria se “l’Iran e Hezbollah” rimarranno presenti nel paese arabo. 

Siria - Monta la rabbia degli ebrei che con furia iconoclastica uccidono e distruggono, uomini, case, materiale

Elicotteri USA evacuano terroristi da Deir Ezzor prima dell’arrivo dell’esercito siriano

Maurizio Blondet 7 settembre 2017 

Sputnik ha riferito che elicotteri della US Air Force hanno esfiltrato da Deir Ezzor comandanti dell’IS ad agosto, quando è stato evidente che l’armata siriana era sul punto di rompere l’assedio dei terroristi islamisti alla città.

“La nostra fonte ha riportato che il 26 agosto elicotteri Us Air Force hanno evacuato due comandanti di campo di Daesh “di origine europea” con le loro famiglie in un’area nel nord-est di Deir Ezzor durante la notte. Due giorni dopo, elicotteri USA hanno trasferito 20 comandanti e militati a loro vicini da una zona sudorientale di Deir Ezzor alla Siria del nord.

Anche se Donald Trump ha posto fine al programma CIA di finanziamento ed armamento dei jihadisti dell’era Obama, sembra che a livello clandestino elementi dell’apparato militare USA continuino ad assistere i terroristi. Trasferiscono i comandanti più preziosi per i servizi americani “in zone sicure, onde usare la loro esperienza”, scrive Sputnik. “I militanti che perdono i loro comandanti “salvati” dagli americani, di solito tendono a cessare azioni organizzate, abbandonano le posizioni, si congiungono ad altre unità terroristiche, o scappano alla spicciolata. Ciò che alla fine contribuisce al successo delle truppe governative”.

Daesh ha assediato fin dal 2014 la guarnigione siriana a Deir Ezzor; nel settembre 2016, l’aviazione Usa bombardò quella guarnigione in evidente coordinamento e preparazione dell’avanzata di Daesh, i loro jihadisti; ma le truppe assediate, 4-5 mila uomini, hanno resistito contro ogni previsione eroicamente, rifornite dal cielo dagli aerei russi e siriani. L’operazione di liberazione è durata sei mesi, ed ha impegnato oltre all’esercito siriano corpi speciali russi, Hezbollh e iraniani.

Gli assediati di Deir Ezzor abbracciano i loro liberatori.

Questa vittoria ha gettato i comandi politici e militari di Israele, a cominciare la Netanyahu, nel panico e nella rabbia. La notte del 7 settembre, alle 2.43, aerei israeliani hanno violato lo spazio aereo siriano e lanciato missili contro posizioni regolari siriane, uccidendo vilmente due soldati della Armata Araba Siriana e distruggendo case e materiale. Israele si prepara alla guerra diretta – e lo dimostra la inaudita accusa ONU che torna ad incolpare Assad dell’attacco al sarin avvenuto l’aprile passato a Khan Sheikhun, nella provincia di Idlib. Accusa già comprovata falsa persino dalla NATO. Ma adesso ristrombazzata dai media mainstream come fosse vera, come palese giustificazione dell’aggressione israeliana prossima. Contemporaneamente, Sion ha lanciato la più grande esercitazione militare degli ultimi decenni, Light of the Grain, il cui scopo è “simulare scenari che l’esercito israeliano sarà costretto ad affrontare nel suo prossimo confronto contro Hezbollah”. Ai siriani non sarà mai concessa la pace. D opo cinque anni e mezzo milione di morti, Israele ha bisogno di devastarli ancora, altrimenti non si sente sicura.