L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 16 dicembre 2017

Più Europa più poveri grazie agli euroimbecilli di tutte le risme

IN ITALIA PIU’ POVERI CHE IN ROMANIA (GRAZIE, SINISTRI AL GOVERNO)

Maurizio Blondet 16 dicembre 2017 

Di Federico Conti

15 DICEMBRE 2017

L’Italia è il Paese che ha più poveri in Europa e rappresentano il 20% degli 80 milioni di quelli residenti nell’Unione Europea.

I dati Eurostat diffusi oggi e relativi al 2016 indicano il tasso di privazioni sociali che vedono l’Italia undicesima in questa graduatoria e segnalano la presenza di 10 milioni di persone che, da definizione , non si possono permettere almeno cinque cose necessarie per una vita dignitosa, come un pasto proteico ogni due giorni, abiti decorosi, due paia di scarpe, una settimana di vacanze all’anno e una connessione a internet.

La Penisola è undicesima tra i 28 Stati membri con un 17,2% di indigenti sul totale. Nemmeno i francesi se la passano bene, contando circa 8,4 milioni. Il poco invidiabile primato non stupisce se si pensa che, stando ai dati Istat, negli ultimi dieci anni i “poveri assoluti” – chi non è in grado di acquistare nemmeno beni e servizi essenziali – sono triplicati. Nel 2006 erano 1,66 milioni, l’anno scorso l’istituto di statistica ne ha contati 4,7 milioni. Tra cui 1,3 milioni di bambini.

Letti in quest’altro modo i numeri mostrano un’altra Europa, con l’Italia, sempre pronta a rivendicare la sua grandezze economica, a fare più fatica di tutti. Gli italiani soffrono anche più dei romeni (9,8 milioni) che pure in termini percentuali si trovano davanti a tutti quanto a privazioni.

da Oltre la Linea.

(MB: Grazie PD al governo, grazie Boldrini, grazie Europa. Come dice la Bonino, fondatrice di un nuovo movimento chiamato “Più Europa”: “Più Europa perché più Europa vuol dire più pace, più sicurezza, più diritti, più crescita, più efficienza, più cultura, più libertà”

In Italia solo i fantocci possono sostenere la candidatura della Boschi in pieno conflitto d'interesse oltre che menzognera politica

POLITICA

Per la legge degli altri Paesi dell'Unione Europea, la Boschi è in pieno conflitto di interessi su Banca Etruria

In Francia, UK e Spagna c'è conflitto quando ogni "interferenza influenza o sembra influenzare l'esercizio della funzione ministeriale"

15/12/2017 20:01
Claudio Paudice Giornalista, L'HuffPost

HUFFPOST

"Non c'è conflitto di interesse". Ridotta all'osso, è questa la linea difensiva adottata dall'ex ministra, oggi sottosegretaria, Maria Elena Boschi. Ieri il presidente uscente della Consob Giuseppe Vegas ha rivelato alla Commissione d'inchiesta che nell'aprile 2014 l'allora ministra per le Riforme gli espresse la sua "preoccupazione" per una possibile fusione tra Banca Etruria, di cui suo padre era consigliere d'amministrazione e di lì a poco ne sarebbe diventato vicepresidente, e Banca Popolare di Vicenza. È solo l'ultimo degli incontri tanto discussi (e discutibili) della Boschi sulla situazione dell'istituto amministrato da suo padre (e in cui ha lavorato anche il fratello Emanuele come responsabile cost management): a marzo 2014 i vertici di Banca Etruria si erano incontrati con presidente e ad di Veneto Banca, Flavio Trinca e Vincenzo Consoli, a casa Boschi a Laterina. C'era anche la ministra: Consoli in audizione ha confermato la sua presenza e ha dichiarato che non "proferì parola", rimase un quarto d'ora e andò via. E, ancora, la sottosegretaria, scrive Ferruccio De Bortoli in "Poteri forti (o quasi)", nel 2015 "chiese a Federico Ghizzoni (ex ad di Unicredit, ndr) di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria".

Ma, dice Boschi, il suo interessamento alle vicende di Etruria non integra un conflitto di interessi non avendo lei favorito né suo padre né la sua famiglia. Non va allora dimenticata l'assenza dell'allora ministra ai Consigli dei ministri che hanno emanato i provvedimenti più importanti sulla questione bancaria: il Salva Banche del novembre 2015 che interessò le quattro banche tra cui Etruria e la riforma delle popolari del 20 gennaio 2015. Anche questo decreto interessò direttamente la banca aretina.

In Italia il conflitto di interessi è regolato dalla legge Frattini del 2004 che paga una evidente arretratezza rispetto alle norme degli altri Paesi europei. Non a caso venne tagliata su misura di Silvio Berlusconi, indicando come sufficiente per evitare il sorgere di conflitti la mera assenza "nell'adozione dell'atto" (da quando è in vigore, non è mai stato riconosciuto né tantomeno sanzionato nessuno dei tredici casi di potenziale conflitto). Di qui, la mancata partecipazione di Boschi ai già menzionati Cdm. La Commissione di Venezia, organo tecnico del Consiglio d'Europa, ha più volte espresso pesanti critiche sulla Frattini perché non previene il conflitto di interessi ma interviene morbidamente, e solo successivamente. All'estero, era lecito aspettarselo, le norme che regolano il conflitto di interesse sono molto più severe.

In Francia viene regolato dalla legge 907 del 2013. All'articolo 2 si legge che "ai sensi della presente legge, costituisce un conflitto di interessi ogni situazione di interferenza tra un interesse pubblico e degli interessi privati tale da influenzare o sembrare influenzare l'esercizio indipendente di una funzione". E per questo intima a chi è incaricato di pubblico servizio di evitare di porsi in una posizione di conflitto di interesse. Il legislatore francese è così attento da essere intervenuto nuovamente l'anno successivo sui conflitti legati alla funzione ministeriale (decreto 2014-34). In sintesi: le funzioni di un ministro che valuta di trovarsi in un possibile conflitto di interessi vengono, per quell'ambito, attribuite al Primo ministro che le esercita. Tutt'altra storia rispetto all'Italia, dove basta non partecipare al Consiglio dei ministri.

Nel Regno Unito i vincoli per i ministri sono ancora più stringenti tant'è che il testo di legge che disciplina il conflitto di interessi ha negli anni consolidato la sua forza normativa, se non anche acquisito rilevanza materialmente costituzionale. Si tratta del Ministerial Code, la cui prima apparizione risale al 1992, già adottato nel 2001 e nel 2005 e poi modificato dal Governo Brown nel 2007, e definitivamente aggiornato nel 2010. Il provvedimento ha incorporato i Seven Principles enunciati da una commissione presieduta nel 1995 da Lord Nolan: in virtù del primo principio, a titolo d'esempio, i "detentori di cariche pubbliche devono agire solamente in nome del pubblico interesse, e non al fine di perseguire benefici economici o di altra natura per se stessi o i loro familiari o amici" (Selflessness).

Tornando al Ministerial Code, il principio generale stabilisce che "i ministri devono assicurare che nessun conflitto insorga, o sembri insorgere, tra le loro cariche pubbliche (public duties) e i loro interessi privati, finanziari o di altro genere". Poi spetta al ministro valutare come e se sanare il potenziale conflitto di interessi ma in caso di forte dubbio la questione può essere posta al vaglio del Primo ministro. Ancora: i ministri al momento della nomina comunicano al Permanent Secretary la lista dei loro interessi da cui può originare un conflitto. Interessi, beninteso, imputabili non solo al ministro ma anche ai "persone giuridiche nelle quali il ministro o suoi parenti abbiano ruoli significativi".

In altri paragrafi del Code (capitolo 7) viene ribadito il doveroso principio per cui i ministri sono tenuti a evitare l'insorgenza anche solo apparente di conflitto di interesse. Non contenti, i britannici vorrebbero estendere i requisiti di trasparenza per i titolari di incarichi di governo. L'organo che vigila sull'attuazione del Ministerial Code ha chiesto al Governo nel 2011 di modificarlo inserendo l'obbligo per i ministri di pubblicare online e ogni tre mese la lista degli incontri con soggetti portatori di interessi particolari o associazioni di categorie. Altro che cene a casa Boschi.

Infine, la Spagna: l'articolo 4 della legge 5 del 2006 definisce come conflitto di interesse qualunque intervento dei ministri su temi in cui "confluiscono interessi pubblici e interessi privati propri o di familiari, diretti o condivisi con terzi". Non solo: l'articolo 7 dispone, inoltre, che chiunque sia chiamato a ricoprire alti incarichi è obbligato a disinteressarsi dagli affari relativi a società in cui ha svolto funzioni direttive o amministrative nei due anni precedenti la nomina. Tale obbligo si estende anche nel caso in cui tali funzioni interessino "il coniuge, il convivente o altri familiari entro il secondo grado di parentela. privati propri o di familiari, diretti o condivisi con terzi".

In sintesi: per l'arretrata legge italiana, Maria Elena Boschi non sarà forse in conflitto di interessi. Per gli altri Paesi, considerati solo all'occorrenza come modelli da imitare, il conflitto di interessi è grande come una casa. O come una banca.

Il fantoccio Gentiloni manda a difendere, nel Sahel, gli interessi del neocolonialismo francese 500 militari italiani, servo dei servi

Gentiloni manda 500 militari in Niger: lotta a immigrazione e terrorismo, che rischi ci sono?


15 Dicembre 2017 - 13:16 

Nel 2018 uomini e mezzi militari italiani saranno mandati in Niger per contrastare il terrorismo e il traffico di migranti, per una missione che potrebbe essere ad alto rischio.


Via libera all’invio di 470 militari italiani e 150 mezzi in Niger. Questa è la decisione presa dal premier Paolo Gentiloni al termine del vertice parigino alla presenza di Francia, Italia e Germania oltre che dei cinque paesi Subsahariani Niger, Burkina Faso, Mali, Ciad e Mauritania.

A inizio anno quindi i nostri militari arriveranno in Niger dove, oltre ad addestrare l’esercito locale, saranno impegnati in prima linea nella lotta contro il terrorismo e il traffico di migranti. Una missione questa che però nasconde parecchie insidie.
La missione militare in Niger

Dalle parole la comunità internazionale è pronta a passare ai fatti per quanto riguarda la zona Subsahariana dell’Africa. In questo vasto territorio prevalentemente desertico infatti sono attive numerose cellule terroristiche, oltre che essere la principale via d’accesso delle rotte dei migranti verso il Mediterraneo.

Come era nell’aria da tempo, alla fine il presidente francese Emmanuel Macron è riuscito a ottenere il disco verde per una missione militare al fine di sostenere sul campo la coalizione Sahel, ultimamente molto in difficoltà per i continui attacchi terroristici ricevuti.

L’operazione sarà finanziata dall’Unione Europea per 50 milioni di euro, con gli Stati Uniti che poi dovrebbero contribuire con 60 milioni di dollari mentre Arabia Saudita e ed Emirati Arabi garantiranno in totale 130 milioni di dollari.

L’Italia quindi invierà nel 2018 470 uomini e 150 mezzi. La prima parte del contingente partirà a inizio anno e si stanzierà a Madama, nella parte settentrionale del Niger vicino al confine con la Libia.


In quello che era un vecchio fortino della Legione Straniera quindi si andrà a concentrare il grosso dei militari italiani, mentre una parte sarà dislocata nella capitale nigerina Niamey, dove avranno il compito di addestrare l’esercito locale.

Al momento sono circa 7.000 i nostri militari impegnati in missioni all’estero. Visto anche il nuovo regolamento, quello che partirà nel 2018 per il Niger dovrebbe essere il secondo contingente per numero di uomini, secondo solo a quello dislocato nel Kosovo.

Se a Niamey i nostri uomini avranno soprattutto funzioni di addestramento, ben diversa sarà la situazione per quelli stanziati a Madama. Il loro compito infatti sarà quello di combattere le varie cellule terroristiche che operano nella zona e, al tempo stesso, cercare di smantellare le organizzazioni criminali che hanno in mano le redini del traffico dei migranti.
Missione rischiosa?

Ogni missione militare, a prescindere dalla propria natura, presenta sempre una componente di rischio. Quella che partirà nel 2018 in Niger però potrebbe nascondere insidie pari a quelle in atto in Iraq e Afghanistan.

Tutta la zona Subsahariana infatti è infestata da cellule terroristiche legate all’Isis e ad Al Quaeda. Dopo il collasso dello Stato Islamico in Medio Oriente, i jihadisti starebbero ora puntando sul continente africano per cercare di riorganizzarsi e creare un nuovo califfato.

Lo scorso ottobre sono morti 3 militari statunitensi proprio in Niger, uccisi in un agguato mentre erano impegnati in una operazione di pattugliamento insieme all’esercito regolare locale. Molti altri invece sarebbero gli attentati ai danni della popolazione civile anche negli altri paesi Subsahariani.

Una sorta di guerra silenziosa questa ma molto cruenta. Oltre al contingente americano, la Francia al momento è presente con 3.500 militari che però dovrebbero aumentare a 5.000. A questi quindi si andranno ad aggiungere anche i nostri uomini.

Oltre alla lotta al terrorismo sarà poi delicato anche il contrasto alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di vite umane. Soltanto nel 2016, si calcola che sarebbero stati almeno 300.000 i migranti che avrebbero attraversato il Sahara per giungere in Libia.

L’avamposto di Madama quindi è situato in una posizione geografica strategica per il contrasto di queste rotte. L’operazione però non sarà facile visto che intere comunità locali vivono essenzialmente del business dell’immigrazione.

In più non mancheranno anche le difficoltà logistiche, visto che Madama si trova nel bel mezzo del deserto con temperature che possono raggiungere anche i 50 gradi. L’intera missione in Niger quindi si annuncia essere strategica per la lotta al terrorismo e all’immigrazione clandestina, ma al tempo stesso i rischi sembrerebbero essere alti.

Mauro Bottarelli - la Boschi zombi - Il punto di contatto tra la Banca Etruria e Banca popolare di Vicenza è la lavorazione dell'oro. Brunetta conferma l'accordo di ferro tra lo zombi Berlusconi, fatto risorgere forzatamente dai mass media e lo zombi Renzi.

SPY FINANZA/ Il rischio "cavallo di Troia" per le banche italiane

Quanto sta avvenendo intorno alle banche italiane, dal caos della commissione d'inchiesta all'addendum sugli Npl, fa sorgere un sospetto. MAURO BOTTARELLI

16 DICEMBRE 2017 MAURO BOTTARELLI

La commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche (Lapresse)

Quello di oggi è uno spillo. Niente dati, grafici, percentuali. Solo alcune prese d'atto. E un dubbio. Poche righe. Perché di fronte a certi spettacoli poco edificanti non servono fiumi di parole. Primo, fu il governo Renzi a lasciare carta bianca a Bankitalia per scrivere la riforma della banche popolari, forse sperando in un favore in cambio più avanti. Maria Elena Boschi dovrebbe dimettersi per una questione molto semplice, da tutti sottovalutata: nelle parole di Vegas, la maggiore preoccupazione legata alla potenziale aggregazione fra Popolare di Vicenza ed Etruria era il conflitto di interessi fra la principale attività economico-manifatturiera di entrambe i territori: l'azienda orafa

Ora, se è sacrosanto che un deputato o un senatore si interessino e tutelino il loro territorio, non lo è per un ministro. Oltretutto non del Tesoro ma delle Riforme istituzionali all'epoca, quindi senza alcuna prerogativa ministeriale sul sistema bancario. Tutti, Vegas in testa, negano pressioni della Boschi a favore di Etruria: non importa, il fatto stesso che un ministro incontri il capo della Consob, la cui nomina è appunto governativa, si traduce di fatto in pressione. Oltretutto, con uno di questi incontri che si è svolto fuori sede per la Boschi, ovvero a Milano: se si è recata apposta da Roma al capoluogo lombardo significa che l'argomento lo ha trattato in prima persona. Senza averne prerogative, se non quella dell'interesse personale o per conto terzi del padre: questo è innegabile. 

Come appare innegabile che Vegas avrebbe potuto parlare prima e non l'ultimo giorno a capo della Consob, ruolo al quale assurse in quota centrodestra, come non è mistero per nessuno: strumentalità? Certo, ma ciò non toglie che il conflitto d'interessi c'è stato. Matteo Renzi dice che fu il suo governo a commissariare le banche in questione, quindi appare risibile l'accusa di chi parla di un tutela del ruolo e della persona del padre della Boschi. Vero, ma il decreto nasce in automatico da un'iniziativa di Bankitalia, già avvenuta in passato e verso cui nessun esecutivo mai osò dire di no: siamo di fronte alla prassi, non a un atto di rottura o coraggio di cui farsi vanto. O, peggio, scudo. 

La Commissione d'inchiesta sul sistema bancario, tramutatasi in ciò che vi dicevo un paio di settimane fa, a questo punto è destinata ad assumere un ruolo paradossale: avrebbe dovuto, per statuto, cercare la verità e dare risposte e, invece, lascerà soltanto domande, veleni e fango. Perché tempo dieci giorni chiuderà i battenti, lasciando sul campo di battaglia della campagna elettorale mine antiuomo sparse ovunque. Non è stata una scelta casuale, perché ormai nessuno più si aspettava la sua istituzione a legislatura in dirittura d'arrivo: chi ha spinto per questa tardiva attivazione non voleva la verità, voleva creare caos. Di più, se c'era ancora bisogno di conferme della volontà di un Nazareno 2.0, al netto dei giuramenti e degli spergiuri ai riguardo dei due protagonisti, andate e risentirvi la tiepidezza della reazione di Renato Brunetta alle dichiarazioni di Vegas: solitamente sempre un petardo, giovedì era una miccia con le polveri bagnatissime nei confronti dell'ipotesi di dimissioni della Boschi, invocate da tutte le altre forze di opposizione. Opposizione, appunto. Chi uscirà vincente da questo scontro? Difficile dirlo oggi, certamente sarà più facile la settimana prossima, quando saranno sentiti a Palazzo San Macuto tre calibri come Visco, Ghizzoni e Padoan. 

Fin qui, le prese d'atto. Ora, il dubbio. Al netto degli stracci politici e finanziari, il Nord Est non ha più banche di riferimento, banche del territorio. Certo, far credito come lo faceva lo smemorato Zonin era una iattura, ma era proprio necessario smantellare una rete di supporto all'area più dinamica economicamente del Paese, oltretutto in un momento in cui l'export sta trainando un minimo di ripresa? Già, perché occorre ricordare il prezzo di saldo a cui quelle banche sono state comprate da Intesa, di fatto una delle più grandi speculazioni di sempre, visto che la tempistica di documentazione e accountability dell'acquisizione parlano di una scelta preordinata e nota. E ancora di più, giova ricordare che i truffati dalle banche venete, al danno dei soldi persi devono sommare anche la beffa di essere pressoché tutti segnalati in centrale rischi bancari di Intesa, quindi per ottenere anche solo un prestito di 10mila euro devono portare in garanzia anche le lapidi dei loro defunti di famiglia: e come si ammodernano i capannoni senza soldi? E i macchinari? E i fornitori? Insomma, come si sta sul mercato, senza credito? 

Queste sono Pmi, non aziende che possono godere del canale di finanziamento non bancario della Bce attraverso le emissioni obbligazionarie, senza la banca del territorio che eroga denaro, sono morte. Forse, però, a qualcuno fa comodo che il motore economico della possibile, minima ripresa italiana sia azzoppato. Tanto più che, quasi in contemporanea perfetta con l'insediamento della Commissione sul sistema bancario, la Bce decideva di lanciare lo spauracchio dell'addendum sugli Npl; mandando subito in difficoltà una delle banche del territorio resistita all'Attila romano-europeo degli accorpamenti, ovvero dello shopping a prezzo di saldo per i grandi gruppi, il Credito Valtellinese. Non è che tutto questo can can somigli molto a un altro 2011, quando qualcuno all'interno del governo Berlusconi operò da cavallo di Troia per giungere all'arrivo dei tecnici? Non è che qualcuno, con la scusa della Boschi e compagnia bella, vuole accelerare il processo di ridimensionamento e accorpamento del sistema bancario italiano, magari facilitando ulteriori penetrazioni estere in territori particolarmente allettanti? Magari dei francesi?

Quando l'argomentazione è il sessismo significa che il puzzo maleodorante ha invaso ogni angolo della mente e che non si hanno più argomenti

[Il retroscena] La Boschi, lo scandalo banche, l’accusa di mentire e lo scontro con Travaglio in tv: “Hai fatto soldi con un’attrice mezza nuda che dovrebbe assomigliarmi”

La difesa di Maria Elena: “Contro di me sessismo, odio politico e accanimento. Non ho mentito e non mi dimetto”. Un nuovo “caso” Boschi-Etruria dopo le parole di Vegas (Consob). “Mi sono interessata della banca ma sempre nell’ambito del mio ruolo istituzionale”. E su Vegas: “Mi invitò da lui alle otto del mattino”. Ma il sottosegretario rischia, suo malgrado, di diventare un peso per il Pd

Maria Elena Boschi

15 dicembre 2017

La crisi si apre intorno alle 14 a palazzo San Macuto, a Roma, dove la Commissione banche sta sentendo Giuseppe Vegas:il numero uno della Consob in scadenza proprio in questi giorni, uomo di Forza Italia e nominato da Berlusconi nel 2010 alla guida dell’Autorità di controllo della borsa, racconta di almeno “due o tre incontri con il ministro Boschi in cui lei le parlò della crisi e delle prospettive di banca Etruria”. 

Si chiude a sera, tra le 21 e le 22, in tre tempi. Prima a Bruxelles dove lo staff del premier Gentiloni fa sapere che “il sottosegretario Boschi ha chiarito tutto” e quindi è infondato continuare a chiederne le dimissioni. Negli stessi minuti nel salotto di “Otto e mezzo” la sottosegretaria affronta in un duello ben arbitrato da Lilli Gruber il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio e alla fine nella testa del pubblico resta una giovane donna che difende la sua verità dei fatti contro una caccia all’uomo che a tratti assomiglia ad un linciaggio condito da abbondanti tracce di sessismo. Il terzo tempo scatta sempre in tv, sempre su La 7, a “Piazza pulita”. Corrado Formigli ha come ospite Matteo Renzi e il segretario del Pd taglia corto: “L’incontro tra Boschi e Vegas è più che legittimo. Resto ogni giorno sempre più stupefatto per come il tema Banca Etruria sia un’arma di distrazione di massa. In questi anni nelle banche ci sono state ruberie, furti e ladrocini ad ogni livello, acquisizioni che gridano vendetta e prestiti a chi non ne aveva titolo. Un sistema che ha fatto acqua da tutte le parti. Eppure da due anni si parla sempre e solo di Banca Etruria”. 

In otto ore è successo di tutto e all’inizio è stata abbastanza forte la sensazione che la situazione potesse precipitare. Boschi ha reagito subito con due mosse: ha postato su Facebook il link audio con l’intervento del 18 dicembre 2015 chiedendo a tutti di “trovare il passaggio preciso” in cui l’allora ministro (sotto scacco di un’interrogazione parlamentare che le chiedeva conto, con le dimissioni, di un possibile conflitto di interessi) avrebbe mentito; ha chiesto e ottenuto di andare in tv per un faccia a faccia con il n°1 dei suoi inquisitori, Marco Travaglio. La crisi è rientrata. Ma la sensazione è che ormai non basti più la verità dei fatti e che in campagna elettorale Maria Elena Boschi potrebbe diventare il problema del Pd. Suo malgrado e nonostante tutti i chiarimenti e le evidenze, un punto debole facilmente attaccabile alla bisogna. 

Liberi e Uguali: agguato o coincidenza?

L’audizione di Vegas è iniziata alle 14 ed è proseguita col passo lungo dell’analisi d’insieme: “L’incidenza dei deteriorati sul totale dei crediti che tra il 2011 e il 2015 cresce dal 12 al 18% mentre in Germania e in Francia era al 3-4%”; “l’arrivo del bail in che ha introdotto elementi distorsivi nel nostro sistema bancario per cui dal giorno alla sera i prodotti a basso rischio sono diventati ad alto rischio”; e via di questo passo. Massimi sistemi finanziari. Dopo una ventina di minuti è arrivata la domanda di Zoggia, senatore di Liberi e Uguali: “Ha mai parlato delle banche in crisi con qualche esponente del governo?”,. La risposta di Vegas è stata sorprendente: “Mi aspettavo questa domanda, può essere più preciso?”. E quindi, se oltre al ministro Padoan e ai normali rapporti istituzionali con palazzo Chigi, avesse mai parlato di Etruria con membri del governo. Vegas non ha avuto bisogno di schiarirsi le idee. La domanda, infatti, se l’aspettava. “Ho avuto modo di parlare con l'allora ministro Boschi, espresse un quadro di preoccupazione perchè a suo avviso c'era la possibilità che Etruria venisse incorporata dalla Popolare di Vicenza e questo sarebbe stato dannoso per la principale industria di Arezzo, la lavorazione dell’oro”. Gli incontri tra i due sono stati “almeno tre, tra Roma e Milano e tra aprile e maggio 2014”. Mai però c’è stata una pressione, solo l’esposizione dei fatti.“Il ministro Boschi – ha spiegato Vegas - mi ha illustrato una situazione che riteneva inadeguata rispetto al possibile matrimonio di Etruria con la Popolare di Vicenza, ma non mi ha chiesto nessun intervento, nè avrebbe potuto chiedermelo perché Consob non si occupa di fusioni. Sono stati incontri generici”. Una di queste volte “mi spiegò anche che il padre sarebbe diventato vice presidente di Banca Etruria”. Mentre in Commissione si alzava la tensione, nonostante Vegas abbia detto e ripetuto che quel tipo di incontri era cosa “normalissima” perché un parlamentare “si interessa della sua costitutency (collegio elettorale, ndr)”, Speranza, Di Maio e Di Battista hanno iniziato subito la pioggia di tweet: “bugiarda”, “hai mentito ai risparmiatori, al Paese e al parlamento”, “dimettiti”, “Boschi come Mario Chiesa” è arrivato a dire Di Maio. 

Quanti incontri e dove?

Da quel momento il tema della crisi del sistema bancario è improvvisamente scomparso dall’aula della Commisione, sostituito da quante volte e perché Boschi avesse incontrato Vegas. E’ il tormentone da almeno due anni: le opposizioni hanno sempre accusato Boschi di essere in conflitto di interessi (lei ministro, padre vicepresidente, fratello ex impiegato, un portafoglio titoli di circa 10mila euro) e lei si difese nella famosa seduta del 18 novembre 2015 dicendo e spiegando perché era tutto falso. Aggiungendo che “mai aveva fatto o creato condizioni di favore al padre o alla banca”. Franco Vazio (Pd) ha insistito con Vegas sulla tipologia degli incontri. Soprattutto su un punto: “Lei ha mai chiesto a Boschi un incontro ma non in Consob?”. Vegas è stato vago, “una volta l’ha chiesto lei, una volta io, una volta siamo stati a colazione insieme, una volta venne a cena a casa mia ma c’erano anche altre persone… per il resto, non ricordo”. La memoria gliela fa tornare più tardi la Boschi quando alla Gruber rivelerà: “Vegas mi invitò una volta a casa sua, alle otto del mattino. Ovviamente dissi no grazie. Per essere più precisa, posso dire che era il 29 maggio, ho un sms”.

Lo stenografico

Vegas ha parlato in Commissione per circa sei ore. Non solo di Boschi. Mentre i lavori erano ancora in corso il Pd ha fatto subito quadrato con la sottosegretaria. Bonifazi, Orfini, Esposito, Marcucci hanno iniziato via social a chiedere a Speranza, Di Battista e soci “in quale punto esattamente l’ex ministro avrebbe mentito”. Boschi ha fatto prima: ha copiato il link audio della seduta del 18 dicembre 2015 e l’ha messo su Facebook. “Adesso basta - ha scritto a metà pomeriggio – non ho mentito e qui c’è la prova”. 

A questo punto occorre essere precisi. A maggio, quando De Bortoli nel suo libro scrisse che Boschi aveva chiesto all’allora ad di Unicredit Federico Ghizzoni Unicredit di “valutare la possibilità di acquisire Etruria”, Boschi smentì categoricamente tanto che da qualche giorno è partita la causa civile nei confronti dell’ex direttore del Corsera. “Non l’ho mai fatto” ha sempre detto e ripetuto. Ieri emerge che questa richiesta è stata fatta a Vegas. 

Già in quella occasione, la sottosegretaria fu accusata di aver mentito rispetto a quanto detto in Parlamento. Ma lo stenografico della seduta del 18 dicembre 2015, ieri diffuso, recita: “Mi si dica e mi si dimostri che io (Boschi, ndr) ho in qualche modo favorito la mia famiglia e non aspetterò nemmeno l’esito del voto (per dimettersi, ndr)”.

Ora, il punto è esattamente questo: l’eventuale bugia riguarda i presunti favori alla famiglia (che non ci sono stati) o il fatto che Boschi si è occupata e interessata dei destini della banca? A maggio lei fece capire di non essersene mai interessata. Ieri Vegas ha raccontato il contrario aggiungendo che “non c’è stata alcuna pressione, solo cose generiche e del tutto normali per un deputato rispetto alla banca del proprio territorio”. Boschi ha confermato quel generico interessamento. Se lo ha fatto con Vegas, potrebbe averlo fatto anche con Ghizzoni. Lo scopriremo il 20 quando l’ex ad di Unicredit sarà sentito in Commissione. Ma quella sarebbe da considerare, eventualmente, una bugia? Una cosa è certa: se in Parlamento nel 2015 o a maggio scorso la sottosegretaria avesse detto che in qualità di ministro con più deleghe si era interessata dei destini, di fusioni o di possibili acquirenti della banca del suo territorio che stava andando in rovina, oggi non saremmo qui ad occuparci di questo che non è né un conflitto di interessi né un reato. Ma delle fregature subite dai risparmiatori. 

Il confronto tv

“Non mi dimetto, non sono attaccata alla poltrona ma a alla verità e la verità dice che non ho mentito e non ha fatto favori alla mia famiglia”. Volto teso, blusa verde, Maria Elena Boschi ha provato in serata a riemergere dalla bufera. Difficile dire chi abbia vinto o perso. E’ una battaglia, durerà ancora a lungo, tutta la campagna elettorale purtroppo. Lei in studio, Travaglio in collegamento, Gruber arbitro attento, i duellanti se ne sono date di santa ragione. Boschi ha tenuto il punto sul fatto che non ha mai fatto “favori alla famiglia”, prova ne è che la banca è stata commissariata e tutto il cda è stato mandato via, “chi ha sbagliato pagherà senza sconti”. E’ convinta di “non aver sbagliato e di non aver mai ecceduto rispetto al mio ruolo istituzionale”. Quando Travaglio le ha chiesto perché non disse in Parlamento dei colloqui con Ghizzoni e Vegas, la risposta è stata: “In Parlamento dovevo rispondere ad una mozione in cui mi si accusava di aver fatto favori. Su quello ho risposto”. 

Ma la carta che ha giocato Boschi è stata quella del sessismo. Al direttore de Il Fatto che l’accusava in malo modo di “aver incontrato le authority indipendenti” e per ciò stesso “di aver esercitato pressioni e interferenze indebite”, la sottosegretario ha risposto allargando il campo. “Se fossi un uomo non mi tratterebbe così, lei trasforma l’odio verso di me in battaglia politica e questo non è giusto e non lo accetto. L’unica cosa che conta è se io ho fatto favori, quali, quanti e a chi…Ed è mai possibile che tutto il dissesto del sistema bancario italiano sia ricondotto a me e a banca Etruria?. C’è qualcosa che non torna… ”. Dopo uno scambio vicendevole “basta balle”, Boschi ha anche ricordato, a dimostrazione di uno strisciante sessismo, come “lei Travaglio ha fatto i soldi girando per teatri con una ragazza mezza nuda, che dovrei essere io, e che mi scimmiotta sulla riforma costituzionale…”.

“Sessismo”, “odio politico”, “inconsistenza delle accuse”, “accanimento”, vie legali contro chiunque la offenda (ieri Travaglio e Di Maio): sono stati, e saranno, i pilastri dello schema di attacco e difesa dei prossimi giorni e mesi. 

Coraggiosa, lucida, Boschi ha saputo reagire con freddezza anche all’ultimo colpo basso di Travaglio che, in chiusura, le ha voluto ricordare le parole che nel 2013 lei stessa riservò all’allora ministro Cancelleri invitandola a dimettersi (si era interessata ai destini giudiziari di Giulia Ligresti, amica di famiglia). “Ma contro di me ci sono solo bugie e non è giusto lasciare per questo” ha ripetuto. Lei, quindi, non molla. Ma il nodo Etruria-Boschi rischia di fare male al Pd.

Avanti tutta, finalmente gli zombi Renzi e Boschi affosseranno sempre di più il corrotto euroimbecille Pd

POLITICA

Il grande imbarazzo intorno alla Boschi

Delrio, Minniti, Franceschini... Nessuno dei big del Pd parla in soccorso dell'ex ministra. I timori e l'insofferenza dei parlamentari. Gelo con Lotti

15/12/2017 20:16 
Alessandro De AngelisVicedirettore, L'Huffpost

SIMONA GRANATI - CORBIS VIA GETTY IMAGES
ROME, ITALY - SEPTEMBER 29: Maria Elena Boschi participates in the National Family Conference, on September 29, 2017 in Rome, Italy. Second day of the Third National Family Conference at the Campidoglio.(Photo by Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images)

L'insofferenza trafigge il cuore del renzismo. Luca Lotti, racconta più di un parlamentare che ha parlato con lui, è "avvelenato": sin dall'inizio aveva suggerito di stare alla larga dalla questione banche, di parlarne il meno possibile, evitando la commissione d'inchiesta che si sarebbe trasformata, inevitabilmente, in una "commissione Boschi". Graziano Delrio tace in pubblico anche lui, così come i parlamentari della sua corrente: "La situazione – dice uno di loro – è catastrofica. Con questo stillicidio rischiamo di andare sotto il 20, e non c'è modo di cambiare linea".

Venerdì di passione. Piove a Roma. E le prove del "conflitto di interessi" di Maria Elena Boschi cadono come gocce. Ieri Vegas. Oggi è il giorno di Vincenzo Consoli, ex ad di Veneto Banca che, in commissione, mette a verbale il racconto dell'incontro con papà Boschi nella villa di Laterina, al quale partecipò la ministra, fresca di nomina. Tema della riunione: come resistere, con l'appoggio del nuovo governo, alle richieste di Bankitalia a Etruria e a Veneto banca, di trovarsi un istituto più grande che le salvasse. Un interessamento che proseguirà nei mesi successivi. Il Fatto ha pubblicato un paio di intercettazioni sempre che riguardano Consoli, di cui una con Boschi senior che gli promette: "Domani ne parlo con mia figlia e ci si sente in serata". E la prossima settimana in commissione saranno ascoltati il governatore Ignazio Visco e l'ex ad di Unicredit Federico Ghizzoni, al quale secondo quanto scritto da Ferruccio De Bortoli, la Boschi avrebbe chiesto di valutare una possibile acquisizione di Etruria.

Attorno al quadro devastante, si registra il grande silenzio dei big, sinonimo di imbarazzo, fastidio, malcelata insofferenza. Diversamente da quando il caso esplose, ai tempi della baldanzosa onnipotenza del renzismo di governo, si contano sulle dita della mano le dichiarazioni di solidarietà. Pochi cinguettii su twitter, batterie di dichiarazioni solo delle seconde file. Incessante il passaparola tra gli inquieti parlamentari: "Avanti così è un suicidio". In parecchi sono andati a parlare con Dario Franceschini e Marco Minniti. Due settimane erano sul palco della Leopolda, per far vedere che il partito è unito: "La situazione è drammatica – il ragionamento di entrambi – ma c'è poco da fare". C'è poco da fare perché "Matteo" e "Maria Elena" sono convinti che questa linea paghi: "Noi – dice il segretario del Pd – non scappiamo dal problema. Il male che ci potevano fare ce l'hanno fatto e poiché siamo nel giusto, andiamo avanti. La verità emergerà".

È granitico in questa convinzione, sordo alle voci che arrivano anche dal cuore del giglio magico sull'opportunità di "nascondere la Boschi" in campagna elettorale perché, a torto o a ragione, danneggia la causa: volto del conflitto di interesse bancario e di un potere che incrocia dimensione pubblica e familiare, è diventata, al tempo stesso, patinata immagine di un potere che rinuncia alla sobrietà, ma non alla passerella all'Opera e alla Scala, nella narcisistica convinzione di poter sedurre l'Italia con un fascinoso abito di Armani: "Ma non si rende conto che, in questo clima, il paese la odia? E fa le passerelle" è una frase sussurrata non dagli oppositori, ma proprio nella cerchia dei parlamentari del Pd di fede lottiana.

Da tempo tra il ministro dello Sport e la Boschi è sceso il grande freddo, anche se, ogni volta che trapela, arrivano smentite di circostanza come accaduto alla Leopolda quando Renzi chiese a entrambi di twittare una foto assieme. Divergenze che riguardano liste, gestione del territorio, dove ognuno ha la sua corrente, e soprattutto banche. Lotti è considerato il più lucido sulla vicenda dal grosso del Pd: si disse contrario alla commissione d'inchiesta, supportando la posizione del capogruppo Luigi Zanda al Senato e ora suggerisce più prudenza, consapevole di muoversi su un campo minato all'interno del giglio magico dove prevale la linea aggressiva Boschi-Bonifazi. Quella del "risponderemo colpo su colpo", "non scappiamo" dalle banche e nemmeno dai collegi in Toscana. Nel day after della performance tv, giudicata un boomerang dai taciturni big del Pd, la sottosegretaria alla presidenza è soddisfatta, quasi gasata dall'essere tornata in prima linea sotto i riflettori. Però è molto indicativo che, fuori dal bunker, è stata costretta a rinunciare al ruolo di "regista", tra governo e Parlamento sulla finanziaria, dopo un anno in cui ogni provvedimento è passato sulla sua scrivania e corretto con matita rosso e blu. Il vero collante è Anna Finocchiaro che ha l'autorevolezza per poter dire "questo sì e questo no", senza rischiare una contestazione del ruolo da parte degli inquieti parlamentari. In questo caso è stata nascosta.

venerdì 15 dicembre 2017

Mauro Bottarelli - 18 miliardi di euro possono non risultare in bilancio, basta decidere in tal senso e in questo modo si può fare con i debiti di stato MA non lo vogliono fare perchè è uno strumento per tenere i popoli sotto ricatto e non dargli il tempo di pensare. La Boschi è una zombi per questo è diventata invisibile, non spendere più il tempo su di lei

SPY FINANZA/ Il filo rosso che unisce Boschi e Draghi

Viviamo in un mondo di bugie, quando si tratta di banche, centrali o meno. Ne è convinto MAURO BOTTARELLI dopo quanto successo ieri tra Bce e Commissione banche

15 DICEMBRE 2017 MAURO BOTTARELLI

Maria Elena Boschi (Lapresse)

Ho diligentemente seguito fino in fondo la conferenza stampa di Mario Draghi alla fine del board della Bce. Non per interesse, ormai sono scontate come un paio di doposci nel mese di agosto, ma perché volevo vedere se SuperMario avrebbe parlato della questione Steinhoff, il conglomerato retail di cui l'Eurotower ha acquistato in abbondanza un bond a scadenza 2025, letteralmente crollato la settimana scorsa sulla pressoché certezza che l'azienda stia andando a zampe all'aria. Dopo il downgrade di Moody's, oltretutto, anche statutariamente Francoforte non potrebbe tenere a bilancio quella carta. Ma nemmeno venderla, perché - sempre da regolamento - il Qe prevede solo acquisti, non vendite. Inoltre, sono altre 26 le aziende nelle condizioni di Steinhoff, le cui obbligazioni giacciono nella pancia dell'Eurotower in stato di avanzata decomposizione. Il conto potenziale? Qualcosa come 18 miliardi di euro, da ripartire fra Bce e banche creditrici. 

A vostro modo di vedere, Draghi ha detto qualcosa al riguardo? Zero. E qualche giornalista ha avuto l'ardire di porre una domanda sulla vicenda? Zero. Cosa devo dirvi, quindi? Che i tassi sono rimasti fermi? Lo sapevano anche i bambini, fin dalle mosse di ottobre. Che il Qe prosegue e che, se sarà necessario, aumenterà di volume di acquisti e di arco temporale? Lo dicono da almeno otto mesi. Che lo stesso Qe scenderà però da 40 a 30 miliardi, dal prossimo gennaio al termine temporale di settembre? È una vita che vi dico che stanno scarseggiando i Bund disponibili all'acquisto, quindi o abbassi il controvalore di acquisti o tagli la tempistica: e siccome la seconda ipotesi avrebbe portato con sé tremori reali, più che altro per il sentiment che avrebbe pervaso i mercati rispetto alla vera criticità, cioè la fine degli acquisti proprio di bond corporate, ovviamente si è scelto la prima. 

Trovate poi interessante l'aumento delle stime di Pil e inflazione dell'Eurozona comunicato sempre ieri, un qualcosa che appare matematico se si intende far passare la narrativa del Qe che prosegue ma con minore magnitudo di acquisti? Signori, al contrario dell'Immobildream, questi vendono sogni, non solide realtà. Balle, garantite da un'unica cosa: il timore generalizzato che tiene tutti gli investitori fermi, paralizzati al tavolo da gioco. Si continua a far funzionare il casinò, ma con la certezza che, prima o poi, la musica cesserà. E lo farà di colpo. 

Non a caso, consci che la Bce avrebbe continuato a vendere lo story-telling del Qe pressoché permanente - almeno nelle intenzioni -, mercoledì sia la Fed che, soprattutto, la Banca centrale cinese hanno alzato i tassi, quasi a voler dimostrare al mondo che tutto va benissimo, che l'economia scoppia di salute, che si può normalizzare senza problemi di tremori. Tanto, soprattutto, le aziende statunitensi o extra-UE con grande operatività negli Usa, si finanziano in Europa attraverso le sussidiarie, attaccati come vitellini appena nati al seno della Bce. Finché dura, però. Certo, non sarà magari il bond Steinhoff a far saltare il banco, magari quel soprannome di Enron 2.0 che gli hanno già affibbiato è eccessivo, ma è un sintomo: come lo sono il silenzio di Draghi e quello, ancor più triste, della stampa. 

Perché purtroppo, ormai siamo di fronte alla necessità del dogma di infallibilità delle Banche centrali, una religione laica che ossessivamente ripete i suoi mantra, spacciandoli per verità: se salta quel Rubicone, quello della credibilità ormai d'ufficio, salta tutto. Guardate questo grafico, ci mostra le prospettive di congelamento degli investimenti infrastrutturali cinesi, una frenata rapidissima e senza precedenti prevista per l'anno prossimo. A fronte di questo, la Pboc mercoledì ha alzato i tassi. 


Credibile? E vogliamo parlare del migliore proxy in assoluto per lo stato di salute del commercio mondiale, ovvero lo shipping, le spedizioni? Eccolo nel grafico più sotto: intravedete per caso la famosa "ripresa globale sincronizzata" di cui parlano i banchieri centrali? Sono solo bugie, lo sanno tutti, ma tutti sono costretti a crederci. Alcuni, addirittura, ben contenti di farlo. Cercate dati indipendenti, se volete capire lo stato reale dell'economia: cerimonie laiche con le conferenze stampa post-board di Draghi sono vere quanto i soldi del Monopoli, fidatevi di me. E della realtà che avete davanti agli occhi, ogni giorno. Perché se la Bce o Fed o la Bank of China ci danno quadri macro di cui difficilmente si colgono le contraddizioni a colpo d'occhio, lo stato di salute delle varie economie reali li si coglie andando al supermarket o in banca, non serve un master in una università della Ivy League americana. 


Come, purtroppo, non serve un genio per capire cosa sia successo davvero con le famose quattro banche salvate dal governo Renzi. Perché si sa, la vendetta è un piatto che si gusta meglio freddo. E Giuseppe Vegas, Presidente della Consob, deve averle messe davvero nel congelatore le parole che ha sparato come una sventagliata di mitra ieri durante l'audizione in Commissione d'inchiesta sul segreto bancario, di fatto molto più devastanti per la residua credibilità personale e politica di Maria Elena Boschi delle dichiarazioni di Federico Ghizzoni riportate nel famoso passaggio contenuto all'interno del libro di Ferruccio De Bortoli. Eccole, tutte riferite all'affaire Banca Etruria: «Ho avuto modo di parlare della questione con l'allora ministro Boschi, che espresse un quadro di preoccupazione perché a suo avviso c'era la possibilità che Etruria venisse incorporata dalla Popolare di Vicenza e questo era di nocumento per la principale industria di Arezzo che è l'oro. Io le risposi che Consob non era competente sulle scelte di aggregazione delle banche. In quell'occasione fu la ministra che chiese di vedermi e venne a Milano. Boschi mi disse in un'altra occasione che suo padre sarebbe diventato vice presidente». Bugie, quindi, anche qui. Oltretutto, riferite in Parlamento. 

Viviamo in un mondo di bugie, quando si tratta di banche, centrali o meno. Per il semplice fatto che quando tutto diventa finanza, speculazione, potere e non credito e risparmio, tutto si tramuta obbligatoriamente in menzogna. Ora, però, almeno la Boschi vada a casa: perché se si è dimesso chi aveva guai per la destinazione d'uso di un box o per l'orologio regalato al figlio per la laurea, chi ha mentito su una questione simile non merita nemmeno più di vedere come sia fatto il Parlamento in fotografia. Altrimenti, diciamoci chiaro che viviamo in un mondo che giudica in base ai cognomi e ai nomi, siano essi Boschi e Bce, per valutare quali bugie siano o meno spacciabili al popolo bue e chiudiamola qui. Senza nemmeno imporci il disturbo farsesco e offensivo di farci passare per le urne, una volta ogni tanto.

Radicali, tanti diritti civili e nessun diritto sociale

PIANGONO DI GIOIA PERCHE’ HANNO LEGALIZZATO LA MORTE

Maurizio Blondet 15 dicembre 2017 

E’ passata la legge sull’eutanasia. Emma Bonino e gli altri radicali nelle tribune al Senato piangono di gioia: hanno adempiuto alla loro missione, dare la morte all’inizio, dare la morte alla fine della vita.

Naturalmente gli italiani sono a grande maggioranza a favore, e non s’accorgono di quanto sia aberrante questa scena di lacrime fanatiche e anti-umane. Gli Italiani, al 70 per cento, “vogliono” l’eutanasia. Si sono ormai perfettamente adeguati alla condizione di esseri puramente zoologici, da eliminare quando il loro mantenimento costa più di quanto rende.

Naturalmente, le bestie non riescono nemmeno a immaginarsi le conseguenze di questa “conquista” sulle loro proprie vite.

Ancor meno riescono a capire di quali poteri satanici loro, e i radicali, stanno facendo il gioco.

Un’occhiata sul loro futuro possono averla da questa notizia che viene da San Francisco.

Una organizzazione che si batte contro la crudeltà verso gli animali”, la SPCA (Society for the Prevention of Cruelty to Animals ) nel Mission District ha cominciato ad utilizzare robot-poliziotti per ripulire le strade attorno al suo edificio di esseri umani: senzatetto di una grossa tendopoli che “lasciano aghi, spaccano automobili, delinquono” e minacciano la sicurezza del loro personale, per non parlare della sporcizia.

Perché usare robot per cacciar via uomini? Perché, spiegano alla SPCA, costano meno: affittare un robot costa 7 $ l’ora, ossia 3 $ in meno della paga minima in California. I robot sono stati istruiti a ripulire i marciapiedi da residui umani e loro aghi (come sapete, infuria in Usa una epidemia di oppiacei, che è una delle cause maggiori per cui i bianchi operai perdono il lavoro e diventano senza-tetto).

Ma passate poche ore, la gente del luogo, non solo gli attendati, hanno reagito: spalmando i sensori dei robot di sostanze che vanno dal Ketchup alle Feci (umane), li hanno neutralizzati.

I robot usati contro i senzatetto: a 7 $ l’ora

Decine di altri hanno protestato (ovviamente) via tweet. Come questo, che è un buon sunto della questione:



Capitalism: instead of providing homes for homeless people, spend exorbitant sums of money creating robots that will prevent homeless people from making homes for themselveshttps://twitter.com/businessinsider/status/940655493156139014 …



“Capitalismo: invece di provvedere a case per i senzatetto, spendono somme esorbitanti a fabbricare robot che impediscono ai senzatetto di farsi abitazioni da sé”. 

Come sapete, la California è sconvolta da vastissimi incendi che sembrano invincibili. Quello di Bel-Air, che minaccia le ville dei divi di Hollywood, “è stato causato da un fornelletto in un accampamento di senza tetto”, hanno rivelato i giornali, “che si sono accampati presso una delle entrate di questo quartiere molto apprezzato dalle celebrità … Questo incendio mette in evidenza la crisi dei senzatetto che si aggrava da parecchi anni a Los Angeles […] Ciò significa che tali cose si ripeteranno finché non si risolve il problema”.

“Più Europa vuol dire più pace, più sicurezza, più diritti, più crescita, più efficienza, più cultura, più libertà”

Il biotestamento è la soluzione del problema! L’eutanasia, naturalmente dei consenzienti. I prossimi robot spareranno siringhe risolutive. Gli Stati Uniti sono sempre un’avanguardia. Presto in Europa.

Il nuovo diritto per uomini superflui.

Emma Bonino, asciugate le lacrime di gioia, dopo il successo ha detto che si presenterà alle elezioni per poi allearsi col PD. Con Benedetto Della Vedova ed altri funerari radicali ha formato una propria lista.

Il cui nome è un programma: “Più Europa” perché “più Europa vuol dire più pace, più sicurezza, più diritti, più crescita, più efficienza, più cultura, più libertà“, ha detto Bonino.

Svegliatevi, bestie! (Speranza vana)


Le persone non si rivolteranno. Non alzeranno gli occhi dai loro schermi, non abbastanza per notare cosa sta accadendo”

“1984” – George Orwell

Il partito Radicale non riesce ad arrivare nemmeno a 3 mila iscritti. Eppure riceve ogni anno dallo Stato 20 milioni di euro per la sua radio.

Sahel - La Francia è a corto di mezzi per poter giocare sui tavoli della grandeur d’antan e allora coinvolge gli altri euroimbecilli per fargli difendere i propri interessi e tutti insieme vanno in Africa in armi per depredarla delle risorse da qui nascono i migranti



Italia in Niger, obiettivo: terrorismo, migranti o fermare Macron?La missione Italiana nel Sahel, dai dati alla strategia

DI GIULIA DI MARCANTONIO SU 14 DICEMBRE 2017 

Ieri, 13 dicembre, è nata la ‘coalizione per il Sahel’ in occasione del summit francese nel castello di Celle-Saint-Cloud, vicino Parigi. Hanno preso parte all’incontro il Presidente francese, Emmanuel Macron, -fautore dell’iniziativa -,la cancelliera tedesca, Angela Merkel, il Premier italiano, Paolo Gentiloni, e i capi di Stato e di Governo dei paesi membri del G5 Sahel, Ibrahim Boubakar Keita (Mali), Mahamadou Issoufou (Niger), Roch Marc Christian Kaboré(Burkina Fasu), Idriss Deby (Ciad ) e Mohamed Ould Abdelaziz (Mauritania). Si sarebbero poi uniti al meeting anche il capo di Governo belga, Charles Michel, e esponenti del Governo saudita, statunitense e emiratino, insieme alle Nazioni Unite, l’Unione Africana e l’Unione Europea.

Nel mese di febbraio è previsto un secondo vertice (28 leader UE e 5 Sahel), coordinato dall’Ue, per definire un quadro politico dell’iniziativa di ieri, cui sembra si uniranno anche Senegal e Libia. L’obiettivo del vertice organizzato da Macron consiste nell’accelerazione delle operazioni portate avanti dal G5 Joint Force – una partnership tra cinque Stati nella regione africana del Sahel -, aumentando la mobilitazione militare, e l’impegno politico e finanziario. I leader si sarebbero riuniti per garantire più stabilità nella regione, supportando il suo sviluppo, e impegnandosi a sostenere il G5 Joint Force nella lotta al terrorismo e al traffico di esseri umani. L’iniziativa del Presidente francese punta ad ottenere l’ appoggio internazionale, così da rendere la Joint Force operativa il prima possibile. Macron, infatti, ha ritenuto “urgente invertire la tendenza” nel Sahel, dove «..i terroristi hanno registrato vittorie militari e simboliche» negli ultimi mesi.

Nella regione, infatti, l’estremismo è in costante crescita. Ad esempio, le forze di sicurezza locali e la missione di mantenimento della pace ONU – 12.000 membri – in Mali sono stati i primi obiettivi di gruppi jihadisti presenti nel Paese. Le zone più sensibili sono al confine del Mali, Burkina Faso e Niger. A dimostrarlo è la morte di quattro soldati statunitensi all’inizio di quest’anno.

Il crescente estremismo non preoccupa solo i Governi locali, ma l’interna Comunità internazionale. Lo dimostrano le numerose operazioni internazionali in corso nella regione. Il Paese in prima linea è la Francia, con la sua operazione Barkhane (sede centrale nella capitale del Ciad N’Djamena). Quest’ultima conta 4.000 soldati, ed è stata lanciata nell’agosto 2014 con lo scopo di proteggere la regione e combattere il terrorismo in collaborazione con attori regionali. Anche l’Onu è presente nel Sahel con la Missione di stabilizzazione in Mali, MINUSMA (sede a Bamako), composta da 10.000 soldati e 2.000 poliziotti. Vi sono, inoltre, numerose missioni di addestramento che vedono singoli Paesi – o organizzazioni – impegnati a addestrare e supportare le forze militari regionali, ad esempio l’EUTM, la Missione dell’Unione Europea in Mali, o l’Enduring Freedom-Trans Sahara, la missione statunitense.

L’impegno internazionale nel Sahel è massiccio, ma, a quanto pare, non è abbastanza. Nella regione, infatti, si trovano gruppi jihadisti affiliati a Al-Qaeda o allo Stato Islamico. A preoccupare i Governi locali, oltre al crescente estremismo nella regione, è la disfatta dello Stato Islamico in Siria e in Iraq. La caduta dell’ISIS, infatti, renderebbe ancor di più vulnerabile il Sahel. La zona rappresenterebbe un terreno fertile per tutti quei jihadisti scappati dalla Siria o dall’Iraq. Paesi instabili, dove vige il vuoto politico, scarsa inclusione, istituzioni deboli, povertà e debole controllo dei confini, rappresentano un terreno predisposto all’insorgere di gruppi estremisti, ed è per questo che la stabilità nella regione diviene ancor più importante nella lotta al terrorismo.

Secondo il Presidente maliano, Ibrahim Boubacar Keita, è possibile che i combattenti ISIS, una volta fuggiti dall’Iraq o dalla Siria, possano insediarsi nel Sahel. Ha, infatti, dichiarato nella conferenza stampa post-summit che «…Oggi è urgente ottenere rapidamente risultati nella lotta contro il terrorismo», avvertendo di una possibile corsa jihadista dal Medio Oriente all’Africa occidentale.

Questo contesto ha spinto Macron a incontrare i leader del G-5 Sahel, insieme alla cancelliera Angela Merkel e il premier Gentiloni. Il summit di ieri ha avuto, dunque, la funzione di rinforzare il supporto finanziario e militare al G5 Sahel Joint Force. Quest’ultima è l’’Unione delle forze’ militari del Mali, Niger, Burkina Fasu, Ciad e Mauritania. Coinvolge 5000 soldati e ufficiali di polizia dei Paesi membri del G5 Sahel. Secondo il Ministero della Difesa francese, la Joint Force sinora avrebbe realizzato una sola operazione di prova (350 forze del Burkina Faso, 200 del Niger e 200 del Mali). Il quartier generale si trova a Sévaré, nel Mali centrale, e la Joint Force è appoggiata da Francia – ha inviato 4000 soldati – , Germania, Italia, UE, Unione Africana, Stati Uniti e Arabia Saudita. Le sue operazioni, oggi, sono concentrate sui confini maliani, dove sono aumentati gli attacchi da parte di gruppi jihadisti contro le forze governative e forze Onu.

L’obiettivo principale della ‘Forza Congiunta’ è migliorare la sicurezza lungo i confini attraverso il potenziamento della cooperazione e lo schieramento di pattuglie congiunte, in modo da intercettare il flusso di gruppi terroristici e trafficanti.

Il vertice di ieri ha raggiunto, come primo obiettivo, il finanziamento da parte di potenze straniere, volto a rendere più efficace e ad accelerare l’operatività della Joint Force. Secondo il bilancio stimato, servirebbero 423 milioni di euro per supportarla e, con il vertice a Parigi, sono stati raggiunti 250 milioni di euro. L’Arabia Saudita avrebbe, infatti, promesso 100 milioni di euro, 30 milioni gli Emirati Arabi Uniti, gli Usa 60 milioni di dollari (51,5 milioni di euro) che si aggiungerebbero ai 50 milioni di euro stanziati dall’Unione Europea lo scorso settembre.Il grande assente, però, rimane l’Algeria, un attore fondamentale per gli equilibri e le dinamiche politiche regionali.

Dal vertice, inoltre, emerge una seconda considerazione importante che riguarda l’Italia. Il premier Gentiloni ha annunciato che, dopo aver ottenuto l’approvazione del Paramento, l’Italia si impegnerà – già nelle prossime settimane – in una missione di addestramento delle forze nigerine della G-5 Jint Force. Gentiloni, in occasione del vertice, ha ricordato che la stabilità del Sahel è un interesse crescente sia per l’UE che per Roma. La regione è fondamentale nella lotta al terrorismo, ma anche per la questione dei migranti. Ha aggiunto, poi, il Premier che l’impegno italiano sara’ collegato a quello già effettivo in diverse missioni internazionali. Una parte dell’impegno militare italiano, infatti, potrebbe provenire dal contingente presente in Iraq – 1000 soldati italiani -. Pertanto, l’Italia starebbe rinforzando le relazioni bilaterali con il Niger per prevenire e contrastare il traffico di esseri umani, i flussi migratori e la minaccia terroristica.

L’impegno militare italiano, secondo quanto dichiarato ieri da Gentiloni, comprenderebbe esclusivamente l’addestramento delle truppe locali. L’esempio statunitense però, può lasciar sorgere qualche dubbio. Da anni, infatti, gli Stati Uniti sono formalmente presenti nella regione per fornire supporto e addestramento alle truppe locali ma, secondo numerose fonti, i militari USA sarebbero più che operativi, e l’incidente dello scorso 6 ottobre ne è forse la prova. L’Italia seguirà le orme statunitensi in Niger?

Resta comunque il fatto che il vertice di ieri ha affrontato due tematiche fondamentali per la sicurezza europea, e italiana, ovvero terrorismo e migranti. Il Niger è uno dei principali Paesi da dove partono i flussi, ed è un’area chiave per la lotta al terrorismo ( la sede del gruppo affiliato a Al-Qaeda nel maghreb si trova anche in Niger). Pertanto, i militari che il Governo italiano schiererà nel Paese avranno un compito estremamente importante e allo stesso tempo delicato.

Non si deve poi dimenticare che il Sahel, e in primis il Niger, è una regione strettamente collegata alla crisi libica. Niger e Libia sono mutualmente dipendenti, due questioni quasi parallele. Intervenire in Niger per combattere il terrorismo e prevenire il flusso di migranti sarebbe una misura del tutto futile se non viene coordinata, allo stesso tempo, con una strategia efficiente in Libia. Quindi, l’impegno preso ieri da Gentiloni a Parigi dovrebbe andare di pari passo con l’impegno italiano per risolvere la crisi libica. La situazione nel Paese nordafricano, però, non lascia ben sperare, e rischia forse di togliere credibilità a tutti i buoni propositi esposti al vertice di Parigi.

La questione dei migranti, ad oggi, è un problema che preoccupa l’Europa, e in prima persona l’Italia.
Le relazioni tra Turchia e UE sono sempre più logore, e rischiano forse di mandare in frantumi l’accordo sui migranti firmato da Ankara e Bruxelles nel marzo 2016.

La Turchia ospita circa 5 milioni di profughi, e il Presidente turco, Tayyeb Erdogan, ha fortemente criticato Bruxelles per aver concesso solo 850 milioni di euro di aiuti per gestire la crisi dei migranti, quando invece ne aveva promessi 3 miliardi. Il 3 dicembre, poi, Erdogan ha incontrato ad Atene il Primo Ministro greco, Alexis Tsipras. I due, secondo alcune fonti, avrebbero raggiunto un accordo segreto sui migranti che non rispetterebbe l’accordo stabilito con L’Unione Europea.

La politica turca, sempre più filo-russa e distante dall’UE, sembra in qualche modo rappresentare una minaccia per la sicurezza europea e nel Mediterraneo. Se l’Europa è ai ferri corti con Ankara, forse il Summit di ieri rappresenta la migliore opzione per compensare.

Ma quali sono i principali fattori che spingono un cittadino nigerino, ad esempio, a decidere di scappare dal proprio villaggio, intraprendere un viaggio che dura anche anni, dove per altro rischia anche la vita, per arrivare in Italia?

Le ragioni sono molteplici, come la povertà, la mancanza di opportunità, o anche il senso di vergogna nei confronti degli abitanti del suo villaggio per non esser riuscito nell’intento di andarsene. Considerando questi fattori, sorge spontanea una domanda: per prevenire i flussi migratori, inviare militari per addestrare le truppe locali è la soluzione adatta?

Dispiegare truppe militari nel Paese, la Niger nel caso dell’Italia, rischierebbe solo di peggiorare la situazione, rendendo il clima molto più teso. Così facendo, è possibile che scoppino ulteriori scontri con i gruppi jihadisti e, se così fosse, il desiderio di fuggire dal Paese non verrebbe affatto placato.

A tal proposito è interessante citare l’opinione di Padre Mauro Armanino, missionario da anni a Niamey – capitale del Niger. In un’intervista con l’agenzia ‘Dire’, ha così commentato la decisone italiana di inviare militari nel Niger: «…Ci aggiungiamo a chi con il pretesto del contrasto al terrorismo persegue solo la geopolitica delle risorse…Uranio (Francia) e non solo, in Niger, in Mali e fino alla regione del Lago Ciad». Quello che Gentiloni non ha considerato, nel summit, è il rapporto delle popolazioni locali con le forze militari straniere. Spiega infatti Padre Armanino all’agenzia che : «…Parte della popolazione e della societa’ civile vede di malocchio che forze esterne possano impiantarsi impunemente nel Paese e denuncia la svendita della sovranita’ nazionale».

Infatti, l’aiuto (?!?!) da parte di potenze straniere può minare alla credibilità del Governo locale agli occhi della popolazione. Continua, poi, padre Armenino accusando anzitutto Macron. Secondo l’intervistato, infatti, dietro il summit di Parigi si nasconderebbe l’interesse francese per i giacimenti di uranio nella regione, «E’ una logica guerrafondaia che purtroppo da tempo anche l’Italia ha sposato.. Il suo complemento e’ l’appoggio alla classe politica locale: qui in Niger truccano le elezioni e invece di sostenere l’agricoltura, l’istruzione e il lavoro sperperano il denaro pubblico, magari facendo costruire sopraelevate improbabili..Chi ha fame non si ferma con gli eserciti ma con lo sviluppo». Quando si decide di intervenire in un Paese straniero, è impossibile non considerare le usanze locali, la cultura, la religione e soprattutto il rapporto tra Autorità locali e popolazione.

Ad esempio, secondo quanto riporta Human Right Watch, le forze di sicurezza nel Sahel sarebbero responsabili di abusi sulla popolazione e, secondo l’ong, le comunita’ locali vedrebbero, in diversi casi, gli islamisti come un’alternativa migliore allo Stato. Questa valutazione sembra non sia stata considerata dall’Unione Europea, in particolare da Francia e Italia. I due Paesi, infatti, avrebbero incondizionatamente proposto il solo supporto alle Autorità locali, senza tenere in considerazione la popolazione.

Secondo un’ottica strategico politica, la cooperazione raggiunta da Francia e Italia nel Sahel è forse poco credibile. I due Paesi, infatti, sono competitors nel continente africano sin dall’era coloniale. A volere il summit di ieri è stato proprio Macron. Questo dimostra l’intento principale del Presidente francese nella regione del Sahel, ovvero quello di acquisire il ruolo di principale potenza straniera nella regione. L’obiettivo francese nel Sahel, quindi, sembra non essere solo la lotta al terrorismo o la questione dei migranti, ma Macron sta perseguendo una politica estera sempre più esplicita, volta a rinforzare il soft-power francese nella regione. Così facendo, Macron sta cercando di rendere la Francia uno dei primi interlocutori internazionali nell’area e principale esponente della lotta al terrorismo.

Si può dedurre che, da un alto la minaccia del terrorismo nel Sahel è più che reale. La sconfitta dell’ISIS potrebbe, inoltre, aggravare la situazione e rendere la regione un terreno vulnerabile. Dall’altro, però, è possibile che le potenze straniere sfruttino la minaccia del jihadismo per intervenire nella regione e perseguire così i loro interessi. La storia insegna, e l’invasione irachena di George Bush nel 2003 dovrebbe far riflettere. Le risorse di un Paese, spesso, ‘ingolosiscono’ le potenze straniere, e l’Iraq ne è la prova. Il Sahel è un Paese ricco di uranio e idrocarburi, e potrebbe rappresentare una potenziale ‘Iraq’.

Non è quindi da escludere la possibilità che, strumentalizzando la minaccia del terrorismo e la questione dei migranti, sia l’Italia che la Francia stiano giocando una partita parallela in Africa, un match che dura da anni.

Bitcoin - per trovarli bisogna scavare

Abbiamo provato a minare i bitcoin, ecco come è andata

di Giulio Pons facebook 15 dicembre 2017 13:02

Qualche mese fa nella redazione di Dailybest è comparsa una nuova collega, si chiama Annalisa. Lei scava i Bitcoin, fa cioè mining. Annalisa è in realtà un computer, assemblato apposta per essere collegato tramite Internet alle reti blockchain delle criptovalute e guadagnare l’oro digitale: bitcoin, ethereum, zcash, litecoin, etc. etc.

 
Quel computer lì è Annalisa. In un attacco di nerditudine gli abbiamo dato un nome, l’abbiamo umanizzato ed è ormai parte della redazione

Cosa è il mining? La metafora dell’oro

Per chi non ne sa nulla: i bitcoin sono delle monete virtuali, sono in quantità limitata e bisogna trovarle. Il paradigma che descrive questo sistema è proprio quello dell’oro e dei cercatori d’oro. Come per l’oro, i bitcoin sono presenti in natura (cioè nella rete) in quantità limitata. Pe trovarli invece di scavare col piccone o filtrare la sabbia dei fiumi, bisogna utilizzare i computer e dei software che fanno calcoli crittografici (per questo si parla di cryptovalute). Più oro viene trovato in natura, più l’oro restante diventa raro. Lo stesso avviene per i bitcoin. Più bitcoin vengono trovati e immessi nel mercato dei bitcoin, meno ne restano da trovare e il mining diventa più difficile (occorre più tempo e più potenza di calcolo).

 
Wikimedia - Due cercatori d’oro di fine ‘800 con pale e picconi

Inoltre, come per l’oro, anche per i bitcoin, più gente cerca l’oro, meno probabilità si ha di trovarlo e ciò fa riunire i minatori di bitcoin in pool, cioè in consorzi di minatori. Proprio come i consorzi di cercatori d’oro quando uno dei computer del consorzio trova un bitcoin, questo viene suddiviso tra tutti i minatori associati in base alla potenza di calcolo del proprio computer e al tempo dedicato alla ricerca dei bitcoin.

A “bitcoin”, in questo discorso potete sostituire una qualsiasi delle cryptovalute in circolazione e ce ne sono ormai più di 900 che funzionano tutte allo stesso modo.

Se volete approfondire l’argomento e conoscere cosa sia la blockchain potete leggere “I Bitcoin spiegati a mia nonna”.

Come si fa a fare mining?

Per fare il mining bisogna installare un programma che effettua particolari calcoli crittografici (per questo si chiamano cryptovalute). Il problema è che il proprio PC, normalmente, non va bene per fare mining, non è cioè abbastanza potente e così finirete per non guadagnare nulla, va pertanto assemblata una macchina ad hoc.

Nel mining il piccone da cercatore è la scheda video. Si è infatti notato che le schede video costruite e vendute per i videogiochi sono in realtà perfette per i calcoli della blockchain. Quindi bisogna fare un computer con tante schede video e il programma di mining le userà per trovare i bitcoin.

Per assemblare il computer abbiamo comprato un po’ di pezzi da Amazon e altri da TaoComputer. Nel giro di due settimane abbiamo ricevuto tutto e abbiamo potuto costruire il nostro pc. Abbiamo speso in totale 2.400 euro per un pc con 3 schede video Asus GTX-1070.

 
 I tre picconi, le schede video di Annalisa

Abbiamo iscritto Annalisa ad alcuni consorzi di minatori e abbiamo scaricato alcuni programmi di mining, tra i pool vale la pena segnalare Nanopool, Zpool, Litecoin pool, Nicehash e MiningPoolHub. Alcuni di questi pool minano una sola moneta, tipo Nanopool per gli Ethereum, altri invece hanno algoritmi più sofisticati. Per esempio, MininingPoolHub permette di minare diverse monete e utilizzando il programma Awesome Miner si sceglie automaticamente il pool con cui lavorare in base alla redditività del momento, cioè mettendo insieme la tua potenza di calcolo e il tasso di crescita della moneta valutato in tempo reale.

Quando avete raccolto un po’ di moneta la potete convertire nella criptovaluta che preferite e inviarla al vostro wallet (il portafoglio digitale).

Tenete presente che ogni moneta ha il suo wallet (un normale file) e non va assolutamente perso, lì ci sono le chiavi che sono collegate alle tue transazioni nella blockchain di quella moneta e sono necessarie per usare i vostri criptosoldi.

I wallet devono essere conservati al sicuro e non sulla macchina che fa mining che è connessa ad Internet e quindi insicura.

Nicehash è un consorzio di minatori con sede in Slovenia che fa più o meno la stesa cosa di MiningPoolHub, ma il 6 dicembre è statao hackerato, sui loro server c’era il wallet che conteva i soldi del consorzio, l’hacker l’ha trovato e ha utilizzato le chiavi per spostare i soldi su altri portafogli. Le transazioni bitcoin sono anonime e sono stati così rubati quasi 5.000 bitcoin. Un disastro, attualmente il sito è chiuso. Anche noi avevamo lì circa 30 euro in bitcoin non ancora trasferiti al nostro wallet e, probabilmente, non ci verranno mai restituiti.
Quanto si guadagna col mining?

A questa domanda si può rispondere solamente con: dipende da quanto è potente il vostro computer. Ecco come è andata con la nostra Annalisa da 2400 Euro.

Queste sono le valute che abbiamo accumulato in due mesi facendo mining, le cifre sono calcolate con il valore di oggi delle rispettive monete:

Bitcoin: BTC 0.02022531 – EUR 293

Ethereum: ETH 0.1871807579448 – EUR 104

ZCash: ZEC 0.25147343 – EUR 100

TOTALE: 497 Euro

Abbiamo fatto circa 250 Euro al mese.

Grazie al misuratore di consumi applicato alla presa elettrica, sappiamo che Annalisa ha utilizzato 657 Kw, pari a 65 Euro (il costo del Kw è 0,1 nella nostra bolletta), cioè 33 Euro al mese.

Il bilancio complessivo quindi, sembra positivo di 215 euro al mese. In un anno, quindi, recupereremo il costo del computer.

In realtà, per completare il costo reale della nostra attività di mining, dobbiamo inserire il lavoro di un tecnico informatico esperto che ha eseguito il setup della macchina in 2 giorni (1g = 8h di lavoro) e ha poi speso circa mezz’ora al giorno per monitorarne il funzionamento. Quindi complessivamente possiamo stimare 4-5 giornate complessive, che a regime diventeranno ottimisticamente 1 giornata al mese.

Se consideriamo un costo orario del tecnico di 10-15 euro l’ora, si vede che il mining fatto in casa con 3 schede video non è molto redditizio: si passa infatti a 100 Euro al mese di guadagno e il tempo per recuperare il costo della macchina raddoppia.

Il discorso è diverso se, come nel nostro caso, avete già un informatico pagato, a cui avanza nel normale orario lavorativo del tempo libero. Un’altra possibilità è assemblare una macchina con 6 schede video.

In ultimo, da ottimisti, va sottolineato che fare mining sottointende che stai scommettendo sulle criptovalute. Se fate mining, quindi, sperate che quei 100 Euro di ZCash possano crescere da soli come hanno fatto i bitcoin in questi anni.

14 dicembre 2017 - Unione Europea, cosa aspettarsi nel 2018? - on. Marco Zanni ("Europa del...

Banca Etruria - la Commissione d'inchiesta è stata sommersa dalla melma maleodorante che proviene da questa questione e che ha creato il nuovo zombi, la Maria Elena Boschi

Maria Elena Boschi potrebbe ora essere sentita in Commissione Banche

È già fissata l'audizione dell'ex ad di Unicredit che farà da detonatore a nuove accuse all'allora ministra per le riforme

14/12/2017 20:34 

ANSA
Il presidente della Consob, Giuseppe Vegas (s) e il presidente della Commissione Banche della Camera, Pier Ferdinando Casini, nel corso dell'audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario a Palazzo San Macuto a Roma, 14 dicembre 2017. ANSA/CLAUDIO PERI

Da campo di battaglia contro il populismo dei 5Stelle, a un campo infestato di sabbie mobili, in cui si affonda sempre più giù. Così si è trasformata la commissione parlamentare sulle banche per il Pd. L'intenzione iniziale del partito di Renzi era quella di usare la commissione per cavalcare il tema del credito in campagna elettorale, capovolgendo l'idea di un partito amico dei banchieri e schierarsi così al fianco dei risparmiatori. La strategia si è rivelata un boomerang. Oggi, a pochi giorni dalla chiusura dei lavori dell'organismo bicamerale, riesplode il "caso" Boschi, e la settimana prossima si preparano giornate ad alta tensione. È già fissata l'audizione dell'ex ad di Unicredit Federico Ghizzoni, che farà da detonatore a nuove accuse all'allora ministra per le riforme. Poi è fissata quella di Ignazio Visco, il governatore che il segretario dem avrebbe voluto mandare a casa. C'è da scommettere che il numero uno di Palazzo Koch coglierà al volo l'occasione per capovolgere le tesi accusatorie del Pd sull'istituto. Insomma, si attendono "giorni cupi", dice un deputato. E non è finita qui. In queste ore sta avanzando anche l'ipotesi di chiedere l'audizione della stessa Boschi. Se così fosse, sarebbe una vera Caporetto.

Dopo l'intervento di Giuseppe Vegas, che riferisce di uno (anzi due, forse tre) incontri con Maria Elena Boschi in cui si è parlato del caso Etruria e dell'ipotesi di "matrimonio" con la popolare di Vicenza, i dem tornano nell'occhio del ciclone. Si rincorrono le accuse all'allora ministra, oggi "sottosegretaria con delega anche alle autorità indipendenti" attacca il grillino Sibilia in commissione, di aver mentito al Parlamento. La sottosegretaria interviene in Tv per chiarire: Vegas mi chiese di andare a casa sua, io proposi la Consob o il ministero, ma non feci pressioni di alcun genere. Ma in commissione i democratici fanno fatica ad arginare quella che qualcuno di loro già definisce "una valanga". Matteo Orfini arriva a chiedere che il presidente Pier Ferdinando Casini invii a tutti i commissari il link dell'intervento di Boschi in aula esattamente due anni fa, il 18 dicembre 2015. Il presidente accetta la proposta, ma "come gesto personale". Fa spedire il link dalla sua segreteria, non da quella della commissione. "Ma è davvero incredibile che si arrivi a questo – dichiara Davide Zoggia (Articolo 1), tra l'altro l'estensore della domanda a Vegas che alla fine ha portato alla dichiarazione sul primo incontro con Boschi nella primavera del 2014 – Io sono sempre stato contrario all'uso strumentale della commissione per fare campagna elettorale, ma se poi devo ricevere questo link dal presidente, allora dico che si chiami anche Boschi in audizione".

Sarebbe la ciliegina su una torta molto amara. Vero è che prima della settimana clou (quando parleranno anche i ministri del Tesoro di vari governi), già domani sarà la volta di Vincenzo Consoli, l'ex ad di Veneto Banca imputato nel procedimento a carico dei vertici della banca andata in dissesto. Dagli atti già si conosce la linea difensiva di Consoli: quella di accusare Bankitalia di pressioni indebite per arrivare alla fusione con Vicenza. Potrebbe essere un assist alla linea anti-Visco dei dem, se non fosse che tra le carte dell'inchiesta sarebbe in circolazione anche una intercettazione (riportata dal Fatto Quotidiano) di una telefonata tra Consoli e Pier Luigi Boschi in cui quest'ultimo dice al manager che avrebbe parlato con sua figlia (appunto l'allora ministra) e con il premier. Così, anche quella di Consoli potrebbe rivelarsi un boomerang per i democrats.

La discesa agli inferi è iniziata con l'audizione del procuratore di Arezzo Roberto Rossi. E' stato in quell'occasione che proprio il Pd ha scelto di giocare la carta della politica, inondando il web delle dichiarazioni del magistrato che "accusavano" Bankitalia di comportamenti "inspiegabili", e minimizzavano il ruolo di Boschi senior ("Non è rinviato a giudizio per bancarotta "). Tempo un paio di giorni, e si scopre che comunque il padre dell'attuale sottosegretaria è indagato per falso in prospetto. E non solo: che proprio Rossi aveva chiesto appena due giorni prima un supplemento d'indagine sull'allora vicepresidente della banca aretina. Quanto bastava per far riesplodere la polemica sulla famiglia Boschi e il crack di Etruria.

Oggi ci ha pensato Vegas, poi arriverà Ghizzoni e l'episodio di cui scrive Ferruccio De Bortoli nel suo ultimo libro. Secondo il giornalista (che è stato denunciato dalla sottosegretaria) l'allora ministra fece pressioni per un intervento (poi mai avvenuto) di Unicredit per il salvataggio di Etruria. "E' una parlamentare di quel territorio, giusto che si occupi di quel caso, sarebbe stato un errore se non l'avesse fatto", spiega il capogruppo Pd Matteo Orfini. Ma la giostra mediatica attorno al ruolo della sottosegretaria ormai è partita, e difficilmente potrà fermarsi.