Italia in Niger, obiettivo: terrorismo, migranti o fermare Macron?La missione Italiana nel Sahel, dai dati alla strategia
Ieri, 13 dicembre, è nata la ‘coalizione per il Sahel’ in occasione del summit francese nel castello di Celle-Saint-Cloud, vicino Parigi. Hanno preso parte all’incontro il Presidente francese, Emmanuel Macron, -fautore dell’iniziativa -,la cancelliera tedesca, Angela Merkel, il Premier italiano, Paolo Gentiloni, e i capi di Stato e di Governo dei paesi membri del G5 Sahel, Ibrahim Boubakar Keita (Mali), Mahamadou Issoufou (Niger), Roch Marc Christian Kaboré(Burkina Fasu), Idriss Deby (Ciad ) e Mohamed Ould Abdelaziz (Mauritania). Si sarebbero poi uniti al meeting anche il capo di Governo belga, Charles Michel, e esponenti del Governo saudita, statunitense e emiratino, insieme alle Nazioni Unite, l’Unione Africana e l’Unione Europea.
Nel mese di febbraio è previsto un secondo vertice (28 leader UE e 5 Sahel), coordinato dall’Ue, per definire un quadro politico dell’iniziativa di ieri, cui sembra si uniranno anche Senegal e Libia. L’obiettivo del vertice organizzato da Macron consiste nell’accelerazione delle operazioni portate avanti dal G5 Joint Force – una partnership tra cinque Stati nella regione africana del Sahel -, aumentando la mobilitazione militare, e l’impegno politico e finanziario. I leader si sarebbero riuniti per garantire più stabilità nella regione, supportando il suo sviluppo, e impegnandosi a sostenere il G5 Joint Force nella lotta al terrorismo e al traffico di esseri umani. L’iniziativa del Presidente francese punta ad ottenere l’ appoggio internazionale, così da rendere la Joint Force operativa il prima possibile. Macron, infatti, ha ritenuto “urgente invertire la tendenza” nel Sahel, dove «..i terroristi hanno registrato vittorie militari e simboliche» negli ultimi mesi.
Nella regione, infatti, l’estremismo è in costante crescita. Ad esempio, le forze di sicurezza locali e la missione di mantenimento della pace ONU – 12.000 membri – in Mali sono stati i primi obiettivi di gruppi jihadisti presenti nel Paese. Le zone più sensibili sono al confine del Mali, Burkina Faso e Niger. A dimostrarlo è la morte di quattro soldati statunitensi all’inizio di quest’anno.
Il crescente estremismo non preoccupa solo i Governi locali, ma l’interna Comunità internazionale. Lo dimostrano le numerose operazioni internazionali in corso nella regione. Il Paese in prima linea è la Francia, con la sua operazione Barkhane (sede centrale nella capitale del Ciad N’Djamena). Quest’ultima conta 4.000 soldati, ed è stata lanciata nell’agosto 2014 con lo scopo di proteggere la regione e combattere il terrorismo in collaborazione con attori regionali. Anche l’Onu è presente nel Sahel con la Missione di stabilizzazione in Mali, MINUSMA (sede a Bamako), composta da 10.000 soldati e 2.000 poliziotti. Vi sono, inoltre, numerose missioni di addestramento che vedono singoli Paesi – o organizzazioni – impegnati a addestrare e supportare le forze militari regionali, ad esempio l’EUTM, la Missione dell’Unione Europea in Mali, o l’Enduring Freedom-Trans Sahara, la missione statunitense.
L’impegno internazionale nel Sahel è massiccio, ma, a quanto pare, non è abbastanza. Nella regione, infatti, si trovano gruppi jihadisti affiliati a Al-Qaeda o allo Stato Islamico. A preoccupare i Governi locali, oltre al crescente estremismo nella regione, è la disfatta dello Stato Islamico in Siria e in Iraq. La caduta dell’ISIS, infatti, renderebbe ancor di più vulnerabile il Sahel. La zona rappresenterebbe un terreno fertile per tutti quei jihadisti scappati dalla Siria o dall’Iraq. Paesi instabili, dove vige il vuoto politico, scarsa inclusione, istituzioni deboli, povertà e debole controllo dei confini, rappresentano un terreno predisposto all’insorgere di gruppi estremisti, ed è per questo che la stabilità nella regione diviene ancor più importante nella lotta al terrorismo.
Secondo il Presidente maliano, Ibrahim Boubacar Keita, è possibile che i combattenti ISIS, una volta fuggiti dall’Iraq o dalla Siria, possano insediarsi nel Sahel. Ha, infatti, dichiarato nella conferenza stampa post-summit che «…Oggi è urgente ottenere rapidamente risultati nella lotta contro il terrorismo», avvertendo di una possibile corsa jihadista dal Medio Oriente all’Africa occidentale.
Questo contesto ha spinto Macron a incontrare i leader del G-5 Sahel, insieme alla cancelliera Angela Merkel e il premier Gentiloni. Il summit di ieri ha avuto, dunque, la funzione di rinforzare il supporto finanziario e militare al G5 Sahel Joint Force. Quest’ultima è l’’Unione delle forze’ militari del Mali, Niger, Burkina Fasu, Ciad e Mauritania. Coinvolge 5000 soldati e ufficiali di polizia dei Paesi membri del G5 Sahel. Secondo il Ministero della Difesa francese, la Joint Force sinora avrebbe realizzato una sola operazione di prova (350 forze del Burkina Faso, 200 del Niger e 200 del Mali). Il quartier generale si trova a Sévaré, nel Mali centrale, e la Joint Force è appoggiata da Francia – ha inviato 4000 soldati – , Germania, Italia, UE, Unione Africana, Stati Uniti e Arabia Saudita. Le sue operazioni, oggi, sono concentrate sui confini maliani, dove sono aumentati gli attacchi da parte di gruppi jihadisti contro le forze governative e forze Onu.
L’obiettivo principale della ‘Forza Congiunta’ è migliorare la sicurezza lungo i confini attraverso il potenziamento della cooperazione e lo schieramento di pattuglie congiunte, in modo da intercettare il flusso di gruppi terroristici e trafficanti.
Il vertice di ieri ha raggiunto, come primo obiettivo, il finanziamento da parte di potenze straniere, volto a rendere più efficace e ad accelerare l’operatività della Joint Force. Secondo il bilancio stimato, servirebbero 423 milioni di euro per supportarla e, con il vertice a Parigi, sono stati raggiunti 250 milioni di euro. L’Arabia Saudita avrebbe, infatti, promesso 100 milioni di euro, 30 milioni gli Emirati Arabi Uniti, gli Usa 60 milioni di dollari (51,5 milioni di euro) che si aggiungerebbero ai 50 milioni di euro stanziati dall’Unione Europea lo scorso settembre.Il grande assente, però, rimane l’Algeria, un attore fondamentale per gli equilibri e le dinamiche politiche regionali.
Dal vertice, inoltre, emerge una seconda considerazione importante che riguarda l’Italia. Il premier Gentiloni ha annunciato che, dopo aver ottenuto l’approvazione del Paramento, l’Italia si impegnerà – già nelle prossime settimane – in una missione di addestramento delle forze nigerine della G-5 Jint Force. Gentiloni, in occasione del vertice, ha ricordato che la stabilità del Sahel è un interesse crescente sia per l’UE che per Roma. La regione è fondamentale nella lotta al terrorismo, ma anche per la questione dei migranti. Ha aggiunto, poi, il Premier che l’impegno italiano sara’ collegato a quello già effettivo in diverse missioni internazionali. Una parte dell’impegno militare italiano, infatti, potrebbe provenire dal contingente presente in Iraq – 1000 soldati italiani -. Pertanto, l’Italia starebbe rinforzando le relazioni bilaterali con il Niger per prevenire e contrastare il traffico di esseri umani, i flussi migratori e la minaccia terroristica.
L’impegno militare italiano, secondo quanto dichiarato ieri da Gentiloni, comprenderebbe esclusivamente l’addestramento delle truppe locali. L’esempio statunitense però, può lasciar sorgere qualche dubbio. Da anni, infatti, gli Stati Uniti sono formalmente presenti nella regione per fornire supporto e addestramento alle truppe locali ma, secondo numerose fonti, i militari USA sarebbero più che operativi, e l’incidente dello scorso 6 ottobre ne è forse la prova. L’Italia seguirà le orme statunitensi in Niger?
Resta comunque il fatto che il vertice di ieri ha affrontato due tematiche fondamentali per la sicurezza europea, e italiana, ovvero terrorismo e migranti. Il Niger è uno dei principali Paesi da dove partono i flussi, ed è un’area chiave per la lotta al terrorismo ( la sede del gruppo affiliato a Al-Qaeda nel maghreb si trova anche in Niger). Pertanto, i militari che il Governo italiano schiererà nel Paese avranno un compito estremamente importante e allo stesso tempo delicato.
Non si deve poi dimenticare che il Sahel, e in primis il Niger, è una regione strettamente collegata alla crisi libica. Niger e Libia sono mutualmente dipendenti, due questioni quasi parallele. Intervenire in Niger per combattere il terrorismo e prevenire il flusso di migranti sarebbe una misura del tutto futile se non viene coordinata, allo stesso tempo, con una strategia efficiente in Libia. Quindi, l’impegno preso ieri da Gentiloni a Parigi dovrebbe andare di pari passo con l’impegno italiano per risolvere la crisi libica. La situazione nel Paese nordafricano, però, non lascia ben sperare, e rischia forse di togliere credibilità a tutti i buoni propositi esposti al vertice di Parigi.
La questione dei migranti, ad oggi, è un problema che preoccupa l’Europa, e in prima persona l’Italia.
Le relazioni tra Turchia e UE sono sempre più logore, e rischiano forse di mandare in frantumi l’accordo sui migranti firmato da Ankara e Bruxelles nel marzo 2016.
La Turchia ospita circa 5 milioni di profughi, e il Presidente turco, Tayyeb Erdogan, ha fortemente criticato Bruxelles per aver concesso solo 850 milioni di euro di aiuti per gestire la crisi dei migranti, quando invece ne aveva promessi 3 miliardi. Il 3 dicembre, poi, Erdogan ha incontrato ad Atene il Primo Ministro greco, Alexis Tsipras. I due, secondo alcune fonti, avrebbero raggiunto un accordo segreto sui migranti che non rispetterebbe l’accordo stabilito con L’Unione Europea.
La politica turca, sempre più filo-russa e distante dall’UE, sembra in qualche modo rappresentare una minaccia per la sicurezza europea e nel Mediterraneo. Se l’Europa è ai ferri corti con Ankara, forse il Summit di ieri rappresenta la migliore opzione per compensare.
Ma quali sono i principali fattori che spingono un cittadino nigerino, ad esempio, a decidere di scappare dal proprio villaggio, intraprendere un viaggio che dura anche anni, dove per altro rischia anche la vita, per arrivare in Italia?
Le ragioni sono molteplici, come la povertà, la mancanza di opportunità, o anche il senso di vergogna nei confronti degli abitanti del suo villaggio per non esser riuscito nell’intento di andarsene. Considerando questi fattori, sorge spontanea una domanda: per prevenire i flussi migratori, inviare militari per addestrare le truppe locali è la soluzione adatta?
Dispiegare truppe militari nel Paese, la Niger nel caso dell’Italia, rischierebbe solo di peggiorare la situazione, rendendo il clima molto più teso. Così facendo, è possibile che scoppino ulteriori scontri con i gruppi jihadisti e, se così fosse, il desiderio di fuggire dal Paese non verrebbe affatto placato.
A tal proposito è interessante citare l’opinione di Padre Mauro Armanino, missionario da anni a Niamey – capitale del Niger. In un’intervista con l’agenzia ‘Dire’, ha così commentato la decisone italiana di inviare militari nel Niger: «…Ci aggiungiamo a chi con il pretesto del contrasto al terrorismo persegue solo la geopolitica delle risorse…Uranio (Francia) e non solo, in Niger, in Mali e fino alla regione del Lago Ciad». Quello che Gentiloni non ha considerato, nel summit, è il rapporto delle popolazioni locali con le forze militari straniere. Spiega infatti Padre Armanino all’agenzia che : «…Parte della popolazione e della societa’ civile vede di malocchio che forze esterne possano impiantarsi impunemente nel Paese e denuncia la svendita della sovranita’ nazionale».
Infatti, l’aiuto (?!?!) da parte di potenze straniere può minare alla credibilità del Governo locale agli occhi della popolazione. Continua, poi, padre Armenino accusando anzitutto Macron. Secondo l’intervistato, infatti, dietro il summit di Parigi si nasconderebbe l’interesse francese per i giacimenti di uranio nella regione, «E’ una logica guerrafondaia che purtroppo da tempo anche l’Italia ha sposato.. Il suo complemento e’ l’appoggio alla classe politica locale: qui in Niger truccano le elezioni e invece di sostenere l’agricoltura, l’istruzione e il lavoro sperperano il denaro pubblico, magari facendo costruire sopraelevate improbabili..Chi ha fame non si ferma con gli eserciti ma con lo sviluppo». Quando si decide di intervenire in un Paese straniero, è impossibile non considerare le usanze locali, la cultura, la religione e soprattutto il rapporto tra Autorità locali e popolazione.
Ad esempio, secondo quanto riporta Human Right Watch, le forze di sicurezza nel Sahel sarebbero responsabili di abusi sulla popolazione e, secondo l’ong, le comunita’ locali vedrebbero, in diversi casi, gli islamisti come un’alternativa migliore allo Stato. Questa valutazione sembra non sia stata considerata dall’Unione Europea, in particolare da Francia e Italia. I due Paesi, infatti, avrebbero incondizionatamente proposto il solo supporto alle Autorità locali, senza tenere in considerazione la popolazione.
Secondo un’ottica strategico politica, la cooperazione raggiunta da Francia e Italia nel Sahel è forse poco credibile. I due Paesi, infatti, sono competitors nel continente africano sin dall’era coloniale. A volere il summit di ieri è stato proprio Macron. Questo dimostra l’intento principale del Presidente francese nella regione del Sahel, ovvero quello di acquisire il ruolo di principale potenza straniera nella regione. L’obiettivo francese nel Sahel, quindi, sembra non essere solo la lotta al terrorismo o la questione dei migranti, ma Macron sta perseguendo una politica estera sempre più esplicita, volta a rinforzare il soft-power francese nella regione. Così facendo, Macron sta cercando di rendere la Francia uno dei primi interlocutori internazionali nell’area e principale esponente della lotta al terrorismo.
Si può dedurre che, da un alto la minaccia del terrorismo nel Sahel è più che reale. La sconfitta dell’ISIS potrebbe, inoltre, aggravare la situazione e rendere la regione un terreno vulnerabile. Dall’altro, però, è possibile che le potenze straniere sfruttino la minaccia del jihadismo per intervenire nella regione e perseguire così i loro interessi. La storia insegna, e l’invasione irachena di George Bush nel 2003 dovrebbe far riflettere. Le risorse di un Paese, spesso, ‘ingolosiscono’ le potenze straniere, e l’Iraq ne è la prova. Il Sahel è un Paese ricco di uranio e idrocarburi, e potrebbe rappresentare una potenziale ‘Iraq’.
Non è quindi da escludere la possibilità che, strumentalizzando la minaccia del terrorismo e la questione dei migranti, sia l’Italia che la Francia stiano giocando una partita parallela in Africa, un match che dura da anni.