L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

venerdì 6 aprile 2018

Siria - La politica gestisce le armi, la guerra

VERTICE DI ANKARA: cosa hanno deciso Iran, Russia e Turchia.

Maurizio Blondet 5 aprile 2018 

(Gli occhi della Guerra)

Il vertice di Ankara fra Iran, Russia e Turchia si è concluso. E il documento rilasciato da Vladimir Putin, Hassan Rohani e Recep Tayyp Erdogan, conferma le linee guida già espresse ad Astana e a Sochi. Il blocco composto dai tre Paesi sembra reggere, nonostante le divergenze. Ciò che li unisce è ancora più importante da ciò che li divide.

Da quello che si evince dalle dichiarazioni, la priorità scaturita dal summit è quella di proseguire nel dialogo. Le tre potenze coinvolte in Siria si riconoscono ormai nel gruppo di Astana. E per tutti e tre i leader è fondamentale non creare frizioni in questa sinergia delicata quanto fondamentale. L’asse che unisce Ankara, Teheran e Mosca rappresenta per ognuno dei leader presenti al vertice la garanzia di un blocco che possa contrapporsi alle logiche degli alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente. Ognuno con diverse vedute, ma tutti uniti da questo comune obiettivo.
Sconfiggere il terrorismo

Obiettivo dichiarato nell’incontro è stato quello di continuare nella lotta al terrorismo. Terrorismo che non ha una definizione univoca per i leader presenti al vertice, ma che ha un comune denominatore che trova tutti d’accordo.

Interessante, in questo senso, la precisazione che è stata scritta nel documento. Come si legge nel testo, pubblicato dal sito ufficiale della presidenza iraniana, i tre leader “hanno riaffermato la propria determinazione a continuare la cooperazione per eliminare definitivamente Daesh / Isis, Fronte al Nusra e tutti gli altri individui, gruppi, imprese e entità associati ad Al-Qaeda o Daesh come designati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in Siria e hanno sottolineato il successo dei loro sforzi collettivi nella lotta contro il terrorismo internazionale”. Terrorismo dunque che non comprende le milizie curde, come voluto da Erdogan.

Ma c’è dell’altro. Nel testo, si sottolinea che nella lotta contro il terrorismo, “la separazione dei gruppi terroristici sopra menzionati dai gruppi di opposizione armata che si erano uniti e avrebbero aderito al regime di cessate il fuoco rivestiva la massima importanza per quanto riguarda la prevenzione delle vittime civili”. Un segnale di una differenza di vedute sul ruolo di alcuni gruppi ribelli, che non vengono più inclusi automaticamente nel terrorismo.
Rispettare l’integrità territoriale della Siria

Putin, Erdogan e Rohani si sono impegnati pubblicamente al mantenimento dell’unità territoriale siriana. La Siria deve rimanere uno Stato unitario e indipendente. Una dichiarazione esplicita che serve e marcare i limiti dell’intervento armato della Turchia nel nord della Siria e le minacce di Erdogan sul non consegnare Afrin al legittimo governo di Damasco.

Nella dichiarazione si legge che i presidenti dei tre Stati “hanno sottolineato il loro forte e continuo impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’unità, l’integrità territoriale e il carattere non settario della Siria“, Ed si sottolinea anche che “nessuna delle azioni, indipendentemente da chi siano state intraprese, dovrebbe minare questi principi”. Nel documento, si legge che i tre Stati “hanno respinto tutti i tentativi di creare nuove realtà sul terreno con il pretesto di combattere il terrorismo e hanno espresso la loro determinazione a schierarsi contro le agende separatiste volte a minare la sovranità e l’integrità territoriale della Siria, nonché la sicurezza nazionale dei Paesi vicini”.

Messaggi che sono collegati alle dichiarazioni di questa mattina di Rohani, il quale ha accusato Israele e Stati Uniti di voler dividere la Siria. Ma che servono anche come “atto pubblico” con cui Erdogan si impegna, in sostanza, a rivedere i suoi piani di invasione. E il presidente turco ha infatti detto, in conferenza stampa, che “tutti i nostri sforzi sono stati in questo senso: l’integrità territoriale della Siria passa attraverso l’eliminazione di tutte le organizzazioni terroristiche”. Un chiaro riferimento ai curdi.
Le prossime tappe

I presidenti si sono impegnati a non considerare possibile una soluzione militare al conflitto siriano. Per tutti e tre, adesso, è necessario giungere a una soluzione politica. E adesso l’idea è che parallelamente all’impegno di questo blocco, ci debba essere un coinvolgimento sempre più ampio delle organizzazioni internazionali.

L’impegno è nel mantenere la tregua più a lungo possibile e si spera nell’intervento di agenzie internazionali che aiutino la ricostruzione siriana e il ritorno dei profughi nelle loro case. Obiettivo fondamentale ma difficile. La situazione, in molte aree, è ancora estremamente complessa. La guerra è entrata una una fase diversa, ma non è finita.

I tre leader “hanno espresso la convinzione che il Congresso nazionale di dialogo siriano, che è stato convocato a Sochi il 30 gennaio 2018, ha costituito un importante traguardo per spianare la strada al processo politico, e hanno ribadito il loro impegno a seguire sui risultati del Congresso, che riflette la volontà dei rappresentanti di tutti i segmenti della società siriana, in particolare l’accordo per formare un Comitato costituzionale, sostenuto dal Segretario generale delle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale”. L’idea è che sia arrivato il momento di mettere la parola “fine”.
Gli Stati Uniti presto fuori dalla Siria

Parallelamente al vertice di Ankara, arrivano le dichiarazioni dalla Casa Bianca sul fatto che l’impegno in Siria per sradicare l’Isis “sta arrivando rapidamente a conclusione“. Si confermano quindi le indiscrezioni sul presunto ritiro delle forze americane dalla Siria, anche se non c’è una data specifica sul ritiro.

La linea espressa da Donald Trump e che aveva sorpreso i militari e i diplomatici Usa è stata confermata nell’incontro del gabinetto di sicurezza nazionale. In quell’occasione, il presidente si era detto pronto a tenere i soldati in Siria nel breve termine


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