L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 10 febbraio 2018

Mauro Bottarelli - serve uno shock ma sia la Corea del Nord sia la Siria sono diventati fuori dalla portata degli Stati Uniti gli unici portatori di potenza geopolitica distrattiva distruttiva. Le Banche Centrali saranno costrette ad intervenire senza copertura politica che è responsabilità di...

SPY FINANZA/ L'impasse da risolvere per i mercati

Non è un momento semplice per i mercati e la situazione, spiega MAURO BOTTARELLI, è più grave di quello che potrebbe sembrare. Serve uno shock per evitare il peggio

10 FEBBRAIO 2018 MAURO BOTTARELLI

Lapresse

Allegri cari lettori, c'è da festeggiare. La Grecia è tornata sui mercati di capitale con un'emissione obbligazionaria a 7 anni da 3 miliardi di euro che non solo ha visto la domanda superare l'offerta del doppio ma addirittura calare il rendimento di 25 punti base rispetto alla forchetta di pre-collocamento, al 3,5%. Un successone! Viva la Troika e le sue ricette miracolose! Non sono impazzito, so benissimo che le Borse di mezzo mondo sono letteralmente crollate per l'ennesima volta, ma c'è un filo che lega che questi due argomenti: quanto mostrato dal grafico qui sotto, il delirante re-coupleche una finanziarizzazione folle sta per tramutare in realtà, ovvero la sempre crescente convergenza fra gli yields del decennale Usa con quello della fallita Grecia! Quanto ci vorrà per arrivare al pareggio? E perché no, al sorpasso ellenico? 

Ora, scherzi a parte, da ridere - come vi dico da giorni - c'è davvero poco ma occorre prendere atto che viviamo dentro un ibrido fra Matrix e il Circo Barnum, un qualcosa che ci ostiniamo ancora a chiamare mercati ma che tali non sono affatto: è un casinò globale a controllo di fatto statale, andato talmente fuori giri da regalarci l'alternanza di cali del 5% seguiti da rialzi del 3%, senza che nessuno - di fatto - chiami la Croce viola, quella dei matti, come si diceva un tempo a Milano. Ma, ripeto, l'ironia è solo un'arma difensiva, occorre prendere coscienza. Del fatto che il tracollo di Wall Street di giovedì ha talmente contagiato l'Asia da mandare al tappeto il Nikkei e vedere le Big Caps cinesi perdere oltre il 7%, registrando la peggior settimana di contrattazioni dal fallimento di Lehman Brothers. O del fatto che il Dow Jones, crollato di oltre 1000 punti, sia entrato ufficialmente in correzione dei corsi, bruciando tutti i guadagni da inizio anno. Tutti. 


Volete uno sguardo visuale di quanto sta accadendo, forse più efficace di tante mie parole? Eccolo riassunto nei grafici più sotto: una sorta di inferno finanziario a portata di mano quotidiana, davvero un capolavoro quello posto in atto dalle Banche centrali, penso che la lotta per il Nobel per l'economia 2018 sia una guerra fra loro e il Fmi, dei veri fenomeni. I grafici più interessanti sono il primo, il secondo e il terzo: rispettivamente, vediamo infatti l'aumento dei tassi e dell'inflazione entrare di prepotenza nel sondaggio fra manager di fondi compiuto mensilmente da Bank of America-Merrill Lynch e, soprattutto, una dinamica di outflows di capitali che, a detta di Morgan Stanley, sta cambiando natura, concentrandosi pesantemente negli Usa, accelerando le sell-off e offrendo una spiegazione a crolli come quelli di giovedì, sostanziatisi in brevissimo tempo all'interno di una seduta che era iniziata in positivo. 





Qual è infatti la ratio da seguire? Un'unione delle due logiche: il fatto che i manager siano preoccupati è un segnale, visto che sono professionisti del ramo, ma il combinato congiunto diventa devastante quando scopriamo che gli inflows di capitali che normalmente vanno a tamponare gli outflows ed evitano i crolli degli indici sono spariti. Insomma, scappano tutti, in primis i Risk-parity funds, normalmente i salvatori della patria rispetto a mosse repentine della cosiddetta smart money! E signori, se siamo riusciti a far spaventare e scappare il parco buoi, nonostante la retorica imperante di "mercato del toro" da parte del 90% dei media globali, vuol dire che stiamo davvero nuotando nel guano. E fino al collo. 

Siamo di fronte a qualcosa di diverso: i movimenti al ribasso degli indici di Wall Street, infatti, appaiono mossi non da una fornitura sistemica, ma da vendite discrezionali. Insomma, si è interrotta la logica in base alla quale a guidare sono le strategie di trading focalizzate su deleverage e basate sui volumi, tipico driver di outflows per gli TF retail (il parco buoi) e siamo entrati in pieno in un processo di creazione di un circolo vizioso ribassista e generalizzato, tanto che infatti i Risk-parity funds hanno sperimentato alcune delle più grosse perdite della storia. Di più, a venire a mancare è un altro elemento di bilanciamento relativo ai tantrum sulla risk-parity-correlation, ovvero gli inflows proprio dal mercato equities, un qualcosa già sperimentato nel corso di quest'anno, visto che in particolare i flussi su YTD equity ETF hanno superato il benchmark dei 100 miliardi, un tasso di crescita record. 

Ma se questi ETF equity, in gran parte mossi da investitori retail, cominciano ad andare in reverse, non solo il mercato equity ritraccerà - come sta facendo - ma la risultante crescita nella correlazione bond-equity potrebbe indurre un de-risking da parte di risk parity funds e balanced mutual funds, magnificando la portata di un'eventuale sell-off del mercato azionario, come accaduto appunto giovedì a Wall Street. Ed ecco i crolli. Anche repentini. E inaspettati. E siccome gli outflow da ETF stanno ancora salendo, prepariamoci ad altri balli in tempi brevi, visto che oramai si campa alla giornata, sperando di tamponare falle che si aprono una dopo l'altra. Bello il mercato sempre al rialzo delle Banche centrali, vero? Peccato che, quando accade che l'intonaco comincia a creparsi in un angolo, poi il disastro si espande a macchia d'olio e la reale figura emerge in tutta la sua drammaticità: e non basta l'ennesima mano di vernice per cercare di salvare capra e cavoli, arriverà i momento in cui la scelta dovrà essere chiara e qualcuno dovrà pagare un conto più salato degli altri

È inevitabile, soprattutto in comparti che giocano su incastri tipo puzzle come quello che vi ho appena illustrato: non si può sperare in una strategia win-win, salvo un ritorno quasi sincronizzato al Qe da parte della Fed. O, almeno, la convinzione da parte di una parte sostanziale del mercato che questo potrebbe accadere: per cosa, visto che la farsa dello shutdown è stata risolta in tempo record? Attenti alla Corea del Nord, come vi dico dall'inizio ma anche il bombardamento Usa a difesa dei curdi siriani, costato l'altro giorno la vita a 100 soldati delle truppe di Assad potrebbe essere un segnale (anche il fatto di aver colpito a Deir Ezzor, area dei giacimenti petroliferi, sotto controllo curdo filo-Usa dopo la cacciata dell'Isis e che le truppe del regime vorrebbe riconquistare, appare non una coincidenza): serve uno shock geopolitico forte, fortissimo per giustificare un ritorno in campo in grande stile - e pressoché generalizzato - delle Banche centrali, altrimenti si andrà avanti navigando a vista in base alle riemergenti forze di mercato e agli squilibri che esse impongono su indici che da almeno sei anni non sanno cosa sia una valutazione macro o prudenziale.

Non è un caso che, almeno fino all'ora di pranzo, l'Europa abbia sì registrato indici al ribasso ma in maniera molto più contenuta rispetto a Usa e Asia: se infatti la Fed è in piena politica di normalizzazione dei tassi e la Bank of Japan stia per finire anche le armi non convenzionali (lasciando nella faretra solo l'extrema ratio dell'helicopter money), l'eurozona può contare su una Bce che è ancora operativa, ancorché fino a settembre e con "soli" 30 miliardi di euro di acquisti al mese di munizioni. Comunque sia, in caso di situazione che sfugga del tutto al controllo, l'Eurotower - essendo ancora in regime di allentamento - sarebbe la prima a intervenire, ri-ampliando e ri-allungando il programma di acquisto, come più volte dichiarato da Mario Draghi

Staremo a vedere, ci attendono tempi decisamente interessanti. O drammatici, dipende come ci si muoverà. Di certo, nessuno pensi di poter evitare una correzione destinata ai libri di storia. Pena accettare l'azzardo faustiano del Qe e dell'indebitamento senza limiti in nome dell'emergenza: inoculando così a un organismo già debole, una bella endovenosa di antrace.

Siria - Il gioco sporco degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna e degli euroimbecilli per continuare ad uccidere e distruggere in queste terre che loro hanno voluto e vogliono martoriare

LA RISPOSTA USA A SOCI: STRAGE DI SOLDATI SIRIANI. ESCALATION.

Maurizio Blondet 9 febbraio 2018 

Il 7 febbraio, aerei USA hanno bombardato e massacrato più di cento tra soldati e forze governative di Bashar al Assad mentre queste stavano combattendo contro un gruppo ribelle arabo-curdo che detiene alcuni pozzi petroliferi a Deir Ezzor. La motivazione che Washington ha dato per questo che la Siria chiama “un crimine di guerra e contro l’umanità è stata, dapprima, “siamo intervenuti a protezione di forze che con noi combattono l’ISIS”, sottoposte a ”un attacco ingiustificato”.


Più tardi, la scusa è cambiata. Siamo intervenuti per proteggere da “un attacco non provocato le Forze Democratiche Siriane” (SDF) in “autodifesa”, perché con loro ci sono “membri in servizio della coalizione che sono lì per consigliare, assistere ed accompagnare” – dunque a difesa delle loro truppe (e britanniche, e forse francesi) che stanno guidando le SDF non nella fantomatica guerra all’ISIS, ma per mantenere agli Stati Uniti e ai suoi jihadisti una zona di territorio sovrano siriano, ricca di petrolio dunque autosufficiente economicamente. Gli americani hanno affermato che sono lì coi terroristi perché si tratta di “una zona di 8 chilometri lungo la linea di de-conflitto concordata dell’Eufrate”. La Siria dice che non c’è stato alcun “concordato” del genere fra i belligeranti, cosa che sembra confermata perché gli Stati Uniti non hanno partecipato a negoziati: si sono piazzati lì, semplicemente, coi loro corpi speciali. I comandi Usa hanno asserito che “la coalizione a guida USA aveva avvertito i comandanti russi della presenza di forze SDF molto in anticipo rispetto all’attacco che abbiamo respinto”.

Palesemente, il massacro dei soldati siriani è la risposta americana alla Conferenza di Soci, il grande successo diplomatico di Mosca, che è riuscita a riunire 1500 delegati di quasi tutte le componenti etniche o politiche della Siria, nemiche ed amiche, le quali hanno firmato un documento comune sul futuro pluralista della Siria, che (fra l’altro) non impone né prevede la detronizzazione previa del presidente Assad. La base di un programma di pacificazione nazionale che Usa, Francia, Inghilterra, ed ovviamente Mogherini (Merkel), hanno fatto di tutto per svalutare il Congresso di Soci, anzitutto non partecipandoci e dandolo per non avvenuto; pochi giorni prima, Macron “aveva organizzato a Parigi una conferenza contro il presidente Bashar-al-Assad”, allo scopo “di metterlo sotto accusa e impedirgli di candidarsi alle elezioni, basandosi sui rapporti [falsi, ndr.] della Missione ONU sull’impiego di armi chimiche”.

Come abbiamo già raccontato, il loro piano è stato sventato dall’arrivo a sorpresa, a Soci, di Staffan De Mistura, che in qualità di plenipotenziario incaricato dall’ONU sulla Siria – dunque in piena legittimità – ha controfirmato, quindi legittimato ed approvato, il documento dei 1500.

Ci siamo domandati se aveva superato il suo mandato, De Mistura, dando una così alta legittimazione. Ovviamente era un’inesattezza: un plenipotenziario ONU, per definizione, non ha limiti di mandato per fare la pace. E certo il nuovo segretario generale, il portoghese di sinistra Guterres, è di tutt’altra stoffa di Ban Ki Moon, servo degli americani se mai ce ne sono stati: anche questo un segno del tramonto del prestigio internazionale americano.

Quindi a Washington non è restato che gettare sul progetto di pacificazione, firmato da De Mistura, la spada di Brenno. L’esercizio della violenza e del massacro che segnala:Noi siamo qui e contiamo perché possiamo uccidervi”. Il “diritto internazionale” del Gangster mondiale, coniugato al “diritto” talmudico.

La cosa è stata preordinata e lo dimostrano il sostegno vergognoso che EU, Macron e britannici hanno dato, rinnovando l’accusa che Assad perpetra attacchi chimici “contro il suo stesso popolo(con il cloro!, non molto efficace…); e subito dopo, i media televisivi europei hanno diffuso un video su “centinaia di morti” provocati da Russi e Siriani a Goutha, un video dove tra il fumo ribelli pieni di umanità salvano bambini, insomma nello stile (ormai inconfondibile) degli Elmetti Bianchi, ossia dei servizi britannici. Ovviamente, con l’immancabile giunta che “tre ospedali sono dalle bombe di Assad”. Esattamente come Aleppo, Goutha è pieno non di jihadisti, ma di ospedali e di bambini denutriti. Seguono lacrime della Goracci e di Più Europa.



Il motivo vero è che “gli inglesi, che stanno combattendo con gli Stati Uniti contro il presidente siriano Bashar al-Assad, vogliono ottenere un cessate il fuoco “umanitario” nella parte orientale di Ghouta allo scopo di riorganizzare i ribelli che sostengono” (DWN). Ovviamente i russi non ci stanno.

L’Onu ha condannato la Siria, ma è quello “di Ginevra”. Dove le istanze ebraiche di Jeffrey Feltman, ebreo sionista e numero 2 affiancato a De Mistura, sono tenute più in considerazione.

L’aviazione russa ha effettivamente intensificato i bombardamenti su Goutha, dove resistono i jihadisti di Washington, come risposta al bombardamento americano sulle truppe siriane, per accelerare la ripulitura dei pericolosi angoli riforniti di armi Usa, fra cui i MANPAD uno dei quali ha abbattuto l’aereo russo qualche giorno fa. Si tratta di far capire agli irregolari sul campo che non si violano impunemente gli accordi di de-conflitto presi coi russi .

Perché – secondo osservatori qualificati sul posto, e il giornale d’opposizione Al Etihad – l’intervento americano avrebbe avuto lo scopo di sabotare un accordo già raggiunto, in cui i “suoi” jihadisti avevano già cominciato a cedere pacificamente una zona, l’ex campo petrolifero

 

Conoco oggi improduttivo, in accordo con una compagnia privata russa militare chiamata ”Wagner Group”, che ha col legittimo governo siriano un contratto: si terrà il 25% degli introiti petroliferi dai pozzi che “recupera e protegge” per conto di Damasco.

hanno mandato a monte un accordo già raggiunto

“Fatto interessante, una settimana fa, i locali avevano parlato di un imminente riconsegna concordata dell’impianto [Conoco al governo siriano] da parte di una fazione araba all’interno delle SDF”, ha scritto la fonte locale Hassan Hassan (vedete il secondo tweet):



4. It’s now clear the reports most likely came from regime sources, given it covered movements in all Deir Ezzor including near towns not yet taken by the SDF.

The Coalition’s attack apparently happened near Khisham, targeting movements near the SDF-controlled Conoco gas plant.


5. Interesting, about a week ago, local reports also suggested an imminent deal to hand over the plant to the regime through an Arab faction within the SDF.

Le SDF, sostenute dagli Usa, sono in parte curde, e in parte arabo-siriane.

Secondo The Syrian Observer, “le SDF (Syrian Democratic Forces) avevano informato la coalizione a guida USA di questo accordo. La coalizione aveva invitato i combattenti SDF di non resistere alle forze del regime e consegnare l’area”, ché anzi “le SDF avevano già evacuato l’armamento pesante dalle parti della zona tenute da milizie arabe e turcomene”.


Il che fa’ pensare che le componenti “arabe e turcomene” delle SDF avessero aderito a un piano di de-conflitto, che può avere un rapporto col Documento di Soci. La fazione curda ha chiamato gli aerei USA per opporsi alla pacificazione? Nemmeno questo è certo.

La sola cosa certa è che, lungi dall'accettare l’attenuazione del conflitto, “USA e Israele hanno scelto l’escalation della guerra in Siria”; come scrive Stephen Lendman su Globalresearch: e non vuole farlo sedendosi a un tavolo a trattare (con chi? Con animali parlanti?) ma bombardando ed usurando pezzo per pezzo l’esausto esercito siriano affiancato da Hezbollah ed Iran. Con il programma di trascinare l’Iran e la Russia in un conflitto sempre più vasto.

Chiunque capisce che in questo intricato groviglio di alleati regolari e irregolari, mercenari e contrattisti russi e corpi speciali britannici, può – e deve – scoppiare il conflitto mondiale voluto ed atteso. In questa situazione esplosiva, restano da cifrare le intenzioni turche.

“L’esercito turco ha preso di mira combattenti YPG nella regione nord-ovest di Afrin da gennaio. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha detto oggi che quello che ha fatto finora in Afrin è solo un “riscaldamento”, nei prossimi giorni ci saranno “ulteriori passi”. Aveva ripetutamente minacciato di estendere l’offensiva alla città di Manbij”, scrive DWN. Che aggiunge: “L’approccio dell’Alleanza Atlantica verso il partner della NATO, la Turchia, non è chiaro. Finora, l’Occidente non ha espressamente condannato l’invasione della Turchia in violazione del diritto internazionale, ma ha parlato di diritto della Turchia all’autodifesa. Persino la Russia non si è esplicitamente opposta all’invasione turca che era possibile, anche se l’Aeronautica russa controlla lo spazio aereo su Afrin. La Turchia agisce in una imperscrutabile doppia alleanza sia con gli americani che con i russi”. Dunque anche il giornale tedesco si aspetta un possibile voltafaccia di Erdogan, le cui mire sulla Siria sono note. Molta attenzione alle mosse del turco:

“Secondo l’AFP, Ankara ha detto giovedì che Erdogan ha concordato con il capo di stato russo Vladimir Putin in una telefonata che presto si incontreranno a Istanbul con il presidente iraniano Hassan Ruhani per un vertice tripartito. Anche con Ruhani Erdogan aveva concordato telefonicamente un incontro del genere. Dall’inizio del 2017, i tre paesi hanno condotto una campagna per una soluzione politica del conflitto siriano e hanno raggiunto un ampio accordo tra i vari partiti in conflitto siriano durante una conferenza a Sochi. Tuttavia, l’Occidente non riconosce i risultati di Soci” (DWN).

In un simile esplosivo momento, ecco che cosa fa la Mogherini a nome della Commissione Europea

E’ strategia della Commissione europea per integrare nell’Ue sei Paesi dei Balcani occidentali”: si tratta di Serbia e Montenegro, Albania e Repubblica ex Jugoslava di Macedonia, Bosnia Erzegovina e Kosovo. Una strategia che va contro la volontà popolare almeno di Serbia e Montenegro, ed una provocazione in più contro Mosca

.

Chi la ferma? Non è stata eletta da nessuno.

Non ci resta che concludere provvisoriamente con Moon of Alabama (il sito meglio informato sulla Siria) : “Gli Usa devono essere prudenti: anche gli altri sanno fare giochi sporchi. Le sue truppe nella Siria del Nord-Est hanno linee di rifornimento sottili e mal protette. Come le forze Usa in Irak, sono vulnerabili ad attività clandestine dell’altra parte. Non sarei sorpreso se esse (le truppe Usa) ricevessero “attenzioni” inattese e sanguinose”.

Vale la pena di ricordare che solo poche settimane fa il generale Suleimani, il capo supremo degli iraniani in Siria, aveva scandito: “Quando finisce la lotta contro l’ISIS, nessun soldato americano sarà tollerato sul suolo siriano. Vi consiglio di andar via spontaneamente”.

Roberto Pecchioli - ci vuole lo Stato, una strategia e una gestione lungimirante sull'acqua

LA LEGGE DELL’ACQUA

Maurizio Blondet 9 febbraio 2018 
di Roberto PECCHIOLI

Giacinto Auriti chiamava “legge dell’acqua” il principio per cui le popolazioni si spostano dove esiste ricchezza. L’acqua è la risorsa naturale più importante: senza di essa è impossibile non solo l’attività economica, ma la vita stessa. La geopolitica afferma che gli scontri politici del futuro prossimo saranno determinati dal controllo delle risorse idriche, in una Terra il cui destino climatico sembra segnato da ondate di siccità e progressiva desertificazione.

Sono note le teorie storiche sulle cosiddette civiltà potamiche, sorte cioè attorno a grandi vie d’acque, come il Tigri e l’Eufrate (assiri e babilonesi), il Nilo (egizi) e l’Indo. Uno studioso del calibro di Karl August Von Wittfogel, nell’ambito della sua teoria sul dispotismo orientale, elaborò il concetto di “civiltà idraulica”. Secondo l’autore tedesco, da millenni la specie umana lotta per regolare e suddividere le diseguali risorse idriche del pianeta. La Cina ha mantenuto per secoli una chiara superiorità rispetto all’Occidente nella costruzione di dighe, canali navigabili e sistemi di irrigazione. I compiti relativi richiesero la creazione di specifiche professionalità scientifiche ed artigiane, nonché la presenza di un’alta burocrazia statale in grado di guidare i progetti e reclutare, generalmente in forme coattive, masse enormi di operai.

Conosciamo tutti le imprese dei Romani, in grado di spostare l’acqua per migliaia di chilometri realizzando anche meraviglie di bellezza architettonica. La civiltà araba medievale eccelse nell’ingegneria idraulica, tanto che l’assetata Andalusia gode tuttora delle imponenti opere realizzate al tempo della dominazione moresca sulla Spagna. Governi lungimiranti e politici del rango di statisti sono quelli capaci di affrontare un problema come quello di regolare le acque e renderle disponibili per i tre usi essenziali: civili, ossia dissetare la popolazione; industriali, poiché molte produzioni necessitano di grandi quantità d’acqua; infine gli usi energetici, imbrigliare le acque per la generazione di energia idroelettrica.

L’Italia ufficiale ignora il problema da decenni, nonostante i moniti degli studiosi e l’evidenza di una fase climatica di siccità e aumento delle temperature. Non serve essere degli esperti per osservare le ricorrenti magre di fiumi come il Po, né per verificare l’enorme diminuzione della portata dei torrenti. La parte più meridionale del nostro territorio mostra già segni di desertificazione. In Sardegna stanno morendo i cavallini della Giara di Gesturi per disseccamento delle fonti, nella Sicilia occidentale alcuni invasi sono ai minimi storici. Una città come Palermo non è approvvigionata regolarmente.

Occorre che la politica prenda atto della serietà del problema e lo affronti. I dati sono sconfortanti ovunque, drammatici nel Sud. Mentre la capacità di captazione di acque non aumenta per mancanza di investimenti, cioè di progetto politico, metà delle acque raccolte non raggiunge i rubinetti delle case, i campi da irrigare e le industrie da alimentare. Le infrastrutture di presa, convogliamento e distribuzione sono vecchie, la manutenzione è scarsa o nulla e in molte zone è la criminalità a decidere chi deve avere l’acqua. In Sicilia e Sardegna esistono invasi ed acquedotti che disperdono fino a tre quarti della risorsa. Altrove, si violenta l’ambiente con lo sfruttamento di falde a profondità sempre più grandi, rubando l’acqua alle generazioni future. Le precipitazioni, inoltre, si concentrano in periodi brevi, diventano più intense e pericolose, per cui non si è in grado di raccoglierle. Molte dighe e pozzi devono essere parzialmente svuotate per consentire un deflusso che non provochi inondazioni.

Ciononostante, la politica non va oltre la (cattiva) gestione delle emergenze. E’ ora di cambiare radicalmente. L’acqua è vita, bisogna prendere atto della realtà e agire di conseguenza. Abbiamo un vantaggio su altre parti del mondo: l’acqua c’è ed è ancora in grado di dissetare la popolazione, sostenere le industrie e contribuire a fornire energia.

Per secoli, la più importante via d’acqua italiana, il fiume Po è stata governata da una specifica autorità. Probabilmente, è necessario tornare a una gestione organica, complessiva e pubblica, dotata di una catena di comando, potere decisionale e visione a lungo termine. Le reti esistenti devono essere sottoposte immediatamente ad un grande piano di ammodernamento che riduca drasticamente la dispersione. Il bilancio dello Stato e degli enti territoriali deve disporre di risorse economiche che permettano interventi rapidi e finanzino le competenze, gli studi, le conoscenze scientifiche e tecniche necessarie. Vanno poi decisi con rapidità strumenti e obiettivi, ad esempio lo sviluppo di tecnologie in grado di recuperare le acque provenienti dalla depurazione. Nel settore del riciclo eccelle Israele, il cui territorio è in larga parte desertico ma alimenta una fiorente agricoltura e riesce a dissetare città di rispettabili dimensioni.

Anche in questo campo, è indispensabile il ritorno della politica, ovvero l’arte del bene comune, e ristabilire il ruolo prevalente delle istituzioni pubbliche a livello progettuale, operativo e gestionale. L’acqua è il primo e più importante dei beni comuni. Non può essere lasciata all’arbitrio dei potentati privati e va sottratta alla logica del profitto.

Serve autorità, decisione, senso del futuro. E’ la legge dell’acqua, ci vuole una classe dirigente, occorre uno Stato.

Manuel Castells - la tecnologia ci ha proiettato in una società interconnessa e ipercomplessa che ci obbligherà a tener conto delle opinioni degli altri e a confrontarsi. Vince chi ha più strumenti culturali per la salvaguardia del patrimonio umano e delle sue comunità, gli altri, con il tempo, saranno emarginati, messi all'angolo e sconfitti. Ciò non avverrà senza combattimenti, guerre e aspri duri confronti

La network society di Manuel Castells, iperconnessa e ipercomplessa

By Antonella Gioia -8 febbraio 2018


Il sociologo Manuel Castells è considerato il padre della network society, la società delle reti in cui le strutture sociali principali e le attività sono organizzate intorno a reti di informazione elaborate elettronicamente. L’elemento di novità è, dunque, la tecnologia, la quale ha progressivamente trasformato strutture e organizzazioni. La Rete è allo stesso tempo un mezzo e un luogo di comunicazione, nonché la forma organizzativa che contraddistingue la società contemporanea.

Castells afferma che, in questo scenario, l’informazione gioca un ruolo chiave, poiché alimenta i modelli a rete e si pone come elemento di rottura con il passato. C’è un nuovo bisogno a cui far fronte, quello cioè di costruire nuove forme sociali, incentrate su prossimità semantiche, passioni e interessi specifici, piuttosto che su legami territoriali.

La network society ha provocato la nascita della mass self communication, la comunicazione di massa per le masse, caratterizzata da tre elementi: è di massa, poiché veicolata da Internet e dalle reti peer to peer, è multimodale, in quanto è consentita la ricollocazione e distribuzione di contenuti e, infine, è autonoma per ciò che riguarda la selezione dei dispositivi di emissione nelle interazioni many to many. Il sistema di comunicazione della società industriale ruotava attorno ai mass media, caratterizzati dalla distribuzione di massa di un messaggio unidirezionale one-to-many, da uno a molti. Il fondamento comunicativo della network society, invece, è costituito dal sistema globale di reti di comunicazione orizzontale, il quale trova spazio soprattutto nell’internet di seconda generazione, capace di connettere globale e locale.

Il modello della rete, dunque, è flessibile, adattabile, privo di confini. È una struttura senza centro, basata sull’interattività, sull’autonomia di ciascun nodo e sulla variabilità di scala. Ogni nodo ha la stessa importanza ed è fondamentale per il funzionamento della rete. Vengono ridefinite le dimensioni spazio-temporali: si parla infatti di “timeless time” e “space of flows”, concetti che si accompagnano ad un’inevitabile fusione tra pubblico e privato, tanto da arrivare ad escludere dalla comunicazione pubblica “coloro che non sono disposti a confidarsi” (Bauman, 2000).

La network society si ricollega al concetto di capitalismo informazionale, la cui forza principale risiede nella figura precaria del flexible worker, un ibrido tra lavoratori poveri e knowledge workers, salariati classici e consulenti ad alta specializzazione. Una network society che è, allo stesso tempo, networking e networked, attiva nel creare reti e passiva nell’esservi coinvolta.

Quella di Castells è una società iperconnessa e ipercomplessa, verso la quale il sociologo è decisamente ottimista, poiché condurrebbe ad una società più connessa, produttiva, accogliente e open-minded.

Immigrazione di Rimpiazzo - ci hanno fatto invadere volutamente, stanno mettendo in crisi le nostre comunità e invece di andare nel Fezzan a costruire scuole ospedali e aiutare nell'agricoltura andiamo in Niger servi della Francia, questi Politicamente Corretti euroimbecilli dobbiamo mandarli via a calci nel sedere, tic tac tic tac 4 marzo 2018

IMMIGRAZIONE E “FUOCO AMICO”

09 febbraio 2018


Il “fuoco nemico” lo conosciamo da sempre. Ma, come definire quello “amico”? Può essere di tipo incidentale, non voluto cioè, o esattamente il contrario. In questo l’Intelligence è maestra. Prendiamo Macerata, con l’orribile delitto di Pamela per mano presunta di uno spacciatore extracomunitario senza più diritto di soggiorno in Italia, il nigeriano Innocent (absit iniuria verbis) Oseghale. Per bilanciare quell’orribile fatto di cronaca che rischia di far perdere le elezioni ai fanatici del mainstream politicamente corretto, non c’era che da raddoppiare la posta, caricando l’immaginario collettivo di un conclamato aspirante stragista, neonazista di razza ariana. Manca in tutto questo una risposta seria alla vera questione di fondo. Ovvero: esiste, per così dire, un’origine certa di questo incontrollabile fenomeno migratorio, che il Medio Oriente fuori controllo ci regala da anni? Perché, chiaramente, l’uno (il caos mediorientale e la caduta di dittatori come Saddam, Gheddafi e, in parte, Assad) sostiene l’altro.

Basta guardare una carta geografica: dall’Africa centrale si arriva in Libia (e in Tunisia) se nessuno ha il controllo totale delle frontiere e se regna la frammentazione dei poteri, causata dai warlord o signori della guerra. Allora, lì ogni gruppo ha qualcosa da guadagnare vendendo qualunque merce abbia corso, come i nuovi schiavi da trasportare via Mediterraneo con le carrette del mare; ovvero droga e ogni genere di contrabbando. Ovviamente, esiste una catena criminale di Sant’Antonio che lega indissolubilmente il business del traffico di esseri umani dai Paesi di partenza a quelli di transito e smistamento, come Libia e Tunisia. Ma sono proprio Bengasi e Tripoli ad avvalersi cinicamente di quella forza lavoro a costo zero da utilizzare come manovalanza generica, costringendo gli immigrati a pagarsi in natura il passaggio con lavori umilianti e degradanti, e a subire stupri e violenze di ogni genere. Come siamo arrivati a questo? Semplice: per colpa di una sinistra europea scolorita (il comunismo era una cosa seria!) e imbelle che ha aperto alla globalizzazione e all’immigrazione indiscriminate, credendo che la prima avrebbe creato spazi e lavoro per tutti, europei e nuovi arrivati compresi.

In America Donald Trump ha messo brutalmente fine a questa farsa di mito. Noi, invece, non avendo un uomo forte che decida per tutti, siamo nell’impasse più totale: non abbiamo mezzi per ospitare centinaia di migliaia di profughi economici e, per di più, non sappiamo come fare per rimandare indietro coloro che non hanno diritto, e arrestare questa marea umana prima che prenda il mare. La follia di quanti pensano che sia giusto accogliere comunque si fonda su due basi del diritto. La prima è la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, che dà praticamente protezione in astratto a chiunque si trovi in difficoltà, a causa di guerre, del clima e della povertà. La seconda, analoga, è dettata dall’articolo 10 della Costituzione italiana che, in pratica, dà diritto a chiunque non goda dei nostri diritti civili di richiedere l’asilo politico. Quindi, la soluzione è ovvia: rivedere in profondità l’una e l’altra, dato che al loro concepimento nessuno poteva prevedere una simile immigrazione massiva e continua, destinata a creare un nuovo, incontrollabile odio xenofobo.

Ha ragione il Procuratore Nicola Gratteri: ricorriamo all’intelligence per stroncare ovunque le reti criminali e, soprattutto, usiamo tutti gli aiuti in nostro possesso per ricostruire l’agricoltura nei Paesi africani colpiti da questa migrazione epocale.

Roma - Calenda il prestigiatore quante fake news sulla trattativa. Vanno avanti da soli in quanto a fronte di stanziamenti centrali pretese di come gestirli e spenderli oltre a contributi impossibilitati da mettere in campo dopo lo spolpamento per 15 miliardi fatti dagli amici del venditore di fumo

LA POLEMICA COL GOVERNO

Il ministro Calenda alla Raggi: niente soldi? Dal Comune zero progetti

Dallo Sviluppo in via Molise ribattono punto per punto alle accuse della sindaca sui «3 miliardi che stiamo ancora aspettando». Dura risposta anche della ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, sui vaccini: «Raggi è in malafede, la legge parla chiaro»

9 febbraio 2018

Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda (LaPresse)

I due non si sono mai amati. Dopo mesi di ultimatum e stoccate a distanza, ci risiamo. Virginia Raggi torna ad attaccare il responsabile dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, sui 3 miliardi per Roma promessi e «mai arrivati». Mentre il ministro è a Torino da via Molise, numeri alla mano, rispondono alle accuse della sindaca: «Come già chiarito nel tavolo di ottobre, i 3,3 miliardi ai quali Roma può attingere considerano la totalità degli stanziamenti locali, regionali e nazionali. Aspettavamo le proposte del Comune, ma abbiamo ricevuto solo un file Excel pieno di errori: c’erano i titoli, ma mancavano le descrizioni».



Da qui l’assist del ministero, che ha individuato alcuni ambiti di intervento condivisi dal Campidoglio: 19 progetti ai quali sono stati destinati 1 miliardo e 256 milioni. Se non fosse che «l’amministrazione capitolina non ha ancora attivato le procedure, operative o finanziarie». Tutto bloccato. E le scuole sono tra gli esempi citati per descrivere lo stallo. Il Mise era pronto a impegnarsi in 250 istituti nell’arco di cinque anni coprendo il 65% dei costi (162 milioni) mentre la giunta M5S avrebbe dovuto garantire il restante 35%: 88 milioni, di cui solo 20 mila nel 2018: «Abbiamo avviato a nostre spese le indagini diagnostiche — fanno sapere dal dicastero — , ma nel bilancio del Campidoglio non c’è traccia di quelle risorse».

Stralciate dal tavolo, su richiesta della prima cittadina, le quattro priorità con Cassa Depositi e Prestiti: 138 milioni per interventi di housing sociale a Santa Palomba e alla Muratella, più 260 milioni per la riqualificazione dell’ex Dogana a San Lorenzo e delle ex caserme di via Guido Reni: «Ci hanno detto che sarebbero andati avanti da soli, ma finora non hanno fatto nulla». La resa dei conti più dura è sui trasporti: «Raggi sostiene di aver finanziato i semafori intelligenti con risorse proprie, ma si tratta dei 14 milioni stanziati dalla Regione nel triennio 2018-20 in aggiunta ai fondi Ue del ministero dell’Ambiente». Altra obiezione: «Roma ha chiesto 35 milioni, dei 100 previsti ogni anno per i comuni nella legge di Bilancio (2019-2033) per progetti di mobilità con alimentazione alternativa. La fetta più importante, 25 milioni, dovrebbe servire all’acquisto di 75 nuovi autobus, il punto è che non viene specificato su quali linee, se per l’ammodernamento della flotta o per ridurre lo smog» (Il ministero non da i soldi in quanto vuole sapere se servono per questo o quest'altro nel servizio trasporti, ci rendiamo conto di che pasta è fatta questo venditore di fumo messo li a fare il ministro?).

Stizzita la responsabile della Salute, Beatrice Lorenzin, che sui vaccini smentisce la prima cittadina: «O è in malafede o non ha capito la norma: in entrambi i casi poteva fare una telefonata, ma invece di collaborare con le istituzioni crea destabilizzazione». La ministra si riferisce alla mozione votata in aula Giulio Cesare per consentire ai bambini non ancora in regola con le vaccinazioni di portare a termine l’anno scolastico: «Non è il ministero ad aver dato ragione alla sindaca, ma lei a essersi resa conto di quello che prevede la legge» (non ci stancheremo mai di dirlo la Lorenzin è palesamente in mala fede, 10 vaccini obbligatori, tra cui il tetano, fatti con procedura d'urgenza e necessità in mancanza di emergenza, indicano conflitto d'interesse con case farmaceutiche).

Si astiene dal commentare il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, accusato di «non essere benevolo nei confronti della sua città». Se il premier tace, da Palazzo Chigi però non possono fare a meno di ricordare: «Il governo ha sempre pensato a tutte le città, in primis la Capitale, cercando di favorire soluzioni ai molti problemi, dall’emergenza idrica ai rifiuti».

Giulio Sapelli - Il Partito dei giudici in azione dopo l'affossamento mediatico di Finmeccanica ma non giudiziario ora tocca all'Eni, c'è una spinta ideologica di far del male alle aziende italiane. Gentiloni servo di Macron

Perché difendere Eni dal processo mediatico. Parla il prof. Giulio Sapelli



Le inchieste vadano avanti con rigore ma attenzione a nuovi casi Finmeccanica che hanno registrato assoluzioni dopo aver però danneggiato pesantemente l’azienda

Una nuova vicenda giudiziaria ha fatto irruzione nel sistema dell’informazione. Le gravissime accuse, asseverate dal giudice che ha disposto le misure cautelari, fanno emergere un quadro che se confermato merita di essere definito inquietante. Al centro delle vicende di presunta corruzione ed inquinamento giudiziario, vi è una grande azienda italiana, forse la più rilevante: l’Eni, la quale – va ricordato e sottolineato – non è al momento oggetto di addebiti da parte della magistratura inquirente. Se quindi è giusto che la giustizia faccia il suo corso, senza indulgenza, altrettanto utile è fermarsi a riflettere sulle sorti di questo campione nazionale finito nella bufera mediatico-giudiziaria. Formiche.net ha interpellato Giulio Sapelli, storico ed economista di fama internazionale e consigliere di amministrazione della fondazione Eni Enrico Mattei.

Professore, l’inchiesta che vede coinvolti manager Eni sta portando alla luce una pericolosa commistione fra poteri economici, politici, ma anche giudiziari. Le sembra un caso isolato, o si tratta di una malattia congenita del nostro Paese?

Non è la prima volta, non è una malattia isolata. Ricordo una famosa pagina, indimenticabile, de “Le radici della politica assoluta” di Alessandro Pizzorno, edita più di 25 anni fa, in cui prevedeva che il problema della democrazia sarebbe stato “il potere ordinamentale dei giudici”. Basti guardare cosa sta succedendo in Brasile: non è altro che la ripetizione, all’ennesima potenza, di quanto è successo qui in Italia negli anni ’90.

Dirigenti dell’azienda sono oggetto di accuse molto gravi ma il cane a sei zampe non è indagato eppure si legge (e quindi di parla) di inchiesta Eni.

L’Eni mi sembra molto indebolita. Mi sembra completamente sotto attacco. Un glorioso alce assalito da una muta di cani inferociti, che – profittando di una doverosa azione giudiziaria – vogliono sottrarla all’Italia.

Riconoscerà che è positivo il fatto che la giustizia italiana non mostra timidezza nei confronti dei giganti dell’economia.

Più che positivo. Sarebbe aberrante immaginare zone di impunità, che peraltro nessuno chiede. Quello che inquieta è il cortocircuito mediatico. Ricordo, per fare un esempio, che l’ingegner Guarguaglini, che più di un celebre giornalista ha perseguitato, non ha mai ricevuto un avviso di comparizione davanti al magistrato. Ciononostante, sotto il peso dei professionisti dello scandalismo, ha dovuto dimettersi da Finmeccanica. Da allora il colosso della difesa italiana ha avviato un processo di gravissimo ridimensionamento. L’inizio della fine è avvenuto senza che ci sia mai stato neppure un avviso di garanzia.

Crede che le aziende strategiche italiane siano troppo spesso esposte al fuoco dei processi mediatici?

L’Eni non è un’industria qualunque, lavorare con l’energia non vuol dire fare cioccolatini. La vicenda di cui stiamo leggendo in questi giorni avviene nel momento in cui l’Eni è in grande spolvero, è in ascesa dal punto di vista della ricerca mineraria. Eppure, nel rispetto del doveroso lavoro dei magistrati, non ha una difesa governativa. Lei si immagina la Total lasciata indifesa dallo Stato francese, o la British Petroleum da quello inglese? Per non parlare della statunitense Exxon Mobil: il suo amministratore delegato, Rex Tillerson, ora è Segretario di Stato.

C’è il rischio che un processo mediatico preventivo danneggi irreparabilmente la reputazione dell’Eni?

L’Eni è un’azienda così importante, forte e radicata che, credo, uscirà a testa alta da questa difficile congiuntura grazie alla qualità del suo management. La giustizia faccia il suo corso, inesorabilmente. Ma si presti attenzione alle distorsioni dei media. Leggevo l’altro giorno un articolo de Le Figaro che lamentava il sistema di processo mediatico e sui mass media prima che nei tribunali che ormai prolifera anche in Francia. Bisognerebbe che si tornasse a quella deontologia professionale e giornalistica che era un vanto italiano.

Teme un caso come quello di Finmeccanica? L’ad Giuseppe Orsi venne arrestato e l’azienda umiliata al punto che successivamente dovette cambiare nome. Salvo scoprire poi che Orsi era innocente.

Inutile nasconderselo: il rischio c’è. Io ho sempre manifestato pubblicamente e personalmente la mia solidarietà a Giuseppe Orsi, anche quando era in carcere. Personaggi come lui e Guarguaglini ci fanno onore. Il caso Finmeccanica fu un attacco politico, che veniva dall’Europa in chiave anti-inglese e anti-americana. Se Finmeccanica si era salvata dal baratro in cui l’avevano fatta cadere prima è perché gente come Guargualini, Orsi, Soccodato e De Benedictis ha imboccato la strada maestra di un’industria come la nostra: l’alleanza con il Regno Unito per lavorare nel mercato statunitense.

In questi ultimi mesi il presidente francese Emmanuel Macron ha dimostrato a più riprese di esser pronto a difendere l’interesse nazionale, anche a costo di mettere da parte, per un momento, le idee di libero mercato che lo hanno portato En Marche verso l’Eliseo. Secondo lei su questo l’Italia deve imparare dalla Francia?

Certo che ha da imparare. La Francia ha un sistema di porte girevoli fra Stato, imprese pubbliche e private. La ragion di Stato supera il pericolo del conflitto di interesse: questa è l’essenza della storia della Francia che inizia da Colbert e arriva ai giorni nostri. In Francia vige la filosofia del civil servant: chi fa gli interessi dei privati, così come chi fa gli interessi dello Stato, deve sempre fare l’interesse del Paese. Per un italiano è difficile capirla, perché la nostra borghesia imprenditoriale ha una formazione da familismo amorale. Per i privati francesi, prima dei padroni e degli azionisti, esiste la Repubblica.

È anche vero che la strenua difesa di Macron dell’interesse nazionale francese si è ritorta contro l’Italia. Penso al caso Fincantieri…

Non dimentichiamo che Mattei è stato ucciso dai fascisti francesi, nello stesso mese dell’attentato a De Gaulle, quando aveva già concluso con la Esso un accordo di spartizione delle sfere di influenza. L’Italia deve essere difesa dai vicini, con cui comunque deve mantenere dei buoni rapporti. È quello che faceva Camillo Benso di Cavour, che sapeva quanto fosse pericoloso Napoleone III, ma al tempo stesso lo usava a suo favore. Ad ogni modo ho qualche dubbio su “l’accordo del Quirinale” fra Italia e Francia. Non è chiaro cosa contenga ed il Parlamento ne è stato istituzionalmente informato.

Quindi?

L’unica nostra speranza rimane la salda alleanza con gli Stati Uniti d’America, altrimenti Francia e Germania faranno di noi un corpo dilacerato.

I partiti, i leaders, le sembrano consapevoli?

Serve grande intelligenza strategica, ma soprattutto un grande spirito di patria, e non questo squallido cosmopolitismo che si annida nella classe politica italiana oggi. Il risultato è che le destre fasciste sono le uniche a difendere la patria, e questo è molto pericoloso. Mi aspettavo molto da Gentiloni, speravo nel suo lignaggio. Avrei voluto uno spirito più patriottico, soprattutto con i francesi nel caso Fincantieri. Quando sento parlare Bruno Le Maire o Emmanuel Macron sento innanzitutto un francese. Noi siamo italiani prima che europei, e non dobbiamo vergognarcene.

venerdì 9 febbraio 2018

Alceste il poeta e il nostro vocabolario. Piccole gemme che escono dalla pancia a cui vogliamo dare la giusta rilevanza

giovedì 8 febbraio 2018

Un po' per celia e un po' per non morir ...


Questo glossarietto del diavolo (di un buon diavolo, però) è in divenire.
Voci si aggiungeranno, altre verranno tolte (alcune insidiate dall'attualità, altre dalla faciloneria).
Apporti esterni sono benvenuti (solo fra i normali utenti; i controinformatori professionali, di solito, non amano celiare, a parte Barbara Tampieri da Lameduck, ottima facitrice di motti, calembour e cattiverie assortite).
Il modello generale è quello del Poliziano, di Gadda, di Bierce.
Noterete, en passant, il titolo petroliniano: un bell'endecasillabo. Altri tempi, altra cura.

* * * * *

Aborto. "Tas ti, pistola!"

Accisa. Insulto romanesco.

Antifascista. Chi combatteva i fascisti. Oggi: chi combatte gli Italiani.

Antifascismo. Astuto stratagemma volto a ottenere finanziamenti pubblici per associazioni, cooperative e feste a base di cibo etnico.

Antisemitismo. L’ombra degli ebrei.

Arte, Critico d‘. Broker che trasforma i lavoretti rubati nelle scuole elementari in investimenti per nababbi.

Astensionisti. Larga fetta di depressivi clinici a cui è impedita la rappresentanza istituzionale.

Barcone. Mezzo usato per recare, con sciagure e lacrime, circa cento immigrati verso le coste siciliane mentre diecimila cinesi e pakistani passano la frontiera con la pippa in bocca.

Bonino, Emma. Apotecaria del sabba. 

Carabinieri (e Poliziotti). I Carabinieri sono come i Poliziotti, ma più guareschiani. I Carabinieri assomigliano a Flavio Insinna, i poliziotti ad Alessandro Preziosi. Coi Carabinieri non scherza nemmeno Pinocchio, coi poliziotti sì (però ti accarezzano nel retrobottega).

Cartella Pazza. Scherzo da impiegati ennui: "Per vedere l’effetto che fa".

Centro Sociale. Confraternita di straccioni che, al solito, equivoca l’abolizione della proprietà con quella dei detergenti da pavimento. Cibo etnico. Stomachevole congerie di vegetali e carni ammannite da ex Italiani.

Coesione. Ammonimento mafioso. Da tradurre come: "Occhio, ragazzi!".

Confindustria. Associazione di nababbi impegnata a sbagliare qualsiasi previsione economica dai tempi di Quintino Sella.

Coppie di Fatto. Coppie esenti dal battesimo istituzionale; godono del privilegio di rovinarsi vicendevolmente la vita senza l'inciampo di avvocati e tribunali.

Costituzione. Raccolta di antiche sentenze dei mores italici, ora caduta in universale discredito.

Criminalità. La sparizione del contante ne innalzerà i migliori membri al rango di dirigenti statali.

Culture, Scontro (o Incontro) di. Quali?

Demagogia. L‘Amleto recitato da Maurizio Battista.

Demagogo. Chi preferisce, a ragione, l’Amleto di Battista a quello di Alessandro Gassman.

Democrazia. Esportata in blocco. Ne rimane qualche avanzo in frigo.

Depezzamento. Pratica autolesionistica in uso fra le giovani italiane.

Destra/Pensiero di Destra. Congerie di credenze sovrannaturali atte risvegliare la parte più gonza dell'Elettorato Attivo di riferimento. Lo stesso che Sinistra/Pensiero di Sinistra: ma con qualche rutto in più.

Deviante. Chi si abbevera alla normalità.

Diritti delle Minoranze. Espressione furbesca che ingenera surrettiziamente nelle maggioranze la certezza di godere diritti.

Dissenso. "Fredo, sei il fratello maggiore e io ti voglio bene. Ma non ti azzardare mai più a schierarti contro la famiglia, è chiaro? Mai più".

Elettorato Attivo. L'Elettore Attivo delega periodicamente la propria condizione di cittadino a perfetti sconosciuti che militeranno vita natural durante nell'Elettorato Passivo riunito in appositi spazi ludici (Parlamento, Assemblea cittadina, Consiglio Regionale e Provinciale, Municipio, Comunità Montana).

Elettorato Passivo. Accozzaglia di elementi indesiderabili della società che, annualmente, viene confinata in apposite aree del Paese (Parlamento, Assemblea cittadina, Consiglio Regionale e Provinciale, Municipio, Comunità Montana).

Elezioni. Deità invocate da chi presume d'essere eletto.

Emigrazione. Vivo dolore ha destato l'affondamento di un barcone di Italiani al largo delle coste tedesche.

Enti locali. Struttura costituzionale modellata sulle gerarchie angeliche in grado di ricreare fedelmente, a livello sempre più minuto e parodistico, l'inefficienza pubblica.

Famiglia. Di solito assomma tre generazioni con grado discendente di solvibilità.

Fascista. Insulto rivolto a chi addita la realtà.

Federalismo. Sorta di Rocky Horror Picture Show in costume celtico. Ora in disuso.

Femmina. Grazioso e docile vertebrato. Branchi superstiti sono stati avvistati in alcune riserve meridionali.

Femminismo. Errore epocale di alcune signore che disprezzavano il maschio a vent’anni e lo ricercano avidamente oggi, a settanta.

Femminista. Negli anni Sessanta: "Col dito, col dito!". Oggi soccorre l’industria del gadget pornografico. 

Finocchio. Ex maschio che rimprovera al proprio partner di non essere abbastanza maschio.

Fregna. Sinonimo di desiderio maschile. Oggi in disuso.

Freud, Sigmund. Orapollo, nei suoi Hieroglyphiká, parla dell’ippopotamo giovane che, impedito dal padre di unirsi alla madre, lo uccide. Nascere a Vienna a metà dell’Ottocento è stata, chiaramente, una fortunaccia.

Gay Pride. Il Martedì Grasso della legge Basaglia.

Giornale (o Telegiornale). Florilegio di resoconti, freddure e alte opinioni che, venduta come fresca il mattino, manda odor di rancido la sera stessa.

Giornalismo. Innata capacità a mentire naturalmente. Se televisivo, il Giornalista Brillante si fregia di Maniche Rimboccate o di Amichevole Autorevolezza o di Giovanile e Composta Baldanza da Manichino.

Giornalista. Perdigiorno che si distingue per l'uso di alcuni topoi: al vaglio degli inquirenti, bomba d'acqua, piccolo Tommy, tragedia familiare. 

Giovani. Termine con cui si infiorettano discorsi inutili. 

Giudice. Burlone che emana sentenze alla moda.

Giustizia. Gioco da tavolo in cui la gattabuia è più vicina al Vicolo Stretto che al Parco della Vittoria. 

Globalizzazione (o Delocalizzazione). Gioco di Società a livello mondiale basato sul principio dei vasi comunicanti. Si mette in collegamento un salario riempito per 8/10 con un salario riempito per 2/10. Il primo scende a cinque, il secondo sale a cinque. Le spiacevoli conseguenze sono regolate tempestivamente da Polizia, Carabinieri e Digos.

Governabilità. Disteso clima politico atto a facilitare la sistematica predazione delle risorse pubbliche.

Guenon, René. Sul più bello ti nega l’orgasmo.

Hitler, Adolf. Baubau evocato ai bibi che fanno i capricci.

Immigrazione. Distrazione giornalistica legata all'isola di Pantelleria.

Instabilità. Contrario di Governabilità. Ne consegue l'invito alla Coesione.

Jobs Act. Culto celeste del dio Precario Job. 

Lacan, Derrida, Deleuze. Scambiare l’incomprensibile per il profondo è il tratto distintivo del cretino rispetto all’ignorante (riadattato da Leonardo Sciascia).

Larghe intese. Sesso fra consanguinei.

Lavoro. Antico dio della cosmogonia europea. Sovraintendeva al rapporto padrone/salariato. La liturgia del dio Lavoro era officiata dall'Antico Ordine dei Sindacalisti. La figura perse progressivamente il proprio ruolo centrale a seguito dell'irruzione delle deità transatlantiche, dominate dal culto celeste del Precario Job.

Legge. Una tira l'altra.

Legge elettorale. Abile ricalcolo di matematica creativa per trasformare in maggioranza una parte del Ceto Politico o Casta votato da una sparuta minoranza dell'Elettorato Attivo(o Popolo; già Popolo Bue).

Legge di Stabilità. È all'uso calabrese: significa che l'Italia dorme coi pesci.

Magistrato. Giocatore di dadi.

Marx, Karl. Solo condensato in Bignami, per carità.

Matrimonio Omosessuale. Subdola macchinazione ordita per gettare nella disperazione una minoranza di cittadini, ora felici.

Maschio. Quadrumane ormai estinto, il Maschio era una figura dai tratti chimerici e patriarcali che passava l'esistenza in uno stato edenico garantitogli dalla Femmina (ora Donna). Viene tuttora confuso da alcune zoologhe sociali con l'Uomo, tremebonda e infrollita diramazione genetica d'esso. Tale equivoco sfocia irresistibilmente e periodicamente nelle querule rivendicazioni catalogate sotto il generico contrassegno diParità di Genere.

Montesquieu. "Il potere esecutivo, legislativo e giudiziario vanno scrupolosamente e rigidamente divisi". E giù risate.

Moro, Cadavere di Aldo. Il "Fate largo!" dei nuovi tempi mirabili.

Notista politico. Perdigiorno capace di declinare, in prosa noiosissima, una nutrita serie di menzogne.

Nouveaux Philosophes. Gruppo di narcisi abili a far credere ai più sprovveduti dell’esistenza di un alto pensiero. 

Occupazione. Originariamente figlia/paredra del dio Lavoro, il culto di Occupazione venne riassorbito da quello del Dio Precario Job. Era sempre accompagnata dall'epiteto di Piena: Piena Occupazione.

Pace. E Bene.

Pacificazione politica. "A' pistola lasciala ... pigliami i cannoli".

Papa. A Pasqua se la ride ancor di più. 

Parità di Genere. Credenza fallace nell'esistenza del Maschio. Più spesso, machiavellismo inteso a stornare l'attenzione dell'Elettorato Attivo o (Popolo Bue) dalla (dis)parità di Salario.

Parlamento. Spazio teatrale per un giuoco di ruolo importato in Italia a metà degli anni Quaranta.

Parlamento Europeo. Consesso legislativo sovranazionale in cui la Finlandia regola giuridicamente la coltivazione degli olivi mediterranei.

Pensiero Debole. Incapacità di controllare la proliferazione delle bibliografie altrui.

Pensione. Esponente minore del Pantheon italico antico, venerata a margine del culto del dio Lavoro.

Popolo. Accozzaglia di matite copiative.

Populismo. Biliare e strapotente impulso a strangolare qualcuno.

Qualunquismo. Tendenza ad azzeccarci.

Querela. Maledizione lanciata per zittire chi ha ragione da vendere.

Quote rosa. Complicatissimo stratagemma per ripartire sessualmente in parti eguali circa mille cialtroni.

Razzismo. Odio sorgivo e incontrollabile per chi non ha soldi.

Responsabilità. Vocabolo icastico usato per giustificare l'ingiustificabile: i Responsabili, invito alla Responsabilità, alto senso di Responsabilità. La Responsabilità, presa in compresse, da sciogliere sotto la lingua, tre volte al dì, aiuta a lenire le infiammazioni populiste.

Ripresa. La Ripresa del 2014. La Ripresa del 2015. La Ripresa del 2016. E la Ripresa del 2017-2018: in salita, in quinta marcia, su una Fiat Duna col freno a mano tirato.

Salario. Bizzarro culto, parallelo a quello di Ferie e Malattia, oggi relegato in qualche ridotta ministeriale o statale.

Salute. E figli maschi.

Sciopero. Astensione quaresimale in perfetta sincronia con le partite di Champions League.

Scuola. Campi concentrazionari in cui allevare nell'ignoranza il futuro Elettorato Attivo o Popolo.

Scuola Privata. Rilassati collegi in cui allevare nell'ignoranza i futuri plutocrati e membri dell'Elettorato Passivo.

Sicurezza (già Legge o Ordine). Moto di decisionismo che emergeva quando i partiti di destra erano in crisi di consenso. Abusato a livello locale (specie dopo episodi di crimini sessuali a opera di zingari, rumeni e nigeriani), il termine, slittato anche nel gergo corrente della Sinistra, sembra oggi fuori moda.

Sindacalista. Chi mostra somma abilità a trattenere le risa quando parla ai tesserati. 

Sindacato. Preterita confraternita religiosa delegata ai culti del dio Lavoro. Sopravvive nei CAF.

Sinistra/Pensiero di Sinistra. Congerie di credenze sovrannaturali atte risvegliare la parte più gonza dell'Elettorato Attivo di riferimento. Lo stesso che Destra/Pensiero di Destra: ma con De Gregori e Fossati in più.

Smorzare i toni. Locuzione usata quando le cose buttano male.

Società. Recentemente abolita.

Specialista. Chi controlla lo 0,5% dello scibile umano e ve lo fa pagare salato.

Speranza. Ottima se in insalata, con cetrioli.

Statale. Fuori dell’orario di lavoro è un impiegato modello.

Svezia. Esperimento sociale che dimostra la superiorità dei climi temperati.

Tecnico. Idiota sapiente.

Telespettatore. Il rotare del cestello catodico lo culla per ore sino al trillo della centrifuga che annuncia la cronaca nera.

TFR. Altro nome della dea Pensione.

Utopia. Stato edenico. Per fortuna irrealizzabile.

Volano. Sciocca metafora usata per annunciare una ripresa economica inesistente.

e proprio grazie alla Geopolitica che Noi Italiani siamo costretti a respingere con forza l'Immigrazione di Rimpiazzo che ci vogliono imporre con la forza e gli euroimbecilli del Pd sono il braccio armato per realizzare questa imposizione insieme a Francesco

Cos’è la geopolitica e perché va di moda

Carta di Laura Canali

7/02/2018

RUBRICA IL PUNTO Non è una scienza, tempera la sindrome di onnipotenza e cesserà con la fine della specie umana. Forse.



Geopolitica è parola di moda. Corre e ricorre nei media, talvolta al bar o allo stadio. Imprenditori e finanzieri discettano di “rischio geopolitico”. Decisori politici e strateghi militari l’applicano alle loro procedure. Da qualche anno è entrata, sia pure in punta di piedi, financo nell’accademia italiana.

Eppure fino a pochi anni fa era tabù. In alcuni (rari) paesi e ambienti lo è ancora. Per esempio nel dibattito pubblico tedesco si tende a non evocare la Geopolitik in quanto presunta scienza nazista. In Italia, quando nel 1993 nacque la rivista di geopolitica Limes, autorevoli esponenti del mondo politico l’accusarono di fascismo. Alcuni forse memori di Geopolitica, rassegna diretta da Ernesto Massi e Giorgio Roletto tra il 1939 e il 1942, sotto la benevola protezione di Giuseppe Bottai. I più semplicemente perché usi percepire odore di zolfo attorno a una disciplina associata ai totalitarismi novecenteschi.

Come spesso accade, se rompi un tabù si scatena un sabba. Sicché oggi ognuno si sente in diritto – talvolta in dovere – di produrre la propria definizione di geopolitica, non fosse che per il gusto di discuterne. Posto che tanta vis definitoria non solo è legittima ma probabilmente – e fortunatamente – infinibile, come si spiega questo revival?

Proviamo a indagare la questione a partire dalla più economica delle definizioni: la geopolitica analizza conflitti di potere in spazi determinati. Per questo incrocia nel suo ragionamento competenze e discipline diverse: dalla storia alla geografia, dall’antropologia all’economia e altre ancora. Non è scienza: non possiede leggi, non dispone di facoltà predittive. È studio di casi specifici, per i quali è necessario il confronto fra le diverse rappresentazioni dei soggetti in competizione per un dato territorio, su varie scale e in differenti contesti temporali, e fra i rispettivi progetti, tutti ugualmente legittimi.

Per ciò stesso, il ragionamento geopolitico è dinamico, perché si svolge nello spaziotempo, e nient’affatto limitato alle guerre ma estendibile a dispute politico-amministrative (esempio: come disegnare un collegio elettorale, a quale Regione debba appartenere un Comune, quale giurisdizione spaziale debbano avere certi tribunali, come disegnare una diocesi).

Carta di Laura Canali

Le analisi geopolitiche hanno carattere contrastivo, giacché la loro pregnanza euristica deriva dalla capacità di mettere a confronto i punti di vista in competizione, non di affermarne la verità di uno. Operazione che spetta eventualmente al decisore o ai narratori, nel senso di chi produce propaganda (narrative). La geopolitica non è quindi patrimonio di una dottrina politica, di una disciplina accademica o di un periodo storico determinato. Esiste da sempre – per noi almeno dalla disputa fra Romolo e Remo nella fondazione di Roma – e cesserà solo con la fine della specie umana. Salvo continuare forse nelle competizioni fra intelligenze artificiali che si siano emancipate dai loro inventori.

Come mai questo termine, che ha più di un secolo di storia, ha subìto tanto ostruzionismo durante la guerra fredda? Perché era interesse delle maggiori potenze dell’epoca – Usa e Urss – e dei loro satelliti propagandare la propria irriducibile contrapposizione sotto specie ideologica e moralistica: liberal-democrazia contro comunismo, capitalismo contro economia pianificata. Bene contro Male. Con la crisi del paradigma ideologico – visibile dapprima nel quadrante comunista a partire dalla guerra di confine fra Repubblica Popolare Cinese e Unione Sovietica, poi gradualmente estesa ai più vari spazi e contesti storico-geografici – sono emersi a evidenza latenti conflitti territoriali che le contrapposte ideologie imperiali tenevano ben velati. Di qui la proliferazione di confini e conflitti territoriali.

Carta di Laura Canali – 2017

Si prenda solo una banale carta politica dell’Europa d’oggi, dove s’incrociano le frontiere di oltre cinquanta Stati e staterelli, e la si confronti con quella del 1914, dominata da pochi imperi, o anche del 1949, quando il continente e in specie la Germania – principale posta in gioco della guerra fredda – erano bisecati dalla “cortina di ferro”. La complessificazione dello spazio europeo, sia formale (visibile) che informale (invisibile, spesso per iniziativa di attori criminali, veri e propri Stati mafia o mafie-Stati), ne risulta plastica. Provare a interpretare i conflitti territoriali ricorrendo alle categorie moral-propagandistiche della cosiddetta èra bipolare significa condannarsi al fallimento.

La principale congiunzione analitica insita nel ragionamento geopolitico attuale riguarda la coppia storia-geografia. E non solo per lo spatial turn o altri approcci recenti diffusi nell’accademia, che insistono sulla necessità di leggere il tempo storico nello spazio. Conviene partire dal suggerimento di Carlo Ginzburg: «Per capire il presente dobbiamo imparare a guardarlo di sbieco. Dobbiamo imparare a guardare il presente a distanza, attraverso un cannocchiale rovesciato. Alla fine l’attualità emergerà di nuovo, ma in un contesto diverso, rovesciato».

Oggi infatti la geopolitica è carica di storia, più ancora che di geografia. Gli attori geopolitici ricorrono alla storia, ovviamente interpretata in vista della conferma del proprio status e dei correlativi progetti territoriali, per legittimare se stessi e le proprie azioni. La retroversione del presente cerca selettivamente nel passato la prova della bontà della propria geopolitica. Ecco riapparire magicamente, a partire dalla fine della guerra fredda, spazi e miti un tempo consegnati alla storia. Così Putin è lo zar che intende salvare l’impero russo dalla disgregazione finale, Erdoğan il sultano reinventore dello splendore ottomano, Orbán si propone di ricostruire la Grande Ungheria amputata nel 1920 dal Trattato del Trianon e così via.

Negli anni Novanta del secolo scorso qualcuno, nell’Occidente trionfante, volle stabilire la fine non solo della geopolitica, persino della storia. E di chi in entrambe le discipline svolge il ruolo di primattore: lo Stato. In nome di un “mondo piatto” omologato dalla liberaldemocrazia e dal libero mercato. Nulla di tutto questo.

L’uomo resta animale territoriale. L’utopia del Nuovo Ordine Mondiale è esercizio del passato. I nostri spazi di esistenza restano contendibili. Chi immagina di poterli congelare, magari in nome del diritto internazionale (quasi non fosse anch’esso una ideologia strumentale a progetti geopolitici), soffre di acuta sindrome d’onnipotenza. La geopolitica aiuta a temperarla.

Articolo originariamente pubblicato su L’Espresso.