Attraverso uno specchio, nell'enigma
Roma, 1 marzo 2018
Les décombres. Devo riconoscere ai nostri attuali governanti un talento straordinario: la capacità di desertificare l’Italia. Nella provincia alcuni paesi già non esistono più. Residuano come ammasso di seconde case, in vendita o in locazione, o come ospizî a cielo aperto. Alcune abitazioni, a volte di gran pregio, risalenti agli anni Venti, sono state sequestrate per debiti. Ogni tanto vengono spedite all'incanto, sonnacchiosamente, ma le aste vanno deserte: chi vuole accollarsi un simile peso? Interi paesetti, poi, sono presi d’assalto da truffatori: comprano tre o quattro case fatiscenti, le salvano dal crollo, quindi pietiscono un prestito in banca (complice il banchiere) per ripristinare l’antico splendore: segue la fuga. Centomila, duecentomila. Si hanno così ircocervi sbalorditivi: magioni col tetto nuovo di zecca, ma sostanzialmente in rovina.
Il più, tuttavia, è in stato di pietoso abbandono. Anno dopo anno i fregi cedono, le persiane perdono i listelli, l'umidità risale dagli inferi infradiciando i portoni, i tetti s'incurvano come se non potessero sostenere il peso di tanta negligenza, grate e inferriate vengono saccheggiate dai cercatori di metalli, à la Blade runner, le erbe e le edere assaltano quiete gli intonaci o iniziano la lenta opera di disgregazione delle pietre. Accanto a tali esausti giganti in pietra sorgono, a volte, orrendi villini dallo stile composito e abominevole, in cui alluminio e cemento la fanno da padrone. Oppure appaiono nuove case popolari, a cinque o sei piani, tirate su al risparmio, con prati rachitici e rifiniture da pochi euri: balconi come stie, recintati da graticci metallici, aiole senza fiori, mura perimetrali composti da blocchi grigiastri. Si ha, in tal modo, la contraddizione massima: edificazione con l’80% di case sfitte o abbandonate. La distruzione del paesaggio è conseguente. O logica, almeno in un mondo al contrario.
Ammirare da lontano tali orrende e livide congreghe di cemento accanto a casali settecenteschi vanta, magari fra le nebbiette serotine, una Stimmung irrinunciabile per l’assessore ragioniere o geometra, sospinto a forza di calci in culo su per i cinque anni della media superiore, arrogante e mafioso, aggiornatissimo su ogni codicillo o regolamento comunale, ma in forte difficoltà coll’estensione della propria firma.
E poi i lacerti della post-industria: cartiere, dighe per la desolforazione, ghiacciaie, segherie, teatrini di provincia, ferriere, mulini. Apparizioni spettrali.Anche gli uffici pubblici, una volta vasti e luminosi, giacciono in rovine di confusione: le poste, soprattutto, oppure stazioni secondarie, dai passaggi a livello rugginosi, con sale d'attese dechirichiane, affacciate su binari del nulla, scuole elementari dismesse; oppure antichi istituti comunali, ricavati in edifici patrizi, gravati da archivi immensi e inconsultabili, devastati da collemboli e tarme, slabbrati dai furti e dalla smaterializzazione digitale: giacciono in attesa di una sistemazione "storica" che non ha mai fondi, e mai li avrà, in un pulviscolo melanconico di carte e inchiostri che hanno ordinato secoli e generazioni e ora si concedono all'irrilevanza.
El desierto. Questi giorni, blandamente funestati dal nevischio, sono davvero istruttivi per chi conserva forza d'osservazione. Il lunedì mattina romano, verso le 07.00, si era davanti al set di un day after apocalittico. Nessuno per strada. Gli impiegati comunali (e statali) si son subito tolti dagli impacci rimanendo a letto. Più tardi, verso le 10.00, una pecetta avrebbe avvertito la plebaglia che l'ufficio superiore tal dei tali, in considerazione dell'eccezionale evento nevoso, era stato costretto a porre i suoi dipendenti alle ninne. Ecco la plebaglia: arriva alla spicciolata, da lontano annusa il peggio, ciondola rassegnata verso le entrate: alcuni, forse, per mera inerzia, disperata; arrivano a un metro dalla pecetta, leggono, comprendono, e se ne vanno strascinando i piedi nei cinque centimetri di quel terribile nevaio. Altri, invece, telefonano al proprio datore di lavoro: con quello non c'è da scherzare. Il furgone deve effettuare le consegne, l'estetista tagliare unghie, l’operatore della sicurezza dare il cambio al collega. Si mettono le catene o ci si è già muniti di gomme termiche dilapidando mezzo stipendio oppure ci si rassegna all’attesa del mezzo pubblico. Ma la fauna italiana è vasta. Verso le undici, con tutto comodo, escono i consueti bighelloni da città, coatti vestiti manco fossero a Courmayeur, le cui occupazioni rimangono misteriose; ridono, sghignazzano, scattano foto che, prontamente, condividono sui social, riportando ad alta voce i commenti di un piripicchio loro amico che sta a Maccarese con la ganza e il gruppo a guardare "’a spiaggia co’ ‘a neve". A mezzogiorno esce il sole, l'eccezionale evento nevoso s'è squagliato come un gelatino da discount, c'è più vita lungo i boulevards romani impiastricciati dal fango. La sensazione, però, è quella di una fine dei tempi, mollacciosa e isterica, dove, assieme al nevone, s'è sciolta qualsiasi idea di comunità e in cui le esistenze vengono sospinte a casaccio, da qualche agio passato, senza alcuna contezza in un domani ordinato e meritevole d'essere vissuto con la lungimiranza del buon padre di famiglia. Si improvvisa, oggi è oggi, si strappa quel che si può, neghittosi e al risparmio, secondo le convenienze offerte dalle proprie corporazioni e massonerie, cercando di scavallare anche questo impaccio. E il domani? Si vedrà. Un conoscente nelle forze di polizia s'è buttato in malattia, intende farsi riformare, costringendo così le mammelle statali a sganciare il 15% in più sulla pensione. Ha 54 anni. Un altro s'è buttato in un doppio lavoro in nero fregando la propria ditta di impianti idraulici. Un’altra tizia redige impeccabili tesi di laurea a trecento, quattrocento euro. In nero. Un dipendente ASL, un vecchio poltrone, si è rotto le scatole: "Dovevo andare in pensione l'anno scorso [a 56 anni], ora ogni giorno in più glielo faccio sudare". Ma l'ASL non suda mica, si limita a redigere rapportini in cui il figuro in esame è in ferie, o in malattia, o al diavolo. Come faccia ad andare avanti una società gelatinosa e meschina come questa è incredibile. Dove poggia l’inconsistenza italiana? Sul grasso accumulato nel passato? Sul denaro digitale? Sulla manfrina universale della democrazia? Sulla recita capitalista che deroga, anno dopo anno, la verità su un paese fallito e, perciò, ricattabile? Le nostre valli, i paesaggi, le ricchezze infinite sono il pegno di tanta usura a buon mercato? Da riscattare a tempo debito?
Manifesti. I manifesti elettorali non ci sono più. Anch'essi denotano una mancanza rispetto al passato. Negli anni Ottanta la fiamma tricolore o la falce e il martello resistevano per mesi. Oggi la carta si sfibra con un po' di umidità, la colla cinese svapora irresistibilmente. Dopo un giorno o due una paccottiglia informe si raggruma ai piedi degli stenditoi metallici deputati all'ostensione di simboli e facce di bronzo.
Vado, non vado … Si dice: mandiamoli a casa col voto. Non voglio giudicare. I miei sono sfoghi personali, rimuginazioni. In un mondo al contrario, tuttavia, occorre essere sempre all'erta. Siamo sicuri di ciò che facciamo? Non sarà che questo atto, apparentemente rivoluzionario, non sia il contrario, esatto, di ciò che si crede?
Mai, nella storia repubblicana, c'era stato un distacco così netto fra i governati e i governanti Quisling. Andreotti o Berlinguer, comunque li si voglia giudicare, intrattenevano col proprio elettorato un rapporto psicologico ricco di consonanze ed echi secolari: il cattolicesimo e il socialismo, intessuti di lotte e tradizione. Craxi rinnovò tale rapporto col suo leaderismo efficientista: anch'egli ebbe numerosi proseliti, seppur pochi elettori. Oggi? Recisi i referendum e le leggi d'iniziativa popolare, distrutto l'associazionismo e la creatività dal basso per mano del clientelismo più grossolano, cosa resta? Cosa ci lega a coloro che voteremo? Solo l'odio per l'altro? In parte è una spiegazione. Ma non soddisfacente.
Ne ho una ben diversa.
Ci fanno votare, chiunque, perché questa è l’ultima giustificazione della democrazia. Ragionate: cosa trattiene uno storico dal definire tale epoca come l'epoca delle oligarchie? La matita copiativa. La matita copiativa, le cabine elettorali, le urne, i militi svogliati che sbadigliano a fronte dell’afflusso del popolicchio, ognuno con le proprie incrollabili convinzioni (la convinzione di cambiare!), è la giustificazione del sistema.
La conquista liberale che il potere accampa continuamente di fronte all’Asse del Male: la democrazia. Il voto.
Il voto serve il potere, ma non serve affatto noi. Eppure noi crediamo che il voto ci serva proprio per cambiare il potere! Una barzelletta sconvolgente! Non dobbiamo sorprenderci: questo è il mondo al contrario!
Si dice: non votando cosa risolvi? Nulla, ma non cedo a tali futili illusioni.
Depressione. Spesso mi sorprendo a pensare che la depressione non sia che un disturbo inventato a tavolino per far sentire in colpa chi vede la verità.
Analisi. Uno storico del 2018 dovrebbe abbandonare tomi e biblioteche e guardare la televisione. Film e telefilm spiegano perfettamente la società attuale. Più il mezzo è di largo consumo, meglio è. L'inversione dei poli morali dell'esistenza umana quale si è inverata nei millenni ha qui una accecante definizione. Luttwak e Hobsbawm fan mille passi e passetti;Alias o Sex in the city ti sbattono la verità in faccia, con intelligenza. Se si è meno acuti basta scendere un gradino della propaganda e guardare Jag o NCIS Los Angeles. Non sono spettacoli televisivi bensì baedeker accurati del mondo al contrario. Sarah Jessica Parker, con quel naso un po’ così, mi ha insegnato molto su ciò che ci attende, in maniera più esaustiva e convincente della gemella Naomi Klein.
They live, you sleep. Il film più godibile sul mondo al contrario (UDW = Upside Down World) è They live di John Carpenter (1988). Propedeutico. È un filmino di fantapolitica, semplice, quasi pedestre, eppure efficacissimo nella sua popolare verve fantastica. Il protagonista, un disoccupato dei tempi a venire, scopre un paio d'occhiali miracolosi: attraverso essi scopre la verità: la civiltà è diretta da alieni mostruosi, noi siamo i loro schiavi, la vita non è un orgia a colori, ma uno squallido e brutale bianco e nero plutocratico in cui l’edonismo è la patina della quiescenza, dell’ignoranza e dell’obbedienza. Un film è sempre una forma d'arte da tenere in considerazione poiché frutto di una collaborazione d'intelligenze; esso, spesso involontariamente, fotografa la realtà immediata e, perciò, la verità. Chi vive ogni giorno non tange quasi mai la realtà: la rinviene travisata, o simbolizzata beffardamente, oppure occultata; magari esposta bellamente in evidenza; il più delle volte al contrario, paludata quale epitome del Bene, del Progresso, della Solidarietà.
Cartesio. “Tutto quel che sino a oggi ho stimato come assolutamente vero, l’ho ricevuto dai sensi o mediante i sensi; ho però appreso che questi talvolta ingannano … supporrò dunque che vi sia non un Dio ottimo, fonte di verità, ma un qualche genio maligno e nel contempo sommamente potente e astuto, che abbia posto tutta la sua operosità nell’ingannarmi …”. Il dubbio metodico, ecco un primo passo di un’etica basica del ribelle. Dare per scontato che il voto sia “per noi” e “contro di loro” è un’imperdonabile leggerezza. Dare per scontato, peraltro, è la massima leggerezza possibile nell’UDW dell’Ingannatore. Ognuno chiami l’Ingannatore col nome che più gli aggrada: NWO, Satana, Stati Uniti d’America, Massoneria. Philip Dick lo appellava: Ubik. Io: PolCor.
Federico Zeri/1. Sulla lettura di un evento qualsivoglia è bene seguire il doppio consiglio di un maestro, Federico Zeri. Un maestro nel riconoscere i falsi. Primo consiglio: ridurre i fatti alla loro nudità, in bianco e nero, poiché la verità è sempre in bianco e nero, ossificata, e colori, orpelli e sublimazioni valgono solo quali mistificazioni (a volte piacevoli, e utili, come nella “bella menzogna”: etica, letteratura, arte, amore, bellezza, compassione, giustizia). Deprivare di false piste, rendere pure le linee maggiori, abolire le distrazioni e gli impacci sgargianti. Ecco Federico Zeri, proprietario d’un archivio costituito da un milione di foto b/w: “[Sono] incapace di leggere correttamente le fotografie a colori dove ogni dato è affogato in una sorta di minestrone; le riproduzioni a colori impediscono di isolare le forme, di analizzare lo stato di conservazione della superficie, che è la prima cosa che faccio con le fotografie in bianco e nero" oppure: “Lavoro bene o sul quadro o sulla fotografia in bianco e nero, non sulla fotografia a colori. La trovo esecranda! Non parliamo poi delle diapositive a colori! Quelle sono impossibili, per studiare”. Il bianco e nero è ciò che, aritmeticamente, viene chiamato “riduzione ai minimi termini”: 4/3 = 44/33; 5/7 = 35/49 = 70/98.
Si dice: "Ho votato per i 4/3, ma non mi farò più fregare: domani voterò per 44/33! Oppure: ho votato una vita per i 5/7: basta! Il partito del 35/49, alleato col gagliardo 70/98, fa per me!". Tutto questo al netto degli imbecilli che si appagano ancora dei 4/3 e dei 5/7, ovviamente.
Federico Zeri/2. Secondo consiglio: ogni evento sospetto, in tal modo scarnificato, lo si sottoponga poi a un’azione ulteriore ed essenziale: "Quando si hanno dei sospetti su un quadro si prenda la fotografia del quadro e la si metta a testa in giù. Quando il quadro è capovolto le eventuali incoerenze saltano subito all'occhio, soprattutto per quel che riguarda lo svolgimento dei panneggi e delle loro pieghe ...”. Tale azione ci rivela l’UDW, sempre.
Federico Zeri/3. “Esistono molti quadri che sono stati sostituiti e della loro sostituzione spesso le autorità non si sono nemmeno accorte. Solo recentemente, per esempio, la Sovrintendenza alla Liguria ha potuto constatare che un grande polittico nella chiesa di San Francesco a Noli ha la tavola centrale e la cuspide sostituite. Io vidi la cuspide, sul commercio di Roma, intorno al 1945; ma ignoravo da dove venisse perché non esisteva una fotografia di quel dipinto ... un altro quadro di Pietro degli Orioli ... nell'Ashmolean Museum of Oxford, è l'originale di una sostituzione avvenuta nella chiesa di San Matteo a Ortignano, presso Grosseto. Altre sostituzioni sono avvenute, numerose, in varie zone della Toscana; è stata una pratica molto comune”. Si crede di vedere una cosa e invece sotto i nostri occhi è il surrogato; la Monna Lisa è davvero lei? La libertà? Chi ha sostituito Roma? Esiste più la guerra? Videmus nunc per speculum ... la sinistra la destra il centro … chissà quando è avvenuta la sostituzione.

Panorami UDW. La Pineta Sacchetti, a Roma nord, fu un luogo di delizie durante il Seicento (Pietro da Cortona vi progettò un bellissimo villino, oggi diruto) e di svago salutare durante il Fascismo (D’Annunzio vi praticava la caccia alla volpe). In democrazia s’è ridotta a un cumulo di immondizie. Già nei primi anni Cinquanta la si intendeva radere al suolo: il progetto era pronto: quartierino residenziale. Sopravvisse a stento. La nevicata del 2012 e gl’incendi dolosi l’hanno ridotta a un popolo di alberi stenti. Lì vicino, peraltro, la imbruttisce un preclare monumento dell’incuria: la cupola-auditorium ordita, a fine anni Novanta, da un tizio di Alleanza Nazionale. Il progetto fu cullato negli sprechi per quasi vent’anni, da amministrazioni d’ogni tendenza; finalmente, nel 2016, si decise l’inaugurazione. Peccato che il giorno dopo la delibera (di un 5S) il costoso gioiellino prese fuoco per la disattenzione d’un operaio. Ora la cupola rileva semidistrutta: convito per piccioni, gabbiani e stupratori. La Pineta, d’altra parte, già costellata di villaggi fantasma per barboni e immigrati, è ritrovo famigerato della prostituzione pederastica.
Al margine delle vallette sottostanti si può ammirare, ancor oggi, un vasto panorama di Roma. Il culmine estetico d’esso era rappresentato dall’apparizione, inconfondibile e caliginosa, della Cupola di San Pietro. Negli anni Settanta, in contemporanea, forse, con la distruzione del borgo ottocentesco dei fornaciai, si provvide a erigere una serie di palazzine a dodici piani proprio sulla linea di fuga che unisce idealmente lo spettatore nella Pineta alla cupola michelangiolesca. Il panorama, ovviamente, ne rimase devastato.
Pasolini si scandalizzava per lo scempio di Orte. Io, più modestamente, per la Pineta Sacchetti. Pasolini era un 5/7, io un 70/98.