L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 22 settembre 2018

Savona al posto di Tria che deve lasciare insieme ai tecnici non tecnici

LE TRATTATIVE SULLA MANOVRA

L'assedio grillino a Tria: "Il 2% non è più un tabù"

21 Settembre 2018


Reddito di cittadinanza, quota 100 e flat tax. Sono i tre punti fermi, secondo quanto rivelano fonti M5s, emersi dal vertice della manovra di stamattina a Palazzo Chigi al quale erano presenti, tra gli altri, il premier Giuseppe Conte, il ministro dell'Economia Giovanni Tria e il vicepremier Matteo Salvini. In particolare, raccontano dal MoVimento 5 Stelle, «siamo soddisfatti perché si è deciso di mettere da parte alcune misure per garantire il superamento della Fornero. C’è stata inoltre condivisione su quella che è sempre stata la linea M5s, cioè che i cittadini vengono prima delle virgole: perciò non ci sono tabù intorno al 2% da parte di nessuno, l’importante è la credibilità della politica economica».

È stata «una riunione molto positiva - confermano fonti leghiste - e il ministro Tria ha preso atto della volontà politica della Lega e del Movimento 5stelle di realizzare formule importanti di cambiamento, dal reddito di cittadinanza per gli italiani alla riforma delle pensioni». «Ora c’è l’impegno di tutti ad affinare le proposte e dello stesso ministro Tria a cercare soluzioni», viene spiegato. L’ottica è quella di realizzare la maggior parte delle misure, anche le più costose, con coperture che abbiano un basso impatto sui conti pubblici e comunque senza aumentare le tasse e l’Iva perché «senza crescita non può esserci sviluppo e non si cambia il Paese». La Lega conferma, tra le altre cose, quota 100 sulle pensioni (62 + 38), la riforma fiscale e propone un sistema snello di ammodernamento delle opere pubbliche che consentirebbe un miglioramento delle infrastrutture da affiancare all’apertura di cantieri più impegnativi. I tecnici di maggioranza sono in queste ore al lavoro per verificare impatti di crescita e spesa sui conti pubblici in vista della manovra economica.

Iran - l'Isis è stata riesumata dall'Arabia Saudita, Stati Uniti ed ebrei

22 SETTEMBRE 201820:30
Iran, attacco a una parata militare: morti e feriti | Bimbi e giornalisti tra le vittime | LʼIsis rivendica lʼattentato
Almeno cinque assalitori, sostenitori dellʼIsis, sono stati annientati. Il gruppo armato ha fatto fuoco da dietro una tribuna. Secondo il ministro degli Esteri, "sono stati pagati da un regime straniero"

E' di almeno 29 morti e 57 feriti il bilancio di un attacco armato a una parata militare ad Ahvaz, in Iran occidentale. Quattro assalitori, anch'essi in divisa, hanno aperto il fuoco sui soldati. Alla fine sono stati abbattuti. Tra le vittime bimbi, giornalisti e Guardie della rivoluzione islamica. L'attentato è stato rivendicato dall'Isis come riferito dall'agenzia di propaganda Amaq.

La parata si celebrava in occasione dell'anniversario dell'invasione dell'Iran ordinata da Saddam Hussein. Ahvaz è il capoluogo della regione petrolifera del Khuzestan e nel 2017 era stata teatro di proteste per l'inquinamento e problemi nella fornitura di acqua ed energia elettrica in occasione di una visita del presidente Rohani.

Iran, attacco a una parata militare ad Ahvaz: morti e feriti

Ansa 

"Terroristi pagati da un regime straniero" - Secondo il ministro degli Esteri iraniano, Java Zarif, i terroristi autori dell'attentato sono stati "reclutati, addestrati, armati e pagati da un regime straniero". L'Iran ritiene responsabili di tali attacchi gli sponsor regionali del terrore e i loro padroni statunitensi e "risponderà rapidamente e con decisione in difesa del suo popolo". Stando ai Pasdaran, gli uomini armati che hanno sparato su una parata "sono del gruppo al-Ahvaziya finanziato dall'Arabia Saudita e dalla Gran Bretagna".

I quattro assalitori avevano inizialmente mirato agli alti ufficiali e agli alti dignitari religiosi presenti sulle tribune per assistere alla parata. In un messaggio di cordoglio alla Nazione, la Guida suprema dell'Iran, ayatollah Ali Khamenei, ha affermato che l'attacco segna la continuazione dei ripetuti complotti orditi da Paesi che sono mercenari degli Stati Uniti nella regione e che hanno lo scopo di seminare insicurezza e disordine.

L'azione è stata prima rivendicata da un gruppo separatista arabo sunnita, chiamato Al Ahvaziyah, che secondo i Pasdaran è sostenuto dall'Arabia Saudita e anche da Londra. Tuttavia, nel giro di poco tempo è arrivata anche la pronta rivendicazione dell'Isis, con un messaggio diffuso come di consueto via internet. Il vice capo della polizia della provincia del Khuzestan ha sottolineato che già in passato Al Ahvaziyah ha condotto azioni terroristiche che ha poi rivendicato, come ad esempio attentati dinamitardi nella stessa città di Ahvaz, nel 2005, che sono costati la vita a numerose persone.

Siria - cosa ci stanno a fare i britannici in questo paese?

Il falso "mito" del non intervento del Regno Unito in Siria


Il giornalista britannico Neil Clark spiega come il Regno Unito si sia immischiato "illegalmente" in Siria, pur mantenendo gli slogan non interventisti.

Il Regno Unito sta intervenendo in Siria dall'inizio del conflitto e anche prima, nonostante il report parlamentare pubblicato lo scorso 10 settembre sostiene il contrario e propone di aprire un'inchiesta. Questo è quanto espresso dal giornalista, scrittore e blogger britannico Neil Clark in un articolo su RT. Siamo di fronte ad una falsa rappresentazione su larga scala? si chiede Clark.

'Attraverso lo specchio'

Clark ricorda che i servizi di intelligence degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, la CIA e il MI-6, rispettivamente contemplavano di organizzare "un'invasione dei ribelli in Siria" e durante la guerra fredda, dopo la crisi del Canale di Suez del 1956 per prevenire la diffusione del comunismo in tutto il Medio Oriente. Questo piano prevedeva di organizzare "disordini interni in Siria" e provocare atti di sabotaggio "attraverso i contatti con gli individui" esattamente ciò che è successo negli ultimi anni, ricorda Clark.

Secondo il giornalista, il rapporto ha un proprio "mondo attraverso lo specchio" delle false dichiarazioni, perché il termine "non intervento" in realtà non ha nulla a che fare con la sua politica di mantenere il conflitto in corso di finanziamento, fornendo SUV, camion e sistemi satellitari e addestramento dei gruppi ribelli.

E illustra la sua affermazione con esempi, come gli 8,5 milioni di sterline ufficialmente dati dal governo del Regno Unito ai gruppi di opposizione siriani nel 2012, per non parlare del prezzo del materiale consegnato.

Per tutto il 2013, il Regno Unito ha fatto tutto il possibile per intensificare il conflitto, facendo pressioni sui suoi alleati europei per fornire armi ai ribelli, promuovendo lo slogan "Assad deve andarsene". L'élite politica britannica, aggiunge Neil Clark, cercava di mettere fine al governo di Bashar al-Assad a tutti i costi, ignorando i contatti con le forze di opposizione con Al Qaeda e altri gruppi settari estremisti.

La "rettifica" di "inazione"

Inoltre, Clark spiega che l'atteggiamento ipocrita della relazione, l'orientamento militarista e neoliberista degli autori, è a causa del fallimento totale delle politiche estere "interventiste" Iraq e Libia. Quindi, l'unica via d'uscita per Londra è dipingere la Siria come "un esempio di non intervento", sperando che alcune persone possano cadere nella trappola di coloro che manipolano l'opinione pubblica, come nei romanzi di Orwell. E, in questo caso, sosterranno la "rettifica" di "inazione" nel prossimo futuro. Forse in risposta a un attacco chimico non verificato in modo indipendente a Idlib, suggerisce Clark.

Fonte: RT - BBC
Notizia del: 21/09/2018

F-35 - solo degli imbecilli possono aspirare ad avere un'arma che può non rispondere al paese che l'ha in dotazione

L’Italia, gli Stati Uniti e gli F35. Ecco cosa ha detto l’ambasciatore Eisenberg

21 Settembre 2018


Lewis Eisenberg si è detto “felice di aver visitato lo stabilimento” e “ammirato dall’altissima competenza tecnologica sviluppata dallo staff italiano”. Il sito rappresenta il cuore della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter, un ruolo che riguarda le esigenze operative delle Forze armate, le ricadute industriali nel nostro Paese e il valore della partnership con gli Usa

I legami transatlantici passano anche dai rapporti industriali. Lo sa bene l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia Lewis M. Eisenberg che oggi è volato a Cameri, in provincia di Novara, per una visita agli stabilimenti che assemblano gli F-35 destinati al nostro Paese e all’Olanda. All’interno dell’aeroporto dell’Aeronautica militare, infatti, si trova il sito gestito da Leonardo con il supporto tecnologico di Lockheed Martin, elemento di raccordo della partecipazione nazionale al programma Joint Strike Fighter, su cui attualmente si è concentrata la “valutazione tecnica” del dicastero della Difesa guidato da Elisabetta Trenta.

LA VISITA A CAMERI

L’ambasciatore si è detto “felice di aver visitato lo stabilimento” e “ammirato dall’altissima competenza tecnologica sviluppata dallo staff italiano”. Lo stabilimento novarese rappresenta d’altronde un centro d’eccellenza industriale, il fulcro della partecipazione italiana al programma F-35, scelto per ospitare linea nazionale di assemblaggio e verifica finale (Faco) per i velivoli di quinta generazione destinati al nostro Paese e all’Olanda. Difatti, ha ricordato Eisenberg, “le operazioni di assemblaggio servono clienti internazionali”, a partire “dai 29 F-35 destinati all’Olanda”, il cui primo è atteso “entro l’anno”. Nello stesso stabilimento si realizzano inoltre le ali dei caccia di quinta generazione, in un numero proporzionale agli ordini (le previsioni iniziali, prevedano per la Faco italiana circa 800 cassoni alari). “Gli F-35 – ha notato Eisenberg – sono aerei all’avanguardia, realizzati con i più alti standard tecnologici a Cameri, come a Fort Worth, in Texas”, base dell’americana Lockheed Martin.

LE RICADUTE DEL PROGRAMMA

“Posso solo imparare dalla grandissima professionalità del personale tecnico italiano”, ha detto l’ambasciatore, definendo il sito di Cameri “uno degli investimenti più strategici nel campo della difesa da parte dell’Italia, in linea con l’obiettivo del 2% del Pil entro il 2024”, condiviso da tutti i membri della Nato nel corso del summit in Galles del 2014. La visita era stata annunciata nei giorni scorsi dall’Ambasciata Usa, che via Twitter aveva ricordato che “la produzione dell’F35 coinvolge oltre 70 imprese in tutta Italia, con benefici sull’occupazione non solo locale”. Lo stesso Eisenberg aveva detto: “Incontrerò il personale specializzato che realizza le ali ed esegue l’assemblaggio finale dell’F35. Sono oltre 900 i posti di lavoro creati finora nell’area”, una cifra che potrebbe arrivare a “oltre seimila in tutta Italia” quando il programma sarà a pieno regime.

IL LEGAME TRANSATLANTICO

Ma oltre alle ricadute occupazioni e tecnologiche ci sono da tener conto i rapporti con l’alleato d’oltreoceano. Già all’indomani dell’incontro tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente Usa Donald Trump di fine luglio, l’ambasciatore americano scriveva su La Stampa: “L’investimento italiano in programmi come il Joint Strike Fighter di quinta generazione dimostra il suo impegno per l’eccellenza delle difesa, che genera anche posti di lavoro in Italia e in America”. D’altronde, aggiungeva il diplomatico, “la collaborazione in materia di sicurezza” tra i due Paesi “è una naturale conseguenza dei legami che da tempo ci uniscono”. In quello stesso incontro di fine luglio a Washington, il premier italiano era sembrato voler rassicurare Trump tanto sull’impegno al 2% del Pil da spendere in difesa, quanto sul programma Joint Strike Fighter. Conte aveva parlato di una “valutazione curata e ponderata” e di “trasparenza con il partner americano” in merito agli F-35.

IL DIBATTITO IN ITALIA

La valutazione tecnica era stata già annunciata dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta “sulla base dell’interesse nazionale”, nonostante la lente mediatica si sia soffermata soprattutto su “non compreremo altri velivoli”. In questa valutazione pesano sicuramente i numeri del programma, ma anche le capacità di un velivolo riconosciuto senza eguali e chiesto a gran voce dall’Aeronautica e dalla Marina italiane, che proprio sull’F-35 hanno puntato per il futuro del potere aereo italiano. A ribadirlo, recentemente, i due capi di Stato maggiore intervenuti di fronte alle commissioni Difesa di Senato e Camera, rispettivamente il generale Enzo Vecciarelli e l’ammiraglio Valter Girardelli. Se il primo ha lamentato “di non aver mai avuto la possibilità seria di illustrare analiticamente e razionalmente cosa significa avere o non avere aeroplani di quinta generazione, cosa fanno rispetto agli altri e il rapporto costo-efficacia”, il secondo ha definito il programma “imprescindibile e di fondamentale importanza, per poter esprimere in pieno le capacità strategiche e operative della portaerei nave Cavour”.

IL PARERE DEGLI ESPERTI

Anche gli esperti sono parsi sulla stessa linea. Il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dello Iai e già capo di Stato maggiore della Difesa, ha spiegato che “oggi al mondo non esiste nulla che possa essere paragonato agli F-35 e l’Italia ha bisogno di questi aeroplani per mantenere, si badi bene, non per aumentare le sue capacità operative in un mondo che è sempre più inquieto”. Anche Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad, la Federazione delle aziende di settore, ha scritto su Airpress: “Credo sia sbagliato immaginare una modifica della partecipazione italiana al programma, anche alla luce del punto di avanzamento dello stesso. Molto più utile e opportuno – ha aggiunto – sarebbe chiedere al governo americano, al Joint program office (Jpo) e a Lockheed Martin una chiara dimostrazione di implementazione del ritorno industriale in Italia, anche sotto forme diverse. In buona sostanza – ha concluso Festucci – dobbiamo poter dimostrare al Parlamento e al governo italiani che la scelta dell’F-35 da parte della Forza armata, oltre a essere un’esigenza operativa, è anche un investimento sia da un punto di vista tecnologico-industriale, sia occupazionale”.

(Foto: Ambasciata USA via Twitter)

Germania -L'Euroimbecillità scalda i motori altro che libertà di circolazione degli uomini solo le merci e i capitali non hanno confini e ogni stato tratta quest'ultimi in modo diverso creando Paradisi Fiscali

La Germania caccia gli italiani: "Se poveri via dal nostro Paese"

La lettera ai cittadini comunitari che vivono a Berlino: «A rischio espulsione chi non dispone di mezzi di sussistenza» 

Luca Fazzo - Sab, 22/09/2018 - 08:59

«Lei per la mancanza di mezzi di sussistenza perde il diritto alla libertà di circolazione ed è a rischio di abschiebung»: ovvero espulsione, rimpatrio coatto.


Nella Germania di Angela Merkel, paladina in Europa dell'accoglienza e dell'integrazione, girano circolari di ben altro tono. E i destinatari non sono i profughi delle guerre africane ma cittadini italiani, ovvero europei. Nelle lettere ufficiali recapitate nelle scorse settimane si ricorda che i cittadini comunitari «hanno libertà di soggiorno nel territorio federale se dispongono di a protezione sanitaria e di mezzi di sussistenza sufficienti». I destinatari, essendone sfortunatamente privi, sono pregati di trovarsi in fretta un lavoro, oppure fare le valigie e tornare in Italia. Tempo, quindici giorni. Altrimenti si procederà all'abschiebung.

L'ondata di circolari minatorie sta mettendo a rumore il mondo degli italiani di stanza in Rft: soprattutto i più giovani, la generazione attirata dal mito della piena occupazione e del sistema di welfare della locomotiva d'Europa. Un ampio servizio di Cosmo, la trasmissione in italiano di Radio Colonia, pochi giorni fa ha dato conto dell'inquietudine che serpeggia all'interno della comunità tricolore, intervistando i rappresentanti dei patronati sindacali alle prese con la nuova emergenza, sulla cui legittimità vengono avanzate robuste perplessità: perché se da un lato l'iniziativa è basata su una legge tedesca dell'anno scorso, dall'altro sembra muoversi in piena rotta di collisione con le convenzioni dell'Unione europea.

Esiste, e i commenti sul sito di Cosmo ne danno ampiamente conto, anche l'altra faccia del problema: l'abuso che del sistema assistenziale tedesco verrebbe fatto da numerosi nostri connazionali, e che viene severamente criticato da altri italiani: «Finalmente tutti a casa, c'è gente che lavora in nero e prende aiuti dallo Stato». Ma l'iniziativa - assunta dai Centri per l'impiego e dagli Uffici stranieri in diversi lander, ma verosimilmente ben conosciuta anche dal governo federale - non si limita a annunciare il diniego dei sussidi ma parla esplicitamente di espulsione coatta, in barba al principio di libera circolazione dei cittadini europei. Ed è questo a suscitare l'incredulità e le proteste di chi ha ricevuto la lettera.

La radio ha raccolto testimonianze di giovani italiane che hanno ricevuto l'ultimatum nonostante avessero appena partorito o fossero in stato di avanzata gravidanza: «Mi hanno comunicato che avevo quindici giorni di tempo, visto che non potevo provvedere a me stessa, per trovare un lavoro: altrimenti mi avrebbero rimpatriato e mi avrebbero pure pagato il viaggio a me e alle bambine se non potevo permettermelo».

Secondo Cosmo, «le minacce di espatrio non risparmiano nessuno» hanno la maggiore frequenza nel Nord Reno-Westfalia, ma coinvolgono praticamente tutti i lander. «La cosa grave è che il caso non viene analizzato singolarmente, tutti ricevono queste lettere e non c'è scampo» dichiara alla radio Luciana Martena, responsabile di un patronato di Dusseldorf.

La legge del 2017 ha alzato da tre mesi a cinque anni la permanenza in Germania per accedere ai sussidi, ma che questo potesse tradursi in espulsioni di massa non se lo aspettava nessuno. E poi, scrive l'italiano Ennio commentando il servizio, «gli arabi mantenuti dallo Stato che fanno figli per avere il kindergeld non li cacciano?»

Rolling Stone completamente spiazzati la realtà più avanti delle loro elucubrazioni

La sinistra sovranista “amica di CasaPound” non piace a Rolling Stone

-21 settembre 2018

Roma, 21 set – Di sicuro come le tasse e la morte, c’è anche l’ennesima inchiesta sull’«ultradestra italiana» o il «rossobrunismo» alle porte. A parte qualche piccolo «aggiornamento», si tratta quasi sempre della solita ricerchina rabberciata, piena di strafalcioni e inesattezze, che regolarmente viene ritirata fuori da qualche archivio impolverato in tempi di vacche magre. In questo senso non fa eccezione il recente articolodei «compagni» di Rolling Stone, firmato da Steven Forti. Dopo la figuraccia rimediata con l’appello anti-Salvini, Rolling Stone ci riprova quindi attaccando la sinistra sovranista e CasaPound.

Secondo l’autore, «un fantasma si aggira per l’Italia: il rossobrunismo». In sostanza, fa paura (e rabbia) che una certa sinistra antiglobalista – la quale accusa Pd e postcomunisti di essersi venduti al capitale – si stia saldando alla vasta ed eterogenea area sovranista. Nel calderone del cattiverio finiscono dunque Alberto Bagnai, Diego Fusaro, Giulietto Chiesa e tanti altri «compagni che sbagliano». Questa la descrizione del fenomeno fornita da Rolling Stone: «In realtà il rossobrunismo è un magma piuttosto indistinto in cui entrano in gioco diversi ambiti politici che condividono, a volte senza ammetterlo, alcune idee di fondo: il sovranismo, la lotta alla globalizzazione e al capitalismo, l’astio nei confronti della sinistra socialdemocratica, la critica serrata all’Euro e all’Unione Europea, un marcato anti-americanismo, la simpatia per la Russia di Putin, la condanna del cosiddetto buonismo della sinistra, soprattutto su temi quali l’immigrazione, la critica più o meno serrata del femminismo, della teoria gender o delle lotte LGTBI».

La marea montante del rossobrunismo sarebbe pertanto formata da «neofascisti che utilizzano un linguaggio di sinistra per guadagnare consensi tra le classi lavoratrici» (cioè CasaPound), «finti eterodossi che fanno un cocktail di parole di destra e di sinistra» (in pratica L’intellettuale dissidente) e «settori della sinistra che adottano slogan dell’estrema destra, declinandoli marxisiticamente» (ossia Fusaro e Chiesa). Per il resto, l’autore di Rolling Stone si dà a una pratica tipica dei gazzettieri globalisti. Stile Raimo, tanto per capirci. Prende le tesi sovraniste (vere o presunte), poi le banalizza e le distorce per meglio attaccarle e smontarle. In pratica, il pezzo è carente sia nell’informazione (tra nomi storpiati, errori marchiani alla Paolo Berizzi ecc.), sia nell’interpretazione, visto che il confronto con il fenomeno sovranista rimane sul piano della burla e dell’allarmismo fine a sé stesso. E poi si stupiscono che nessuno se li fila più.

Valerio Benedetti

22 settembre 2018 - Dieci miliardi del ca@@o! - Rocco Casalino

22 settembre 2018 - Rocco Casalino e la macchina del fango

Gli ebrei nelle terre di Palestina sono un cancro da estirpare - Gaza la prigione a cielo aperto. I cecchini ebraici continuano il loro sporco lavoro

Gaza, fonti palestinesi: 30 feriti in scontri a confine
Migliaia a Marcia Ritorno. Palloni incendiari verso Israele

21 SETTEMBRE, 18:46



TEL AVIV - Sono almeno 30 i manifestanti palestinesi feriti negli scontri in corso con l'esercito israeliano in vari punti della barriera di confine tra Gaza e lo stato ebraico in occasione della 'Marcia del ritorno' appoggiata da Hamas. Lo dicono fonti mediche della Striscia riferite dall'agenzia palestinese Maan che parla di diverse migliaia di manifestanti in marcia.

Gli ebrei nelle terre di Palestina sono un cancro da estirpare - il coloni, la punta avanzata, affamati di terra pronti ad uccidere e devastare comunità

Palestina / Un giorno di ordinaria resistenza [foto]

Il racconto di come, oggi, il villaggio di At Tuwani ha respinto la provocazione di coloni (uno imbracciava un fucile d'assalto), esercito e polizia israeliani.

21 settembre 2018 - 18:10

Continuiamo la pubblicazione delle corrispondenze che riceviamo dai mediattivisti di Smk Videofactory, tornati in Palestina sette anni dopo l'uscita del documentario "Tomorrow's Land". La prima, di ieri, arrivava da Khan al-Ahmar, villaggio beduino minacciato di sgombero
*
Un colono a volto travisato a bordo di un motocross ha fatto irruzione nelle terre palestinesi nella valle di At Tuwani, tra le colline a sud di Hebron in West Bank.

Poco dopo nell'area di Sarura abitata dai giovani del villaggio sono arrivati altri due coloni accompagnati dall'esercito. Uno dei due settler imbracciava un fucile d'assalto M16. In breve tempo la tensione è salita. Mentre i palestinesi attraverso metodi non violenti cercavano di cacciare gli israeliani dalle loro terre urlando "this is our land you, can not stay there. Yalla" l'uomo armato perseguiva a provocare i ragazzi cercando di infiltrarsi in una delle loro grotte.

In breve tempo da tutte le valli intorno sono accorsi pastori e donne facendo interposizione implorandoli di andare via. La tensione è salita è sul campo sono arrivati anche altri militari israelinai e la polizia.

Dopo due ore, non trovando alcuna ragione concreta per arrestare i palestinesi, le forze israeliane hanno finalmente abbandonato il campo. Quella di oggi è solo uno dei quotidiani episodi di resistenza popolare non violenta dei palestinesi contro l'occupazione.

Mentre gli attivisti internazionali e gli abitanti del villaggio si trovavano a gestire la situazione nella valle un'altro gruppo di militari è entrato nel villaggio di Sheap il Botom e ha confiscato una cisterna di acqua.



Mattarella Mattarella sempre di più interviene a gamba tesa

IL BRACCIO DI FERRO
Matteo Salvini, la crisi con il Quirinale sul decreto migranti: Mattarella non vuole firmare

21 Settembre 2018


La prima vera crisi politica che si sta affacciando sul governo Lega-M5s rischia di scoppiare sul decreto migranti voluto a gran forza da Matteo Salvini e di fatto frenato da un duplice fronte. Il primo è quello grillino, una sorta di ritorsione dopo i messaggi di cautela della Lega sulla manovra che allontanano il progetto del reddito di cittadinanza. Il secondo ben più serio arriva dal Quirinale, che nel decreto salviniano non ravvede il carattere di urgenza. Sergio Mattarella non sarebbe del tutto convinto su alcune disposizioni, come riporta Repubblica, tanto da essere tentato di non firmarlo.


Dal Colle non ammetteranno mai l'esistenza di un vero e proprio braccio di ferro con il Viminale, Salvini però non ne fa segreto. I dubbi di Mattarella si sarebbero concentrati sulle norme contenute nel testo, dove potrebbero essere violati alcuni principi costituzionali. Salvini ha imposto come scadenza lunedì, ma per il momento il Capo dello Stato sembra poco intenzionato a firmare il testo, non trovando motivi di urgenza tipici di un decreto.

Tra i punti che creano perplessità c'è la restrizione dei permessi umanitari, primo passaggio per ottenere l'asilo politico. Poi c'è la revoca della cittadinanza italiana agli stranieri per reati sempre più numerosi. In più la sospensione del processo di cittadinanza in alcuni casi fissati dal provvedimento. La linea del decreto è dichiaratamente anti-immigrati, la preoccupazione di Mattarella è il rispetto dei principi costituzionali. Il braccio di ferro è appena cominciato.

Tria deve decidere se è parte integrante del governo se la sua risposta e no se ne deve andare subito. Il ministro sa che se incassi 100 e spendi 90 non investi e poi c'è la Moneta Coplementare

DOPO IL VERTICE
Manovra, Giovanni Tria si piega a Matteo Salvini? Fonti della Lega: "L'impegno del ministro"

21 Settembre 2018


Qualcosa si muove? Forse sì. Fonti della Lega, dopo il vertice sulla manovra che si è tenuto in mattinata a Palazzo Chigi con Giuseppe Conte, Matteo Salvini, Giovanni Tria e Massimo Garavaglia assicurano che "ora c'è l'impegno di tutti ad affinare le proposte e dello stesso ministro Tria a cercare soluzioni". Alla riunione era assente Luigi Di Maio, ancora impegnato nella missione in Cina (per il M5s, presenti il ministro Riccardo Fraccaro e il viceministro Laura Castelli. Presenti anche i ministri Enzo Moavero Milanesi e Paolo Savona).

Uno dei partecipanti alla riunione ha spiegato: "Il ministro Tria ha preso atto della volontà politica della Lega e del Movimento 5stelle di realizzare formule importanti di cambiamento, dal reddito di cittadinanza per gli italiani alla riforma delle pensioni". Dunque le parole di Salvini: "Non ci impiccheremo allo zero virgola. Noi vogliamo ridare dignità all'Italia e se creiamo posti di lavoro a Bruxelles saranno contenti. Tranquilli, le risorse ci sono".


Poi le dichiarazioni del sottosegretario all'Economia, Massimo Bitonci, che è tornato sul tema della maggiore elasticità per quel che riguarda il rapporto deficit-Pil: "È chiaro che si deve trovare una soluzione e aprire un po' i cordoni della borsa, è giusto che sia così. Tria fa il suo lavoro. Noi sappiamo benissimo che una certa elasticità può essere data. Salvini parlava di 2,9%, ora di 2,5% e io penso che si potrebbe arrivare tranquillamente tra il 2 e il 2,2%", ha affermato.

Roberto Pecchioli - 2018 crisi economica - La Bce ha creato denaro dal nulla con un clic e poi non ci sono soldi per fare la Flat tax, Reddito di cittadinanza e abolire la Fornero. Mattarella Mattarella non è vero che dobbiamo rimanere servi felici, pagare e tacere nei confronti dell'Euroimbecillità. La Deutsche Bank è il cerino della prossima certa crisi. I giornaloni sdraiati come sempre sugli interessi antinazionali non è un caso che perdono lettori ogni giorno, non sono credibili

Dieci anni di crisi. Da Lehman & Brothers al QE.

Roberto Pecchioli 22 settembre 2018 
di Roberto PECCHIOLI

Sono passati 10 anni dal fatidico 15 settembre 2008, data simbolo della crisi finanziaria ed economica più grave dal 1929. Quel giorno crollò la banca d’affari Lehman & Brothers per le insolvenze dei mutui immobiliari esplose nell’anno precedente. La memoria visiva ci rimanda alle immagini di impiegati allibiti che lasciavano gli uffici di New York reggendo scatoloni di cartone con documenti e effetti personali. Le conseguenze di quelle vicende sono ben presenti nella vita quotidiana di centinaia di milioni di persone e meritano qualche riflessione in chiave italiana ed europea.

Soprattutto adesso, in una fase in cui si moltiplicano allarmi e tensioni di chi teme un nuovo crac. Tra le tante dichiarazioni, colpiscono quelle dell’analista internazionale Juan Ignacio Crespo. Preso atto che la crisi del 2008 fu una crisi di sovra indebitamento, rileva che oggi torniamo a essere indebitati oltre ogni ragionevole limite. Per di più, ed è ciò che più inquieta, l’apparente soluzione, in America con la Federal Reserve e poi in Europa, è stata fare altro debito, sempre più debito. E’ stata nascosta la polvere sotto il tappeto, badando che il tappeto appartenesse agli Stati sovrani.

L’operazione più rilevante è stata forzare lo statuto della Banca Centrale Europea affinché acquistasse a mercato aperto quote crescenti di titoli pubblici. Il meccanismo sta per interrompersi dopo circa quattro anni. Il cosiddetto quantitative easing, alleggerimento quantitativo, ha pompato, meglio ha creato denaro dal nulla al ritmo di 60 miliardi al mese, poi addirittura 80, scendendo a 30 nell’anno corrente, dimezzati a 15 negli ultimi tre mesi del 2018. BCE è oggi la principale detentrice del debito pubblico italiano, acquisito con denaro inesistente, garantito dal nostro lavoro.

Astrattamente, Francoforte potrebbe decidere di liquidare quelle somme, il che la obbligherebbe a ricapitalizzare il suo bilancio con la conseguenza di una bancarotta. Per evitarla potrebbe stampare banconote, generando una forte inflazione dagli esiti drammatici. E’ solo una scenario teorico, il più negativo, reso improbabile dallo statuto della banca che impegna alla stabilità, ma è sicuro che la fine degli stimoli artificiali avrà conseguenze sui mercati europei. Non mancano tuttavia le voci che ritengono possibile un effetto benefico sull’economia a medio termine per il prevedibile rialzo dei tassi dopo la fine del QE.

In Gran Bretagna il meccanismo fu adottato dal 2009 al 2012, provocando un appiattimento della curva dei rendimenti, nonché una caduta della massa monetaria (M4) e dei prestiti. L’economia si trovò due volte prossima alla recessione. Dopo la conclusione del QE, l’M4 e i prestiti risalirono, il Pil si rafforzò e gli investimenti da parte delle imprese subirono un’accelerazione. Storicamente, è dimostrato che esperimenti di questo tipo, realizzati anche in Giappone e negli Usa, non hanno concorso alla crescita né hanno conseguito l’obiettivo di determinare quel tanto di inflazione permessa dal pensiero unico monetarista, responsabile dei disastri degli ultimi decenni.

Ciononostante la tensione sale. In chiave italiana, pesa l’ostilità aperta di Mario Draghi (stregone maledetto), uno degli ospiti del panfilo Britannia che diede l’avvio nel 1992 all’affossamento dell’Italia, oltreché il “fuoco amico” capitanato dal Quirinale (Mattarella Mattarella), a partire dalla sconcertante dichiarazione con la quale ha intimato al governo di “non mercanteggiare” in sede di bilancio europeo. Insomma, dobbiamo rimanere servi felici, pagare e tacere. La conclusione è quella di una profonda vulnerabilità del sistema che si ripercuote su un’Italia fragile e divisa, con l’intero establishment schierato contro il governo gialloblù.

Il mondo è oggi più indebitato di dieci anni fa. E’ cambiata la composizione, sta esplodendo il debito privato negli Usa e in Cina, aumenta costantemente in Francia e Germania, mentre l’Italia sta assai meglio di molti altri paesi nel rapporto tra PIL e debito aggregato, la somma delle esposizioni pubbliche e private. Altrove, come in Spagna, il debito privato è stato tamponato trasferendolo sulle casse pubbliche. Il rapporto debito/PIL non superava il 40 per cento nel 2007, ora sfiora il 100 per cento. Un’immensa trasfusione di sangue dal popolo al sistema creditizio. Dell’agonia greca sappiamo.

Un altro rilievo di Crespo riguarda una lezione dei fatti del 2007/2008: “la crisi cominciò perché i veicoli di investimento speciali, creati per realizzare fuori bilancio quello che non era profittevole in bilancio, ignorarono un principio base: finanziarono a breve termine i loro investimenti a lungo termine.” Molto più di un dettaglio, una specie di confessione di colpa, giacché conferma che il sistema si basa su menzogne, illegalità coperta ai massimi livelli, falsificazione di dati, report e bilanci, sostentandosi su scommesse rischiose, folli arrampicate sugli specchi che lasciano sul terreno tre sconfitti: i cittadini investitori gabbati, gli Stati che, come il Cireneo, si sono dovuti caricare sulle spalle enormi perdite altrui, l’economia reale.

I fatti mostrano che le banche contano più di dieci anni fa, non solo per l’impulso europeo all’ unione bancaria. La sostanza è che il peso principale delle perdite è ricaduto sugli Stati, ovvero su tutti noi; oggi abbiamo concentrazioni bancarie progressive in base al principio “too big to fail”, troppo grande per fallire. Tanto il conto lo paga lo Stato, ovvero depositanti e obbligazionisti dopo la legge detta “bail in”. Non si è riusciti a sciogliere neppure il nodo del ritorno alla divisione tra banche d’affari e banche di credito e deposito, le uniche meritevoli di aiuto pubblico.

La Germania, attraverso il centro di potere politico economico e finanziario rappresentato da Angela Merkel e Jens Weidmann (Bundesbank) ha ucciso la Grecia per salvare i propri istituti esposti dopo averne finanziato non solo il deficit, ma anche garantito gli incauti acquisti ellenici di armi sul mercato tedesco e francese, salvando contemporaneamente con il denaro dei contribuenti (europei!) i suoi colossi alla canna del gas. Ciò che è stato vietato all’Italia nelle crisi di MPS e delle banche venete, Berlino lo ha fatto tranquillamente, nazionalizzando di fatto Deutsche Bank e Commerzbank.

La prima, di cui tutti ricordiamo il ruolo di killer esercitato nel 2011 contro l’Italia con la svendita dei Buoni del Tesoro, ha in pancia 42.000 miliardi di euro di titoli derivati, spazzatura pari a 16 volte il PIL della Repubblica Federale di Germania. Commerzbank non sta meglio; il valore sul mercato dei due istituti è crollato di quasi il 90 per cento, di cui il 35 nell’anno corrente. Si prepara una maxi fusione tra i giganti malati, la cui capitalizzazione complessiva è adesso simile a quella di Unicredit. Weidmann, in un’intervista cui la stampa italiana, sdraiata come sempre sugli interessi antinazionali, non ha dato troppo risalto, ha rivendicato tutte le mosse dell’ultimo decennio che hanno rafforzato il ruolo della Germania e messo sotto scacco l’Europa del Sud, a partire dalla sua principale economia, la nostra.

Illuminante è un brano di Adulti nella stanza, libro dell’ex ministro greco Varoufakis, che rivela la dipendenza del ministro italiano Padoan dal falco tedesco Schaeuble, il quale impartì gli ordini di Berlino al governo Renzi in materia di mercato del lavoro. Solo dopo che passarono in Italia i provvedimenti graditi a Schaeuble, riferisce Varoufakis, cessò l’ostilità tedesca all’Italia.

Nessuna indignazione o finta sorpresa. In Germania hanno difeso i loro interessi, con l’aiuto francese. Il problema è l’impossibilità di suscitare in Italia analoga capacità di agire a tutela di noi stessi. Storia vecchia di secoli: gli italiani spalancano sempre le porte agli stranieri. La politica non tenta neppure di riappropriarsi di ciò che è suo, ovvero il potere di determinare le politiche economiche e quelle finanziarie. Dopo Draghi, arriverà il super falco Weidmann: dalla padella nella brace. E’ ancora possibile inserire in un programma politico la riconquista della sovranità monetaria attraverso una profonda riforma del Trattato di Maastricht nella parte relativa alla Banca Centrale Europea e il ritorno di Bankitalia (un istituto il cui nome contraddice la realtà dei suoi azionisti) in mani pubbliche?

Il tabù resiste e nessun progetto di governo potrebbe oggi permettersi di evocare una rivoluzione tanto grande. Pure, se vogliamo sopravvivere come nazione, potenza economica, speranza di futuro comune e indipendente dai signori del debito, non dobbiamo smettere di alimentare il dibattito, elaborare strumenti, individuare percorsi. Come dicevano della riconquista dell’Alsazia Lorena gli irredentisti francesi dopo la disfatta del 1870, alla sovranità monetaria occorre pensare sempre e, in pubblico, parlarne pochissimo.

La guerrra commerciale che gli Stati Uniti fanno alla Cina non scompone questo paese che fa virare il commercio, aumentandone la quantità, verso aree diverse

Esperti cinesi ed europei: salvaguardiamo insieme il sistema globale del commercio multilaterale

2018-09-21 11:08:51 cri

Mercoledì 19 settembre, ora locale, circa 100 rappresentanti cinesi ed europei del mondo politico, accademico e commerciale hanno tenuto a Ginevra un seminario sulle relazioni economiche e commerciali Cina-Europa-Usa e sulle prospettive del commercio multilaterale. Zhou Xiaochuan, presidente della China Finance Association e consulente del China International Economic Exchange Centre, ha partecipato al seminario a capo di una delegazione cinese. È la prima volta che la Cina e l'Europa promuovono la comunicazione e la comprensione reciproca attraverso scambi tra think tank di alto livello. Gli ospiti presenti hanno invitato tutte le parti a rafforzare il dialogo, eliminando le incomprensioni, intensificando la cooperazione e salvaguardando assieme il sistema commerciale multilaterale globale.

Il sistema multilaterale sta affrontando le sfide lanciate dal protezionismo commerciale e dall'unilateralismo, e la salvaguardia del sistema commerciale multilaterale basato sulle regole riguarda la pace e lo sviluppo nel mondo. In questo contesto, è di grande importanza strategica per la Cina e per l'Ue rafforzare la comunicazione e il coordinamento politico. Questo è anche il tema principale del seminario.

Nel suo intervento, Zhou Xiaochuan ha ribadito qual è la coerente posizione politica della Cina sulle controversie commerciali con gli Stati Uniti, in risposta all'esacerbarsi degli attriti commerciali nel mondo e all'ultima proposta statunitense di imporre tariffe su beni cinesi del valore di 200 miliardi di dollari:

"La Cina ha sempre sperato di ridurre gli attriti commerciali attraverso il dialogo, confronti o lo scambio di idee economiche, perfezionando le regole del sistema multilaterale globale e attenuando l'incertezza che permane sull'intera economia mondiale. Nella situazione internazionale attuale, dobbiamo promuovere la liberalizzazione e la facilitazione del commercio e degli investimenti, creare un sistema commerciale multilaterale più aperto, equilibrato, inclusivo, trasparente e non discriminatorio, che rechi giovamento a tutti e che abbia carattere istituzionale, opponendoci all'unilateralismo e al protezionismo commerciale".

Arancha González, direttore esecutivo dell'International Trade Center, ha dichiarato che nell'economia e nella geopolitica globale sono intervenuti nuovi cambiamenti e che pertanto il sistema commerciale multilaterale andrebbe riorganizzato in modo che possa adattarsi alla tendenza alla multi-polarizzazione del mondo.

Rui Pedro Esteves, professore associato presso il Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra, ha analizzato e messo a confronto i processi storici che hanno portato allo sviluppo economico di Cina e Stati Uniti, attraverso tabelle compilate con diversi dati, offrendo suggerimenti politici e riconoscendo l'importante ruolo della Cina nel sistema commerciale internazionale.

http://italian.cri.cn/1781/2018/09/21/123s328199.htm

Giulio Sapelli - Tria deve incoraggiare la crescita, stimolare gli investimenti, se non fa questo può andare tranquillamente via e non impiccarsi all'1,6%

Manovra, Sapelli contro Ocse: “Fuori dalla realtà. Bene Lega su quota cento”


L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha rivisto al ribasso la crescita del Pil italiano nel 2018, a +1,2% dal +1,4% previsto a maggio. Nelle previsioni intermedie dell’organismo dovrebbe invece rimanere invariata la crescita per il 2019, attestata sull’1,1%. L’Ocse ha pure invitato il governo a non abolire la Legge Fornero scatenando le ire di Lega ed M5S. Lo Speciale ne ha parlato con l’economista Giulio Sapelli, già ordinario di Storia economica ed Economia politica presso l’Università di Milano.

Professore, l’Ocse ha rivisto al ribasso la crescita del Pil e ha detto che la Legge Fornero non va abolita. Condivide questo allarme o ritiene che non abbia titolo per dettare la linea politica ai governi come hanno risposto Lega ed M5s?

“L’Ocse non si discute nella sua capacità statistica, se ha abbassato le stime avrà avuto le sue buone ragioni. Non è invece accettabile che dica ai governi cosa devono fare, per altro su misure specifiche come il mantenimento o meno della Legge Fornero. Si tratta di una legge criticata in tutta Europa sul piano economico prima che politico, anche perché abbiamo finalmente capito che la cosiddetta sostenibilità nel lungo periodo non dipende soltanto da temi pensionistici, ma da tanti altri fattori, iniziando dal fattore crescita che è fondamentale. Quindi quello dell’Ocse è stato un intervento inappropriato, sia giuridicamente perché travalica le sue funzioni, sia dal punto di vista economico perché secondo me afferma cose assurde”. 

Secondo l’Ocse l’Italia insieme alla Brexit rappresenterebbe un serio problema per l’Europa. E’ davvero così?

“Ma per carità! Per altro la Brexit non rappresenta affatto un problema. Lo dimostra il fatto che le stime catastrofiche che la stessa Ocse e il Fondo monetario internazionale avevano preconizzato inizialmente, non si sono assolutamente verificate. L’Inghilterra non ha affatto un tasso di decrescita come quello che era stato ipotizzato, quindi non bisogna fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Non dimentichiamo che la Gran Bretagna ha un vastissimo mercato, e che a quello europeo si aggiunge quello del Commonwealth. Inoltre gli inglesi sono presenti, attraverso la banca più potente del mondo, ad Hong Kong e dicono la loro sul commercio mondiale. Sarebbe il caso di non fare troppo terrorismo mediatico”.

Venendo all’Italia, il vicepremier Luigi Di Maio ha detto ieri che se lo sforamento del deficit al 2% era un tabù avrebbero dovuto dirlo prima, e non oggi che il governo italiano vorrebbe superarlo per trovare le risorse necessarie ad attivare i punti programmatici del contratto di governo. Ha ragione?

“Il giovane Di Maio credo abbia già una responsabilità enorme nel guidare due ministeri. Dovrebbe preoccuparsi di gestirli al meglio e la prima regola per gestire al meglio le cose è quella di non parlare. Se si sta zitti non si sbaglia di sicuro, ma se si parla troppo si rischia di dire cose che possono anche danneggiare il Paese”. 

Ma lo sforamento del 2% è auspicabile a suo giudizio o meglio restare nell’ordine dell’1,6?

“Lo hanno sforato la Francia e la Germania quando hanno voluto. Il segreto è farlo senza dirlo e negoziandolo come hanno fatto i francesi e i tedeschi, agendo diplomaticamente e senza utilizzare sempre toni da campagna elettorale”.

Tria ha ribadito che non firmerà una manovra con un deficit al 2% perché significherebbe fare altro debito, ma Di Maio gli ha fatto presente che se lo si fa oggi, i debiti si potranno tranquillamente ripagare con il taglio alla spesa pubblica nei prossimi anni. Chi ha ragione?

“Sforare non vuol dire nulla. Bisogna innanzitutto stimolare gli investimenti e la crescita. Sforare vuol dire poter aumentare il debito per periodi brevissimi durante i quali possiamo cogliere i frutti di una crescita che viene grazie agli investimenti. Il termine sforare va abolito. Anzi fosse per me abolirei sia il termine sforare che manovra perché fanno perdere di vista la priorità, che è unicamente quella di incoraggiare la crescita. Il ministro Tria mi pare abbia detto cose sensate da questo punto di vista. Non sono d’accordo con lui per ciò che riguarda il paletto dell’1,6% ma le sue proposte per stimolare gli investimenti mi sembrano condivisibili. Il governo su questo dovrebbe seguirlo”.

Sul fronte pensionistico la Lega intanto ha rilanciato la quota cento a 62 anni e con38 di contributi versati. E’ la strada giusta?

“Assolutamente sì, è un’ottima proposta. So che l’amico professor Brambilla ha delle critiche da fare. Gli consiglio vivamente di mettersi a lavorare insieme al governo, ma credo che la Lega stia andando nella giusta direzione”. 

Ieri tutti hanno smentito l’aumento dell’Iva che invece qualcuno aveva proposto di mettere su alcuni prodotti. Pensa che sia davvero così o alla luce dell’oggettiva difficoltà di reperire risorse in manovra si possa alla fine rendere indispensabile?

“Mi fido di quello che ha detto il governo all’unanimità. Credo che nessuno abbia interesse ad aumentare l’Iva e penso che faranno di tutto per ompedirlo. Sarebbe una decisione sciagurata che avrebbe come unico effetto quello di diminuire i consumi”.

Mef - Questi tecnici non tecnici che hanno fatto passare le peggio infamie fanno i verginelli

Il tecnico vicino a Tria "Una parola e vado via"

In queste ore frenetiche per il governo anche un tecnico del Tesoro può finire nel mirino. Lo sfogo di Franco, Ragioniere Generale dello Stato 

Franco Grilli - Ven, 21/09/2018 - 10:43

In queste ore frenetiche per il governo anche i tecnici dei ministeri possono finire nel mirino.


Il nodo più complicato da sciogliere per il governo resta quello della manovra. Di fatto il ministro dell'Economia Tria è nel mirino di Lega e Movimento Cinque Stelle che chiedono risorse e coperture per portare avanti il contratto di governo con le principali proposte dei due partiti: reddito di cittadinanza e flat tax. Nel mirino però sono finiti anche gli uomini più vicini a Tria. Tra questi c'è anche il Ragioniere Generale dello Stato, Daniele Franco. Come riporta il Corriere, l'economista in questo momento si sente sulla graticola e avrebbe confessato: "Me lo devono solo dire e il giorno dopo sono sulle Dolomiti". Quello di Franco è un ruolo chiave.

Non ha solo il compito di stimare i costi delle misure che entreranno in manovra: il Ragioniere Generale dello Stato può anche negare la "bollinatura" alla legge di bilancio nel caso in cui ci siano misure prive di coperture. Paolo Gentiloni conosce bene Franco e ha già sperimentato sulla sua pelle il suo "potere". Proprio lo scorso anno il Ragioniere Generale dello Stato costrinse il Senato a votare due volte una misura varata dalla manovra dell'esecutivo guidato dall'ex premier. Adesso anche lui si sente nel mirino come lo stesso Tria. E a 65 anni potrebbe pensare ad un (clamoroso) passo indietro...

Giulio Sapelli - Il Pd è rimasto senza cuore è un corpo che vaga, dobbiamo seppellirlo, per il suo bene, anche se tanto male ha fatto e continua dove può a farlo all'Italia agli italiani

RIP
Pd, la sentenza dello storico Giulio Sapelli: "È morto e non si salverà nessuno"
21 Settembre 2018


Quando l'ex ministro Carlo Calenda non è riuscito a organizzare neanche una cena con Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Maurizio Martina, ha evocato uno psichiatra per risolvere i problemi del Partito democratico. Una visione fin troppo ottimistica, visto che ormai per i dem servirebbe solo un becchino perché è un "partito morto", secondo quanto dice a Italia oggi lo storico Giulio Sapelli.


A furia di isolarsi, i dirigenti del Pd sono rimasti completamente soli, di fatto abbandonati da quelli che una volta erano i loro elettori più convinti: "Cioè artigiani, operai, impiegati comunali. I maggiorenti del Pd - dice Sapelli - non hanno con loro nemmeno un operaio dell'Ilva. Non hanno più nessuno". Prima che però l'elettorato li abbandonasse, sono stati i vertici dem a decidere di starsene da soli: "È successo quando hanno abbracciato il blairismo, dove la finanza era di sinistra, l'industria di destra e non c'era bisogno di avere rapporti con la classe operaia".

Le speranze di rianimare un corpo ormai morto sono praticamente nulle, il Pd insomma è irrecuperabile: "Non hanno più rapporti nemmeno con i sindacati, anche se i segretari della Uil sono iscritti al Pd. I sindacati sono in crisi, è vero, ma fanno ancora i contratti, rappresentano ancora i lavoratori. Gli operari dell'Ilva hanno votato seguendo i sindacati".

Qualcosa ancora resiste sotto le insegne del Pd, qualche sacca di potere locale è rimasta in piedi nonostante l'ondata leghista-grillina: "Perché sono il centro del clientelismo politico, che prima era più solido ma adesso è più difficile da alimentare dato che ci sono meno risorse da spendere. Al politico - dice ancora Sapelli - non resta che esercitare un potere di prossimità: dà un posto all'amico dell'amico, nomina il capo dei vigili all'ufficio legislativo di palazzo Chigi, ma non chiama più il povero alla sua tavola, ammesso che riesca a combinare una cena. Il rapporto con i sostenitori è sempre più anagrafico e sempre meno affettivo. Non c'è più cuore".

Rai - finalmente si potranno usare le competenze idee di Freccero

LE SCELTE
Rai, le nomine ai tg: Matano o Sangiuliano per il Tg1. Alla Lega i tg regionali, ai 5 Stelle le radio
Parte la corsa per le direzioni: Mazzà verso la conferma al Tg3, Freccero verso una direzione editoriale «in quota» 5 Stelle

ROMA — Marcello Foa non è ancora un presidente Rai nella pienezza delle sue funzioni (manca la ratifica della commissione di Vigilanza) ma già riparte il totonomine, appuntamento fisso per Viale Mazzini dopo ogni insediamento di nuovi vertici. 

Il pacchetto nomine è (per legge) nelle mani dell’amministratore delegato Fabrizio Salini che ha avuto in Marcello Ciannamea — direttore dei Palinsesti che Salvini stima molto — un immediato sostegno per navigare nelle tempestose acque di Viale Mazzini. Nessun appuntamento immediato (a ottobre?): bisognerà prima mettere a posto tante tessere di un mosaico difficile. 

Primo nodo, il Tg1, il notiziario più seguito dagli italiani. È già un duello politicamente molto chiaro tra Alberto Matano, conduttore assai apprezzato dal M5S, e Gennaro Sangiuliano, sostenuto dalla Lega e anche da Forza Italia. Ed eccoci al punto: dopo la ritrovata intesa Berlusconi-Salvini-Meloni, in area M5S si vede con esplicita diffidenza questa soluzione. Il Tg1, con Sangiuliano, andrebbe di fatto al centrodestra da poco ricompattato, un riconoscimento ai berlusconiani che i pentastellati ritengono eccessivo. L’interfaccia del Tg1 è naturalmente il Tg2: quindi sia Matano che Sangiuliano restano in prima fila per le due poltrone, tutto dipende dal quadro politico e dagli accordi (e gli equilibri) tra Lega e M5S. 

Minori apprensioni per il Tg3 e la stessa Raitre: sia Luca Mazzà che Stefano Coletta potrebbero restare al loro posto per non cancellare completamente un’area culturale vicina al Pd e all’opposizione (dimostrando così che la presidenza Foa è «di garanzia»). Non appare in pericolo nemmeno la direzione di Antonio Di Bella a Rai News, un aziendalista politicamente non etichettabile. 

Una postazione importante proprio per la Lega è la Tgr, la rete dei tg locali: i candidati più accreditati sono Alessandro Casarin e Luciano Ghelfi. In questo caso, per il gioco dei riequilibri, il giornale radio potrebbe andare al M5S, magari affidandolo a Paolo Corsini, non «di area», ma con molti estimatori tra i grillini. Per Raisport l’unico candidato resta Jacopo Volpi. 

Arrivano chiare conferme su un prossimo coinvolgimento di Carlo Freccero, ex consigliere di amministrazione Rai: nelle sue posizioni il M5S si è ritrovato molto spesso. Per lui si parla di una possibile direzione editoriale, magari come regista di un rinnovamento dell’offerta del prodotto culturale e di intrattenimento, un cavallo di battaglia dell’area grillina. E poi rimangono sul tappeto due questioni non secondarie. Sia la ex presidente che l’ex direttore generale, Monica Maggioni e Mario Orfeo, sono dipendenti Rai con la qualifica di direttori (è la prima volta che succede nella storia della Rai). Maggioni lasciò Rai News e Orfeo il Tg1. I nuovi vertici dovranno affrontare la questione per evitare di essere accusati di voler saldare conti politici lasciandoli senza incarico. E non è un dettaglio.

21 settembre 2018 (modifica il 21 settembre 2018 | 23:42)

Rai - c'è voluto un incontro con lo zombi Berlusconi per il via libera a Marcello Foa come ci volle l'incontro per il Presidente del Senato. Ora il governo verde oro ha lo strumento di comunicazione per eccellenza a disposizione


Ok a maggioranza da cda Rai a Foa presidente

Ora la scelta va confermata dalla commissione di vigilanza a maggioranza di due terzi

FOTO
Marcello Foa © ANSA


Redazione ANSA
21 settembre 201822:12NEWS

Il cda della Rai ha dato l'ok a maggioranza alla nomina di Marcello Foa a presidente della tv pubblica. A quanto si apprende, Foa ha ottenuto quattro voti favorevoli, quelli dell'ad Fabrizio Salini e dei consiglieri Beatrice Coletti (eletta in quota M5S), Igor De Biasio (Lega), Gianpaolo Rossi (Fdi). Rita Borioni (eletta in quota Pd) avrebbe votato contro, mentre Riccardo Laganà, il consigliere eletto dai dipendenti della tv pubblica, si sarebbe astenuto. Lo stesso Foa non avrebbe partecipato alla votazione. Si è replicato così lo stesso schema della votazione avvenuta il 31 luglio scorso. Allora la nomina di Foa non venne però ratificata dalla commissione di Vigilanza, dove il 1 agosto non ottenne la necessaria maggioranza di due terzi (27 voti su 40 componenti).

A breve sul tavolo del consiglio arriveranno anche le prime nomine della nuova gestione. In pole position per il Tg1 c'è sempre Gennaro Sangiuliano, sostenuto dal centrodestra, a meno che la spunti Alberto Matano, gradito a M5S, che potrebbe essere dirottato al Tg2. Al Tg3 si attende la conferma di Luca Mazzà (oltre che del direttore di rete Stefano Coletta), mentre alla radiofonia si parla di Paolo Corsini. Per la TGR sono in pole, sponsorizzati dalla Lega, Alessandro Casarin o Luciano Ghelfi, in lizza anche per il Tg2 qualora Matano andasse al Tg1. Per lo sport resta favorito Jacopo Volpi.

La consigliera Rita Borioni, che ha votato contro la nomina di Foa nella riunione, rende noto di aver presentato "all'inizio della seduta odierna del cda, formale diffida a procedere all'elezione di Marcello Foa, visti i chiarissimi profili di illegittimità della stessa. Nonostante ciò il cda ha deciso di procedere ugualmente. A questo punto mi riservo qualsiasi azione a tutela dell'azienda stessa. La Rai non dovrebbe forzare regole e procedure consolidate per sottostare ai diktat di alcune fazioni politiche".

"Io non temo niente, penso che sia una persona che insieme ad altre potrà fare tanto per il servizio pubblico". Così il vicepremier Matteo Salvini ha risposto a chi gli chiedeva se temesse un nuovo no della commissione di Vigilanza sulla nomina di Marcello Foa a presidente della Rai. "Sono contento" della scelta del cda, ha detto, "e non vedo l'ora che tutti lavorino al 100%. Presentiamo persone di spessore, non amici degli amici. La Rai deve tornare a correre".

"Ed ora occorre varare la legge sul conflitto di interessi e quella sui tetti pubblicitari in Tv" ha detto il presidente della Camera Roberto Fico in un dibattito alla festa di Mdp-Leu.

venerdì 21 settembre 2018

Francesco Cancellato - opposizione significa proporre una idea paese alternativa ma neanche sanno fare questo quell'euroimbecille corrotto Pd

Dello stipendio di Casalino non ce ne frega nulla. E di un’opposizione così ne facciamo volentieri a meno

Mentre il governo stringe sulla Legge di Bilancio, gli esponenti del Pd polemizzano sullo stipendio del portavoce di Conte e sul biglietto aereo di Luigi Di Maio. Se questo è il modo di costruire l’alternativa, il governo gialloverde può dormire sonni tranquilli. E pure noi, in attesa di meglio

21 Settembre 2018 - 07:33

ALBERTO PIZZOLI / AFP

Le cronache raccontano che mentre nel governo si discuteva di quota 100, di permessi umanitari ai migranti, di reddito di cittadinanza agli stranieri, di flat tax e di aliquote fiscali più inique di quelle attuali, il Partito Democratico discuteva dello stipendio di Rocco Casalino e sul biglietto aereo usato da Di Maio per andare da ministro in missione istituzionale in Cina. E niente, basterebbe questo per spiegare perché il principale partito di opposizione traccheggia attorno al 17% mentre Di Maio e Salvini godono del più ampio consenso mai registrato da una forza di governo dal 1948 a oggi, nonostante non stiano combinando nulla e passino il tempo a litigare sulle cose da fare.

Non stiamo dicendo che con un’opposizione seria questo governo cadrebbe in cinque minuti. Le ragioni del trionfo giallo-verde non dipendono solo dall’autolesionismo democratico, e sarebbe sciocco anche solo pensarlo. Stiamo dicendo, tuttavia, che ci sarebbero mille modi di costruire un’identità politica alternativa a questo governo, di spaccare in due questa maggioranza raccogliendone un pezzetto alla volta, di segnare punti politici smascherandone le contraddizioni e l’inefficacia, di riprendersi il centro del dibattito attraverso proposte innovative e ambiziose, che comincino a segnare il dibattito, a diventare terreno di discussione e propaganda per gli anni a venire. Un po’ come ha fatto Salvini con la flat tax e con l’abolizione della legge Fornero, per intenderci. O come ha fatto il Movimento Cinque Stelle con il reddito di cittadinanza.

No, cari democratici, c’è bisogno di altro. C’è bisogno che spieghiate che ne pensate della clamorosa iniquità intergenerazionale di quota 100. C’è bisogno che diciate chiaro e tondo che il nostro sistema fiscale è già iniquo così, e renderlo ancora più iniquo è un abominio che non produrrà né crescita né pace sociale. C’è bisogno che affermiate con forza che per quanto possa non piacervi il reddito di cittadinanza, non darlo agli stranieri che lavorano in Italia è illegittimo, discriminatorio, controproducente

Niente di tutto questo. Al contrario, il Partito Democratico - soprattutto l’ortodossia renziana, sia detto per onestà - si fa notare solo per polemicucce degne del peggior Di Battista. Polemiche, peraltro, che non interessano a nessuno. Non agli elettori democratici, che hanno bisogno come il pane di una linea politica da seguire, banalmente di sapere cosa ne pensa il proprio partito di tasse, pensioni e welfare, e non di quanti soldi prenda il portavoce del presidente del consiglio (spoiler: tanti quanti ne prendeva quando il premier si chiamava Renzi o Gentiloni). E non serve per riconquistare gli elettori del Movimento Cinque Stelle, che evidentemente non sono così ben disposti a cadere tra le braccia di chi un giorno sì e l’altro pure li descrive come dei buzzurri con l’anello al naso, pronti ad abbandonare Di Maio per un biglietto in business class, o perché sbaglia a collocare Matera sulla carta geografica.

No, cari democratici, c’è bisogno di altro. C’è bisogno che spieghiate che ne pensate della clamorosa iniquità intergenerazionale di quota 100 e che lo diciate con forza, senza l’ambiguità di chi sa bene che la propria base elettorale è fatta principalmente da pensionati. C’è bisogno che diciate chiaro e tondo che il nostro sistema fiscale è già iniquo così, e renderlo ancora più iniquo è un abominio che non produrrà né crescita né pace sociale. C’è bisogno che affermiate con forza che per quanto possa non piacervi il reddito di cittadinanza, non darlo agli stranieri che lavorano in Italia è illegittimo, discriminatorio, controproducente. C’è bisogno che affermiate con forza che levare i permessi umanitari a donne e bambini per mitigare i tempi biblici delle richieste di asilo.

Siete meglio di così, cari democratici. Siete un partito pieno di belle teste, di tanti giovani capaci e preparati. Siete zeppi di gente che studia e che sa benissimo come combattere questo governo, se gliene si desse l’opportunità. Ma se volete buttare tutto a mare, se è questo quel che volete diventare, una copia riuscita male del Movimento Cinque Stelle, che strizza l’occhio all’indignazione da bar, che vive di invidia sociale, che fonda la sua alterità su ironie da secchioncelli di provincia che confondono intelligenza e nozionismo, ci spiace, ma non servite a nulla. E non servite a nulla nemmeno se, da dentro, soffrite in silenzio per questa deriva populista, ma non fate nulla per combatterla. Tanto per essere chiari: se questa è l’alternativa, siamo disposti a sederci in riva al fiume per aspettarne una migliore. Pensateci.

Deutsche Bank la malata dell'Euroimbecillità

Deutsche Bank, le voci su Cina e Usa, i no di Merkel e lo scenario con Commerzbank

21 Settembre 2018


Che cosa si agita in Deutsche Bank. Fatti, nomi, interessi contrapposti, timori della Germania e scenari 

L’agenda di Christian Sewing non potrebbe essere più piena. Il ceo di Deutsche Bank, in carica da soli cinque mesi, deve affrontare partite complesse.

LE DIFFICOLTA’ DI DEUTSCHE BANK

La maggiore banca tedesca ha avviato un processo di ristrutturazione incentrato sulla riduzione dei costi e sulla conquista del mercato domestico. A inizio settembre, poi, il primo azionista, la cinese Hna, ha deciso di mettere sul mercato la sua quota del 7,6% dietro pressione del governo di Pechino.

CHI PENSA DI ENTRARE IN DEUTSCHE BANK

Secondo indiscrezioni, altri investitori istituzionali cinesi, fra cui il Fondo sovrano, sarebbero interessati a rilevare la partecipazione. Anche Jp Morgan si sarebbe fatta avanti, incontrando però l’ostilità del governo di Berlino, contrario all’entrata di un investitore americano nel capitale del primo istituto tedesco.

CHE COSA PENSA IL GOVERNO MERKEL

L’esecutivo guidato da Angela Merkel accoglierebbe invece con maggior favore l’ipotesi di una fusione fra Deutsche e Commerzbank , che darebbe vita alla terza banca d’Europa dopo Hsbc e Bnp Paribas.

IPOTESI AGGREGAZIONE CON COMMERZBANK

Lo scenario si va delineando: i ceo delle due banche sarebbero favorevoli all’aggregazione, ma Sewing vorrebbe prima completare il complesso processo di integrazione in Deutsche di Postbank. In altri termini, di fusione si potrà parlare, ma solo fra 18 mesi. Nel frattempo anche il piano di ristrutturazione di Sewing, a cui gli azionisti tengono molto, dovrebbe dare i suoi frutti.

I NUMERI DELLA GESTIONE SEWING

La seconda trimestrale 2018, la prima della gestione Sewing, ha fornito i primi segnali, con risultati oltre le aspettative degli analisti. I ricavi sono arrivati a 6,6 miliardi (13,6 nel semestre), l’utile netto a 401 milioni (521 nel semestre). Anche il Cet1 è salito dal 13,4 al 13,7%, al di sopra del target del 13%. Il full loaded leverage è aumentato dal 3,7 al 4%,in linea con l’obiettivo di ridurre la leverage exposure nell’area Corporate & Investment Bank.

(estratto di un articolo di Mf/Milano Finanza)


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In Europa contrapposizione ingannevole tra liberali e nazionalisti



In vista delle elezioni europee il segretario del Pd Martina ha fatto il più scontato – e irricevibile – degli endorsment alla proposta del presidente francese Macròn. “Dobbiamo lavorare per costruire una grande alleanza da Tsipras a Macron, e ovviamente con il Pse. L’idea di un’alleanza tra Salvini, Orban e Le Pen deve preoccupare”. Una dichiarazione rilanciata alla vigilia del vertice dei leader Pse che precede il summit informale europeo di Salisburgo. “Al vertice discuteremo anche di questo”, ha aggiunto Martina.


Qualche giorno fa era stato il presidente francese ad avanzare la proposta di un fronte repubblicano con dentro di tutto e di più per contrastare elettoralmente le liste di destra a livello europeo. Insomma una sintesi di tutta la geografia dell’europeismo liberale, sia quello di destra che quello di sinistra. In pratica di coloro che hanno gestito il massacro sociale dovuto alle misure di austerity imposte alle popolazioni europee, con particolare accanimento contro i paesi della periferia.


Su come si approccerà a questa proposta Tsipras ancora non è noto. Un eurodeputato di Syriza ha però già dichiarato di condividerla e probabilmente, vista la sistematica scalata di esponenti provenienti dal Pasok nelle leve decisionali di Syriza, tutto lascia pensare che la proposta di Macròn troverà attenzione ad Atene.

Ma la prima doccia fredda su questa proposta di union sacrèe contro la destra, viene dal ponderatoLe Monde Diplomatique. In un articolo scritto a quattro mani sul numero di settembre, due redattori storici come Serge Halimi e Pierre Rimbert, concludono una lunga analisi respingendo l’idea che sia in gioco una contrapposizione strategica tra democrazia e populismo: “Ridurre ostinatamente la vita politica dei decenni futuri allo scontro tra democrazia e populismo, tra apertura e sovranismo, non recherà alcuna alcun sollievo a quella porzione crescente delle categorie popolari che è “disincantata” nei confronti di una democrazia che l’ha abbandonata e in una sinistra trasformatasi in partito della borghesia istruita”.(1)

In Italia a spendersi su questa ipotesi finora è stato Massimo Cacciari (anche se la sua influenza nel paese non arriva oltre Lilli Gruber che lo intervista a ogni piè sospinto).

In una intervista Cacciari ha chiarito che : “La mia idea è fare leva sulla scadenza elettorale del 2019 per costruire un simbolo europeo. Le forze che condividono questo progetto si mettano insieme, in modo transnazionale: Macron in Francia, Ciudadanos in Spagna, Tsipras in Grecia, che è stato bravissimo. Un progetto che si chiami Nuova Europa. Senza questa iniziativa il Pd rischia la liquidazione. O ti ritiri e cavalchi in retromarcia o sfidi i populisti e i sovranisti su questo terreno”.

Ma sulla grande coalizione liberaldemocratica si dice possibilista anche Renzi che non ha escluso la nascita di un fronte comune contro i nazionalpopulisti, un fronte con Pse, Macron, Alde e verdi: “Non penso possa proporlo un ex premier italiano”, ha spiegato, “io vorrei dentro anche Tsipras, un fronte da Macron a Tsipras. Se ci sarà un candidato socialista, vorrei uno capace di dialogare con tutti, uno come Frans Timmermans, di cui abbiamo parlato anche con Minniti di recente, sarebbe un ottimo candidato”.

Inutile dire che l’idea del fronte europeista da Macron a Tsipras entusiasma tanto La Repubblica ed anche Il Corriere della Sera.

Forse sarà superfluo ribadirlo per i nostri lettori, ma talvolta repetita juvant.

Se e come ci misureremo con le elezioni europee, lavoreremo ad un terzo polo con le forze popolari e di rottura venute fuori in questi anni in Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Grecia intorno al “Piano B” come minimo sindacale. E lo faremo proprio per combattere entrambe le opzioni messe in campo dalla borghesia europea: sia quella reazionaria che, nella migliore delle ipotesi, si candida a gestire il declino sociale giocando su razzismo e autoritarismo, sia quella liberaldemocratica che ha provocato il declino e il boom delle disuguaglianze sociali in Europa e vorrebbe continuare a farlo come prima.

Se saremo in campo sarà dunque per spezzare quella che anche Le Monde Diplomatique liquida come “contrapposizione ingannevole”, e per rompere la gabbia dell’Unione Europea dove destra xenofoba e liberali vogliono continuare a tenere subalterne e sottomesse le classi popolari… senza differenze sostanziali.

(1) “Liberali contro populisti, una contrapposizione ingannevole”, Le Monde Diplomatique, settembre 2018

Notizia del: 20/09/2018