L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 29 settembre 2018

29 Settembre 2018 - Sen. Alberto Bagnai ad Ascoli Piceno

28 Settembre 2018 - I soldi alle banche sì, agli italiani no

29 Settembre 2018 - Luigi Di Maio ospite a SkyTG24

Monte dei Paschi di Siena - non si deve indagare sull'omicidio di David Rossi lo ha deciso il Partito dei Giudici

NUOVI INDIZI
David Rossi, svolta nel caso: l'orologio è stato gettato 20 minuti dopo la caduta del corpo del manager di Mps

29 Settembre 2018


Svolta nel caso David Rossi. L'orologio del capo della comunicazione della banca Monte dei Paschi di Siena è stato gettato dalla finestra dell'ufficio - rivela Il Fatto Quotidiano - ben venti minuti dopo il corpo del manager. Una perizia ha certificato come il lato della cassa dell'accessorio che ha attutito il colpo al suolo sia esattamente l'opposto di quello che avrebbe impattato se fosse stato al polso dell'uomo. Non solo, il video della telecamera di sorveglianza (l'unico di dodici acquisito) è stato studiato dall'ingegnere Luca Scarselli, consulente dei familiari, che ha individuato un oggetto (l'orologio) cadere dalla finestra dell'ufficio, dopo il corpo del manager. Quindi qualcuno doveva per forza esserci nella stanza di Rossi. Qualcuno che però non è rintracciabile, dato che né i fogli presenza del giorno in banca, né le celle per tracciare i cellulari presenti in zona, sono mai stati acquisiti.


Non si rassegnano i familiari di Rossi: troppe le lacune commesse dai magistrati senesi. La morte di David Rossi infatti, avvenuta il 6 marzo 2013, è stata oggetto di due fascicoli, uno nell'immediatezza del decesso, uno due anni dopo. Entrambi chiusi con archiviazione per suicidio, anche se proprio dalle carte delle due indagini emerge chiaramente che tutto può esser accaduto quella sera tranne che Rossi si sia tolto la vita. Lo stesso Colonello dei Ris, Davide Zavattaro, nominato dalla Procura, ha ammesso che prima di morire David sia stato oggetto di una colluttazione. Peccato però che elementi fondamentali a sostegno di questa tesi (i sette fazzoletti sporchi di sangue trovati nell'ufficio di Rossi), siano stati distrutti dal magistrato titolare del primo fascicolo, Aldo Natalini, senza nemmeno essere analizzati e prima ancora che il Gip disponesse l'archiviazione o un eventuale supplemento di indagini.


A riaprire il caso, nel 2015, è stato il magistrato Andrea Boni che si è immediatamente accorto che qualcosa non tornava nelle indagini della scientifica. Poi Boni ha preso servizio come procuratore capo di Urbino e ha ceduto il fascicolo ad altri colleghi senesi. E il tutto si è concluso con una nuova archiviazione.

29 Settembre 2018 - FUORILEGGE SIETE VOI! - Paolo Becchi e Giuseppe Palma

Diego Fusaro - Il corrotto euroimbecille Pd in piazza contro gli aumenti ai pensionati a favore del precariato per continuare a dare soldi alle banche

Fusaro: ‘Il Pd scende in piazza contro lavoratori e ceti deboli’

Silenzi e FalsitàPOSTED ON SETTEMBRE 29, 2018


“È un paradosso storico senza precedenti.”

Lo ha detto Diego Fusaro in un video pubblicato sulla sua pagina Facebook.

“Il Partito Democratico, – afferma – che democratico è soltanto nominalmente, e con esso e le sinistre al servigio del capitale, turboatlantiste, mondialiste e di puro completamento dei rapporti di forza così come sono scenderanno in piazza per manifestare per che cosa, in nome di cosa e contro chi…”

“Manifesteranno sostanzialmente – continua il filosofo – in nome e in difesa della teologia economica mondialista ossia della teologia della disuguaglianza sociale, manifesteranno contro il governo nazionale-popolare che non è gradito alla elite finanziaria, ai mercati innervositi e scalpitanti e alla Banca Centrale Europea.”

“Scenderanno a manifestare – dichiara Fusaro – in piazza contro coloro ai quali viene innalzata la pensione minima, che riceveranno 780 anziché 280 euro, contro precari, disoccupati e lavoratori in sofferenza ai quali viene dato sia pure pro tempore un sostegno che consentirà loro di sopravvivere.”

“Nell’essenziale, le sinistre scenderanno in piazza contro i dominati e in difesa dei dominanti, contro il lavoro e in difesa del capitale, contro l’identità e la dignità nazionale popolare e a beneficio del mondo post-identitario del capitalismo globalizzato ogni giorno più iniquo e ogni giorno più classista” conclude.


Le vittime illustri dei rialzi della Fed fatti proprio per uccidere le altre economie. Argentina, che già sta pagando pegno nelle mani rapaci del Fondo monetario internazionale, Turchia, Brasile, Sudafrica, Indonesia

Che cosa succede alle valute di Brasile e Sudafrica?



L’approfondimento di Sabrina Khanniche, Senior Economist e Anjeza Kadilli, Economist di Pictet Asset Management

Turchia e Argentina hanno dominato le prime pagine, ma dopo queste il rand sudafricano e il real brasiliano sono le valute che hanno registrato il rendimento peggiore dall’inizio della crisi. È
giustificato? Il prossimo a cadere?

La nostra tabella di valutazione proprietaria sulla vulnerabilità dei Mercati emergenti indica che la correzione potrebbe essere giustificata per il Sudafrica, ma meno per il Brasile.

Cosa sta accadendo in questi mercati? Dovremmo aspettarci una maggiore debolezza da entrambe le valute?

BRASILE IN PIENA FORMA

Tra i quattro mercati, il Brasile pare il più in salute. Mentre Argentina, Turchia e Sudafrica hanno significativi deficit delle partite correnti, quello del Brasile è relativamente ridotto. Al contempo, ha notevoli riserve di valuta estera (370 miliardi di USD) equivalenti a 27 mesi di importazioni con cui difendere la sua valuta.

Più problematico invece è il debito pubblico al 76% del PIL (il secondo più grande nei mercati emergenti dopo quello dell’Egitto), che si prevede continuerà a crescere almeno per un paio d’anni, anche secondo le previsioni più ottimistiche.

Il fattore mitigante è che circa il 95% del debito pubblico è in mano a investitori domestici, che sono più vincolati per una serie di fattori, e quindi meno volatile del debito detenuto dagli investitori d’oltreoceano.

LE ELEZIONI PRENDONO LA SCENA

Pare che la vulnerabilità del Brasile sia in gran parte dovuta al risultato incerto delle elezioni del prossimo mese (la prima tornata è prevista per il 7 ottobre, la seconda per il 28). I candidati coprono l’intero spettro politico. In questa fase, i due candidati di punta sono Fernando Haddad (candidato
ufficiale del Partito dei lavoratori, sostenuto dall’ex Presidente Lula, attualmente detenuto) e l’esponente dell’ala di sinistra Jair Bolsonaro, che è stato recentemente accoltellato in strada durante la campagna elettorale.
Riteniamo che a prescindere da chi vincerà, la questione del debito pubblico sarà affrontata. La profondità delle riforme dipenderà tuttavia dal profilo politico e personale del vincitore.
SUDAFRICA: CARBURANTE AGLI SGOCCIOLI?

Oltreoceano, il Sudafrica è indubbiamente più vulnerabile del Brasile agli sviluppi globali, per via della debolezza dei suoi fondamentali macroeconomici e di un contesto politico instabile. La luna di miele del Presidente Ramaphosa iniziata dopo le elezioni di febbraio è adesso terminata e la valuta si è di nuovo indebolita. Il Sudafrica è tecnicamente entrato in recessione nel secondo trimestre, per la prima volta dal 2009. Il rand è stato colpito anche dai timori che una modifica alla costituzione approvata a fine mese potrebbe comportare accaparramenti di terreno simili a quelli avvenuti in Zimbabwe. Sul fronte domestico, il deficit di bilancio è significativo. Gli annunciati aumenti delle imposte difficilmente conterranno una spesa pubblica in aumento esacerbata da aziende statali in difficoltà.


Sul fronte estero, l’attuale deficit delle partite correnti rimane elevato. Ciò riflette la debolezza della domanda ed è finanziato da flussi di portafoglio volatili (azioni e obbligazioni) inclini al cambiamento delle condizioni finanziarie globali e del rating del credito sovrano. La svalutazione del rand robabilmente alimenterà l’inflazione, che è già prossima al suo intervallo obiettivo massimo. Ciò limiterebbe l’intenzione della banca centrale di attuare una politica monetaria più accomodante.

PENSIERI CONCLUSIVI

Entrambi i mercati emergenti vanno osservati da vicino, ma riteniamo che più probabilmente sarà il Sudafrica a vivere prossimamente un periodo caldo. È più esposto a livello globale del Brasile, e vulnerabile alle questioni commerciali e a maggiori tensioni tra Cina e Usa (rispettivamente il secondo e il terzo partner commerciale). Riteniamo anche che una governance politica incerta potrebbe aumentare la tensione su di una posizione fiscale già debole.

La Germania il gigante dai piedi d'argilla e la Deutesche Bank che la trascinerà a fondo

Tutte le nuove sfide (e spine) della Germania



L’analisi dell’editorialista Guido Salerno Aletta

Nell’approssimarsi del trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, la Germania è attonita di fronte all’improvviso voltafaccia del destino.
Per la prima volta, si trova accerchiata sul piano geopolitico: dalla presidenza di Donald Trump alle ambizioni internazionali di Emmanuel Macron, dalla prospettiva di una Brexit senza accordo alcuno alla risorgente Polonia. Teme per la tenuta del modello mercantilista, che riteneva invulnerabile, e chiude gli occhi di fronte all’affanno delle sue due più grandi banche. Non è solo il futuro della Unione europea e dell’euro ad essere minacciato dai sovranismi: covano anche al suo interno, mentre si riacutizzano le mai sopite pulsioni xenofobe.

I FRONTI APERTI PER I TEDESCHI
Troppi fronti aperti, tutti fuori controllo, la costringono ad un ripiegamento improvvisato, ad erigere una cortina fatta di incertezze, rabbia, e silenzio. La gravità delle prospettive viene taciuta agli stessi cittadini tedeschi, che si mostrano stanchi della narrazione di questi anni, fondata sulla competitiva vincente e sulla retorica dei Paesi del Meridione europeo da mettere in riga. Del lungo Cancellierato di Angela Merkel, e della politica di sacrifici salariali e sociali che risale al suo predecessore socialdemocratico Gerhard Schröder, rimane un immenso accumulo di ricchezza di cui però i cittadini hanno visto ben poco.

LA POLITICA DELL’ACCOGLIENZA
Neppure l’émpito della moralità assoluta l’ha premiata. La politica dell’accoglienza incondizionata ai profughi provenienti dalle aree di guerra in Medioriente, decisa inaspettatamente dalla Cancelliera Angela Merkel senza consultare nessuno nel 2015, e subito dopo da lei stessa rinnegata, ha creato contraccolpi colpevolmente sottovalutati, vista la eccezionale dimensione del fenomeno e la sua concentrazione temporale. Se, come ha ricordato di recente l’ex-ministro degli esteri Sigmar Gabriel, era impossibile fermare con la forza ai confini tedeschi questa marea umana che aveva attraversato con mezzi di fortuna tutti i Balcani, ancor di più questo evento dimostra la sorpresa con cui la Germania ha subìto i cambiamenti repentini del contesto geopolitico mondiale.

GLI EQUILIBRI INTERNI PRECARI
Gli equilibri politici interni si sono fatti sempre più precari. Gli incidenti del 27 agosto scorso nelle strade di Chemnitz, in Sassonia, dove si è scatenato un pogrom per vendicare l’uccisione di un giovane tedesco da parte di un iracheno e di un siriano, hanno portato ad un corto circuito istituzionale. A Berlino, il clima è convulso: il capo dei servizi segreti Hans-Georg Maassen, rimosso dal suo incarico per aver negato che ci fosse stata “una caccia allo straniero” arrivando a mettere in dubbio l’integrità dei video che erano stati diffusi, era stato contestualmente promosso all’incarico di “Segretario di Stato per la Sicurezza” presso il Ministero degli Interni diretto da Horst Seehofer, sacrificando il ruolo assegnato ai socialdemocratici. Questi si sono giustamente adirati, minacciando la crisi di governo.

COALIZIONE DI GOVERNO SFILACCIATA
La coalizione di governo è sfilacciata anche nell’ambito della stessa componente maggioritaria, rappresentata dalla storica aggregazione tra Cdu e Csu. Il ministro dell’Interno Horst Seehofer, leader bavarese della Csu, ha più volte minacciato di dimettersi sulla questione dell’espulsione dei migranti provenienti da altri Paesi di primo ingresso nell’Unione.

L’AVANZATA DELLA DESTRA
La crescita della formazione di destra AfD, che raccoglie le istanze sovraniste e le tendenze xenofobe e che è entrata per la prima volta nel Bundestag dopo le elezioni dello scorso settembre, ha messo sotto pressione l’intero sistema politico tedesco: secondo gli ultimi sondaggi circa le intenzioni di voto, nei Länder dell’ex Germania Est diventerebbe il primo partito con il 27% dei consensi, superando di 4 punti la Cdu-Csu che scenderebbe al 23%. Staccati di molto, la sinistra social-comunista (Die Linke) al 18% ed i socialdemocratici al 15%.

LE RAGIONI DELLO SCONTENTO
La ragione dello scontento nelle aree orientali è fornita dalla ultima Relazione annuale sullo stato della Unificazione: nel 2017, il tasso di disoccupazione è stato del 7,6% rispetto al 5,3% del resto della Germania. E sono gli uomini a passarsela peggio, con una disoccupazione all’8,1% rispetto al 5,5% del resto della Germania. Le rilevazioni sugli standard di vita effettuate nel 2016 indicavano come i Länder dell’ex Germania Est riportassero il punteggio migliore nei settori della istruzione, delle condizioni abitative e dell’ambiente, ma le peggiori in assoluto per quanto riguarda il lavoro e la salute.

I NUMERI
C’è un altro dato che fa masticare ancor più amaro, e che riguarda l’intera Germania: nel 2017, ben 32 milioni e 165 mila lavoratori (in crescita rispetto ai 31 milioni e 441mila dell’anno precedente) hanno ricevuto un contributo a carico della assistenza sociale. Di costoro, ben 6 milioni risultavano residenti nelle regioni orientali, suddivisi tra 4,2 milioni di lavoratori a tempo pieno ed 1,8 milioni a tempo parziale. Il salario non basta, e la immigrazione crea ulteriore concorrenza al ribasso. E’ questa la realtà con cui la politica tedesca deve fare i conti.

LE SCADENZE INTERNE
Prima ancora delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, che si terranno nel prossimo maggio, ci sono le scadenze interne. La prima è il 14 ottobre, per il rinnovo del Landtag bavarese: in questo caso, le previsioni convergono nell’accreditare la Csu al 35%, rispetto al 47,7 % del 2013. La prevedibile perdita della maggioranza assoluta dei seggi da parte della Csu, che le ha consentito di governare da sola la Baviera sin dal 1962, non aprirebbe tanto la strada ad una imitazione della Grande coalizione che regge il governo federale, quanto ad uno smottamento dell’intero quadro politico tedesco. Un accordo in Baviera tra Csu e AfD, per evitare nuove perdite di consensi a destra alle europee, aprirebbe un vaso di Pandora.

LA LEADERSHIP
La leadership della Cancelliera Merkel è logora, ed i contrasti non si limitano a quelli con la Csu di Seehofer. anche il suo gruppo parlamentare al Bundestag ha dato un segno di malessere profondo, non rieleggendo come Presidente, incarico che ricopriva ininterrottamente da 13 anni, Volker Kauder, fedele e stretto collaboratore.

IL CONTESTO INTERNAZIONALE MUTATO
Il contesto internazionale è radicalmente cambiato. Ancora nell’inverno del 2016, l’Unione europea non discuteva altro che di nuovi Accordi di liberalizzazione del commercio e dei servizi, ivi compresi quelli bancari ed assicurativi, attraverso il Tisa a livello globale ed il Ttip con gli Usa. Oggi siamo al riequilibrio dei rapporti commerciali su base bilaterale, sostenuto da Donald Trump, ed alle proposte di limitare il più possibile l’accesso della Gran Bretagna al mercato finanziario europeo dopo la Brexit. Trump, per pareggiare i conti, vuole vendere il GPL americano all’Europa, sostituendo queste forniture a quelle che deriverebbero dalla costruzione fra Russia e Germania del North Stream 2. La richiesta americana è divenuta ancora più urgente dopo che la Cina, per ritorsione, ha alzato i dazi nei confronti del gas americano. Come è accaduto per la soia, l’Europa fa da mercato di recupero rispetto al conflitto sino-americano.

L’EXPORT TEDESCO
Il mercantilismo arricchisce, ma tutto dipende dalla pervietà dei mercati. Nel 2017, l’export tedesco di merci fob negli Usa è arrivato a 127 miliardi di dollari, mentre quello verso la Gran Bretagna a 95 miliardi: l’attivo nei confronti di questi due Paesi, rispettivamente pari a 75 e 49 miliardi, ha rappresentato il 43% del totale. Sono dunque mercati di sbocco assolutamente determinanti.

I FATTORI TRUMP E BREXIT
Oltre alla evidente ruvidità delle relazioni tra Trump e Merkel, c’è da considerare che le trattative sulla Brexit sembrano essere state gestite a livello europeo con l’obiettivo di danneggiare quanto più possibile l’economia britannica. Le difficoltà cui Londra andrebbe incontro nel caso di una uscita dal Mercato interno sono continuamente enfatizzate e la stessa stampa tedesca, anche di recente, ha illustrato i disagi che ci sarebbero, nel caso di un no-deal, nei porti di imbarco delle merci in partenza dall’Olanda e le file interminabili di autotreni alla dogana britannica. Mai, però, un accenno alle ricadute sulla Germania: la congiura del silenzio si deve al timore che la sterlina si svaluti di un buon 20%, rendendo automaticamente invendibili nel Regno Unito la gran parte delle merci tedesche ed aumentando automaticamente la competitività di quelle britanniche. Si tace anche della insostenibile contraddizione tra l’impegno ad abbattere completamente le tariffe sul commercio di auto tra Unione europea ed Usa e la tentazione di alzarle nei confronti di quelle fabbricate in Gran Bretagna. Come se non bastassero i guai per il dieselgate negli Usa, è il posizionamento premium delle auto tedesche che comincia a vacillare: sono auto ormai troppo care.

COME SI MUOVE LA FRANCIA
C’è poi la Francia con cui fare i conti: cerca di farsi sotto, con la scusa di costituire un Esercito europeo, per bilanciare sul piano militare e dell’impegno all’estero la supremazia economica tedesca. Per Berlino è un onere crescente, sin da quando nel 1992 la Bundesbank sostenne solo il franco francese dall’agguato portato dalla speculazione valutaria allo Sme: la mancata svalutazione rispetto al marco, a differenza della lira italiana e della sterlina, costò non poco all’economia francese in termini di competitività. Il disavanzo strutturale nelle relazioni commerciali franco-tedesche, cifrato in 40 miliardi di euro annui, comporta un aumento continuo del finanziamento di portafoglio da parte tedesca: a dicembre scorso, gli impegni a favore di Parigi erano arrivati a 427 miliardi di dollari. E’ una cifra davvero assai ingente, soprattutto se paragonata ai 418 miliardi in titoli emessi negli Usa, ed ai 218 miliardi in titoli emessi in Gran Bretagna. L’attivismo del Presidente Emmanuel Macron, che ora si intesterebbe la linea europeista di fronte ai partiti sovranismi, rischia di spaccare anche il Partito popolare europeo che invece cerca una mediazione. E’ questo un altro fronte scoperto per Berlino, che subisce l’iniziativa altrui.

Anche da Est si muovono minacce inattese: la Polonia è ormai pronta, per dimensioni territoriali, dinamica economica e competitività, a sostituire la Germania nel suo ruolo di antemurale rispetto alla Russia. La sintonia con Trump, dimostrata dalla disponibilità di pagare 2 miliardi di dollari per ospitare una base militare americana, la dice lunga sulla eclisse tedesca.

Più della prevedibile razionalità tedesca è l’incertezza radicale che torna, ancora una volta, a dominare i processi storici.

(articolo pubblicato da Mf/Milano Finanza)

Nicola Gratteri - la Cgia di Mestre conferma l'opinione del magistrato


DATI CGIA DI MESTRE DANNO RAGIONE A GRATTERI: ‘P.A. CALABRESE, LA PEGGIORE D’ITALIA’

15:09 - 29 settembre 2018

La Cgia di Mestre non è mai tenera con la realtà del Mezzogiorno e molto spesso mette in luce dati che appaiono persino più negativi di quanto sia in realtà problematica la condizione del Sud.

Stavolta, però, l’Associazione Artigiani Piccole Imprese di Mestre si mostra, in un certo senso, concorde con il magistrato reggino Nicola Gratteri (leggi qui). Il pensiero è frutto di un’analisi di alcuni dati registrati dalla Commissione Europea in merito alla pubblica amministrazione in 192 regioni d’Europa.

Il procuratore di Catanzaro aveva sottolineato come i burocrati calabresi o comunque la burocrazia della pubblica amministrazione rappresentassero un male peggiore della ndrangheta.

Un problema che sembra avere la stessa rilevanza per la Cgia che rileva come la burocrazia italiano è motivo di soffocamento per le piccole e medie imprese italiane.

In particolare la Calabria, tra 192 regioni europee monitorate sarebbe al centonovantesimo posto. La pubblica amministrazione calabrese è la peggiore d’Italia ed in Europa solo due sono peggiori.

Il dato viene fuori da una serie di domande rivolte ai cittadini e gli eventuali casi di corruzione.

http://www.strill.it/primo-piano/2018/09/dati-cgia-di-mestre-danno-ragione-a-gratteri-p-a-calabrese-la-peggiore-ditalia/

E' guerra vera, non si possono fare prigionieri - Tria i tecnici non tecnici i funzionari del Mef la burocrazia ministeriale devono essere spostati mandati a casa. Il Partito degli Giudici messo sotto isolamento, l'EWuroimbecillità costretta a rispondere alla proposta di Savona-governo sulla Bce e disavanzo pubblico


La congiura dei poteri forti. Mai un Governo con tanti nemici. Dai tecnici del Mef a chi ha frenato il decreto su Genova. C’è uno Stato che l’ha giurata a Cinque Stelle e Lega 

28 settembre 2018 di Gaetano Pedullà


Il caso è esploso con la diffusione del messaggio audio di Rocco Casalino. Le resistenze che il Governo ha trovato dal primo giorno all’interno dello Stato si erano concentrate nella trincea del Mef, il ministero dove gli alti papaveri dell’Economia manovrano motu proprio i cordoni della borsa. All'apparenza comuni burocrati, questi signori sono dotati però di poteri sovrannaturali in una pubblica amministrazione, e nessuno si meraviglia più se i custodi del nostro Tesoro (o per meglio dire del nostro debito) da sempre contano quanto e più dei ministri che si accomodano alla scrivania di Quintino Sella. D’altra parte, nella scorsa legislatura riuscirono a dare una lezione persino al Parlamento, rifiutando di rivelare le ragioni di una perdita miliardaria su alcuni strumenti finanziari (derivati) disposti dall'allora dirigente Maria Cannata. Motivi di riservatezza, fu l’alibi utilizzato, stabilendo così un’inedita supremazia di un pezzetto dell’amministrazione pubblica pure sul sancta sanctorum del potere legislativo. Privilegi di un’alta dirigenza che da tempo ha smesso di puntare sui carri politici di turno per accomodarsi su treni più sicuri, che possono portare lontano, fino ai vertici di Banca d’Italia, Bce, Bruxelles e Palazzo Chigi, e senza il fastidio di una sosta periodica per quella incombenza della democrazia che è il consenso degli elettori.

Il carro che verrà – Di tutto questo i Cinque Stelle e la Lega erano avvertiti prima di firmare il contratto e poi la nascita del Governo Conte, ma lo sbarramento che abbiamo visto in questi ultimi giorni per l’aggiornamento al Def è senza precedenti. La sensazione è che i poteri forti non credano alla capacità dell’Esecutivo di andare avanti a lungo, e sia partita una gara a giocare d’anticipo per accreditarsi con il mondo che verrà. Di qui l’indolenza di ampi pezzi dello Stato, che formalmente non stanno commettendo nulla di illecito o censurabile, ma attenendosi al millesimo a regole fatte su misura per non far funzionare niente stanno mettendo in grande difficoltà chi ci governa.

Boicottaggio – Un esempio lampante in questo senso è arrivato dalla vicenda del ponte Morandi di Genova. La volontà politica rispetto al decreto, alle modalità della ricostruzione e alla provvista delle risorse economiche è stata spiegata chiaramente da Conte e dal titolare dei trasporti, Toninelli. Poi però il premier e il suo ministro hanno fatto una figura pessima, non certo per colpa loro, visto che tocca ai dirigenti scrivere e fare approvare dalla Ragioneria il provvedimento che serve a rimettere in moto non solo la Liguria.

L’Italia si fermi – Che il ministero dei Trasporti e delle infrastrutture sia più ingestibile di altri, al pari dell’Economia, lo si è visto anche da altre decisioni. Una su tutte è l’avvio di nuovi bandi di gara per decine di milioni di euro da parte della società che sta costruendo l’Alta velocità sulla tratta Torino-Lione, nonostante l’impegno di Toninelli a fermare tutto fino alla valutazione dei costi-benefici dell’opera.Il ministro dispone, insomma, e i burocrati se ne fregano. Ma l’alta dirigenza, per quanto intangibile, potrebbe osare tanto senza fiutare un vento favorevole tra ben altri poteri? Sicuramente no, e dunque se siamo a un passo dall’insubordinazione dai ministri è perché dall’Europa ai mercati, fino alla magistratura, diventa sempre più vorticosa la danza macabra partita attorno ai nuovi regnanti populisti.

Ue e giudici – Di ingerenze come quelle fatte a gamba tesa dal Commissario Ue al Bilancio Guenther Oettinger (il Governo italiano vuole distruggere l’Ue) o dal collega agli Affari economci Pierre Moscovici (l’Italia è un problema per l’Europa), non se ne ricordano dai tempi delle minacce dell’Eurogruppo a Tremonti e poi la successiva lettera spedita dalla Bce con cui fu deposto l’ultimo Governo Berlusconi. In casa nostra invece gli schiaffi arrivano dalla magistratura. La richiesta di indagare il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini per sequestro di persona in merito alla vicenda della nave Diciotti è emblematica, tanto quanto il sequestro dei 49 milioni sui conti della Lega, nonostante il processo sul presunto abuso di questa somma sia tuttora in corso. Ieri però il Csm si è superato ed eleggendo un deputato del Pd, David Ermini, sotto l’evidente regia di un ex parlamentare dello stesso partito, Cosimo Ferri, non poteva che far insorgere prima il guardasigilli Alfonso Bonafede e poi lo stesso vicepremier Luigi Di Maio. Il candidato che garantiva più equidistanza dalla politica, il professore di diritto Alberto Maria Benedetti, sostenuto da grillini e Lega, oltre che dalla corrente dell’ex pm di Milano Piercamillo Davigo, è stato battuto di misura. In sfregio alla prima regola di qualunque democrazia, secondo cui i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario non si devono sovrapporre, la poltrona più rilevante nell’organo di autogoverno dei giudici è finita a un politico. E che politico, visto che si tratta di un parlamentare notoriamente vicino all’ex segretario del Pd Matteo Renzi, un personaggio che con la sua famiglia ha da tempo più di qualche problemino con la magistratura. I poteri forti, insomma, non solo non ci stanno a cedere spazio al Governo gialloverde, ma hanno capito di avere forza a sufficienza per logorare chi sta al timone del Paese in nome di un popolo italiano che ha sbagliato – dal loro punto di vista – a votare. Così, dopo la Manovra arriverà subito un altro intoppo e poi un altro ancora. Mettendo a dura prova l’asse di M5S e Lega. E pazienza se a soffrirne sarà l’Italia intera.

La Tv, i giornaloni sono pieni di immondizia la chiamano giornalismo

I parrocchetti del progressismo

Società | 28 settembre 2018

Chirurgo e saggista

Uno degli spettacoli più stomachevoli del nostro tempo è quello messo in scena dai parrocchetti del progressismo, patetiche creaturine senz’arte – ma con una parte, che si aggirano come pesci spazzini nella sfera mediatica, pascendosi di ogni tipo di immondizia e trasformando in immondizia tutto ciò che ancora non è tale. Infatti, ancorché essi vengano definiti in modi diversi (in genere con l’ardito quanto improprio sintagma: “intellettuali progressisti”), il loro mestiere è quello di inquinare il pensiero collettivo, nell’immondare qualsiasi afflato d’intelletto che possa fluttuare al di fuori della bara ermetica (ed emetica) di quello Zeitgeist miserello che è il pensiero dominante, ovvero il pensiero dei “dominanti”.

Codesti esserini, frenetici ed emaciati, si sono autodefiniti “intellettuali”, ossimorica fattispecie, dato il significato del termine “intelletto”, che deriva da intus-legere: “guardare dentro”, ovvero penetrare nella profondità di ciò che si cela dietro l’apparenza fenomenica per invenire rectificando occultam lapidem (come dicevano gli alchimisti). I nostri, viceversa sono tutt’altro che dotati di sguardo penetrante e, d’altra parte, non saprebbero che farsene: non devono comprendere, tantomeno interpretare. Sono semplici specchi che devono riflettere la volontà di Elysium: cantori dell’omodossia, “clero secolare” (Costanzo Preve) dei “potere”. Come garzoni di bottega, troppo sgraziati per diventar maestri, pittano banali tromp d’oeil copiando le immagini che i loro committenti vogliono spacciare per realtà, allo scopo di ricoprire tutte le pareti della caverna nella quale si svolge la vita collettiva. Non un centimetro deve rimanere scoperto, onde evitare che qualcuno possa scorgere che quello che si vede non è un mondo, ma un fantasma di mondo, inverato solo nelle allucinazioni costruite dal reiterante vocio di cotesti cantori della falsità.

Costoro sono apodittici: il loro mondo è fatto di menzogne senza sfumature, di dogmi senza ermeneutica, di assoluti contrapposti, propalati gaglioffeggiando con l’emotivismo etico del desiderio.

Il perenne sguazzare in fondali torbidi di menzogne rende loro impossibile vedere al di là di questa realtà fantasma della quale si pascono con voluttà: il mondo che creano diventa il loro mondo, quel recinto lisergico che viene chiamato “cultura”; la loro protervia viene spacciata per sapienza dalla pervasiva sinfonia di quel coro di mille voci che viene chiamato “informazione”.

L’obbedienza li costringe all’apodissi cui abbiamo accennato: non è consentito il minimo tentennamento quando si parla con la voce del padrone, e l’apodissi li rende accaniti, un accanimento puerile e livoroso, poiché ogni contraddizione può sgretolare il loro mondo e i ego miserelli, che nulla più di quel mondo vedono. Il loro motto è: “Io nuoto nella melma del fondo e nessuno deve poter alzare lo sguardo al di sopra di questa melma, perché questa melma è il mondo, e non esiste altra realtà al di fuori di questa”.

Così, quel torbido liquame di materia putrescente costituisce il loro orizzonte degli eventi, quella Weltanschauung accattona che li spinge ad abbracciare qualsivoglia corbelleria dell’oggi pur di stigmatizzar lo ieri ed impedire un diverso domani: dall’etica del “transgender”, all’ermeneutica del post-umano, dall’epistemologia dell’intelligenza artificiale, alla filologia del postmoderno. Basta che vi sia un significante vuoto che loro si precipitano ad ingozzarvisi con voluttà.

Spregiano ogni pensiero, ogni afflato di quell’intelletto col quale si sono nominati, rigettano finanche la più banale ragione, facendo strame d’ogni logica. Alla stregua di pappagallini o merli indiani riverberano, con le loro vocette stridule ogni sciocchezza caldeggiata da coloro che traggono aggio nel confezionare lo spirito del tempo e, con quel cacofonico coro impregnano ogni recesso di quella che Walter Lippmann definì “opinione pubblica”.

Un moderno Leporello potrebbe fare un puntuale catalogo di cotesti esserini:

Madamina il catalogo è questo:
Dei galioffi che aman servir
Un catalogo ancor da finire
Disprezzate e ridete con me
“V’han fra questi romanzieri,
saggiatori, gazzettieri
V’han filosofi, cantanti,
satiristi e sicofanti
E v’han servi d’ogni grado
D’ogni forma, d’ogni età

Non si piccan se son schiavi
Perché il giogo è il loro ambire
Purchè sappian chi servire
Voi sapete quel che fan

Iran - un paese antico

L’Iran e il segreto delle torri che catturano il vento
Strutture antiche, le cui origini si dividono tra Persia ed Egitto. Oggi rappresentano una meta turistica e un esempio di alta ingegneria

Anche nell’antichità si rendeva ovviamente necessario fronteggiare in qualche modo il problema del caldo asfissiante. Nell’antica Persia, decisamente in anticipo rispetto all’arrivo dei condizionatori, per contrastare la calura si ricorse all’ingegneria. Un sistema affascinante, che consentiva di catturare l’aria calda di giorno, per poi regalarne di fresca nelle bollenti notti in Medio Oriente.

Fonte Foto: 123rf

Si tratta delle torri del vento e le più famose sono ancora visibili in Iran, Afghanistan e Pakistan. Dei tre impianti, quello che tendenzialmente attira più turisti è quello sito in Iran ma, storicamente parlando, non è possibile sapere se sia stato il primo a essere realizzato. Ciò di cui si è quasi certi è l’attribuzione all’impero persiano.

Un’invenzione antica, le cui origini risalgono a svariate migliaia di anni fa. Ritrovarsi dinanzi a tale struttura vuol dire avere a che fare con una testimonianza della genialità umana, in un’epoca che l’uomo moderno tende a considerare inferiore sotto tanti aspetti.

Per ammirare la torre più importante è necessario recarsi a Yazd. Ci si ritroverà protagonisti di un viaggio intrigante nella sezione centrale dell’Iran moderno. Una perla da più di 3mila anni. Una cittadina pregna di storia, con un’architettura quasi totalmente invariata. Un museo a cielo aperto, che ha beneficiato della quale totale assenza di invasori esterni e guerre.

Unico inconveniente è la temperatura. In estate si superano i 40 gradi, mentre d’inverno si scende di molto sotto lo zero, nel pieno rispetto del clima desertico. Proprio qui si può ammirare la torre più alta di tutto l’Iran.

Realizzazioni di questo tipo caratterizzarono anche l’antico Egitto, a le strutture dei persiani risultavano ben più complesse, sfruttando la presenza dei Qanat, ovvero dei corsi d’acqua sotterranei, al fine di ottenere un raffreddamento rapido e più efficace. Nella torre di Malqaf, dove non vengono utilizzati i Qanat, il forte vento esterno consente di incanalare l’aria all’interno della torre, con quella calda che viene espulsa dalla bassa pressione della sezione sottovento.

Fonte Foto: 123rf

Nelle torri che sfruttano i canali invece l’aria viene spinta in un tunnel, dove si raffredda a contatto con l’acqua, per poi rientrare nella torre dal pavimento. Tanti i fantastici esempi che di certo ruberanno spazio nelle gallerie dei telefoni dei turisti, dalla villa Borujerdis a Kashan, fino alla decorata torre del vento del Palazzo del Golestan, a Teheran, passando per la villa Isa Bin Ali a Muharraq, in Bahrain.

Afghanistan - l'Isis è stato parcheggiato nelle montagne afgane al confine con il Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan. Quando servirà sarà attivato, ci sono già mercenari pronti a rinforzarlo

Mosca in allerta: il califfato dell’ISIS si espande in Asia centrale

© AP Photo / Seivan Selim
19:21 28.09.2018(aggiornato 19:22 28.09.2018)

I governi dei Paesi dell'Asia centrale inizialmente negavano che i terroristi che si spacciavano per sostenitori di al-Baghdadi avessero davvero un legame con lui. I governi pensavano che i terroristi, così dicendo, stessero solamente cercando di attirare l'attenzione su di sé.

Lo Stato Islamico dopo la sconfitta in Siria e in Iraq sta tentando di costruire il suo califfato in Asia centrale. Di questo hanno parlato i partecipanti agli addestramenti antiterroristici dei Paesi della CSI Issyk-Kul Antiterror-2018 che si stanno tenendo in questi giorni. Le principali minacce derivano dalle cellule terroristiche nel nord dell'Afghanistan. Sputnik vi spiega quanto è grave la situazione.

Il califfato in Asia centrale

© SPUTNIK . ALEXEY KUDENKO

Islamisti russi in Asia centrale minacciano l’Occidente I difensori dell'ISIS hanno dichiarato la creazione in Asia centrale del Wilayat Khorasan (provincia del Khorasan) già tre anni fa. Il Khorasan è noto come parte del califfato arabo medioevale che comprendeva gli attuali Afghanistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e alcune regioni dell'Iran. Secondo il progetto dell'ISIS, l'attuale Wilayat Khorasan dovrebbe far rinascere la grandezza e la potenza del califfato storico.

Dopo brevi trattative i gruppi terroristici afghani e pakistani hanno giurato fedeltà all'ISIS e hanno dichiarato la nascita di una nuova regione nell'Asia centrale e meridionale. A capo del gruppo Hafiz Saeed Khan che prima comandava i talebani pakistani. L'ISIS si è, dunque, spostato in Afghanistan.

La "filiale" afghano-pakistana dell'ISIS è stata supportata dai gruppi locali, fra cui anche molti combattenti del Movimento Islamico dell'Uzbekistan (MIU) a suo tempo scacciati dalla regione dalle autorità dell'Asia centrale. Grande nemico dell'ISIS in Afghanistan sono i talebani.

I governi dei Paesi dell'Asia centrale inizialmente negavano che i terroristi che si spacciavano per sostenitori di al-Baghdadi avessero davvero un legame con lui. I governi pensavano che i terroristi, così dicendo, stessero solamente cercando di attirare l'attenzione su di sé. E quando gli estremisti si sono messi in moto, non era più il momento di capire a quale gruppo appartenessero.

Vicini turbolenti

Nel marzo del 2015 gli estremisti hanno cercato di entrare in Turkmenistan attraverso la frontiera afghana. Questo ha scatenato il panico non solo ad Ashgabat, ma anche a Tashkent. Le autorità uzbeke si sono dette pronte ad aiutare i loro vicini e hanno inviato delle truppe sulla frontiera afghano-turkmena. Anche la Russia ha fornito aiuti militari. E i terroristi sono stati neutralizzati.

© SPUTNIK . RUSSIAN DEFENSE MINISTRY

Mosca avverte: terroristi dell'ISIS si riposizionano in Asia centrale Dopodiché i Paesi dell'Asia centrale hanno rafforzato il già rigido controllo degli islamici nella regione. Di tanto in tanto sia in Uzbekistan sia in Tagikistan è stata issata la bandiera nera dell'ISIS da ignoti. Questo è stato sufficiente perché venissero dispiegate tutte le forze speciali.

Ogni volta che l'ISIS pubblicava su internet un video contenente minacce contro i Paesi dell'Asia centrale, la Russia ha offerto il proprio aiuto. Mosca ha sottolineato che gli estremisti islamici sono pericolosi in particolare per l'Uzbekistan, il Tagikistan e il Turkmenistan. Queste nazioni hanno una frontiera in comune con le province settentrionali dell'Afghanistan dove le forze speciali russe hanno più volte bloccato grandi gruppi di combattenti. Sebbene le autorità locali abbiano ascoltato gli ammonimenti, hanno comunque tentato di non esagerare la situazione in modo da convincere Mosca di poter far fronte alla minaccia da soli.

L'anno scorso durante l'estate i combattenti di Wilayat Khorasan hanno dichiarato il jihad alla Russia in segno di vendetta per le operazioni in Siria. I terroristi erano intenzionati ad attaccare importanti obiettivi in diverse città russe. In seguito è stato chiarito che tra i sostenitori del califfato vi erano molti cittadini non solo dei Paesi dell'Asia centrale, ma anche del Caucaso settentrionale.

Durante gli addestramenti antiterroristici Issyk-Kul Antiterror-2018 i rappresentanti della Russia e del Kirghizistan hanno constatato che anche oggi la minaccia rappresentata dall'ISIS è fra le più gravi. Il problema del terrorismo nei Paesi della CSI sta diventando sempre più complesso e si sta radicando.

Minacce false e reali

© AP PHOTO / ALLAUDDIN KHAN

Combattenti dell'ISIS in Afghanistan provengono in parte da Asia centrale e Russia Andrey Serenko, esperto del Centro studi dell'Afghanistan contemporaneo, in un'intervista rilasciata a Sputnik ha spiegato che, nonostante Wilayat Khorasan stia dichiarando le sue ambizioni in Asia centrale, sta agendo per ora solo in Afghanistan. "La colonna vertebrale di Wilayat Khorasan sono le tribù Pashtun. È il gruppo etnico più numeroso in territorio afghano. Per lungo tempo un gran numero di Pashtun ha supportato il movimento dei Talebani. Ma molti non erano d'accordo sui piani dei talebani di dialogare con le autorità afghane. Dunque, sono passati all'ISIS. Fra coloro che hanno giurato fedeltà ad al-Baghdadi in Afghanistan c'erano molti ex membri del Movimento Islamico dell'Uzbekistan", ha precisato Serenko.

In tre anni Wilayat Khorasan ha preso il controllo su una serie di province nell'Afghanistan settentrionale e orientale. "Anche il commando dei combattenti è stato suddiviso in due campi, uno a nord e uno ad est", continua Serenko il quale insiste sul fatto che per tutto questo tempo gli islamici non avevano dimostrato particolare interesse per l'Asia centrale.

"Gli afghani di Khorasan sono sempre stati eterogenei. Io li suddividerei in tre gruppi. Il primo è quello di chi davvero ha un legame con l'ISIS in Medio Oriente. Il secondo comprende i falsi sostenitori di al-Baghdadi che agiscono su ordine delle forze speciali locali. Al terzo gruppo appartengono i criminali che usano la bandiera nera dell'ISIS per arricchirsi", afferma l'esperto.

D'estate i talebani che continuano a vedere l'ISIS come la concorrenza hanno fatto saltare in aria il commando a nord. "Per i Paesi dell'Asia centrale i rischi erano legati al fatto che l'ISIS controllava parte delle vicine province a nord dell'Afghanistan. Ma dopo l'esplosione in questi territori la minaccia è scomparsa. Ora loro controllano solo la zona est del Paese. Chiaramente, potrebbero riprendere forza, ma non vale la pena di sovrastimare la minaccia", ritiene Serenko.

© AP PHOTO / FILE

L'ISIS esporta in Asia Centrale un nuovo modello di terrorismoCommentando le dichiarazioni dei rappresentanti russi e kirghisi rilasciate durante gli addestramenti militari Issyk-Kul Antiterror-2018, l'esperto fa riferimento alla struttura dell'ISIS. "I militari spesso pensano che i terroristi debbano avere una base che coordini le operazioni delle cellule. Pensano, dunque, che sia necessario eliminare questa base per distruggere la minaccia alla radice. Ma oggi non c'è una base del genere. Le cellule dell'ISIS non sono legate le une alle altre. Sono uniti da un'ideologia e non da un organo di controllo", sottolinea Serenko.

Anche il vicedirettore dell'Istituto kazako di ricerche strategiche, Sanat Kushkumbaev, ha affermato che il pericolo non va sovrastimato.

"Quando vengono rilasciate dichiarazioni simili, è importante capire a che pro. Chiaramente, se il pericolo dell'ISIS si rivelerà grande, i Paesi dell'Asia centrale chiederanno aiuto al suo partner politico e militare chiave, cioè la Russia. I rischi e i pericoli uniscono gli alleati, ma non vanno usati come strumento per trattenere alcuni Paesi nell'orbita dei propri interessi", osserva Kushkumbaev.

L'esperto kazako insiste sulla tattica dell'Uzbekistan volta a neutralizzare le potenziali minacce in Afghanistan: "Tashkent sta tentando di risolvere il problema non bloccando la frontiera con l'Afghanistan. Al contrario, le autorità stanno cercando di aprire la frontiera per aumentare gli scambi economico-commerciali con il suo inquieto vicino e per sviluppare la rete infrastrutturale. Quindi, per la risoluzione del problema afghano l'Uzbekistan sta tentando la via economica".

Rimanere aggiornati nel contrasto dell'ISIS

Alcuni esperti della regione la pensano diversamente. Rustam Azizi, vicedirettore del Centro di studi islamici presso la presidenza della Repubblica del Tagikistan, è convinto che dopo la sconfitta sul fronte mediorientale i combattenti dell'ISIS cominceranno a rivolgersi verso la regione dell'Asia centrale.

"Le autorità di questi Paesi ribadiscono con frequenza che non ci sono e non ci saranno pericoli. Ma la tattica sta cambiando. Gli estremisti islamici arruolano i giovani, finanziano le cellule terroristiche. La situazione è lungi dall'essere stabile. Se nella regione fosse attivo anche solo un estremista, questo sarebbe sufficiente per far suonare un campanello d'allarme", ritiene Azizi.

L'esperto tagiko ritiene che la Russia ha le sue buone ragioni per stare in allerta. Ignorare il problema potrebbe solo portare a peggiorarlo.

© AP PHOTO / BULLIT MARQUEZ

Shoigu: rafforzare le posizioni militari russe in Asia Centrale Nagriza Muratalieva, docente presso la Kyrgyz Russian Slavic University di Bishkek, è concorde sul fatto che la vicinanza con l'Afghanistan rimane il fattore principale di pericolosità. "Parlando dei piani dell'ISIS di creare un califfato nei Paesi dell'Asia centrale, è importante tener presente la laicità dei Paesi della regione. Ma gli estremisti islamici potrebbero rafforzare l'influenza dell'estremismo religioso grazie ai propri centri di riferimento. Proprio per questo le autorità dei Paesi dell'Asia centrale dovrebbero tenersi al corrente dei fatti e cercare di contrastare queste minacce costantemente e non di tanto in tanto", conclude la politologa kirghisa.

Deutsche Bank sempre più giù, troppi derivati nella sua pancia e il Dio Mercato lo sa perfettamente meglio di noi

Deutsche Bank, crollano le quotazioni a Francoforte

Migliori e peggiori · 28 settembre 2018 - 13.00



(Teleborsa) - Affonda sul mercato la prima banca tedesca come assets, che soffre con un calo del 4,04%.

La tendenza ad una settimana di Deutsche Bank è più fiacca rispetto all'andamento del DAX30. Tale cedimento potrebbe innescare opportunità di vendita del titolo da parte del mercato.

Il panorama di medio periodo conferma la tendenza rialzista della banca d’affari tedesca. Tuttavia, l'esame della curva a breve, evidenzia un rallentamento della fase positiva al test della resistenza 10,02 Euro, con il supporto più immediato individuato in area 9,67. All'orizzonte è prevista un'evoluzione negativa nel breve termine verso il bottom identificato a quota 9,54.

Le indicazioni sono da considerarsi meri strumenti di informazione, e non intendono in alcun modo costituire consulenza finanziaria, sollecitazione al pubblico risparmio o promuovere alcuna forma di investimento.
(A cura dell'Ufficio Studi Teleborsa)

Giulio Sapelli - Il governo verde-oro si sta muovendo strategicamente, da qui un Def che stronca l'austerità imposta dai tedeschi, la proposta di Savona per il debito pubblico e per un cambio di prospettiva per la Bce come prestatore di ultima istanza. La crescita è un obiettivo strategico del prossimo presente futuro dell'Interesse Nazionale

DOPO IL DEF/ Sapelli: M5s e Lega possono far cadere il muro di Bruxelles

Il Governo Lega-M5s ha deciso di portare il deficit al 2,4% del Pil. Dall'Italia può partire una riforma importante delle regole che sorreggono l'Europa, dice GIULIO SAPELLI

29 SETTEMBRE 2018 GIULIO SAPELLI

Pierre Moscovici, commissario agli Affari europei (LaPresse)

È caduto il muro di Bruxelles e non è stata una catastrofe. Le divisioni nel governo su cui tutta la stampa mainstream scommetteva non si sono verificate e il duetto Tria-Savona ha prodotto iniziative eccellenti come il Gabinetto di controllo degli investimenti e una tabella di marcia degli stessi per convincere gli investitori istituzionali che la ripresa ha finalmente le gambe per correre. È questo che gli investitori si attendono. I regolamenti di Bruxelles con le loro percentuali che fanno tutti terrorizzare o gioire sono una tigre di carta: non hanno neppure un valore di legge, sono regolamenti. Ciò che conta è la solvibilità del debito mentre la ripresa si avvia. Lo spread aumenterà, ma sempre a livelli sostenibili e le borse supereranno lo shock. 

Certo, uno Stato fondato, come scriveva Otto Hintze, su un popolo come unità di destino aiuterebbe: invece la borghesia vendidora rema contro, ma se il Governo non si divide e non si dividerà perché si è passati dal contratto a un accordo politico, anche i quisling saranno sconfitti e forse un barlume di unità nazionale inizierà benevolmente a inverarsi. Certo, occorre che si realizzi quella consapevolezza che si potrà avere uno straordinario successo se coloro che sono i protagonisti e i destinatari di questa vera rivoluzione culturale comprendessero che devono trarne benefici tanto di breve quanto di lungo periodo.

Se mi si permette questo ambizioso paragone, ciò che deve proporsi il Governo oggi in carica è una sorta di riforma luterana, che abbia per oggetto non più la cristianità, e di questo siamo felici, ma l'Europa come si è via via formata dopo l'unificazione monetaria e l'insieme di trattati che ne costituiscono l'ordito. Prima dei trattati occorre riformare i regolamenti che non hanno nessun valore legale, come ci ha insegnato Giuseppe Guarino, ma che costituiscono, tuttavia, una consuetudine che ha valore compulsivo in base ai rapporti di potenza che legano gli Stati che fanno parte e fondano, insieme, le istituzioni europee.

Ebbene, guai se questo slancio riformatore fosse pensato come evento possibile solo in base ai benefici immediati che possono derivare nella battaglia elettorale prossima o lontana. Al popolo italiano e agli altri popoli europei che volessero seguirne l'esempio riformatore vanno offerti con lungimiranza e decisione da statista i benefici futuri, di lunga durata. Quelli che fondano una nuova agenda della politica economica europea. Naturalmente questo implica impostare una profonda riforma della comunicazione politica dove a far premio nel rapporto con gli elettori è il messaggio per cui ciò che conta è ottenere nel lungo periodo beni comuni come l'occupazione, l'aumento del reddito alle famiglie e il profitto delle imprese in una condizione di stabilità dei rapporti con i grandi investitori istituzionali e coloro che devono rendere solvibile e quindi sostenibile il nostro debito pubblico. 

È ciò che fanno da anni i francesi, che non discutono nella politica nazionale di indicatori numerici, ma propongono misure di riforma anche profondissime rispetto ai tetti di deficit e di debito europei (si pensi a quella sorta di reddito di cittadinanza proposto da un Macron ammaccato, ma ancora più che mai determinato nel perseguire quell'obbiettivo contestualmente a una riforma fiscale di grande portata). Ma non le si presentano codeste riforme come sfida ai tetti imposti dalla tecnocrazia europea, ma come rispetto del patto stipulato con l'elettorato. Patto che viene prima di ogni potere automatico tecnocratico europeo e che come tale va rispettato sempre, mentre i piloti automatici possono essere sostituiti dal pilota manuale quante più volte è possibile. 

Mi si dirà che questo è il frutto del minor debito pubblico della Francia. Un ragionamento utile, ma che da solo non tiene: quella determinazione politica (politica e non agitazione e propaganda) è il frutto, piuttosto, del fatto che la Francia è una potenza nucleare (l'ultima rimasta in Europa dopo la Brexit) e del fatto che i francesi da sempre contendono ai tedeschi il primato negli equilibri di potenza europei. L'Italia, che non ha l'atomica, ma l'alleanza strategica di lungo periodo con gli Usa quale sia il presidente, deve agire negoziando e agendo con i fatti senza impensierire i grandi investitori che sorreggono il nostro debito, abbandonando la logica dei benefici politici immediati per perseguire i benefici futuri, ossia quelli che ci daranno la possibilità di poter cambiare i regolamenti europei e poi i trattati. 

E si fa questo non con la guerra delle cifre, ma negoziando per ottenere la realizzazione dello scorporo dal calcolo dei debito delle spese per investimenti, per l'instaurazione di una nuova logica dei finanziamenti attraverso la mutualizzazione dei medesimi seguendo la logica degli Eurobond su cui Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio fecero proposte dimenticate e che vanno invece riproposte all'attenzione pubblica, superando steccati politici e realizzando convergenze tra tutti i partiti sull'obbiettivo fondamentale che è quello della riforma profonda delle regole europee, superando così le stupide e non sostenibili regole dell'austerità. 

Sta giungendo, com'è nella ciclicità della deflazione secolare da ordoliberismus, una nuova onda negativa che abbasserà ancor più i tassi — già bassissimi — della crescita europea. Solo gli Usa continueranno a crescere, proprio perché non hanno perseguito politiche economiche come quelle europee che sono le peggiori del mondo. Ma per cambiarle occorre pazienza, perseveranza, alleanze ampie sia con gli operatori dei mercati, sia tra le nazioni europee in un lungo e incessante lavoro di tessitura. Le grida di manzoniana memoria non solo sono inutili, ma dannose, perché pongono in pericolo la stabilità governativa. Il bene più prezioso su cui l'Italia di oggi può contare per rifondare la sua politica economica e riprendere il cammino della crescita. Per far questo occorre pazienza. E la pazienza è la vera virtù dei rivoluzionari.

Il Responsabile del procedimento di convocazione è sicuramente in buona fede...

IL CASO 27 settembre 2018

La gaffe del ministero dello Sviluppo economico: convoca l’ex sindaco Doria anziché Bucci

Un fermo immagine della convocazione per il vertice sull’Ilva di Genova

Una piccola gaffe. Niente a che vedere con i tentennamenti sul decreto su Genova. Ma che fa discutere e sta diventando virale sui social network. Il ministero dello Sviluppo economico ha convocato oggi a Roma una riunione per il rinnovo degli ammortizzatori sociali e dei lavori di pubblica utilità per i cassintegrati dello stabilimento Ilva di Genova. Tra i destinatari, oltre al governatore della Liguria Giovanni Toti, c’è «il sindaco Marco Doria». Peccato che, dallo scorso giugno, il primo cittadino di Genova sia Marco Bucci.

L'Islamismo nel cuore dell'Europa dell'Euroimbecillità - la sharia incombe e gli euroimbecilli tutti non ne vogliono prendere atto

Islam: guai all'orizzonte in Europa (e nel mondo) se non si secolarizza

di Alberto Comuzzi
28 Settembre 2018

Un interessante articolo della prestigiosa rivista Oasis, affrontando il tema della presenza dei salafiti in Europa, ci aiuta a conoscerli e a comprendere meglio che genere di società vorrebbero realizzare.

La Mecca (foto d'archivio)


La prestigiosa rivista Oasis lancia, nel suo ultimo numero, un interessantissimo articolo in cui, intervistando Mohamed-Ali Adraoui, visiting senior research fellow alla National University di Singapore, spiega chi sono i musulmani europei che vorrebbero vivere come ai tempi del Profeta.

Veniamo così a sapere che i salafiti (i Salaf, cioè le generazioni di musulmani più vicine al Profeta) intendono riprodurre lo stile di vita degli albori dell'Islam prevalentemente ricostruito attraverso la una “lettura dei testi”, cioè il Corano, che la rivista non definisce, ma che a noi appare rigorosamente fondamentalista.

Spiega Adraoui che «il salafismo contribuisce a ridurre i dubbi dell’esistenza e propone di strutturare la vita dalla nascita alla morte, perché il credente possa ottenere l’approvazione divina e dunque guadagnare il diritto al paradiso».

I salafiti in Europa, soprattutto in Francia, Belgio, Paesi Bassi, Spagna, Germania e Inghilterra, sono una presenza in crescita o comunque sempre più visibile, «combattuti tra la volontà di pesare sul corso dell’Islam», sono ancora parole di Adraoui, «attraverso l’azione umanitaria, la predicazione, l’attivismo online e il desiderio di isolarsi da una società che disprezzano moralmente».

I salafiti poi guardano all'Arabia Saudita come allo stato che, storicamente, ha meglio incarnato, nei secoli, il modello di società più aderente agli insegnamenti del Profeta. In Europa tali credenti come si pongono?

Se non si può ancora parlare di un movimento organizzato capace di incidere nel dibattito pubblico e interagire con il resto della società sul modello, per esempio, delle associazioni legate ai Fratelli musulmani, ciò non significa che le cose non cambieranno ma, spiega ancora Oasis, «per il momento si ha l’impressione che i salafiti, nella maggior parte dei contesti sociali in cui vivono, siano scissi tra il desiderio di incidere sul corso dell’Islam attraverso la predicazione e il desiderio di proteggersi dal resto della società, ciò che può portarli addirittura ad abbandonarla fisicamente con la hijra, la migrazione salutare che consente loro di raggiungere la terra dell’Islam».

La predicazione degli imam salafiti avviene attraverso il Web, strumento efficacissimo per raggiungere moltitudini di persone, molte delle quali poco propense a frequentare la moschea o addirittura mai entrate in una moschea.

Mentre in Europa la secolarizzazione ha fortemente intaccato il cristianesimo, una forma radicale come quella dei salafiti islamici appare sempre più vigorosa e in espansione. La domanda allora che gli europei non musulmani si dovrebbero porre è: se l'Islam non si secolarizza che cosa accadrà?

http://www.valtellinanews.it/articoli/editoriale-che-accadra-se-lislam-non-si-secolarizza-20180928/

Monte dei Paschi di Siena - Omicidio di David Rossi - Il Partito dei Giudici di Genova sembra avere ereditato il compito della procura di Roma quando era il porto delle nebbie. Secondo indizio, ferma l'inchiesta sullo zombi Renzi quando era presidente della Provincia fiorentina e le sue spese pazze, terzo indizio, le macerie del ponte Morandi ci vogliono mesi per ottenere l'inizio lavoro di sgombro. Tre indizi fanno una prova

David Rossi, Giannarelli (M5S Toscana): “Corpo e orologio non sono caduti insieme. Si riaprano le indagini”


A suscitare la reazione del consigliere M5S è stato l'articolo de Ilfattoquotidiano.it a firma di Davide Vecchi, in cui si riportano gli esiti di una perizia effettuata sull'apparecchio: il lato della cassa che ha attutito il colpo al suolo è l'opposto di quello che avrebbe impattato se fosse stato al polso dell'uomo.
di F. Q. | 27 settembre 2018

Il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Toscana, Giacomo Giannarelli, chiede la riapertura delle indagini sulla morte di David Rossi, il capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena precipitato da una finestra di Rocca Salimbeni, il 6 marzo del 2013. A suscitare la reazione del consigliere M5S è stato l’articolo de Ilfattoquotidiano.it a firma di Davide Vecchi, in cui si riportano gli esiti di una perizia effettuata sull’orologiodell’uomo: il lato della cassa che ha attutito il colpo al suolo è l’opposto di quello che avrebbe impattato se fosse stato al polso dell’uomo. Questo vuol dire che l’orologio è stato lanciato dalla finestra successivamente alla caduta della vittima, per la precisione “venti minuti dopo”.

“Troppe cose non tornano. Troppe le lacune rimaste e richiamate anche in queste ore sulla stampa. Vogliamo capire sino in fondo cosa sia davvero successo a Rossi”, ha dichiarato Giannarelli in un comunicato diffuso dal Movimento 5 Stelle Toscana. Poi il consigliere regionale ha continuato: “Corpo e orologio di Rossi non sono caduti assieme. Questo quel che emerge dalla consulenza richiesta dai familiari del manager Mps. A questo punto mi pare evidente vi siano tutti i margini affinché le autorità competenti predispongano la riapertura delle indagini sulla morte del capo della comunicazione di Mps”, ha concluso Giannarelli.

Monte dei Paschi di Siena - Omicidio di David Rossi - Il partito dei Giudici di Genova non vuole indagare sono mesi che è tutto fermo. La magistratura continua a fare politica

David Rossi/ Chi ha ucciso il capo comunicazioni di Monti dei Paschi di Siena? (Quarto Grado)

David Rossi, chi ha ucciso il capo comunicazione di Monte dei Paschi di Siena? Continuano le indagini con la perizia sull'orologio del manager, caso riaperto (Quarto Grado)

28 SETTEMBRE 2018 - AGG. 28 SETTEMBRE 2018, 16.55 MORGAN K. BARRACO

David Rossi (Quarto Grado)

La morte di David Rossi, un giallo che sembra non trovare mai un chiarimento: è ancora al centro delle indagini delle autorità italiane. Nei giorni scorsi è emerso un particolare in più collegato al giorno in cui si sarebbe gettato dalla finestra del suo ufficio: secondo gli ultimi accertamenti, il suo orologio sarebbe stato lanciato nel vuoto solo venti minuti dopo la caduta del manager. E' stato il fratello della vittima, Ranieri Rossi a richiedere uno studio preciso sull'oggetto che David portava sempre al polso. La perizia avrebbe messo in luce come l'impatto sull'orologio non sia compatibile con la presenza dell'oggetto al polso della vittima. Il caso di David Rossi verrà approfondito da Quarto Grado questa sera, venerdì 28 settembre 2018, grazie ad una nuova puntata in cui si farà luce anche su queste nuove scoperte. L'ipotesi investigativa sull'orologio, spiega Il Fatto Quotidiano, era già stata presa in considerazione in passato. Solo oggi però si è potuto ottenere un riscontro oggettivo grazie ad uno studio voluto da Ranieri Rossi. Elementi compatibili con quanto emerso già dalle perizie precedenti, che hanno evidenziato come il capo comunicazioni di MPS sarebbe stato coinvolto in una colluttazione poco prima di morire. Elementi fondamentali che sembrano avvalorare la tesi di omicidio e non quella di suicidio, finora presa in considerazione dalla Procura di Siena.

DAVID ROSSI, CASO RIAPERTO?

Il caso di David Rossi potrebbe essere riaperto a breve grazie alle nuove prove emerse dalla perizia sull'orologio della vittima. "Non aveva l'orologio quando è precipitato da Rocca Salimbeni" ha riferito il fratello della vittima a Siena Tv. La famiglia Rossi non si è mai arresa ed ha deciso di dimostrare ad ogni costo che in realtà il capo comunicazioni dei Monti dei Paschi di Siena sarebbe stato messo a tacere nel modo più violento. Omicidio, dicono i familiari. Suicidio, risponde la Procura. Qualcosa però potrebbe cambiare, anche se non è la prima volta che vengono presentati degli elementi in netto contrasto con la possibilità che David Rossi abbia deciso di togliersi la vita per via dell'inchiesta che in quei giorni era stata avviata sull'istituto bancario ed alcuni illeciti. Si parla infatti dei lividi rilevati sul corpo della vittima, che farebbero pensare ad una colluttazione con una seconda persona. La posizione in cui è caduto il corpo della vittima in seguito al lancio dalla finestra del suo ufficio in via Volta. Ed ancora quei fazzolettini con qualche macchia di sangue ritrovati nel suo ufficio e distrutti dal primo Magistrato in seguito alle prime indagini.

http://www.ilsussidiario.net/News/Cinema-Televisione-e-Media/2018/9/28/David-Rossi-Chi-ha-ucciso-il-capo-comunicazioni-di-Monti-dei-Paschi-di-Siena-Quarto-Grado-/841311/

Spread - quello che non si dice che i nostri Btp vanno a ruba e c'è più domanda che offerta, quelli tedeschi non sempre vengono piazzati nel Dio Mercato e che furbescamente c'è un'istituzione della Bundesbank che li compra per tenere bassissimo (negativo) gli interessi. I sapientoni della finanza

Perché dalla BCE stanno arrivando guai “tecnici” per i nostri BTp
Per il debito pubblico italiano sarebbero in arrivo novità negative dalla BCE, indipendentemente da cosa si deciderà a Roma. E non parliamo solo della stretta monetaria.

di Giuseppe Timpone, pubblicato il 28 Settembre 2018 alle ore 06:13


Nuove tensioni per i BTp oggi, a causa del forte scontro in atto nel governo sulla fissazione del rapporto deficit/pil per l’anno prossimo. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che pure si era mostrato aperto in extremis ad alzarlo dall’1,6% al massimo dell’1,9%, starebbe resistendo duramente al tentativo della maggioranza di spostare l’asticella al 2,4%, percentuale che consentirebbe a Lega e Movimento 5 Stelle di trovare le risorse con cui finanziare misure come il taglio delle tasse e, soprattutto, lo smantellamento della legge Fornero e il reddito di cittadinanza. Mezzo punto percentuale in più di disavanzo, numeri alla mano, farebbero 9 miliardi di euro, somma sufficiente a coprire in abbondanza almeno uno dei due provvedimenti più popolari e attesi dagli italiani. Il problema di Tria riguarda la perdita della fiducia sui mercati nel caso in cui l’Italia fosse percepita troppo lassista sul fronte fiscale. Lo spread è già oggi altissimo, se confrontato con quello di paesi come Francia, Spagna e lo stesso Portogallo. I nostri titoli a 10 anni rendono praticamente 10 volte in più di quelli tedeschi, 4 volte in più degli omologhi francesi, il doppio degli spagnoli. Aldilà dei fondamentali, a preoccupare non da oggi i mercati vi è l’aria che tira a Roma, ossia la crescente insofferenza politica, derivante dagli umori popolari, verso il rispetto dei vincoli di bilancio, quell’incapacità cronica di riformare l’economia per tornare a crescere con recuperi di produttività e non a debito.


Esistono ragioni tecniche per temere che la situazione possa peggiorare nei prossimi mesi e anni, anche facendo i famosi “compiti a casa” consegnatici dall’Europa. Il “quantitative easing” sta per finire. Dalla prossima settimana, la BCE dimezzerà gli acquisti di assets realizzati sin dal marzo del 2015, portandoli a 15 miliardi al mese fino alla fine di dicembre, dopodiché saranno azzerati. Al 31 agosto scorso, l’istituto risultava avere rastrellato sul mercato titoli per 2.600 miliardi di euro, di cui oltre 503 miliardi di Bund della Germania, 410 miliardi di bond sovrani della Francia e 356 miliardi di BTp dell’Italia. Queste cifre scaturiscono dall’applicazione della nota “capital key”, la regola per cui Francoforte ha acquistato in questi anni titoli del debito pubblico e privato nell’Eurozona sulla base della quota di capitale detenuto da ciascuna banca centrale nella BCE. Esempio: Banca d’Italia possiede una quota del 12,45% dell’Eurotower, di cui il 69,6% del capitale è in mano alle banche centrali dell’Eurozona, il resto alle altre della UE fuori dall’euro. Pertanto, l’istituto ha acquistato BTp per la quota-parte che fa capo a Bankitalia rispetto al totale dell’area, cioè qualcosa come il 18,4%, escludendo la Grecia, che non rientra nel QE, visto che i suoi bond hanno rating “spazzatura”. E da cosa deriva la quota di capitale di ciascuna banca centrale? Dal pil del singolo stato rispetto a quello totale della UE.

Dunque, ad oggi, fatto 100 euro il valore degli acquisti autorizzati, la BCE ha impiegato oltre 18 euro per i titoli italiani, più di 27 per quelli tedeschi, quasi 21 per i francesi, etc. Queste percentuali vanno aggiornate con cadenza quinquennale sulla base del pil di ciascuno stato membro dell’Eurozona. Questo per noi rappresenta un problema, perché la crescita dell’Italia negli ultimi anni è stata bassa e assai inferiore alla media dell’area, per cui la quota di capitale che spetterà a Bankitalia rispetto al totale tenderà a ridursi. Direte, nessun problema, visto che il QE sta per essere terminato da qui a breve. Eh, no! La BCE si è impegnata a reinvestire i proventi derivanti dai bond maturati nei prossimi anni, con cui acquisterà nuovi bond. L’anno prossimo, si stima che saranno 180 miliardi i titoli di stato in scadenza e Francoforte dovrà destinare tale somma all’acquisto di altri bond sulla base sempre della “capital key”.
Nuovi guai “tecnici” per i BTp

Abbiamo fatto due conti e ci siamo ritrovati con esiti alquanto negativi per il nostro Paese. Stando ai dati sul pil del 2017, la nostra economia rispetto al totale dell’Eurozona vale il 15,4%, meno del 17,9% di 5 anni fa. Nel frattempo, la Francia si è mantenuta stabile, salendo dal 20,3% al 20,5%, mentre la Germania è balzata dal 27% al 29,2%. Giù anche la Spagna con il 10,4% dall’11,8%. Non è andata esattamente così con i debiti pubblici nazionali. Il peso di quello tedesco si è ridotto dal 24,3% al 21,6%, quello italiano è salito dal 23% al 23,4%, quello francese dal 21,9% al 22,9% e della Spagna dal 10,8% all’11,8%. In altre parole, l’Italia si presenterà alla revisione imminente delle quote di capitale con un peso minore, anche se nel frattempo ha accresciuto quello del debito, contrariamente alla Germania, che è cresciuta più della media e ha abbassato il suo stock di debito persino in valore assoluto, grazie a 5 anni consecutivi di bilanci in attivo.


Proprio Berlino al 30 giugno scorso è riuscita a comprimere il suo indebitamento a 1.930 miliardi, il livello più basso dal 2009. Entro l’anno prossimo, il suo rapporto con il pil scenderà sotto il 60%. Le emissioni nette negative di Bund significa che il governo federale colloca sul mercato meno debito di quanto ne giunga a scadenza, con la conseguenza che la BCE si ritrova ad acquistare titoli tedeschi su un totale circolante sempre più basso, dovendo sormontare la difficoltà di rispettare la regola auto-impostasi del 33% di detenzione massima per ciascuna emissione, la percentuale corrispondente alla minoranza di blocco tra i creditori nel caso di ristrutturazione dei bond. Tutto questo ci spinge a ritenere che i rendimenti tedeschi, pur in un ambiente di tassi in rialzo, tenderanno a lievitare meno di quanto non faranno gli altri bond dell’Eurozona, sia per la minore offerta di Bund, sia anche per la maggiore domanda in valore percentuale da parte della BCE, a seguito della revisione delle quote di capitale delle banche centrali nazionali.

Gli spread tra Bund e BTp, Bonos, Oat, etc., non potranno che salire, data la divergente domanda/offerta pubblica, a meno che gli investitori privati non riescano a più che compensare, buttandosi maggiormente nei titoli semi-periferici, anziché su quelli tedeschi. Uno scenario possibile, ma non granché probabile, se è vero che i Bund vengono sempre più percepiti come beni in cui rifugiarsi nei momenti di crisi, anche se rendono poco o sottozero, il costo da pagare per portare i capitali in un porto sicuro. Il divario tra Germania e resto dell’Eurozona si amplia.

giuseppe.timpone@investireoggi.it