L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 22 dicembre 2018

Alceste il poeta - la resa che è combattimento, armiamoci partiamo ogni momento ogni giorno ogni anno lo dobbiamo a noi stessi

Riflessioni di un tenero esserino del futuro (buona Festa del Gelo a tutti)


Roma, 22 dicembre 2018

Ve lo confesso: cosa c’è di più bello di una poltrona? Tutto è facile. Una tastiera e hai il mondo a disposizione. Non c’è bisogno mica di farla difficile quando tutto è facile. Facile, ecco il verbo da diffondere. Se una cosa è difficile deve essere eliminata. I problemi non esistono, son solo il sintomi della nostra arretratezza, il progresso li eliminerà poiché il progresso serve a rendere la vita facile. Non c’è bisogno di scavare una buca, leggere un trattato, imparare una lingua, dipingere un quadro, corteggiare una donna quando c’è chi pensa a me, e mi porge i frutti dell’albero del bene e del male, liberamente ordinabili su amazon, badoo, sky. Ogni desiderio è sul visore, basta cliccarci sopra. Perché sottoporsi alle torture dell’apprendimento e dell’intelligenza quando, ormai, il mondo viene liquefatto nella sua essenza primaria e imbottigliato per noi, ogni giorno, comodamente rateizzabile, a pacchi discreti, recapitati a domicilio, inodori, igienicamente compatibili?

A che pro l’intelligenza, dico io. A che serve l’intelligenza? A produrre bile, ve lo dico io, non altro. E poi lo scontro, la disfida dialettica, le giugulari gonfie, la spada: quanta perdita di tempo, che spreco! Basterebbe accomodarsi: parva sed apta mihi. Cosa vogliamo, in fondo? Vivere? E non viviamo, forse? I giorni si susseguono, senza scosse, monotoni e sicuri. Non siamo mai stati così sicuri nella storia del mondo: reati e delitti calano, drasticamente; l’umanità ha compreso, finalmente, che proprio le distinzioni, le definizioni apodittiche, la morale, i sillogismi terribili, la logica stringente che tutto frantuma in iridescenze complesse e d’irriducibile diversità formano la costellazione dell’odio e della guerra. Ignorare chi ci ha preceduti: in questo risiede la felicità. Uccidere in nome di un’idea, di un’utopia, di un sogno evanescente; reclamare il proprio essere sé stessi in nome di un cumulo di rovine o di trattati sprezzanti, di vaneggiamenti indimostrabili, cupi, duri, inespugnabili dalla gioviale ragionevolezza: questa la follia.

Occorre sradicare le convinzioni secolari, addolcire il proprio credo per meglio introiettare l’altro, liquidare il buio per la luce, per una luce costante e totale, perpetua, egalitaria; vivere nel cantuccio, in pace con tutti; a che serve strapparsi i bocconi l’un l’altro quando ci sono bocconi per tutti? Diciamo la verità: chi di noi ha più fame? La granaglia è assicurata ormai a tutti, al sapore ci abitueremo … e poi, si rifletta, il sapore non è qualcosa di divisivo, sciovinista? Dobbiamo sostentarci cautela, non ingozzarci di carne e sangue a spese del mondo; la gozzoviglia, diciamo la verità, è il sintomo della sopraffazione e dello spreco. Se pensiamo a quanto tempo e crudeltà sono state dedicate a un atto così vile! Allevamenti di bestie, sgozzamenti, alibi religiosi, proliferazioni di tabù, caccia, stoffe pregiate, ori e argenti per posate, bicchieri, vini, idromele, liquori; banchetti, arrosti, guerre per le spezie (le spezie!), rapine di colture, minuziosi casistiche per ingredienti e ammollamenti e squartamenti, dedizioni folli al tempo esatto delle seminagioni, lo scrutare esatto delle lunazioni, delle piogge e delle arsure: quanto tempo perso! Il passato era, soprattutto, tempo perso, dietro queste incredibili fole! 
Bisogna occultare il passato, questo uno dei maggiori problemi dell’umanità a venire: questa fonte di malvagità, di fredda regressione: il passato. 

Ma come faremo, mi dico. I volumi della Biblioteca Nazionale di Roma, a esempio: cosa ci facciamo? Bruciarli non si può, sarebbe un atto simbolico troppo forte econtrario alla democrazia; ignorarli? No, poiché mantenere quell’ammasso di carta e acari ha un costo vivo notevolissimo: passi per le brossurette, ma i tomi dell’Ottocento in giù occorre stiparli con criterio e dedizione … per tacere di manoscritti e incunaboli. Farli sparire? E come, sono decine di milioni di pubblicazioni. E poi: i monumenti, le chiese, i ruderi, i parchi archeologici. Hic stat busillis. Milioni di metri quadri di passato che occorre tenere in vita sol perché si è statuito (da qualche pirlone, certo) che tali cose sono importanti per la sana vita civica, morale e psicologica dell’uomo. 

Sono problemi enormi a cui ci si deve applicare con fatica e dedizione. A costo di pensare, guardate cosa vi dico, pensare al problema, sminuzzarlo nei suoi componenti essenziali e tentare - addirittura - di raccapezzarcisi, in tale marasma maledetto, e addivenire a una soluzione indolore, accettata da tutti. Da tutti: dal 95% della popolazione (e questa è una passeggiata) e, purtroppo, anche dal restante 5%, cioè dagli Italiani residui del bel suol d’amore, che tale soluzione non la accetterebbe mica di buona lena. Sarebbero capaci, tali resistenti, questi maquisard dello sciovinismo peninsulare, di mettere i bastoni fra le ruote, e i puntini sulle “i”, persino i doppi puntini delle dieresi per rovinare la festa ai dittonghi, ‘sti rompitasche, e innescare nuovi problemi, con le loro fibrillazioni causidiche, le puntute obiezioni, le rutilanti rodomontate su un passato che non deve passare e che ha da condizionare (poveracci!) il presente: gente urticante, fastidiosa, diciamola tutta, che si arroga, a nome di tutti, un ruolo primario che è ormai fuori dalla logica, dalla storia; una rogna, insomma; e per colpa di questi non si può progredire verso l’avvenire che ognuno anela: la comodità, il tranquillo ronfare delle pulsioni, il battito dei cuori decelerato in una mediocrità rassicurante.

La Biblioteca di Alessandria brucia: e Giulio Cesare dice: “Lasciatela bruciare, è una memoria d’infamie!”. Proprio così!

Mi sono sempre chiesto, poi, a che serva il di più. Una colonna, istoriata, cesellata sin all’infinitesima particola di materiale … e che a nulla serve! E nulla sostiene! Perché, anche qui, tale spreco? Erano pazzi! 

A cosa servano i libri io proprio non lo so. Abbiamo tutto il mondo sui visori, l’attualità in casa, al bagno, sotto la doccia; frantumata, sminuzzata nei suoi più minuscoli elementi costitutivi che si possono riassemblare a piacere. Non esiste più l’ombra: tutto è vetro, luce, chiarezza. Perché rendere problematico ciò che si mostra inconfutabile dinanzi agli occhi? Non dobbiamo guardare dietro agli eventi, sotto il velo delle cose. Questa rimane un’attitudine degli uomini regressivi, sospettosi, atrabiliari. La realtà salta agli occhi, donata alla verità in centinaia di prospettive. Si può essere d’accordo o meno, ma non si può negare che, oggi, la verità coincida con la realtà che andiamo a verificare: esposta sul tavolo operatorio, pronta per noi, per i dibattiti, i commenti: piani, pacati, scientifici, senza pregiudizi.

C’è chi pensa a noi. Non vi siete mai chiesti perché il Potere non ci uccide in massa se è tanto crudele? Semplice, dico io, poiché un vero Potere non c’è. Esistono personaggi potenti, e multinazionali potenti; il loro scopo, tuttavia, non è certo la distruzione dell’umanità, ma il mantenimento d’essa nei limiti della ragione. Un accomodamento costante che sarà costantemente sorvegliato dalla democrazia. E la democrazia è nelle nostre mani! Chi può negarlo? Votiamo, liberamente. Anzi, gran parte della popolazione mondiale vota, ormai, liberamente. Il voto, la scelta: liberi. 
La democrazia ci ha donato quasi ottant’anni di pace entro i confini europei. Quando mai è successo? La democrazia ha prolungato la vita, ha sconfitto le malattie. Poiché la democrazia si nutre di ogni nazione o ogni nazione si nutre d’essa; non esiste malanimo, bensì cooperazione. E c’è chi vorrebbe dividere! Ancora! Nonostante tali prove storiche! 

I delitti calano, si muore più per suicidio che per omicidio. Quando mai è stato possibile se non ora? Presto le legalizzazioni e la moneta digitale porranno fine alla criminalità, alla prostituzione, alle droghe più pericolose, ai giochi d’azzardo, ai contrasti sanguinosi per un territorio da conquistare. Sì, lo Stato controllerà con parsimonia e l’oculatezza del genitore ciò che prima era reato; e lo Stato confluirà nella Galassia Centrale della Sicurezza. Anche le perversioni verranno decodificate, istituzionalizzate e controllate dal punto di vista sanitario: la tecnica ci verrà in aiuto. Vedete, non esiste il Bene e non esiste il Male; esiste solo il rispetto reciproco e la reciproca tolleranza governata da un Ente Regolatore che ogni voglia e aspirazione controlla, senza giudicare.

Anche l’iniziativa privata e la creatività, alla fin fine, sono dannosi. Troppi slanci in avanti, troppa rapacità. I commerci privati vanno bene se tutelati e regolati a livello globale; commercialisti, avvocati, notai, medici, fornai potranno esercitare solo se ossequiosi di un paradigma globale. Basta concorrenze, litigiosità, colpi di testa: regolare la voracità, la voglia bestiale, sopire.

I figli crescano dove vogliono; nascano dove vogliono; tutti eguali, però, in egual misura istruiti, ordinati, diretti; e non a caso, come pianticelle spontanee esposte a più sole, meno acqua, o troppo vento. 

Mai giudicare: il giudizio implica una gerarchia di valore che innesca disparità e invidia.

Presto, lo sento, verranno a noia anche i viaggi. Cosa c’è da vedere in altri luoghi che non sia già qui? Parigi, Praga, Minsk, Tegucigalpa, Kiev, Boston. Affronto un viaggio transoceanico per rifugiarmi verso spiagge o vetrine che vantano lo stesso sole o le stesse luci, popolate dai medesimi caratteri e fogge? Credetemi, rimanere dove si è, badare al proprio e vivere più a lungo possibile al riparo dalle intemperie. C’è chi pensa a noi.

L’arte è emozione. Emozione di un attimo, che colpisce l’occhio e l’anima poi svanisce. Un’idea, un breve messaggio: privo di astio o di quei rimbombi paurosi che ci hanno attanagliato il cuore per secoli.

Rifuggire il sangue, sempre. L’odio, il sotterfugio. Essere sinceri, sempre. Evitare il chiaroscuro, anelare il mezzogiorno assolato che non dà ombre. Scansare ciò che è problema, e tale rimane, affidarsi a chi scioglie i nodi con delicatezza, senza malvagità.

Quale libertà si vuole? La libertà fu un delirio terribile; noi vi rinunciamo, quindi; diciamo no alla libertà passata che bramava la distruzione di mura e bastioni e porte in nome di Questa dove non si hanno né mura, né bastioni nè porte e, unico, lo sterminato presente.

La debolezza è forza. 

Chi ha detto che la felicità consiste nella presenza della disperazione? Si può essere felici, quietamente felici, senza ascese o cadute; a bassa tensione, senza aspirare a toccare il cielo che non fa più per noi. Il panottico delle anime, presenti e compagne, riempie l’animo, lo colma di un senso di fratellanza, senza scosse.

L'unico bene è coltivare il proprio giardino.

Savona inadeguato - è guerra vera all'Euroimbecillità e trattare le istituzioni europee capaci di fermarsi e pensare significa regalare al nemico un credito di credibilità che userà per spezzarci definitivamente le reni e noi non possiamo permettercelo. La velocità delle decisioni e le scelte fatte nel momento opportuno sono strumenti validissimi per avere acquisire maggiore forza

Vi dico che cosa penso della manovra modificata. L’articolo del ministro Savona

22 dicembre 2018


“Ripristinare la supremazia della politica sulle soluzioni tecniche è il compito che ci attende in Italia e in Europa. Se si accetta l’opposto, la situazione può sfuggire di mano”. L’articolo del ministro degli Affari europei, Paolo Savona

La politica si nutre di realismo e l’accordo raggiunto con la Commissione europea porta chiara questa impronta; ma una politica che non sia ispirata da una politeia, una forma condivisa di organizzazione del bene comune, non ha lunga vita. In assenza di una istituzione monetaria dotata di poteri e volontà di svolgere le funzioni di lender of last resort contro la speculazione – protezione che in questi mesi ho insistentemente cercato – la realtà ha fatto premio sulle esigenze del Paese, che erano e restano quelle di garantire una crescita capace di ridurre la disoccupazione e la povertà e impedire il regresso del benessere dei cittadini.

Il governo ha retto nel difendere il minimo necessario per riaprire l’offerta di lavoro, soprattutto ai giovani, e combattere la povertà, mentre l’Unione europea non ha mostrato d’essere sensibile al primo anello di questa ineludibile catena di relazioni; la parola crescita appare solo nel dato statistico che indica una diminuzione del Pil preventivato dall’1,5 all’1%, fermo sui valori del 2018. Dati i vincoli, con la trattativa nulla di più si poteva ottenere, ma già questo dato richiede che l’azione di governo si concentri sul duplice obiettivo di riavviare gli investimenti, che restano lo strumento indispensabile per ostacolare la congiuntura negativa e non aggravare i ritardi di crescita accumulati, e di definire una politeia che restituisca prospettive di crescita all’Italia e di stabilità all’Unione europea.

I due obiettivi sono complementari ed è perciò che gli investimenti aggiuntivi non possono se non essere privati, salvo raggiungere uno specifico accordo europeo che escluda quelli pubblici dai parametri fiscali o rilanci la domanda aggregata a livello comunitario, mobilitando gli ingenti surplus di bilancia estera esistenti.

Una valutazione cautelativa suggerisce che nel corso del 2019 gli investimenti in Italia non possano essere inferiori all’1% del Pil, se si vuole raggiungere la crescita reale prevista; meglio se si raggiunge il 2%, se si vuole mettere il Paese in sicurezza dagli attacchi speculativi. Infatti la crescita del primo semestre sarà prossima a zero e gli effetti provenienti dai maggiori investimenti potrebbero ragionevolmente esplicarsi solo nel secondo semestre. Così facendo il rapporto debito pubblico/Pil, quello che maggiormente preoccupa i mercati e la stessa Commissione europea, riuscirebbe a mantenersi sia pure lievemente su una linea discendente nella prima ipotesi e ridursi ancor più nella seconda; se non accadesse, il quadro di riferimento della politica economica del Governo cambierebbe, per giunta in un contesto europeo di difficoltà decisionali (dalle elezioni al rinnovo dei principali incarichi).

La riunione tenutasi a Palazzo Chigi poche settimane or sono con le principali aziende partecipate dallo Stato e le informazioni di seguito raccolte consentono di affermare che esistono programmi di investimento di importo superiore a quello indispensabile per mettere in sicurezza dalle circostanze avverse la nostra crescita e la finanza pubblica. Il nuovo vertice della Cassa Depositi e Prestiti ha annunciato che le previsioni riguardanti le sue partecipate e i suoi stessi investimenti indicano possibile raggiungere i 200 miliardi di euro per il triennio 2019-2021. Queste iniziative, tuttavia, richiedono che vengano sbloccati piccoli o grandi intoppi che si frappongono alla loro realizzazione che, per alcuni aspetti, sono comuni agli investimenti pubblici ma, per altri, presentano specificità che vanno tenute in prioritaria considerazione nelle scelte del governo e del Parlamento. A tal fine si avverte la necessità di un Commissario ad acta.

La cintura di sicurezza che l’Italia sarà in condizione di attuare con le sue forze non basterà per portare il Paese fuori dalla crisi iniziata nel 2008. L’Ue deve sbloccare i vincoli che pone all’uso degli strumenti di politica economica ampliando i contenuti della sua funzione di utilità basata sulla stabilità, assegnando un peso anche alla crescita, dotandola di strumenti adeguati. Questa esigenza non è solo frutto di una visione positiva del futuro dell’Unione, ma delle divergenze di benessere socio-economico ereditate e di quelle frutto delle sue stesse istituzioni e delle politiche seguite. La necessità di una siffatta integrazione è attualmente molto sentita, tanto da indurre leader politici e opinionisti a chiedere con sempre maggiore insistenza non solo le riforme per i paesi membri, ma per la stessa Unione. Il presidente della Bce Draghi, nel discorso pronunciato recentemente a Pisa, ha dichiarato che l’Unione Monetaria è “incompleta”.

Non è un mistero che la divergenza tra le diverse concezioni dell’Ue è nei contenuti da dare all’incompletezza da rimuovere. Perciò ho chiesto a nome del governo di discuterne nell’ambito europeo di un Gruppo ad alto livello che analizzi la problematica; salvo eccezioni, si è finora fatto finta di non capire che l’invito rivolto era quello di interrompere la stretta relazione, indegna della convivenza democratica, tra la componente speculativa del mercato finanziario e le politiche scelte dai governi e parlamenti; l’Unione utilizza questa relazione per costringere i Paesi membri a seguire riforme che considera “risolutive” delle divergenze, che la realtà ancor prima della logica economica non ha asseverato, come dimostra il peggioramento della distribuzione del reddito intraeuropeo che mina l’intera costruzione comunitaria.

La messa in sicurezza dalla speculazione dei debiti sovrani da parte delle autorità europee rientra tra i doveri di sussidiarietà nascenti dai Trattati. Essa richiede una collaborazione con gli Stati membri che patiscono questa situazione, rinunciando tuttavia all’idea che questa sicurezza possa essere raggiunta perseguendo per decenni politiche deflazionistiche. Si possono individuare tecniche che consentono di farlo, evitando che i debiti di un Paese vengano messi a carico degli altri.

La soluzione del problema investe anche il tema continuamente invocato della protezione del risparmio che non si ottiene solo con norme adatte, ma diffondendo fiducia in chi possiede obbligazioni. A furia di insistere a livello ufficiale che esiste un problema di debito pubblico invece di indicare una soluzione – un cattivo vizio che si è molto diffuso – si è minata questa fiducia. Per chi ha investito i risparmi in titoli di Stato, questi sono ricchezza e la fondatezza di questo convincimento dipende anche dalla qualità della politica; ripristinare la supremazia della politica sulle soluzioni tecniche è il compito che ci attende in Italia e in Europa. Se si accetta l’opposto, la situazione può sfuggire di mano.

(articolo pubblicato da Milano Finanza)

Calabria - è sotto gli occhi di tutti il dominio del Sistema massonico mafioso politico su ll'Italia su questa regione, nessuna meraviglia l'inciampo di Mario Oliviero, ci aveva abituato ad atti amministrativi gravi e illegittimi come è usanza di questi alti funzionari ben posizionati nella Pubblica Amministrazione

Mario Oliverio, il Pd, il garantismo, il giustizialismo, la stampa e poi Buon Natale

Qualcuno dopo il mio precedente editoriale ha sollevato delle polemiche accusandomi di aver sposato la causa giustizialista. Chiarisco, per chi ne ha voglia, il mio punto di vista già, comunque, abbastanza chiaro. Sulle opinioni editoriali, si fanno chiacchiere, retorica a buon mercato messa in atto spesso da stretti collaboratori del Presidente lautamente pagati, pensando o illudendosi, evidentemente, di far bene e compiacere il capo

sabato 22 dicembre 2018 
13:37


Qualcuno dopo il mio precedente editoriale ha sollevato delle polemiche accusandomi di aver sposato la causa giustizialista. Purtroppo nell’epoca della rete succede che molti si limitano a valutare i pezzi solo dal titolo. Per coloro che invece vogliono approfondire le analisi mi permetto di aggiungere qualche ulteriore valutazione sulla vicenda e chiarire, per chi ne ha voglia, il mio punto di vista già, comunque abbastanza chiaro. Il resto sono chiacchiere, retorica a buon mercato messa in atto spesso da stretti collaboratori del Presidente lautamente pagati, pensando o illudendosi, evidentemente, di far bene e compiacere ilcapo. Un esercizio invece che, si rivela dannosissimo alla causa della rinascita di una sinistra seria in questa nostra sgangherata terra e alla immagine dello stesso Governatore.

GIUSTIZIALISMO E GARANTISMO. Ribadisco che ritengo assolutamente debole, allo stato, la vicenda sotto il profilo penale che coinvolge Oliverio. Sono sicuro che giorno 27 dicembre la misura cautelare difficilmente reggerà alla valutazione del Tribunale del Riesame. E, credo sia giusto così. Sulle dimissioni o meno del Presidente in relazione a questa vicenda, da garantista sono contrario. E tuttavia, la coerenza e, dunque, la credibilità di Oliverio, ne esce a pezzi, considerato che, egli ha preteso le dimissioni di alcuni membri della sua Giunta e dallo stesso Presidente del Consiglio raggiunti da un semplice avviso di garanzia. Se c’è un principio di garantismo stuprato lo ha compiuto il Governatore e non chi scrive. Punto.

POLITICA. Diversa, invece, la valutazione politica. Gli atti dell’inchiesta, in questo caso, confermano l’inadeguatezza e il totale fallimento del progetto politico di Mario Oliverioe della sua area politica. In considerazione di ciò, dunque, confermo, la radicale critica sulla conduzione politica e amministrativa del governo regionale e la deriva del Pd, partito al governo. Una critica che è coerente da oltre un anno. Lo faccio da sinistra. E, chiaramente, da editorialista. Un’opinione. Un punto di vista. Questa inchiesta, infatti, disvela quello che per la verità è noto a tutti da tempo. Il potere è detenuto da un ristretto gruppo di dirigenti al di fuori degli organismi collettivi sia di tipo partitico che di tipo amministrativo. Ciò è un fatto. Il nocciolo della mia critica sta tutto dentro queste vicende. Analisi cruda, ma vera.D’altronde, in alcuni casi, le carte dell’inchiesta non sono utili dal punto di vista giudiziario, ma si possono rivelare illuminanti da un punto di vista politico e umano. Chi non ricorda l’inchiesta su Berlusconi e le ragazze delle olgettine che coinvolse anche il più devoto amico del Cavaliere, Emilio Fede. Da un intercettazione,in una conversazione con Lele Mora, emerse poi che il devoto direttore del TG4 cercava di fare la cresta sul compenso delle ragazze da invitare al “bunga bunga”, ovviamente a danno dell’amico Silvio. Fine di una amicizia. Fede fu assolto, ma perse la stima del Presidente.

Gli atti di “Lande Desolate”, dunque, confermano chi sono i veri padroni del Pd e del Governo regionale. Fino a qualche giorno fa lo si ipotizzava, lo si sussurrava nei corridoi, oggi, è impresso nelle trascrizioni delle intercettazioni, con tutto il suo carico di desolante squallore. È evidente, a questo punto, che questo gruppo di potere tiene in ostaggio il Pd e la storia della sinistra calabrese. E’ altrettanto evidente, che sono vecchi amici che conosco bene e con i quali ho diviso un pezzo di vita militante. Per tale motivo ho definito la mia analisi anche amara. Tuttavia, l’onestà intellettuale, mi impedisce di tacere, anche se tale comportamento coinvolge degli amici, o ex tali, i quali, a mio modesto avviso, si sono resi responsabili di questa disastrosa situazione. Tacere, per non turbare degli amici, avrebbe significato manipolare la realtà. Una cosa che, un medio giornalista, non dovrebbe mai fare.

I risultati, al di là della propaganda, sono evidenti. I riscontri elettorali, altrettanto. E, inoltre, questo atteggiamento ha anche un’aggravante: nessun pentimento, nessuna autocritica da parte loro, neanche di fronte alla sconfessione elettorale del 4 marzo. Nessun ripensamento di fronte ad una punizione elettorale senza sconti. Anzi, arroganza, accuse alla stampa e ai giornalisti amici o ex amici, ogni qualvolta c’è stato un accenno di critica. Evidentemente c’è qualcosa che non quadra in questo atteggiamento. La sensazione che si percepisce, è quella di trovarsi di fronte alla difesa di un “sistema”, piuttosto che, di una linea politica, seppur sbagliata. Un sistema ancora non del tutto visibile ad occhio nudo. Quando difendi un sistema, soprattutto nella nostra regione, la reazione alle critiche si manifesta con un vecchio vizio tutto calabrese: personalizzare, o peggio recitare il ruolo di vittime di un accanimento personale. Per quanto mi riguarda a queste strisciante e subdole e striscianti obiezioni sussurrate da un orecchio all’altro rispondo così: nel campo della sinistra ho speso due terzi della mia vita, è evidente che, in qualsiasi posto della regione ho conoscenze e amici, rapporti consolidati in oltre 30 anni di militanza. È facile, dunque, urtare o disturbare le azioni di qualche vecchio amico che continua o si ostina a far politica. “È la stampa bellezza”. Oggi faccio il giornalista, e lo faccio in maniera indipendente, dirigo una redazione pluralista che racconta ogni giorno quello che accade in questa regione! Il mio compito è garantire la loro libertà di espressione nel raccontarla enon tutelare i miei vecchi amici o ex amici, l’importante che questa libertà si eserciti nei binari dell’onestà intellettuale e professionale. In tutto ciò, c’è molto della mia formazione culturale, politica e intellettuale. In quegli anni ho appreso che, in Italia la libertà di stampa è molto più discussa nei salotti dell’intellettualità, piuttosto che praticata e sostenuta dal potere politico, non a caso questa libertà è nata in Svezia 252 anni fa. Anders Chydenius, padre della legge che ha introdotto questa libertà, nel suo intervento di accompagnamento della legge infatti dichiarava «È di tutta evidenza che la libertà di stampa e di scrittura è uno dei baluardi più forti di una libera organizzazione dello Stato». Senza la libertà di stampa «l’educazione e la buona condotta sarebbero distrutte… nei pensieri, nei discorsi e nei comportamenti prevarrebbe la grossolanità e la penombra oscurerebbe l’intero cielo della nostra libertà in pochi anni». Sarà stato un caso che mentre Chydenius pronunciava queste parole, in Italia, invece, proprio lo stesso anno,la Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione inseriva il libro «Dei delitti e delle pene» dell’illuminista Cesare Beccaria nell’indice dei libri proibiti.

Se gli amici, gli ex amici, i compagni e conoscenti del Pd rispettassero la libertà di stampa, così come dicono di difendere quando si tratta di attaccare il M5S, dovrebbero accettare le critiche senza personalizzare e buttarla in caciara. Troppo comodo decantare la libertà di stampa quando critica gli altri e, invece, descriverla sporca, brutta e cattiva, o mercenaria, quando mette in discussione l’operato di alcuni rappresentanti del PD. Ecco perché riaffermo con convinzione l’esigenza che questa gente vada via e liberi la sinistra dalla loro arroganza e dai loro disastri. Se il Pd non troverà la forza necessaria per accompagnare alla porta questa dirigenza, il suo futuro è ipotecato per sempre. Buon Natale

Pasquale Motta

L'Euroimbecillità si può manifestare in tanti modi, è guerra vera e i falsi ideologici non la faranno mai, niente illusioni

BOCCONI AMARI PER I SOVRANISTI EUROSCETTICI IN ITALIA E REGNO UNITO


(di David Rossi)
21/12/18 

C’è un fantasma che si aggira per l’Europa: è quello dei sovranisti anti-Euro1, che nella volgata dei social media delle loro parti politiche2 dovrebbero essere determinanti - e rivoluzionari - dopo le elezioni europee del maggio 2019. Forse sarà così, ma per adesso, detto apertis verbis, questo ectoplasma pare aver trovato in Italia, nel Regno Unito e, soprattutto, a Bruxelles una famiglia Otis3 i cui pargoli si fanno beffa dei suoi poteri spaventosi. Insomma, per adesso è stata la commissione di Jean-Claude Juncker, uno su cui da anni gli hater sovranisti rovesciano tonnellate di ingiurie4, a dare le carte. Si badi bene: pur con tutti i suoi limiti e le sue manie, parliamo di un democristiano che fa politica da quando Luigi Di Maio usava i pannolini5, si occupa di Finanze da quando a Londra governava Margareth Thatcher - e non la sua pallida ombra Theresa May -6 ed è capo di un esecutivo da quando Matteo Salvini pronunciò il suo primo discorso al consiglio comunale di Milano contro lo sgombero del centro sociale Leoncavallo7. A suo fianco, Juncker ha avuto il socialista Pierre Moscovici, un prodotto della migliore scuola di formazione politica del mondo, l’ENA francese8; uno capace di far eleggere il povero Hollande presidente, il che la dice tutta! Dall’alto, li osserva Mario Draghi, allievo di Federico Caffè, Franco Modigliani e Stanley Fischer9.

Così, in Italia a un’estate da voce grossa con l’Europa sui social media e con uno spread in fiamme, ha fatto seguito - dopo un profetico avvertimento di Tsipras10 - una ritirata su tutti i fronti, con una “manovra del popolo” riscritta a quattro mani con gli euroburocrati11 con effetti potenzialmente recessivi. Meritano, a questo proposito, di essere lette le parole dell’autore del Piano B per l’uscita dall’Euro12, il prof. Paolo Savona come riportate dal Corriere della Sera il 21 novembre: “Non si può più andare avanti così, non ha senso. E la manovra com’è non va più bene: è da riscrivere”. E, per non averla voluta scrivere secondo gli impegni presi, se la sono vista calare dall’alto, con i “numerini” imposti da Bruxelles. Che non si potesse combattere da soli, come vedremo con l’ostracismo persino dei governi a trazione sovranista, contro Bruxelles, poi, è qualcosa che si può capire senza un dottorato in economia: con decine di miliardi di titoli italiani in vendita sotto il loro valore nominale e con la fiducia degli investitori internazionali ai minimi dal 2011, anche gli investitori interni13 hanno lasciato perdere i pur gustosi - e sicuri - BTP Italia, comprandone un ventesimo delle previsioni. Altro che oro per la patria: alla vigilia di una recessione14, gli Italiani se ne sono lavati le mani, non riconoscendosi nella lotta, legittima ma donchisciottesca, della maggioranza. Viene da chiedersi, a questo punto, se chi fa i sondaggi lo capisca, che non ha senso chiedere per chi voterebbe a gente che vede ogni giorno solo Salvini e 5 Stelle sui media, ma che, nel momento decisivo, non è disposto a dargli i soldi.

Mutatis mutandis, nel Regno unito si comincia a sentire il rumore del NO DEAL: l’uscita dall’Unione europea senza un accordo, vale a dire il gettarsi fuori dall’auto in corsa, senza casco né protezioni. Per i sovranisti, la parola stimola fantasie quasi erotiche: BREXIT, l’uscita da quell’Europa che misura la curvatura delle banane e la lunghezza dei cetrioli. Giù le mani dalle nostre banane e dai nostri cetrioli!

Non conta per gli Euroscettici, poi, che l’Europa regoli non solo le scemenze indicate in campagna elettorale, ma anche tutto quanto rende la nostra vita ben regolata o, se non regolata… un incubo infernale, come i voli internazionali, la sicurezza, i flussi di capitali, le operazioni tra banche, il lavoro all’estero dei tanti connazionali italiani alla ricerca di maggior fortuna15. Chi glielo va a dire che le grandi banche stanno lasciando in massa la City16, che migliaia di lavoratori italiani, polacchi e romeni17 sono preoccupati per il loro futuro e che persino le compagnie aeree sono in allarme e progettano di cancellare i voli dopo il 29 marzo?18 Per non dire, poi, della questione dell’Irlanda del Nord: all’interno dell’Europa la Catalogna si è dovuta arrendere ed è restata nella Spagna; fuori dall’Europa, nessuna differenza tra Irlanda del Nord e Donbass…

Il fantasma di cui sopra, sentendosi smarrito, si è spezzato in tanti piccoli Casper: tanti quante sono le anime di un movimento che, nel momento in cui reclama la sovranità della propria Nazione, rifiuta di collaborare anche con le altre forze sovraniste, se non per iniziative promozionali locali19 e che spesso, in alcune sue anime, punta solo a governare con i democristiani meno liberal. Perché, in fondo, un’alleanza delle varie forze sovraniste è un’antinomia, come l’alleanza dei neutrali proposta un giorno di quasi 70 anni fa dai “dossettiani” durante una seduta del Parlamento italiano, come alternativa all’Atlantismo. Alla domanda: “Chi ci difenderà in un’alleanza dei neutrali?” un deputato rispose che era ovvio: “Gli altri membri dell’alleanza!” Solo poi, si accorse che saremmo rimasti soli, perché nessun neutrale avrebbe difeso un altro. Soli: con le nostre paure e le nostre debolezze. E, in fondo, le storie parallele della manovra dettata da Bruxelles e della BREXIT sfuggita di mano ci portano proprio a questo punto: pur se politicamente e militarmente ancora molto debole, l’Unione è l’unico modo che abbiamo per non finire schiacciati nella lotta tra le grandi potenze, per “fare sistema”. Ma si sa, agli Italiani far sistema non riesce tra di loro; figuriamoci con gli Europei.

P.S. Il presente editoriale, scritto per merito della libertà di pensiero concessa da Difesa Online ai collaboratori esterni, è George Soros-free e non è stato finanziato nemmeno dalla Commissione europea, dal PD o da Forza Italia.

1 Che su queste pagine non sentirete mai chiamare “neofascisti”: si tratta, nella maggioranza dei casi, di legittime forze politiche antisistema, al governo democraticamente in Paesi come Italia, Spagna, Austria e Ungheria, in quest’ultimo caso addirittura come componente del PPE.

2 Scritto al plurale perché si tratta di movimenti diversi: dall’estrema sinistra alla destra radicale, passando per Podemos e certe frange dei Cinque Stelle.

3 La citazione è dal Fantasma di Canterville di Oscar Wilde.

4 Fra le quali, la più spassosa è quella che sarebbe un ubriacone. Come se, dai tempi di Ulisse Grant a oggi, davanti a un politico o un militare con vizio della bottiglia ma capace sul campo, non ci si dovesse togliere il cappello lo stesso.

5 Ministro del Lavoro lussemburghese dal 1984 al 1999…

6 Ministro delle Finanze lussemburghese dal 1989 al 2009!

7 Primo ministro lussemburghese dal 1995 al 2013, anno in cui diventa presidente della Commissione europea.

8 A questo proposito, quando lo scrivente sente parlare i partiti politici italiani di “scuola di formazione politica”, gli viene in mente una squadra di calcio parrocchiale messa a confronto col grande Brasile di Pelè, Didi e Vava.

9 È anche il Draghi che ingolosisce le grandi banche d’affari e le convince a investire nelle privatizzazioni italiane la bellezza di 182.000 miliardi di Lire, una cosuccia come un decimo del PIL. Ma di questo gli hater non parlano mai: per alcuni di loro, Federico Caffè magari è il marchio di un espresso romano…

10 “E’ meglio che facciate oggi quel che comunque vi faranno fare domani”, Il Sole 24 Ore, 25 novembre.

11 La manovra “del popolo” dovrebbe includere nella clausola di salvaguardia l’aumento dell’IVA dall’attuale 22 fino al 26,5% e, in ogni caso, tagli alla spesa (sanità? Scuola? O magari… Difesa??) per quasi 40 miliardi in tre anni.


13 Insomma, tu che ci leggi o se non tu i tuoi vicini, i genitori degli amichetti di tuo figlio, i tuoi amici al club delle bocce ecc.

14 Pare probabile che il quarto trimestre vedrà -come il terzo- il PIL in calo.

15 Quelli che per il predecessore di Di Maio “facevano bene a stare dove sono e a non rompere le scatole”.


17 Chi glielo spiega ai sovranisti di destra e di sinistra che in UK gli Italiani sono -con i Romeni- quelli scuri di pelle, che parlano strano e “rubano il lavoro”?

18 A questo, il lettore aggiunga le conseguenze sull’economia reale: https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-11-28/brexit-accordo-pil-giu-...

19 Ricordate il commento della leader di AdF Alice Weilder? “La folle manovra degli italiani è a spese della Germania: perché dobbiamo pagare noi per i ricchi italiani”, https://www.huffingtonpost.it/2018/10/25/lestrema-destra-tedesca-prende-....

(foto: presidenza del consiglio dei ministri)

Fed - gli analisti bravi sanno che gli aumenti dei tassi d'interessi della banca centrale statunitense risponde ad una strategia precisa, che non è solo quello di rendere il Dio Mercato più indipendente dai soldi di questa ma che ha la ferma volontà di creare recessione mondiale con la credenza di poterla gestire a proprio vantaggio eliminando i debiti gemelli

Usa: economia tra Pil in calo e caos Fed


Aumentano i timori di una flessione dell’economia, soprattutto dopo la pubblicazione dei dati sul Pil Usa.
21 dicembre 2018

Il dato del Pil Usa

Il dato finale del terzo trimestre ha visto un rialzo del 3,4%, poco sotto il 3,5% della lettura preliminare e ben al di sotto del 4,2% del secondo trimestre. La delusione arriva dal fatto che gli esperti si aspettavano una conferma del 3,5% già espresso. Ma non solo. Una delusione arriva anche dal dato sugli ordini di beni durevoli di novembre. 0,8%, che però non rispecchia l’1,2% delle attese. Un dato negativo anche se scorporato dalla voce trasporti: in questo caso di vede un calo dello 0,3% contro stime che parlavano di un rialzo dello 0,2%.

La view di Paulsen

Con uno sguardo ai dati macro, Jim Paulsen sottolinea che ultimamente le preoccupazioni degli investitori si stanno moltiplicando.

Una correzione più profonda e una crescita economica ancora più debole sono le premesse negative che però anticiperebbero un mercato rialzista. In altre parole: le cose dovrebbero peggiorare con un’ulteriore sell off sui mercati, prima del ritorno di un bull market.

Il paradosso, continua Paulsen, è quello di dover affrontare una mentalità da stagflazione. In questo caso, con la presenza di investitori tarati su questa modalità, sarà difficile per il toro ritornare sui mercati. Recentemente sono infatti aumentati i sospetti per l’arrivo di una recessione ma allo stesso tempo anche le pressioni di surriscaldamento dell’inflazione.

Il crollo post-Fed

I mercati, recentemente, hanno dovuto fare i conti anche con la delusione di una Fed più aggressivadel solito. Durante l’ultima conferenza stampa del 2018, infatti, il governatore Jerome Powell ha detto che sicuramente e nel prossimo anno ci sarebbero stati altri due rialzi. Una certezza che, quindi, non teneva conto dei timori di una flessione potenzialmente in arrivo. E’ bastato questo per portare un’atmosfera di incertezza sui mercati.

L’interpretazione di El-Erian

La reazione di forte delusione, si è concretizzata in una serie di ribassi continuati fino ad oggi. Per questo motivo Mohamed El-Erian ha parlato di una strategia precisa. Secondo l’economista, infatti, Powell avrebbe deciso di adottare un tono severo per spezzare la dipendenza dei mercati dalle azioni della Banca centrale.

La Bce dello stregone maledetto affida la vigilanza a chi per mestiere specula su di loro, è come affidare l'agnello al lupo. l'Euroimbecillità all'ennesima potenza e questo governo ha trattato al ribasso confermando che è un falso ideologico

Vi racconto scopi, bizzarrie e magagne della Vigilanza Bce



Fatti, commenti e analisi su pensieri e azioni della Vigilanza della Banca centrale europea nell’approfondimento di Giuseppe Liturri

Tempi duri per la Vigilanza della Banca Centrale Europea.

Il Sole 24 Ore ha pubblicato il 19 e 20 dicembre due clamorosi articoli di Alessandro Plateroti che hanno svelato un interessante carteggio tra Danièle Nouy, capo della Vigilanza della Bce, e Wolfgang Schauble, che non ha bisogno di presentazioni.

Il quadro che emerge è sconfortante ed abbastanza noto: quando, tra Francoforte, Berlino e Bruxelles, si sono resi conto che un’unione monetaria senza unione bancaria non poteva stare in piedi, hanno dovuto correre frettolosamente ai ripari. Dei tre pilastri che costituiscono l’Unione Bancaria (supervisione bancaria, risoluzione delle crisi e garanzia dei depositi), la supervisione unica è l’unico che può dirsi completato.

L’organismo unico per la risoluzione delle crisi bancaria (Single Resolution Board) è costituito e funzionante ma dispone di risorse limitate; il terzo pilastro, la condivisione dei rischi, è tuttora in alto mare, perso nelle nebbie della diffidenza tedesca che vede come il fumo negli occhi la condivisione dei rischi delle banche italiane con quelle tedesche. C’è il fondato dubbio che, con i guai che affliggono Deutsche Bank, tra poco saranno gli italiani ad avere timore di condividere i rischi…

Quando si è trattato di costituire l’organismo di supervisione unica (operativo nel corso del 2014) bisognava fare in fretta, partendo purtroppo da zero. E di chi poteva avvalersi la Signora Nouy? Chi conosceva i bilanci delle banche e poteva fare i cosiddetti stress test (simulazioni sui bilanci bancari in presenza di particolari condizioni avverse, come rialzo dei tassi, caduta del Pil) in tempi rapidi? La risposta, ça va sans dire, era già nella domanda. Bastava rivolgersi a coloro che, per mestiere, studiano i conti delle banche per un unico motivo: ne comprano e vendono le azioni. Sinergia perfetta. Se non fosse per il clamoroso conflitto di interessi, per nulla attenuato dalla formale presenza di “chinese wall” adottati da chi fa consulenza/ricerca e chi fa trading di titoli. La credibilità ed affidabilità di tali strumenti di separazione è stata infatti fortemente messa in dubbio dagli scandali che hanno coinvolto numerose istituzioni finanziarie negli ultimi anni.

Nello stesso giornale Marco Onado ha correttamente sottolineato: ‘Va riconosciuto che alla Banca Centrale Europea è stato assegnato, nei giorni frenetici in cui ci si è accorti che un’unione monetaria senza unione bancaria non poteva funzionare, il compito tremendo di vigilare direttamente su oltre cento banche di rilievo sistemico e indirettamente su tutti i sistemi bancari dell’eurozona. Il tutto con tempi ristretti di rodaggio, a differenza di quanto era avvenuto per l’attività di politica monetaria e nel pieno della crisi finanziaria, globale ed europea’. Insomma, ancora una volta, bisognava ‘fare presto’ a scapito dell’efficacia dei risultati e della trasparenza delle attività.

Fin qui, nulla di nuovo rispetto a quanto pubblicato dal Sole e ripreso da molti organi di stampa.

Ma il 16 dicembre scorso il Financial Times aveva pubblicato un’interessante intervista alla stessa Nouy in cui ella candidamente confermava le condizioni in cui il suo organismo era partito e, soprattutto, le condizioni in cui era stato costretto ad operare. Giova commentarne di seguito alcuni dei passaggi più interessanti:

‘At that time, Mrs. Nouy had just four people in her team. By the end of that year she would need a further 1,000 to join her in a monumental challenge: to make the eurozone’s banks safe again’.

Fu costretta a partire con 4 persone, dicasi quattro. Per giungere in pochi mesi ad uno staff di oltre 1.000 addetti.

‘but first she had to find the right people to join her. “When I think back to that first day, it was like being part of a tiny start-up operating within this powerful incubator of the ECB. Everything was ready for us to begin recruiting” ’

Trovare rapidamente le persone che potessero costituire la squadra, fu il primo compito. Fu come avviare una piccola start-up. Da restare basiti. La vigilanza sulle 118 banche più grandi dell’eurozona costruita in pochi mesi, come se si trattasse di avviare una start-up.

“The early relationship between the SSM and national supervisors was far from smooth…Insiders and antipathy towards the SSM was particularly severe from middle and senior managers, often earning much less than Frankfurt-based counterparts”

I rapporti con la vigilanza nazionale non furono agevoli, anche perché spesso erano meno pagati dei loro colleghi di Francoforte. La Nouy racconta la sua versione, qui invece la versione dei regolatori italiani. Non si trattava di invidia per essere meno pagati, quanto di opporsi alla sistematica svalutazione delle sofferenze, che la Vigilanza BCE voleva eseguire secondo criteri non condivisi dai regolatori italiani, ben consapevoli dell’eccezionalità della situazione e della inopportunità di adottare criteri standard.

“If you want people to give you their best contribution, they need to see your face. I have to explain that there is no national bias and why we need to be European”

Nell’affermare l’assenza di pregiudizio basato sulla nazionalità, la Nouy afferma proprio il vizio strutturale del suo operato: affrontare, secondo regole uniformi, situazioni nazionali che presentano enormi difformità. Come puoi valutare allo stesso modo degli NPL di un Paese come l’Italia, scosso da una doppia recessione che li ha portati al 18% dei crediti, e della Germania o della Francia? La cosa drammatica è che la Vigilanza pretende di farlo. Allo stesso tempo, quando si trattava di essere ugualmente scrupolosi con La banca tedesca, nemmeno Padoan era così sicuro che ciò avvenisse.

Arriva quindi l’ammissione più interessante, che conferma, con incredibile candore, quanto rilevato da Plateroti.

“during an extensive health check of the region’s most important banks in 2014… the SSM turned outside for help. At first we tried to get the national authorities on board, but when that was not possible we used consultants. It would have been totally impossible to do the Comprehensive Assessment without them”

Furono costretti a rivolgersi all’esterno perché non ce la facevano, nemmeno facendosi affiancare dalla Vigilanza nazionale. Altrimenti non sarebbe stato possibile completare gli stress test.

Sono due le cose che lasciano senza parole:

Il fatto che sia avvenuto. Come è stato possibile far eseguire tali attività a chi, come BlackRock, era in palese conflitto di interessi? Per non voler parlare del potenziale problema dell’utilizzo di informazioni riservate.

La giustificazione della fretta. Da sempre cattiva consigliera. Ed i risultati sulle banche italiane, costrette a svendere decine di miliardi di sofferenze ad un oligopolio di pochi operatori internazionali, mentre il recupero diretto forniva percentuali ben superiori, sono proprio là a dimostrarlo.

NoTav - la battaglia è ideologica da una parte chi sostiene l'uomo e le sue comunità dall'altra il Sistema massonico mafioso politico che impedisce all'Italia di crescere evolvere emanciparsi

Val Susa. «Tav, progetto non sostenibile»

Paolo Lambruschi Inviato ad Almese sabato 22 dicembre 2018

Tra i cattolici della Val Susa, storicamente contrari alla Torino-Lione: il riferimento è la 'Laudato Si’' Ambiente e traffico merci, troppa ideologia e disinformazione


Don Silvio Bertolo e l’ingegner Tartaglia del Politecnico di Torino animano da decenni la riflessione delle comunità cristiane sull’utilità del collegamento ferroviario: bisogna saper leggere i segni dei tempi

Da anni si oppongono pacificamente alla realizzazione dell’alta velocità in Val di Susa. Sono donne e uomini impegnati nelle parrocchie riuniti nel Gruppo Cattolici per la Vita della Valle. Alcuni si riconoscono in Pax Christi, tutti rappresentano le posizioni no Tav espresse nel tempo anche da diversi comuni e hanno aperto un dialogo con i vescovi piemontesi. Quattro anni fa hanno scritto al Papa, la cui enciclica 'Laudato Sì' ritengono un riferimento per dire no all’opera in nome della cura del Creato.

Alla vigilia dell’analisi costi benefici della apposita commissione di esperti che, nonostante le indiscrezioni, è attesa ufficialmente entro il 31 dicembre, hanno chiesto ad Avvenire di ribadire le loro tesi in un incontro, avvenuto nella parrocchia della Natività di Maria ad Almese con il parroco don Silvio Bertolo, cui ha partecipato l’ingegner Angelo Tartaglia, docente di Fisica al Politecnico di Torino e membro della Commissione tecnica che supporta l’Unione montana Valsusa e il Comune di Torino per il progetto. Partiamo dalle ragioni generali della contrarietà.

«Chi sostiene quest’opera – rispondono – non lo fa dal punto di vista dei trasporti e dell’economia. La motivazione è ideologica, quasi un assunto 'ottocentesco' secondo cui il progresso è costituito dalle grandi manipolazioni del mondo. E le dichiarazioni trasversali dei politici esprimono indignazione verso chi è contro il progresso. Nel merito si dice ben poco. Si dava per scontato, inizialmente, che ci fosse tantissimo traffico pronto a passare su questa linea.

Questi traffici non c’erano in passato, non ci sono oggi e il quaderno 10 dell’Osservatorio ha preso atto che erano previsioni inattendibili e basate su ipotesi palesemente assurde e su parametri manipolati. Il problema non è spostare la linea di qua o di là, ma rivedere il progetto. Questa grande opera è stata infatti calata dall’alto, imposta all’opinione pubblica con la disinformazione. Per esempio, ribadiscono che nel 2018 l’Osservatorio Tecnico ha pubblicato un documento in cui afferma che 'molte previsioni fatte 10 anni fa anche appoggiandosi a previsioni ufficiali del- l’Ue, sono state smentite dai fatti». Prendiamo il traffico merci. Quello su rotaia in 20 anni sostengono sia calato del 72% tra Italia e Francia, quello con la Svizzera aumentato del 54%. Secondo i dati diffusi lo scorso novembre dall’Osservatorio sulla Tav, al confine tra Italia e Francia sono transitati 44,1 milioni di tonnellate di merci. Nello stesso periodo sono passate circa 38,8 milioni di tonnellate di merci tra Italia e Svizzera e 79,6 milioni tra Italia e Austria attraverso il Brennero.Insomma, in questo momento è l’Europa centrale il polo di attrazione. I no Tav cattolici avanzano quindi forti dubbi sulla sostenibilità della linea. Senza contare che i francesi hanno posposto al 2038 le decisioni sul proseguimento della tratta di loro competenza e gli italiani hanno lasciato cadere la realizzazione del tunnel dell’Orsiera. Quanto al traffico passeggeri, nel 2030 si arriverebbe alla circolazione di 22 convogli e 162 treni merci.

Ma i no Tav notano che le partenze quotidiane verso la Francia di tre Tgv hanno flussi di persone tali da non rendere necessaria la nuova linea. Riguardo alla questione ambientale, sottolineano l’impatto sulla valle con 5 fattori possibili di inquinamento: quello atmosferico e la produzione delle polveri sottili nei cantieri, la presenza di amianto, uranio e radon nelle aree interessate dalla realizzazione del tunnel di base del Moncenisio, l’impatto acustico del rumore prodotto dai macchinari in fase di costruzione e dai nuovi treni nel passaggio vicino ai centri abitati, la perdita e la compromissione delle risorse idriche, con il danneggiamento delle sorgenti montane e l’inquinamento delle falde acquifere, lo stoccaggio dei minerali pericolosi estratti con gli scavi delle gallerie geognostiche e di servizio. Senza contare che il tunnel di base avrà temperature elevate e andrà raffreddato costantemente. Insomma sarà un’opera energivora con ulteriori costi a carico dello Stato.

Quanto ai costi della realizzazione, il Cipe nell’agosto scorso li ha attualizzati a 9,6 miliardi, dei quali il 57,9% a carico dell’Italia e il 42,1% della Francia. A fine 2017 ne erano stati spesi circa 1,84. Infine le penali, che qualcuno stima in due miliardi. Nulla andrebbe pagato all’Europa (si restituirebbero i fondi vincolati) né alla Francia nel caso in cui l’Italia decida di non fare più la Tav. Non sono stati infatti nemmeno indetti gli appalti per far iniziare i lavori. Chiedono infine di «leggere i segni dei tempi ».

«La Val di Susa si distingue per mettere a confronto due opzioni esistenziali: il culto economico della 'crescita infinita', di cui le 'Grandi Opere' sono paradigma; e un approccio filosofico in cui l’uomo vuole uscire dalla condanna di una visione esclusivamente economicistica della vita».

Gli ebrei nelle terre di Palestina sono un cancro da estirpare - le continue violazioni dei sionisti nello spazio aereo del Libano

Nazioni Unite: i tunnel di Hezbollah non emergono in Israele

News - 22/12/2018


MEMO. I tunnel di Hezbollah non hanno punti di uscita in Israele, come affermato ufficialmente il 20 dicembre dall’alto funzionario delle Nazioni Unite per le operazioni di mantenimento della pace, durante un incontro al Consiglio di Sicurezza. Parlando durante una sessione tenutasi su richiesta di Israele, Jean-Pierre Lacroix, Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite per le operazioni di mantenimento della pace, ha confermato l’esistenza di almeno due tunnel che attraversano la Linea Blu – il confine che separa Libano e Israele – ma che non sembrano arrivare così lontano da avere punti di uscita che portano alla superficie sul territorio israeliano.

Lacroix ha informato il Consiglio che stabilire le traiettorie e i punti di origine dei tunnel è “un lavoro complesso” spiegando che si trovano tra i 29 e i 46 metri sotto la superficie, che sono difficili da individuare e vicino ad aree sensibili per entrambe le parti. Ha comunque ammesso che si tratta di “una seria violazione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite”, passata nel 2006 e che ha posto fine alla quinta invasione del Libano da parte di Israele.

Lunedì gli operatori di pace delle Nazioni Unite in Libano hanno detto che due dei quattro tunnel trovati vicino al confine con Israele attraversano la linea di frontiera tra i due stati, violando la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite.

Lacroix ha continuato mettendo in guardia dal “pericolo di errori di valutazione” ricordando anche a tutte le parti “che le provocazioni lungo la Linea Blu e una retorica amplificata contribuiscono a creare un ambiente di aumentato rischio”.

Lacroix ha informato i rappresentanti che la Forza di Interposizione delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL) ha schierato truppe aggiuntive e squadre di collegamento in aree sensibili lungo la Linea Blu e che UNIFIL continuerà ad aiutare le parti a mantenere la calma e adempiere ai propri obblighi in base a quanto sancito dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1701.

Parlando nella camera, il Rappresentante Permanente del Libano, Amal Mudallali, ha riferito ai membri del Consiglio che il suo governo ha preso la scoperta dei tunnel in modo molto serio e ha assicurato loro che il suo stato non era responsabile per alcuna violazione. Allo stesso tempo, ha fatto appello affinché Israele non approfitti della questione per minare la stabilità del Libano.

L’ambasciatore del Kuwait alle Nazioni Unite, Mansour Al-Otaibi, ha riaffermato il diritto del Libano a proteggere la propria sovranità dicendo che “il Libano vive da molto tempo sotto le minacce e le violenze dell’esercito israeliano”.

Ha fatto pressione alla comunità internazionale per spingere Israele ad attenersi alla Risoluzione 1701, che continua a violare prevalentemente sorvolando il Libano.

La continua e ripetuta violazione da parte di Israele dello spazio aereo libanese è stato anche uno dei punti focali durante il discorso tenuto dal primo ministro libanese Saad Hariri alla Chatham House, all’inizio di questo mese. Parlando al think tank londinese, Hariri ha sottolineato come Israele violi la sovranità del Libano quotidianamente.

“Avete mai sentito di quante sortite in Libano o nelle sue acque internazionali faccia Israele? Qualcuno l’ha mai sentito? Pensate che sia giusto?”, ha chiesto. Ha poi aggiunto che Israele ha condotto 150 incursioni in Libano questo mese. “Pensate sia corretto che entrino nelle nostre acque internazionali dalle dieci alle venti volte al mese?”

Hariri ha puntualizzato che Israele occupa ancora parti del Libano, cioè le fattorie di Shebaa. Ha sottolineato inoltre che mentre Beirut non vuole la guerra, il regime di Tel Aviv non vuole la pace. “[Il primo ministro di Israele Benjamin] Netanyahu non vuole la pace. Vuole un piccolo pezzo di Libano, un piccolo pezzo di Giordania e un po’ della Palestina,” ha insistito il premier libanese.

Antonino Galloni - L'Euroimbecillità la devi combattere seriamente - “Noi dobbiamo prepararci alla guerra. A seconda delle armi dell’avversario, dobbiamo avere strumenti adeguati. Se ci rinunciamo, la guerra l’abbiamo già persa in partenza”.

Gli assi nella manica del Governo. Così si può evitare l’aumento Iva. Il prof. Galloni: “La guerra con l’Europa non è finita. La chiave sta nei fondi non impegnati al 31 dicembre”

22 dicembre 2018 di Carmine Gazzanni
L'intervista


Evitare la clausola di slavaguardia che farebbe schizzare l’Iva e che, da sola, vale qualcosa come 23 miliardi? Si può fare, sebbene non sia affatto facile. Ne è certo il professor Antonino Galloni, economista e presidente del Centro Studi Monetari. “Il Governo ha due assi nella manica per evitare l’innesco delle clausole di salvaguardia”.

Quali, professore?
“Se il nostro Stato dispone di risorse aggiuntive per far crescere il Pil e per fare investimenti adeguati nelle infrastrutture, è ovvio che si può evitare il salasso. Ed ecco il primo asso. Parliamo dei fondi che giacciono presso le Regioni per opere pubbliche e che non sono stati utilizzati. In totale, sono circa 60 miliardi”.

Il secondo?
“Il secondo riguarda il fatto che è stata modificata la contabilità dello Stato. Parliamo del superamento della regola contabile secondo cui gli stanziamenti non impegnati al 31 dicembre non potevano più essere impegnati. Questa regola è stata rimossa, secondo me intelligentemente. Credo che questo Governo lo abbia fatto proprio per sfruttare queste risorse”.

I due “assi” quanto potrebbero fruttare?
“Le due cose insieme permetterebbero una disponibilità di circa 150 miliardi. Una disponibilità teorica di oltre il 9% del Pil. Questa incognita è dunque quasi 5 volte più importante del rapporto deficit/Pil”.

Questo, dunque, permetterebbe di disinnescare l’aumento dell’Iva?
“Se il Governo dovesse riuscire a spendere questi soldi, cosa non facile, è chiaro che avremmo un balzo eccezionale del Pil. C’è poi un terzo asso, secondo me”.

Cioè?
“La possibilità di immettere nel sistema una quantità modesta ma non insignificante di moneta non a debito, di cui non si parla nei trattati europei. Non parliamo di banconote ma di biglietti di Stato, che non sono vietati dai trattati. Noi non abbiamo ceduto sovranità monetaria, quindi possiamo esercitarla”.

In questo modo potremmo evitare altri rischi di procedura?
“Probabilmente sì. Ma non è detto che aver evitato la procedura d’infrazione, sia stato un bene. Il bene sarebbe stato mettere in chiaro alcune cose, non evitare necessariamente la procedura d’infrazione. La guerra con l’Europa non è finita”.

Dice?
“Noi dobbiamo prepararci alla guerra. A seconda delle armi dell’avversario, dobbiamo avere strumenti adeguati. Se ci rinunciamo, la guerra l’abbiamo già persa in partenza”.

E quali potrebbero essere queste armi?
“Bisogna istituire un’agenzia pubblica di rating, altrimenti ci si trova scoperti. E rinegoziare il parametro del 60% nel rapporto debito pubblico/Pil. Nessun manuale di economia parla di sostenibilità del debito in questi termini. Quello che conta è il rapporto tra debito complessivo, quindi pubblico e privato, e Pil. E lì noi siamo un Paese molto virtuoso”.

Resta un altro argomento “rinviato” dal Governo: gli investimenti.
“Da quando io mi occupo di economia, gli investimenti hanno sempre rappresentato la spesa più comprimibile delle pubbliche amministrazioni. Più si ragiona in termini di riduzione della spesa e più si colpiscono gli investimenti. E ovviamente non è una buona notizia”.

Come si potrebbe intervenire?
“È un problema di regole. Un’idea potrebbe essere quella di fare in modo che gli investimenti siano fuori dal vincolo europeo”.

http://www.lanotiziagiornale.it/gli-assi-nella-manica-del-governo-cosi-si-puo-evitare-aumento-iva-il-prof-galloni/

Avevamo bisogno di mandare nel burrone il corrotto euroimbecille Pd e il 4 marzo noi italiani ci siamo riusciti. Poi la partita si sarebbe aperta sostanzialmente nei confronti del M5S ma il fato ha voluto che nel confronto ci fosse anche la Lega, non ci siamo sottratti e abbiamo accettato. Nel giro di qualche mese la legge di stabilità è stata la cartina al tornasole dello spessore culturale e politico di questo governo che è sostanzialmente un falso ideologico, e come tutti questi, hanno tradito tradiscono tradiranno, Tsipras docet. Il falso ideologico è l'atteggiamento che hanno nei confronti dell'Euroimbecillità fanno finta di non capire che l'Euro è il problema dominato dai tedeschi che ne traggono solo vantaggi. Non capire questo piccolo grande particolare li spiazza strategicamente e ha portato a fare una trattativa al ribasso decisamente vergognosa. Governo stanato, non è questo che mette l'Italia in Sicurezza, dobbiamo combatterlo farlo finire nel burrone insieme a quelli del Pd

I RICCHI DI STATO – il problema censurato

Maurizio Blondet 22 dicembre 2018 


Nella Fattoria degli Animali tutti sono uguali, ma i maiali più uguali degli altri (cit.)


La fine delle speranze nel contratto giallo-verde (il cui scopo non poteva essere che uno l’uscita dall’euro – ma i grillini non l’hanno voluto): torna a porre in primo piano il problema elementare e fondamentale – e assolutamente taciuto – della vita sociale e politica italiana: la guerra di “quelli che dallo Stato prendono” contro “quelli che allo Stato, i soldi li danno”. Pongo appositamente la questione nella sua rozza brutalità.
Si tratta di due mondi separati: quelli che allo Stato i soldi “li danno”, sono condannati al precariato, lottano per lavori da mille euro al mese, hanno pensioni da 600, sperano in sussidi di 780. Quelli che i soldi allo Stato “li prendono”, vanno sui 7 mila euro mensili (a cominciare dai fattorini del Parlamento) sicuri e fissi e garantiti senza pericolo di licenziamento; sono i magistrati che “prendono” (non dico “guadagnano”) in media , comprese le «indennità fisse e accessorie», 142.554 euro annui. Ossia quasi 5 volte lo stipendio medio di un professore; 3,5 volte quello di un dipendente di un ente di ricerca e 3,3 quella di un docente universitario. E per giunta, inamovibili, insindacabili e totalmente irresponsabili verso la comunità nazionale, arrivano tutti con la carriera automatica allo stipendio di Cassazione. Sono i giornalisti RAI cui paghiamo stipendi mostruosi, tanto che la corrispondente dagli USA “prende” (non dico “guadagna”) quasi quanto il presidente Usa. Sono i funzionari di Regione Sicilia arricchiti, i deputati della Sicilia che prendono più dei parlamentari nazionali (che già prendono più di ogni altro parlamentare in Europa) e nello stesso tempo lasciano la loro popolazione in miseria e dipendente da aiuti pubblici, e “non sono capaci” (non vogliono) spendere i fondi europei di cui la Sicilia dispone, e sono più di 4 miliardi di euro. Sono i funzionari ministeriali che vengono premiati con 21 milioni perché “aiutano”, bontà loro, a scrivere la manovra, per cui sono già pagati.
Cosa occorre di più che siamo sotto il tallone schiacciante di una oligarchia spoliatrice, insindacabile perché ha occupato la “legalità”, che estrae da un popolo che ha impoverito, stipendi da ricchi? Senza contropartita, perché questa oligarchia non si sente obbligata nemmeno a collaborare per far aumentare i redditi dei produttori, dai quali estrae i suoi ricchissimi emolumenti. Anzi in generale , inceppa i produttori come sospetti di “evasione fiscale”, ossia come sospetti di sottrarre qualche briciola al monte dei loro stipendi milionari. Occhiuti persecutori, vogliono che le loro vittime documentino ogni spesa , chi hanno dato a chi, quanti soldi hanno in banca… Ma nello stesso tempo, non pagano i fornitori privati a cui devono ormai centinaia di miliardi, obblgandoli ad indebitarsi per avere i capitali operativi, che lo Stao gli deve:



li lasciano fallire e suicidarsi; lasciano senza casa da anni i terremotati del centro-Italia.


Sono tutto pro-negri e pro-immigrazione, ne vogliono portare fra noi 250 mila all’anno, e intanto lasciano che 250 mila giovani laureati italiani ogni anno debbano emigrare: la cosa non colpisce le loro coscienze callose e incallite come tragedia nazionale.
Già sarebbe stata una riforma essenziale se il “governo del cambiamento” avessero varato una norma che lega gli aumenti degli stipendi pubblici, diciamo sopra i 4 mila euro mensili, alla crescita del Pil; quando il Pil decresce, decrescano gli stipendi dei Mattarella, delle Botteri e Berlinguer, dei procuratori – persecutori, dei ministeriali scendono. Sarebbe stato il modo, almeno, di interessare questi privilegiati al destino del Paese, a sentirsene finalmente parte e corresponsabile. Iventare almeno un po’ come gli statali spagnoli, efficaci ed efficienti per patriottismo, che coi fondi europei hanno rimodernato il Paese.
Macchè: E’avvenuto, mi dicono, il contrario. I “rivoluzionari “grillini e leghisti, hanno subito cominciato a pensare e sentire da oligarchi, appena arrivati a Roma assediata dalla rumenta ma piena di terrazze ed attici di lusso di ricchi di Stato, sono stati subito assorbiti nelle feste cafonali immortalate da Dagospia e dal film “la Grande Bellezza”., dove improduttivi ricchissimi (di soldi pubblici filosofeggiano sul nulla in divani doviziosi). Mi dicono che molto della disfatta del progetto Italexit è dovuto a questo assorbimento ed azione corruttrice dei “ricchi di Stato” nelle loro festone aum-aum, nelle loro adulazioni e dolce vita, dei “barbari” sovranisti. Del reso anche i “barbari” quando prendono 15 mila euro mensili, rapidamente cominciano a pensare da oligarchi ripieni di denaro pubblico e a diventare parte dell’Ancien Régime alla corte di Versailles. Ho assistito personalmente a questa metamorfosi quando, per varie circostanze, avevo conosciuto la Pivetti. Immediatamente assorbita ed adulata e cucinata nei centri del potere oligarchico, si era sentita una specie di imperatrice Teodora – per finire poi nel nulla come un biglietto del tram spiegazzato da Violante e Scalfari, che l’avevano usata per le loro trame anti-berlusconiane. Un nulla beninteso che meritava pienamente, perché – questo è il punto – quando si è nullità intellettuali e morali, non si sa resistere alle tentazioni delle dorature di cui il potere oligarchico è geneoso per qualche tempo (tanto, paghiamo noi che i soldi “li diamo”), e nemmeno capire che sono dei trucchi corruttori. La Boldrini, Fico, hanno subito la stessa metamorfosi. Mi dicono lo stesso di Foa, lo svizzero abbagliato e sedotto e neutralizzato dagli inviti dei salottini cafonali romaneschi, e di Salvini.
Ma i grillini hanno la responsabilità peggiore del fallimento del progetto, e di quel che succederà. Come ho detto e ripetuto, invece di capire che hanno portato il Sud povero ed assistito (povero perché assistito) nel CLN per la liberazione dall’Euro, hanno avanzato il loro programma ecologista-straccione di decrescita e assistenzialismo. Con ciò, hanno messo a nudo e riaperto la frattura che il progetto eurexit aveva chiuso: quella fra Sud e Nord produttivo, due mondi estranei, due Italie. Nella misura in cui il Meridione è assistito, ossia i soldi dallo Stato “li prende” (briciole per le masse, speranze di prenderne con Reddito di Cittadinanza) si è comportato come volevano gli oligarchi che dallo Stato prendono milioni. Il loro primo ministro Conte, i loro parlamentari, i loro ministri sono lo strumento di Mattarella e della “più Europa”; hanno accettato di asservirci come esigono gi oligarchi inadempienti e “milionari di Stato”
Ovviamente l’effetto quasi immediato è stata il ritorno in primo piano dell’ “autonomia” di spesa delle Regioni del Nord. Che piaccia o no, lì ci sono quelli che soldi allo Stato “li danno”, e non possono condividere nulla della scelta di decrescita del 5Stelle, sapendo che essa toglierebbe anche i mezzi per cui il Meridione viene assistito. La tragedia è che i meridionali non riconoscano questa dipendenza; già le loro centrali, le Regioni corrotte come la Sicilia, che godono della più scandalosa autonomia di spesa e di scelte politiche rovinose e corruttrici (pagata però a pié di lista dallo Stato ossia dai contribuenti, ossia in definitiva dal Nord) già strillano contro le pretese di autonomia del Veneto e della Lombardia, sapendo (ma non dicendolo) che da lì vengono i soldi loro.
I grillini, che sono maggioranza al governo, dovrebbero rispondere mettendo fine alla “autonomia” sprecona e corrotta della Sicilia: la sua classe dirigente non la merita, ha dimostrato di non saperla gestire. Sarà meglio governata dal Centro dello Stato – dove se non altro ci devono essere tecnici che sanno come spendere i 4 miliardi di fondi europei. Allora avrebbero la legittimità per negare, o controllare, l’autonomia del Veneto.
Ovviamente, questo è un inizio di secessione – il Nord gravita sempre più verso il sistema produttivo tedesco di cui è già parte, il Sud si è abbandonato alla “decrescita felice” ecologista e frumentaria, ma vuole essere finanziato. E ne ha tutti i mezzi di oppressione e spoliazione per continuare a farsi mantenere (nella miseria), perché i mezzi, sono quelli dell’oligarchia che dallo Stato “prende” miliardi, non il reddito di cittadinanza: la “giustizia”, la “leglità”, i Carabinieri, la Corte Costtituzionle, EUrogendfor…più Europa.
Questa sarà la guerra civile prossima ventura.

22 dicembre 2018 - IMPORTANTE: Due parole sulla manovra

Il governo del falso ideologico cede al Sistema massonico mafioso politico, avrà vita breve nella fiducia degli italiani

Terzo valico: metafora dello sperpero di denaro pubblico?


21 Dicembre 2018 - 09:34 

Il Terzo Valico, una metafora dello sperpero di denaro pubblico dell’illegalità e dell’attività di lobby


Attacco mirato di qualche gazzettiere prezzolato al ministro delle infrastrutture prendendo a pretesto il Terzo Valicoovvero la Genova/Milano av.

La tesi sostenuta è che sarebbe sbagliata l’analisi economica che, voglio ribadire, nulla dice sulla incidenza rispetto alla crescita. Il Terzo Valico, un progetto che può benissimo essere assunto come metafora dello sperpero di denaro pubblico della illegalità e infine della attività di lobby.

Solo in questa Repubblica delle banane a reggenza affaristica poteva accadere ciò su un progetto di tale rilevanza, in un momento dove la UE ci comunica che la piena occupazione italiana si realizza con un tasso di disoccupazione naturale (NAWRU) del 10%.
I fatti

La Genova/Milano, meglio conosciuta come “Terzo Valico dei Giovi” si chiama così perché già esistono due linee, tra l’altro sottoutilizzate. La finalità? Potenziare i collegamenti del porto di Genova con Milano e Torino.

Da notare che fino al 2010 questo progetto era rimasto in panne. Perché? Gli studi predisposti da ISPA (Infrastrutture Spa società della Cassa Depositi e Prestiti; società creata ad hoc, presieduta dall’ex Ragioniere Generale dello Stato Monorchio e poi sciolta) e anche dal Ministero del Tesoro, indicavano che i ricavi della linea (quindi per trasporto passeggeri e merci) erano pari al 20% dei costi (Fonte: Sole 24 Ore del 27 febbraio 2005).

Ispra fu creata per aggirare i vincoli europei, perché la bugia del finanziamento privato della Tav non reggeva più. Infatti nella legge finanziaria del 2007, in 8 commi vennero scaricati sullo Stato 13 miliardi di debiti Tav contratti con le banche (legge finanziaria 286/2007 art 1. commi dal 966 al 971 e nel 1364). Vi si dice che «lo Stato si accolla direttamente tutti gli oneri per capitali e interessi dei titoli emessi e dei mutui contratti dalle varie società che avrebbero dovuto finanziarie le diverse tratte della Tav» (assorbite prima da Infrastrutture Spa e poi questa assorbita dalla Cassa Depositi e Prestiti).

Riprendendo il caso del Terzo Valico o della Genova/Milano che dir si voglia, l’analisi di Ispra citata si riferiva a un costo di investimento pari a 4720 milioni di euro, che oggi sono diventati 6158 (Fonte SILOS; sito della Camera dei Deputati per le opere prioritarie). Dati che dovrebbero essere noti ai gazzettieri e che dimostrano tutta la arroganza e irresponsabilità del partito del debito pubblico nell’affossare questo Stato.
Il progetto

Il progetto prevede 53 Km di tracciato, di cui 37 in galleria. L’unica analisi economica fu fatta da docenti del Politecnico di Milano e risultò fortemente negativa (il parametro di sintesi nell’analisi costi benefici è il Valore Attuale Netto, che se positivo indica che, realizzando l’opera c’è un beneficio sociale. Tale parametro, determinato con assunzioni molto ottimistiche risultò negativo per un valore di 4200 milioni di euro. I benefici erano pari a un terzo dei costi. Rapporto benefici/costi = 0,33).

Ultima chicca la decisione di uno dei più grandi operatori logistici MAERKS, che avendo bisogno di fondali profondi per le sue grandi navi scelse Savona in luogo di Genova, e avendo necessità di spazi dietro al porto, non trovandoli scelse Mondovì.

Ometto i commenti sul grande scandalo scoppiato per il reato di corruzioneconnesso alla realizzazione di questo progetto. Ometto altresì di citare tutta la singolare e straordinaria vicenda dell’appalto assegnato in totale difformità alle norme UE e oggetto di rilievi pesanti da parte dell’Avv Generale della Corte di Giustizia UE Verica Trstenjak (Causa C351/07).

Opportuno osservare invece che a seguito di questioni giudiziarie riguardanti il dirigente dell’Ufficio di Missione del Ministero delle Infrastrutture che determinò le dimissioni del Ministro Lupi, l’ufficio fu soppresso e sostituito con un nuovo ufficio denominato “Struttura Tecnica di Missione per l’indirizzo strategico, lo sviluppo delle infrastrutture e l’alta sorveglianza“, che aveva tra i suoi compiti anche la verifica attraverso l’analisi costi benefici delle infrastrutture.

Risultato? Nemmeno una sola analisi. Infine c’è da osservare sul rapporto infrastrutture di trasporto e sviluppo economico, qualche esempio è opportuno citarlo. Nell’area di Los Angeles si viaggia,a meno di 30 Km/h, così come a Taiwan, entrambi congestionati ma con elevati tassi di crescita.

Il caso del Giappone che puntò sulle grandi opere civili per uscire da decenni di stagnazione ebbe come risultato unicamente l’aumento del debito pubblico. Discutibilissimo il ruolo “contro la crisi” (anticiclico) considerato anche, che tra progettazione e realizzazione passano a volte decenni. Impermeabili le classi dirigenti ispirate unicamente dalla “politica del barile di lardo - pork barrel policy”: Metafora dispregiativa creata da Edward Hale per indicare l’appropriazione di fondi pubblici, per portarli localmente.

La classe dirigente non modifica i suoi comportamenti né per la recente relazione della Corte dei Conti UE sulle linee alta velocità realizzate, né per il Rapporto Anticorruzione della UE dove si denuncia l’enormità dei costi, né per aver un debito che è superiore di un terzo alla ricchezza prodotta in un anno e infine nemmeno per il fatto che tra il 2008 e oggi altri 542 mld di debito sono stati generati da questi sostenitori a prescindere delle grandi opere. Nulla!

In un'economia che non è mai uscita dalla crisi del 2007/8 la Fed ha la presunzione di creare altra recessione MA di tenerla sotto controllo, da qui nasce la volontà di alzare i tassi d'interessi programmati slegati completamente dalla realtà produttiva statunitense e mondiale. Sono i debiti gemelli degli Stati Uniti a spingere questa istituzione a creare caos e disordine con la presunzione che in questo modo il problema del debito pubblico e quello della bilancia commerciale vengono risolti

La Fed spaventa i mercati: quali rischi corrono ora le Borse?

DAVIDE PANTALEO, PUBBLICATO: 20 DICEMBRE 13:24

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L'appuntamento di ieri con il FOMC si è rivelato fatale per i mercati, con una reazione negativa che da Wall Street sta contagiando anche gli altri listini. Gli analisti spiegano le paure delle Borse e segnalano i rischi all'orizzonte.


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Dicembre prosegue all'insegna di un forte nervosismo per i mercati azionari internazionali, come dimostrato dall'andamento delle ultime ore. Dopo il recupero messo a segno ieri dalle Borse europee e il tentativo compiuto nella stessa direzione da Wall Street, a due ore dalla chiusura degli scambi si è avuto un netto cambio di rotta sull'opposta sponda dell'Atlantico.

I tre indici principali a stelle e strisce hanno archiviato gli scambi in netto calo ieri, a molta distanza dai massimi intraday, contagiando anche le Borse asiatiche e di conseguenza quelle europee oggi.
La Fed alza i tassi: le mosse attese nel 2019 e nel 2020

La miccia questa volta è partita dalla Fed che ieri, al termine del meeting di politica monetaria, ignorando i moniti del presidente Trump, ha deciso di alzare nuovamente i tassi di interesse dello 0,25%, portando al 2,25-2,5%.

Quella di ieri è stata la quarta stretta del 2018 e la nona da dicembre 2015, e se la stessa era in buona parte attesa dal mercato, non era stata del tutto scontata.

A pesare però sui mercati sono state le indicazioni seguite all'annuncio ufficiale sui tassi di interesse. La Fed prevede ora altri due incremento nel 2019, invece dei 3 previsti in precedenza, e uno solo nel 2020.

La previsione è che i tassi si attesteranno ad un valore mediano del 2,9% alla fine del prossimo anno, rispetto al 3,1% indicato a settembre scorso, per poi salire al 3,1% a fine 2020, contro il 3,4% di giugno, e rimanere al 3,1% alla fine del 2021.

Riviste le stime su PIL e inflazione

Da segnalare che la Banca Centrale americana ha rivisto al ribasso le stime sul PIL dal 3,1% al 3% per quest'anno e dal 2,5% al 2,3% per il prossimo, a fronte però di un miglioramento dell'outlook di lungo termine dall'1,8% all'1,9%. 
Ritoccate anche le previsioni sull'inflazione dal 2,1% all'1,9% per il 2018 e dal 2% all'1,9% per il 2019.