L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 26 gennaio 2019

Il governo verde oro ha come compito di mettere l'Italia in sicurezza. Vie le ciance

Perché i giornali non scrivono che gli investitori stranieri comprano a piene mani i Btp?

26 gennaio 2019


L’approfondimento di Giuseppe Liturri

Ieri abbiamo appreso dalle colonne del Sole 24 Ore, in un articolo a firma di Morya Longo, che gennaio è stato ‘un mese d’oro’ per i titoli di Stato italiani.

La domanda degli investitori stranieri è stata particolarmente sostenuta per un semplice motivo: il rischio incorporato nei prezzi/rendimenti attuali è decisamente inferiore al rischio effettivo valutato da molti operatori internazionali. Essi vedono quindi manifestarsi l’opportunità di acquistare a prezzi più bassi (perché a prezzi più bassi di un titolo obbligazionario corrispondono rendimenti più alti, giova sempre ricordarlo) un rendimento che risulta molto appetibile in relazione al rischio (modesto, a loro giudizio) che incorpora.

Longo aggiunge inoltre che questa domanda particolarmente sostenuta, trova anche giustificazione nel fatto che gli investitori stranieri a fine anno avessero relativamente ‘sottopesato’ nei loro portafogli i titoli italiani e che quindi avessero necessità di ripristinare la corretta quantità di titoli in portafoglio.

L’esito dell’asta del BTP a 15 anni emesso lo scorso 15 gennaio è indicativo della situazione. Importo aggiudicato 10 miliardi, ben il 64% è andato a sottoscrittori esteri, a fronte di una domanda di €35 miliardi. Domanda pari a 3,5 volte l’offerta!

Numeri clamorosi se pensate per un attimo alle diverse ondate di bombardamento mediatico susseguitisi negli ultimi mesi, tutte pressoché unanimi nel dipingere il nostro Paese come sull’orlo del baratro ed in estrema difficoltà nel trovare investitori disponibili a sottoscrivere i titoli di Stato, perdipiù in coincidenza col termine degli acquisti netti da parte della BCE.

L’esempio più clamoroso di tale sequenza fu l’ormai famoso titolo in prima del Sole 24 Ore di sabato 20 ottobre 2018, dove ‘fuga di capitali’ campeggiava a caratteri cubitali.

Cos’era accaduto? Nulla di particolare, come spiegai il martedì successivo in un articolo con cui Maurizio Belpietro decise di aprire il suo giornale. In agosto ogni anno accade che le emissioni del Tesoro sono inferiori ai rimborsi, per cui giocoforza gli investitori stranieri riducono sempre la loro esposizioni in titoli italiani. Era sempre regolarmente accaduto in agosto anche nei 5 anni precedenti, sarebbe bastato leggere per intero il rapporto di Bankitalia.

È facilmente immaginabile la preoccupazione che destò tale titolo, unitamente alla notizia del declassamento da parte di Moody’s.

Sono situazioni che spesso si ripetono: prendere un fatto (vero) ed ometterne i dettagli (decisivi) per trarne una conclusione che, se fossero resi noti anche i dettagli, risulterebbe infondata. Sembra diventato un metodo consolidato.

A quel titolo fecero seguito altri numerosi interventi sugli effetti dello spread sui tassi dei mutui, altra pseudo notizia clamorosamente smentita dai numeri pubblicati da Bankitalia ed ABI proprio nelle ultime settimane.

Rileggere oggi quei titoli, alla luce dei fatti e numeri dei mesi successivi, lascia stupefatti e proietta una luce sinistra sulla attuale qualità dell’informazione economico-finanziaria nel nostro Paese.

Ma la cosa ancora più stupefacente è lo spazio riservato alla notizia sul gennaio d’oro per i nostri BTP (positiva e non parziale, stavolta) nel Sole 24 Ore di ieri. Un articolo in basso a pagina 4, poco più di una minima di cronaca.

Una clamorosa asimmetria rispetto al titolo di ottobre che non trova plausibili spiegazioni. O forse ne trova, ed anche fin troppo facili, ma lascio al lettore ogni valutazione al riguardo.

Fanfulla Salvini se il M5S non vota NO all'autorizzazione a procedere permette al Partito dei Giudici braccio armato del Sistema massonico mafioso politico di continuare a dettare legge. Salvini, Bolsonaro ha vinto perchè il ministro della giustizia Moro ha eliminato la candidatura di Lula da Silva, per via giudiziaria, nonostante avesse la maggioranza del paese al suo fianco, impara

L’ATTO POLITICO DEI MAGISTRATI DI CATANIA

di Arturo Diaconale
25 gennaio 2019


È difficile trovare una qualche differenza tra “un atto politico” ed un “atto dettato da ragioni politiche”. Sta di fatto che questa differenza, ravvisata dai magistrati del Tribunale dei Ministri di Catania, costringerà il Parlamento a decidere se mandare a processo il ministro dell’Interno Matteo Salvini e, soprattutto, imporrà allo stesso Parlamento di stabilire se la politica del Paese nei confronti dell’immigrazione viene decisa dalle Assemblee dei rappresentanti eletti dal popolo o dalla magistratura.

Non è facile capire se i tre componenti del Tribunale dei Ministri di Catania si siano resi perfettamente conto della portata della loro richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del leader della Lega. Ma è fin troppo evidente che la scoperta di una differenza tra “atto politico” ed “atto dettato da ragioni politiche” non solo riapre lo scontro ventennale tra politica e magistratura dimostrando come il problema non era costituito da Silvio Berlusconi e, prima ancora, da Giulio Andreotti o da Bettino Craxi e dall’intera classe politica della Prima Repubblica ad eccezione dei comunisti e dei democristiani di sinistra, ma pone una questione di effettiva agibilità democratica in un Paese in cui alcuni singoli magistrati possono ribaltare gli indirizzi della politica nazionale richiesti dal voto della maggioranza dei cittadini.

Nessuno dubita che il Parlamento respingerà la richiesta dei magistrati catanesi. Se avvenisse il contrario, il Governo giallo-verde si sbriciolerebbe in un istante. Ma il voto parlamentare non riuscirà in alcun modo a cancellare la convinzione, che grava ormai da alcuni decenni sul nostro Paese, secondo cui il modo più proficuo di combattere un avversario politico è quello della via giudiziaria ammantata di legalità formale ma destinata a stravolgere le regole della democrazia e dello stato di diritto.

In questa luce appare inutile cercare di capire quale possa essere la differenza tra “atto politico” ed “atto dettato da ragioni politiche”. Per la semplice ragione che la differenza in questione è stata annullata dagli stessi magistrati dei ministri di Catania. L’“atto politico dettato da ragioni politiche” lo hanno compiuto loro!

http://www.opinione.it/editoriali/2019/01/25/arturo-diaconale_tribunale-ministri-catania-parlamento-processo-salvini/

La maggioranza di governo non può far giudicare la sua azione dal Partito dei Giudici braccio armato del Sistema massonico mafioso politico. Il M5S vada a scuola di politica

MIGRANTI, GIUDICI E POLITICA
Paolo Becchi: "Perché Matteo Salvini deve evitare il processo politico". Drammatico rischio per l'Italia

25 Gennaio 2019


Non accade mai, ma se ti chiami Matteo Salvini può succedere. Ogni volta che la Procura della Repubblica (la magistratura inquirente) chiede l' archiviazione nei confronti dell' indagato, quasi sempre il Tribunale (la magistratura giudicante) dispone l' archiviazione. È raro che un Tribunale faccia di testa sua. Ma se di mezzo c' è Salvini, che tra le altre cose ha svuotato la mangiatoia ai molti che lucrano sull' immigrazione, allora la magistratura si sente in "dovere" di processarlo. Vediamo cosa può succedere adesso.
Il Tribunale dei Ministri, competente per i reati ministeriali (cioè commessi dai membri del governo nell' esercizio delle loro funzioni), giudica solo nella fase delle indagini preliminari (quelle attuali). Dopo di che, una volta che si è deciso di fare il processo, gli atti dal Tribunale dei Ministri passano alla presidenza della camera di appartenenza del ministro indagato, nel caso di Salvini il Senato. A quel punto la Giunta per le autorizzazioni a procedere, presa una decisione, dovrà poi trasmetterla all' aula per il voto finale, che dovrà arrivare entro il termine di due mesi. Se l' aula del Senato respinge la richiesta a maggioranza assoluta, il processo non avrà luogo. In caso contrario il ministro sarà processato non più dal Tribunale dei Ministri bensì da quello ordinario, come se si trattasse di un comune delinquente.
La linea difensiva di Salvini è semplice, il ministro dell' Interno potrà invocare di aver agito «per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante» ovvero «per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell' esercizio della funzione di governo». In pratica quell' ampio spazio della discrezionalità amministrativa di cui dispone un qualsiasi ministro della Repubblica che, stando alla formula del giuramento pronunciato davanti al capo dello Stato il giorno dell' insediamento del governo, esercita le sue funzioni «nell' interesse esclusivo della Nazione».

Interessi diversi - Il problema non è "tecnico" ma politico. Gli apparati dello Stato, in questo caso una parte dell' Ordine giudiziario, qualche volta non rispondono al supremo interesse della Nazione ma a logiche del tutto differenti, talvolta di appartenenza politica, talvolta per soddisfare indicibili interessi in gioco.
Processare un ministro perché tenta di salvaguardare la sicurezza dei suoi cittadini è però grottesco. Il caso è di dominio pubblico e riguarda l' ordine che Salvini diede nel mese agosto di non far sbarcare nessuno dalla nave Diciotti, colma di migranti. Matteo, con quella decisione, non fece altro che salvaguardare la sicurezza nazionale, cercando di perseguire un preminente interesse pubblico (quello della sicurezza per l' appunto) nell' esercizio delle sue funzioni di ministro competente in materia.
In caso di condanna si creerebbe un precedente molto pericoloso perché, da quel momento in poi, per paura di finire sotto processo qualsiasi altro ministro dell' Interno non impartirebbe più ordini come quello impartito da Salvini. E allora addio sicurezza.
Salvini farebbe bene ad evitare un processo politico che potrebbe anche concludersi con una sentenza di condanna. La cosa migliore da fare è che Lega e M5S, unitamente a Forza Italia e Fratelli d' Italia, votino compatti in Senato per respingere l' autorizzazione a procedere. Contro un processo politico occorre che il Parlamento risponda con un atto politico. I numeri a Palazzo Madama ci sono e l' Italia non ha bisogno di martiri.

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

Venezuela - Gli Stati Uniti devono finirla di intromettersi nella politica interna di un paese Sovrano

Noam Chomsky e altri 70 accademici condannano il colpo di stato degli Stati Uniti contro il Venezuela


Il professor emerito Noam Chomsky, il co-direttore del Centro per la ricerca economica e politica del MIT, Mark Weisbrot; e altri 68 studiosi hanno pubblicato una lettera aperta giovedì chiedendo che il governo degli Stati Uniti non interferisca negli affari interni del Venezuela. La riporta Telesur.
"Il governo degli Stati Uniti deve cessare di interferire nella politica interna del Venezuela, specialmente nell’intento di rovesciare il governo del paese. Le azioni dell'Amministrazione Trump e dei suoi alleati nell'emisfero peggioreranno la situazione in Venezuela, portando a inutili sofferenze, violenze e instabilità umane ", si legge nella lettera aperta.

Gli intellettuali interessati hanno inoltre spiegato che la strategia degli Stati Uniti contro il presidente Nicolas Maduro potrebbe facilmente scatenare azioni violente, che molto probabilmente aumenterebbero la polarizzazione tra gli attori politici venezuelani. "La polarizzazione si è approfondita negli ultimi anni. Ciò è in parte dovuto al sostegno degli Stati Uniti a una strategia di opposizione volta a rimuovere il governo di Nicolas Maduro attraverso mezzi extra-elettorali ... Il sostegno degli Stati Uniti ha appoggiato i settori dell'opposizione intransigenti nel loro obiettivo di estromettere il governo Maduro attraverso proteste spesso violente, un colpo di stato militare o altre vie che eludono l'urna. "

Il sostegno diretto di Washington al tentativo di colpo di stato contro il presidente venezuelano Nicolas Maduro mercoledì non è il primo intervento del genere, poiché gli Stati Uniti hanno una lunga storia di colpi di stato. Oltre ad affermare che le sanzioni del presidente Donald Trump contro il Venezuela hanno aggravato l'iperinflazione del paese, la penuria di cibo e medicine, una diminuzione della produzione petrolifera e la recessione economica, la lettera aperta critica gli attori internazionali che continuano a sostenere il tentativo di colpo degli Stati Uniti, un'azione che probabilmente causare spargimenti di sangue, caos e instabilità.

"Ora gli Stati Uniti e i loro alleati, tra cui il segretario generale dell'OAS Luis Almagro e il presidente di estrema destra del Brasile, Jair Bolsonaro, hanno spinto il Venezuela nel precipizio. Riconoscendo il presidente dell'Assemblea nazionale Juan Guaido come nuovo presidente del Venezuela - qualcosa di illegale secondo la Carta dell'OAS - l'amministrazione Trump ha accelerato bruscamente la crisi politica del Venezuela nella speranza di dividere l'esercito venezuelano e ulteriormente polarizzare la popolazione, costringendoli a scegliere le parti. L'obiettivo ovvio, e talvolta dichiarato, è di buttare giù Maduro attraverso un colpo di stato ".

Per concludere, la lettera aperta chiede che la comunità internazionale sostenga i negoziati tra il governo venezuelano e i suoi oppositori allo scopo di trovare soluzioni praticabili agli attuali problemi politici ed economici del paese.

"Nessuna delle due parti in Venezuela può semplicemente sconfiggere l'altra. I militari, ad esempio, hanno almeno 235.000 membri in prima linea e almeno 1,6 milioni nelle milizie. Molte di queste persone combatteranno, non solo sulla base di una credenza nella sovranità nazionale ... ma anche per proteggersi dalla probabile repressione se l'opposizione rovescia il governo con la forza. In tali situazioni, l'unica soluzione è un accordo negoziato ".

La chiamata è fatta "per il popolo venezuelano, la regione e per il principio di sovranità nazionale", si legge nella lettera aperta.

Notizia del: 26/01/2019

Patrizia Cecconi - Auschwitz in Palestina - Gaza la prigione a cielo aperto - gli ebrei nelle terre dei palestinesi sono un cancro da estirpare

Israele si accanisce contro gli ospedali per fermare la Marcia del ritorno

25.01.2019 - Patrizia Cecconi

(Foto di Paolo Loreto)

Cosa passerà per la mente del primo ministro israeliano in vista delle prossime elezioni è difficile da capire. Ci si chiede se Netanyahu debba mostrare il volto più fascista e feroce contro i palestinesi per assecondare il suo elettorato facendosi perdonare le denunce per frode che stavano per disarcionarlo, oppure se, come sostengono alcuni analisti, sta cercando di indebolire Hamas in accordo più o meno tacito con l’autorità di Ramallah, utilizzando cinicamente la parte più debole della popolazione gazawa.

Che l’assedio della Striscia sia illegale è stato più volte stabilito dal diritto internazionale ma questo Israele può benissimo ignorarlo perché ha sempre a sua disposizione il manto del passato olocausto per coprire i suoi pluridecennali e quotidianamente reiterati crimini. Nessuna sanzione ha mai fatto seguito agli ammonimenti e quindi lo Stato ebraico seguita ad alzare il tiro.

La Striscia di Gaza, sotto illegale assedio da 12 anni, alcuni giorni fa è stata nuovamente privata anche dei fondi del Qatar (nonostante i precedenti accordi) per mandare avanti gli ospedali e per pagare gli impiegati ormai ridotti alla fame.

Ma è ormai chiaro che Israele non vuole uccidere definitivamente Gaza, è troppo comodo strangolarla lentamente e intanto usarla come laboratorio per le proprie armi e non solo. E’ troppo comodo stringere e allentare il passaggio merci a proprio vantaggio e intascare, indirettamente, i sussidi ottenuti dai gazawi e spesi per l’acquisto di merci israeliane, quelle che Israele decide di far entrare, ovviamente.

Ormai la crisi degli ospedali, privati del carburante per mandare avanti le incubatrici, le sale operatorie e tutti i servizi di emergenza si è fatta ancor più tragica dei mesi scorsi. Gli ospedali che non hanno ancora chiuso si stanno organizzando accorpando i pazienti e dividendosi le ultime gocce di petrolio per evitare che i malati in dialisi o i bimbi in incubatrice finiscano la loro vita grazie all’assediante il quale non verrà sanzionato dalle Istituzioni internazionali neanche per questo crimine.

“I malati più gravi moriranno”, denuncia il portavoce del Ministero della Salute e i medici gli fanno eco in modo accorato chiedendo al mondo di intervenire per evitare questa ulteriore crudeltà usata come ricatto per bloccare la Grande marcia del venerdì che seguita a chiedere, semplicemente, il rispetto della legalità internazionale, quali diritto al ritorno sancito dalla Risoluzione 194 e fine dell’illegale assedio.

Oggettivamente, questo mettere al centro del ricatto la vita dei neonati e dei malati è politicamente riprovevole e umanamente disgustoso. In questo mondo che va sempre più imbarbarendosi si rischia di trascurare che certi crimini hanno quella matrice nazista che Primo Levi invitava a non dimenticare affinché si potesse affermare “mai più”.

Il Qatar, che in quanto a democrazia certamente non ha da dare buoni esempi, è tuttavia intervenuto per fornire aiuti umanitari, quegli aiuti che hanno sempre un prezzo, ma che ora salverebbero molti malati, ma Israele ha utilizzato anche questi finanziamenti in modo ricattatorio: facendoli passare solo a patto che la marcia del ritorno venisse fermata. In questi giorni l’ambasciatore qatariota si è incontrato più volte con i vertici di Hamas per trovare gli accordi che Israele impone affinché possa passare il carburante per gli ospedali. Ma le autorità di Hamas, sebbene questo sia il partito che governa la Striscia, non hanno la possibilità di decidere da sole. Hamas è in un cul de sac, se accetta ha contro lo zoccolo duro della resistenza, se non accetta sale il malcontento della popolazione strozzata dall’assedio ma che rivolgerebbe il proprio malessere anche verso i governanti. Copione sperimentato in varie parti del mondo dalla sempre attivissima CIA per esempio e non solo da Israele.

Oggi, 44° venerdì della grande marcia, si gioca una mossa importante. Già un paio di mesi fa l’ambasciatore del Qatar venne cacciato a sassate dalla manifestazione al border, dove si era presentato convinto di ottenere ossequi per aver avviato trattative con Israele che avrebbero allentato lo strangolamento della Striscia. In questi ultimi giorni Mohammad Al Emadi si è presentato altre due volte per offrire i servigi del proprio Paese cercando una soluzione possibile, ma Hamas ha comunicato ufficialmente il rifiuto di “farsi pedina nelle elezioni israeliane” e di vedere Gaza usata come pegno nel ricatto imposto da Netanyhau il quale non ha rispettato i termini dell’accordo di novembre per il passaggio dei fondi del Qatar. Quindi il Qatar, ponendosi al tempo stesso come sostenitore del popolo di Gaza e come mediatore con Israele è a sua volta sotto ricatto dello Stato ebraico: potrà dare i fondi a Gaza ma solo sotto le condizioni imposte.

“Gaza non striscia” diceva uno slogan gazawo alcuni mesi fa, quando appunto di prospettavano “regali” a patto che smettesse di chiedere il rispetto dei suoi diritti. E oggi, che il copione si è riproposto con il crudele, immorale ricatto giocato sulla vita degli ospedali e quindi dei neonati e dei malati, la grande marcia ha come parola d’ordine “il crimine dell’assedio non passerà” e a chi ancora non è riuscito a capire che la grande marcia non è di Hamas ma del popolo gazawo in mezzo al quale c’è “anche” Hamas, dovrebbero essere di aiuto le parole del partito della Jihad: “Coloro che conoscono Israele sanno che a Gaza Israele lascia solo due opzioni, o arrendersi o alla guerra, e Gaza sceglierà di non arrendersi dando anche la propria vita”. Il comunicato del portavoce della Jihad spiega che Israele non ha intenzione di togliere l’assedio e vuole una Gaza disarmata, ma Gaza vuole la propria autodeterminazione e non vuole vivere sotto assedio.

In conclusione, oggi si prevede un’altra giornata di sangue, a meno che l’inviato del Qatar non sia riuscito a convincere Israele che i gazawi, benché ridottisi come numero di manifestanti, non cederanno mai e seguiteranno a rivendicare i propri diritti nonostante i tanti ricatti e, forse, con maggior determinazione dopo il ricatto particolarmente ignobile giocato sulle vite dei malati. Per questo oggi sarà importante per capire se la determinazione di chi seguita a rischiare la morte per la libertà avrà fatto compiere un passo avanti, magari piccolo, verso la fine dell’assedio, o se i cecchini israeliani renderanno ancor più drammatica la situazione degli ospedali della Striscia di Gaza.

Fuori gli smartphone dalle scuole

Proteggiamo i giovani da “influenze virtuali” che alterano il senso della realtà

Maurizio Blondet 24 Gennaio 2019 
di Simonetta Badini

La generazione “social friendly”, eternamente connessa sin dalla più tenera età, conosce a menadito gli strumenti comunicativi che “linkano” il mondo contemporaneo. Network che permettono di scovare chiunque, giungere ovunque, e interfacciarsi con i tanto amati “vip”. Le piattaforme più in voga, oggi, sono quelle che privilegiano le immagini al testo, che danno preminenza all’apparenza rispetto a contenuti concettuali. Non a caso il social più diffusamente apprezzato è “Instagram”.
Attraverso detta piattaforma, ognuno può esporre attimi della propria quotidianità, sperando che gli “spettatori”, ovvero i propri follower, ne abbiano contezza immediata e costante, in un arco temporale indefinito, volto a legare saldamente le emozioni di ognuno al giudizio dei propri “seguaci” digitali.
Un giudizio che pesa inesorabilmente sulla propria autostima, come una “spada di Damocle”, sempre vigile e in agguato, inflessibile, prontamente disposta a commentare.
Il rischio del contraddittorio è altissimo e, di questi tempi, è meglio non esporsi al pericolo, per non ledere la propria ben confezionata “parvenza”. Ed ecco che le immagini più ricorrenti sono allora bellissimi paesaggi, piatti succulenti che stimolano sensazioni di piacere, selfie di ogni sorta, tutto rigorosamente articolato e teso alla perfezione, per non alimentare contrasti. Le giovani leve, dunque, si “espongono” principalmente al fine di captare condivisione, compiacimento, esaltazione. Quella approvazione quasi “scontata” , di cui si intuiscono gli esiti addirittura ex ante, già prima della pubblicazione delle proprie “storie”, così si definiscono i “web tale” che parlano di sé, in gergo telematico. Ci si immortala in uno spazio-community virtuale non con l’intento di esprimere libere e sentite opinioni, ma principalmente per ricevere positivi feedback e incrementare i propri “like”.
Una sorta di “politically correct” nella gestione del proprio ego, conformato alla omogeneizzazione del “pensiero unico” standardizzante.
Si tratta di storie fugaci, “usa e getta”, che passano in men che non si dica, tenendo sempre alta l’adrenalina dei protagonisti, nel vortice infinito di un apparire sconfinato.
In questo contesto illimitato e immensamente debordante si insinuano i guru del web marketing, che usano tali canali per dettare nuovi modelli, promuovendo se stessi e i brand che intendono sponsorizzare. Si tratta dei “fashion influencer”, testimonial con milioni di follower che cercano di “catturare” le attenzioni attraverso i loro “post”.
Post che spesso contengono outfit o momenti di vita quotidiana, tutti all’insegna dello sfoggio della bellezza, della perfezione, del benessere, del lusso. I “fashion influencer” rappresentano sicuramente la tendenza più cool del momento, divenendo veri e propri “esempi” per gli adolescenti, che si identificano in quelle “fantastiche” realtà: invidiabili, fatte di piaceri smisurati e opulenza.
Questi nuovi “eroi mediatici” sono spesso entità che dal nulla, in tempi molto celeri, diventano popolarissimi, raggiungendo successi inusitati, che tutti ambiscono a emulare.
Il loro appeal sta proprio nel fantastico mondo che divulgano, mostrando ed esibendo le loro vite, le loro splendide case, ostentando esistenze fatte di sfarzi di ogni genere.
Famiglie “fantasy” che diventano riferimento per i più giovani, affascinati dal loro status, i quali si rendono estremamente disponibili ad assorbire ogni messaggio proveniente da quel mondo.
I social, dunque, diventano strumenti strategici di “indottrinamento”, riuscendo con estrema duttilità a penetrare le menti più vulnerabili e permeabili di milioni di ragazzi, sedotti da quelle esistenze edulcorate, distanti anni luce dagli ordinari problemi della “normalità”, dalle inevitabili sofferenze umane, dalla realtà.
Un vivere parallelo, quindi, che allontana dalle responsabilità, dalla socializzazione “in carne e ossa”, creando atomi “autopoietici”, fluidi, individualistici, il cui fine primo è il personale illimitato benessere, spesso appagato da acquisti compulsivi, da ogni forma di piacere “tout-court”.
Una generazione plasmata, “fantasiosamente modificata”, che ha sicuramente bisogno di “nuove cure”, di quegli antidoti valoriali ed etici in grado di ricondurre gli animi a una dimensione più sostenibile, moralmente accettabile, superando quei condizionamenti, subdolamente trasfusi, che impediscono scelte libere e consapevoli.


Solo degli IMBECILLI come quelli del M5S, tipo Paragone, possono votare si all'autorizzazione a procedere contro la politica dell'INTERO governo decretato dal Partito dei Giudici di Catania ordinatagli dal Sistema massonico mafioso politico

zitti

Maurizio Blondet 24 Gennaio 2019 


(Non si fa a tempo a criticare Salvini, che i suoi nemici ti dimostrano di essere peggiori di lui – e davvero infinitamente pericolosi per la democrazia )

….
Fu la procura di Agrigento, quando la nave era finalmente arrivata a Catania ma senza ancora poter fare sbarcare i 177, ad aprire un’inchiesta e a indagare il ministro dell’Interno. Gli atti, per competenza, finirono a Palermo dove la procura, nel trasmettere gli atti al tribunale dei ministri del capoluogo della Sicilia, ridimensionò le accuse. A sua volta, il tribunale dei ministri di Palermo si spogliò del caso ritenendosi incompetente. Così, il fascicolo finì a Catania dove la procura, nello scorso novembre, chiese al tribunale dei ministri etneo l’archiviazione …..

Che cosa fantastica… se le questioni riguardano Salvini o un leghista ecco che si procede anche se IL PROCURATORE CHIEDE L’ARCHIVIAZIONE. Ho già visto questo modus operandi… 

#SalviniNonMollare (Claudio Borghi)
L’ONG che sta puntando verso l’Italia, proprio in concomitanza della richiesta a procedere nei confronti di @matteosalvinimi , non può essere un caso.
Si sono coordinati.
Tra l’altro questo accade il giorno dopo che #Salvini ha annunciato di avere le prove del legame tra ONG e scafisti.
#SalviniNonMollare



Guido Maria Salerno - In Italia c'è un'enclave composta da euroimbecilli che tifano per essere colonizzati dalla Francia. Chiamarli traditori è dire poco, si sono venduti più o meno per un piatto di lenticchie (Legion d'Onore)

Bnl, Tim, Parmalat, Luxottica. Tutti gli assi della lobby francese in Italia

26 gennaio 2019


Da Bnl-Bnp Paribas a Tim, da Parmalat a Luxottica passando per Stm. Ecco gli assi francesi in Italia. L’approfondimento dell’editorialista Guido Salerno Aletta fra cronaca, storia, politica, industria e finanza

Parliamone pure, perché non è un segreto. Una lobby francese in Italia c’è, eccome. I collegamenti sono tanti, innanzitutto di tipo personale. Basta scorrere l’elenco dei tanti personaggi, soprattutto politici, che negli ultimi anni sono stati insigniti della Legion d’Onore e leggerne le rispettive motivazioni. Queste, pur nelle diverse espressioni verbali, possono essere raggruppate in due categorie ben distinte, in quanto individuano altrettanti orientamenti ed ideali: da una parte ci sono coloro che si iscrivono nella ampia tradizione laico-socialista e della sinistra democratica, e dei quali viene riconosciuta la particolare vicinanza alla Francia: per aver contribuito al miglioramento delle relazioni tra i due Paesi; per l’amicizia dimostrata alla Francia; per i forti legami intrattenuti durante il suo incarico di Ministro con la Francia; per l’impegno a favore di una sempre più stretta collaborazione con la Francia nel campo della Difesa. Addirittura, in un caso, per conclamata “francofilia”.

IL CASO DELLE LEGION D’ONORE

La seconda categoria comprende coloro che sono stati insigniti della Legion d’Onore in quanto condividono l’ideale europeista: hanno una spiccata matrice cattolica, o radicale. In questo caso, le motivazioni riconoscono: la militante europea; la volontà di costruire un’Europa comune; il sincero europeista che lotta per l’Europa; l’Europeo convinto, economista brillante e politico al servizio dello Stato. Amici tout court della Francia, oppure amici della Francia che condividono il comune ideale europeo.

LOBBY E NON SOLO

Non c’è, ovviamente, solo una lobby francese: c’è, e da lunga pezza, quella che si tiene per mano con la Gran Bretagna, che risale in Sicilia addirittura ai tempi della presenza inglese volta ad impedire il controllo dell’Isola da parte di Napoleone Bonaparte. C’è poi quella filo-tedesca. L’ultima ad essersi formata, in termini storici, è quella filo Atlantica. I collegamenti italiani con il mondo della finanza, di volta in volta francese, inglese, tedesca o americana, sono ovviamente ben altra cosa, dacché seguono filoni propri. Ci si muove dunque in una sorta di quadrilatero delle forze, in perenne movimento.

I LEGAMI STORICO ITALIA-FRANCIA

I legami italiani con Parigi si tessono ai tempi delle campagne napoleoniche e si consolidano con la liberazione del Lombardo Veneto dall’impero Austroungarico. Durarono fino alla svolta di Cavour, che fece partecipare il Regno di Savoia alla guerra di Crimea: occorreva impedire alla Russia di entrare nel Mediterraneo, questo era l’obiettivo inglese, per poi togliere di mezzo i Borboni che regnavano sulle Due Sicilie, dacché ospitavano nei loro porti la flotta dell’impero zarista. I legami con la Germania nascono dopo, in occasione della guerra franco-prussiana del 1870: la sconfitta di Parigi le impedì di difendere Roma dall’ingresso dei Savoia. Subentra la Germania, come potenza di riferimento, perché l’Inghilterra molla la presa sull’Europa per dedicarsi alla cura dell’Impero ed in particolare dell’India, lasciando così spazio ai capitali tedeschi che ebbero gran ruolo nello sviluppo dell’economia italiana nell’ultimo quarto dell’800 e fino allo scoccare della Prima guerra mondiale.

IL RUOLO DI NAPOLEONE

Detto chiaramente: Bonaparte non aveva in mente l’unificazione dell’Italia, ma solo l’estromissione delle altre Potenze e la formazioni di tanti piccoli Regni da assegnare ai suoi familiari. Lo stesso fu per Napoleone III: difendere il Papato, ma soprattutto lo Stato Pontificio, significava impedire la Unificazione. Ancora oggi, per la Francia, l’Italia è fatta di pezzi e bocconi, un tempo territoriali, ora industriali o finanziari, che servono a dare consistenza alla sua dinamica imperiale.

ESPANSIONE PER ACQUISIZIONI

È una espansione che si compie per acquisizioni. Un modello completamente diverso rispetto a quello della Germania, che si estende per contiguità e propaggini territoriali attraverso la integrazione produttiva e finanziaria. Quella del Veneto, così come di alcune provincie lombarde della Lombardia, segnatamente Bergamo e Brescia, con il sistema industriale della Germania meridionale, ed in particolare della Baviera, non ha niente a che vedere con il modo di operare francese, che in Italia acquisisce soprattutto grandi imprese aziende, per fare volumi.

I RECENTI CASI ITALIA-FRANCIA

Ormai da diversi anni non ci sono più grandi sortite industriali di iniziativa italiana in Francia, che rappresenterebbero una sorta di innervatura geoeconomica: la recente vicenda Fincantieri-Stx, rara avis, con tutte le difficoltà ancora in corso, lo dimostra ampiamente. Sono i gruppi francesi, invece, che hanno messo a segno continue acquisizioni: dalla Bnl alla Montedison, da Parmalat a Mediaset, fino a Tim. La presenza positiva nella grande distribuzione commerciale è altrettanto ben nota, da Carrefour a Auchan. Le combinazioni più significative sono quelle in STMicroelecronics e fra Luxottica ed Essilor.

GLI ASSI STRATEGICI DELLA LOBBY FRANCESE IN ITALIA

Gli assi strategici della lobby francese in Italia sono dunque due: da una parte sostiene direttamente l’amicizia tra i due Paesi e dall’altra è indirizzato alla realizzazione del comune ideale europeo. Sempre due sono le tipologie di intervento in capo economico: quello finanziario di alto livello gravita storicamente attorno a Milano, non disdegna l’ambizione di acquisire una qualche influenza su Trieste, e recentemente si è sviluppato soprattutto nel segmento della raccolta e gestione di risparmio. L’interesse per le nostre imprese è ben dimostrato dalla presenza dei capitali francesi che nel complesso arrivano a detenere il 10% delle quotate nella Borsa italiana. Il rammentato ingresso nel controllo di grandi imprese non ha avuto sempre entusiasmanti successi. Le lobby servono; ma comprare, molto spesso, non basta.

Sistema Bancario - le banche danno le nostre informazioni ad aziende terze che ci possono dare servizi e prodotti ma che comunque condividono i nostri dati. Salta il rapporto fiduciario tra risparmiatore e banca e diventa rapporto tra risparmiatore e un Sistema. Un Insieme estrae i dati personali da cui ricava il profilo psicologico soggettivo e può agire preventivamente per influenzare le scelte di spesa, il come, il dove, il quanto e il quando. Scippano il nostro libero arbitrio

DOCUMENTO RISERVATO. Bankitalia alle banche: mettete a disposizione di fintech e Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon) i dati dei vostri clienti

26 gennaio 2019


Ecco che cosa ha scritto Banca d’Italia agli intermediari finanziari per attuare l’applicazione della direttiva europea Psd2 che rivoluzionerà il sistema dei pagamenti

Bankitalia accelera sull’attuazione della direttiva europea Psd2, a poco più di un anno dall’entrata in vigore (era il 13 gennaio 2018).

Entra sempre più nel vivo, dunque, l’applicazione della direttiva Psd2 che rivoluzionerà il sistema dei pagamenti.

LE NOVITA’ DELLA DIRETTIVA EUROPEA PSD2

A livello bancario la novità più importante della Psd2 è l’apertura delle cosiddette Api (“Application programming interfaces”) di esposizione e accesso alle informazioni bancarie. Questo aspetto favorisce, infatti, la creazione di nuovi player in grado di sfruttarne il valore, anche in campi diversi da quello strettamente bancario.

CHE COSA SONO GLI AISP E I PISP

Si tratta, in particolare, dei nuovi intermediari dei dati, gli Aisp (“Account information service provider”) che potranno estrarre i dati del conto del cliente per sviluppare nuovi servizi, come quello del profilo di rischio o del merito di credito. E dei Pisp (“Payment initiation service provider”) che avranno il diritto di dare inizio al processo di pagamento verso qualsiasi beneficiario addebitando direttamente sul conto corrente del cliente. I primi a trarne profitto saranno naturalmente le aziende Fintech e in prospettiva anche i Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon). (Lunedì 28 gennaio Start Magazine pubblicherà un’inchiesta approfondita di Alessandro Sperandio sul tema)

COME CAMBIANO LE COMMISSIONI

Per i consumatori la Psd2 consente, invece, un taglio degli extra-costi nelle transazioni con carte di credito o di debito, sia online sia nei negozi. Per l’Italia il governo ha deciso che per i pagamenti tramite carta di debito e prepagata “la commissione interbancaria per ogni operazione di pagamento non può essere superiore allo 0,2% del valore dell’operazione stessa”. Mentre per le operazioni tramite carta di credito “la commissione interbancaria per operazione non può essere superiore allo 0,3% del valore dell’operazione”.

IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA

E’ comunque la Banca d’Italia l’istituzione pivot da questo punto di vista. Per questo, nel solco della direttiva Ue, la Banca centrale nei giorni scorsi ha inviato agli intermediari finanziari, in primis le banche, una comunicazione che ha per oggetto: “Psd2 – accesso ai conti: istruzioni per il procedimento amministrativo di esenzione dall’obbligo di realizzare procedure di contingency (“fall-back solutions”)”, come ha svelato giorni fa Start Magazine.

ECCO LA COMUNICAZIONE INVIATA DALLA BANCA D’ITALIA

L’Istituto centrale governato da Ignazio Visco chiede in sostanza alle banche di conoscere in anticipo i loro piani per mettersi in regola con la direttiva.

Entro il 14 marzo le banche dovranno essere pronte a esporre in ambiente di collaudo le Api, le applicazioni che permetteranno a terzi di effettuare test sui servizi obbligatori di “inizializzazione dei pagamenti” e richieste di informativa sul conto dei clienti.

GLI OBIETTIVI DELL’ACCELERAZIONE

Obiettivo? Essere pronte per il 14 settembre a gestire le richieste dei nuovi soggetti pronti a entrare in campo, in particolare società fintech ma anche i colossi Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon).

L’accelerazione dello sviluppo dell’open banking facendo leva su soluzioni Api e sulla possibilità di offrire alla clientela prodotti e servizi sviluppati da terze parti sarà una delle conseguenze della direttiva.

LO SCENARIO PER FINTECH E GAFA

In sostanza, il prossimo passo della direttiva comporta la possibilità per società Fintech, Google, Apple, Facebook e Amazon di aver accesso ai dati dei clienti bancari per sviluppare proposte finanziarie ad hoc senza per questo diventare a tutti gli effetti delle banche, quindi senza una vera e propria licenza bancaria rilasciata dalla Banca d’Italia.

IL SUCCO DELLA COMUNICAZIONE DI BANKITALIA

Nella comunicazione riservata inviata da Palazzo Koch agli intermediari finanziari da un lato si forniscono alcuni chiarimenti su “Processi e protocolli di pagamento sicuri per le imprese” e dall’altro si indicano le procedure per “le esenzioni dal requisito di autenticazione forte del cliente per gli intermediari che prestino servizi di pagamento avvalendosi di processi o protocolli dedicati ai pagamenti corporate”.

Nei prossimi giorni su Start Magazine proseguiremo a seguire il tema con articoli, approfondimenti e interventi

ECCO UN ESTRATTO DELLA COMUNICAZIONE INVIATA DALLA BANCA D’ITALIA AGLI INTERMEDIARI FINANZIARI

PSD2 – accesso ai conti: istruzioni per il procedimento amministrativo di esenzione dall’obbligo di realizzare procedure di contingency (“fall-back solutions”).

Il Regolamento delegato 2018/389 della Commissione Europea del 27 novembre 2017, che integra la direttiva (UE) 2015/2366 (PSD2) per quanto riguarda le norme tecniche per l’autenticazione forte del cliente e gli standard aperti di comunicazione (nel seguito RTS), prevede che tutti i prestatori di servizi di pagamento che detengono conti accessibili online (Account Servicing Payment Service Providers o ASPSP) predispongano, entro il 14 settembre 2019, un’interfaccia di accesso per consentire a terze parti (Third Party Providers o TPP) di svolgere la propria attività.

Tale obbligo è volto a garantire un canale sicuro di autenticazione e comunicazione tra l’ASPSP e il TPP e può essere alternativamente soddisfatto attraverso:

a) la realizzazione ex novo di un’interfaccia online dedicata all’accesso dei TPP;

b) l’adattamento di interfacce già disponibili ai clienti per accedere direttamente ai propri conti di pagamento online.

In caso di adozione dell’interfaccia dedicata (opzione sub a), gli RTS impongono all’ASPSP di assicurare ai TPP l’accesso ai conti anche attraverso un meccanismo alternativo (cd. soluzione di fall-back, cfr. art. 33 par.4), da utilizzare in caso di indisponibilità o di prestazioni inadeguate dell’interfaccia dedicata. Ai sensi dell’art. 33, par. 6 degli RTS, la Banca d’Italia può esentare gli ASPSP dall’obbligo di realizzare questa interfaccia di fall-back se sono soddisfatte le condizioni previste dal medesimo articolo.

La Banca d’Italia intende adottare un termine per la conclusione del procedimento amministrativo su istanza di parte per l’esenzione dalla soluzione di fall-back inferiore a quello ordinariamente previsto dal Regolamento della Banca d’Italia del 25 giugno 2008 e successive modifiche (indicativamente 45 giorni).

Gli RTS prevedono che gli ASPSP rendano disponibili le interfacce dedicate, a fini di test, al più tardi entro il 14 marzo 2019, e siano in grado di dimostrare che le interfacce siano state “ampiamente utilizzate”, in ambiente di produzione, per almeno 3 mesi prima di poter avanzare l’istanza di esenzione dalla soluzione di fall-back.

Per poter rispettare tali tempistiche stringenti, prevedendo anche sufficiente margine di tempo per permettere alla Banca d’Italia l’esame delle istanze, è necessario che i test di funzionalità delle interfacce siano avviati con tempestività, preferibilmente entro i primi giorni del mese di febbraio, e che le interfacce siano messe in esercizio entro il primo giugno.

Al fine di agevolare l’esame della documentazione, è stata predisposta la modulistica allegata, che consente di armonizzare e rappresentare in forma sintetica le informazioni richieste e che andrà inviata in più fasi (cfr. infra Domande di esenzione dalla soluzione di fall-back).

Secondo quanto previsto dalla Circ. n. 285 “Disposizioni di vigilanza per le banche” del 17 dicembre 2013 e dalle “Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica” in materia di esternalizzazione di funzioni operative importanti, gli intermediari che intendono ricorrere a soluzioni di soggetti terzi per l’accesso ai conti sono tenuti ad inviare alla Banca d’Italia una comunicazione preventiva. A questo fine, per gli intermediari che aderiscono a una piattaforma multi-operatore offerta dal mercato e sorvegliata ai sensi dell’Art. 146 del TUB, la comunicazione è effettuata con la trasmissione delle informazioni di cui alla Parte 1 – Informazioni sull’interfaccia dedicata, come specificate di seguito, purché la piattaforma abbia comunicato agli aderenti di aver fornito alla funzione di Sorveglianza sul sistema dei pagamenti della Banca d’Italia ex Art. 146 del TUB le informazioni necessarie a valutarne la conformità al quadro normativo. Questi intermediari attestano il rispetto delle condizioni previste dalle disposizioni di vigilanza applicabili e, ove previsto, presentano l’analisi dei rischi entro il 14 marzo 2019, in contemporanea con l’invio del primo modulo di documentazione previsto per la richiesta di esenzione.

Al fine di disporre di una ricognizione completa delle scelte operate in merito alle opzioni di realizzazione della interfaccia di accesso online per i TPP, si richiede a tutti gli intermediari ASPSP di comunicare la scelta effettuata completando e inviando il modulo “Informazioni di carattere generale” (cfr. “Questionario – Allegato 1”), attraverso la piattaforma INFOSTAT, seguendo le istruzioni fornite, entro e non oltre il 15 gennaio 2019.

Infine, con la presente comunicazione si forniscono alcuni chiarimenti sull’applicazione dell’articolo 17 dell’RTS “Processi e protocolli di pagamento sicuri per le imprese”, con riferimento alle esenzioni dal requisito di autenticazione forte del cliente per gli intermediari che prestino servizi di pagamento avvalendosi di processi o protocolli dedicati ai pagamenti “corporate” (cfr. infra Esenzioni dall’autenticazione forte del cliente per i pagamenti corporate).

Domande di esenzione dalla soluzione di fall-back

Le domande di esenzione dalla realizzazione della soluzione di fall-back andranno inviate secondo le seguenti modalità e tempistiche:

1) Parte 1 – INFORMAZIONI SULL’INTERFACCIA DEDICATA (cfr “Questionario – Allegato 2”): vanno forniti i dettagli, previsti dagli orientamenti dell’ABE, relativi alle soluzioni adottate. Il modulo compilato va inoltrato non appena le informazioni in esso richieste sono disponibili e comunque non oltre la data del 14 marzo 2019. Ai fini della comunicazione preventiva per l’esternalizzazione di funzioni operative importanti, gli intermediari che aderiscono a una piattaforma multi-operatore offerta dal mercato e sorvegliata ai sensi dell’Art. 146 del TUB attestano il rispetto delle condizioni previste dalle disposizioni di vigilanza in materia di esternalizzazione di funzioni operative importanti. Le banche presentano l’analisi dei rischi prevista dalla Circ. n. 285 “Disposizioni di vigilanza per le banche” del 17 dicembre 2013, sempre entro il termine del 14 marzo, secondo le consuete modalità;

2) Parte 2 – INFORMAZIONI SUI TEST E SUGLI STRESS TEST (cfr. “Questionario – Allegato 3“): vanno fornite evidenze circa il risultato degli stress test e dei test di funzionalità previsti dall’articolo 30(5) dell’RTS; va inoltre confermato l’avvio in esercizio, al più tardi entro il primo giugno, delle interfacce dedicate. Il modulo va inviato entro la data del 14 giugno 2019;

3) Parte 3 – UTILIZZO DELLE INTERFACCE DEDICATE (cfr “Questionario – Allegato 4”): vanno inviate le evidenze conclusive circa il requisito, previsto dagli orientamenti ABE (par.7), di ampio utilizzo delle interfacce dedicate. Tale documentazione va inoltrata non appena disponibile e comunque non oltre il primo agosto 2019. Tale ultimo invio di documentazione costituisce l’atto formale di presentazione dell’istanza di esenzione. Se le evidenze sul requisito di utilizzo presentate in tale fase si riferiscono a un periodo inferiore ai tre mesi previsti dall’RTS, l’intermediario fornirà un aggiornamento di tale documentazione, al più tardi durante i primi giorni di settembre, solo nel caso in cui siano emersi problemi, o elementi di rilevante novità, nell’utilizzo dell’interfaccia non già evidenziati.

Le istanze, sottoscritte dal legale rappresentante, vanno presentate dalle capogruppo di gruppi bancari (per conto proprio e di tutti i prestatori di servizi di pagamento appartenenti al gruppo aventi sede in Italia), dalle banche individuali non appartenenti a gruppi, dalle succursali di banche extracomunitarie, dagli Istituti di Pagamento e dagli IMEL non appartenenti a gruppi bancari. Gli intermediari italiani inclusi nella vigilanza consolidata di una banca o società di partecipazione finanziaria (mista) madre nell’UE nonché le capogruppo di gruppi bancari che abbiano filiazioni in altri Stati membri dell’UE specificano nella prima parte dell’istanza se analoga richiesta è stata o sarà presentata per la stessa interfaccia dedicata ad altre autorità, indicandone il nome.

Le istanze andranno inviate via PEC alla casella RIV@pec.bancaditalia.it e recheranno nell’oggetto il codice abi dell’intermediario, la dizione “esenzione dalla soluzione di fallback” e la parte della modulistica in esse contenuta (parte 1,2,3). La Banca d’Italia prenderà in considerazione, oltre alle informazioni prodotte, le informazioni rese disponibili dalle piattaforme multi-operatore e ogni altro dato a propria disposizione; essa si riserva inoltre di richiedere qualsiasi chiarimento o informazione necessari alla finalizzazione dell’istanza.

Esenzioni dall’autenticazione forte del cliente per i pagamenti corporate In base all’articolo 17 dell’RTS, ai prestatori di servizi di pagamento è consentito non applicare l’autenticazione forte del cliente (Strong Customer Authentication o SCA) nei confronti di clientela corporate, se utilizzano processi o protocolli di pagamento dedicati – resi disponibili unicamente a clienti diversi dai consumatori – nel caso in cui le autorità abbiano accertato che tali processi o protocolli garantiscano i livelli di sicurezza previsti dalla direttiva PSD2.

Al riguardo, sulla base di un approccio condiviso a livello europeo, si fa presente che per poter usufruire di tale esenzione è necessario che gli operatori rispettino tre criteri di carattere generale:

i) sia assicurato il monitoraggio delle transazioni; ii) i canali di comunicazione sicura siano conformi ai requisiti previsti in materia di crittografia, riservatezza e integrità delle credenziali di sicurezza personalizzate dei clienti; iii) siano applicati meccanismi di autenticazione sicura.

Le soluzioni adottate dovranno essere accuratamente descritte nell’ambito di un documento di valutazione del rischio operativo e di sicurezza, che dovrà essere inviato annualmente alla Banca d’Italia, secondo quanto previsto dagli Orientamenti ABE.

Ha ragione Salvini Sea Watch fa la tratta degli schiavi

La nave è territorio olandese e tutto quello che succede a bordo è di competenza dell'Olanda. Il tribunale dei minori di Catania non ha competenze su territori stranieri.

martelun

L'Unione Europea è un Progetto Criminale... e l'Euroimbecillità tutta è il suo braccio armato

La mostruosa potenza tassatrice della UE

Maurizio Blondet 23 Gennaio 2019 
di Roberto Pecchioli

(MB. Ho chiesto io questo articolo a Pecchioli, perché (vecchio dirigente di dogana) mi ha rivelato una cosa che non sapevo: che i dazi sulle merci importate non solo esistono ancora, ma li intasca non il Paese importato, bensì la UE. Essa intasca anche una quota dell’IVA sull’import. E’ il mezzo con cui Bruxelles si finanzia, diventando una potenza sovraoprdinata agli Stati, e impone le sue regole – odiosamente sbilanciate a favore degli interessi privati delle multinazionali, come spiega l’articolo. Esso è tecnico, ma il valore politico della cosa non deve sfuggire: fu con l’introduzione di una tassa “federale” che Alexander Hamilton, in segretario al TEsoro di George Washington, trasformò la lasca confederazione americana in uno stato fortemente centralizzato. Vero è che Hamilton non fece solo questo: assunse anche i debiti dei singoli stati a livello nazionale, accollandolo al governo centrale. Cosa che la Germania non vuole fare in Europa, il che rene questa UE una sistema dispotico e oppressivo).

Il potere reale, in ogni società, è esercitato da chi impone le tasse e fa rispettare le proprie leggi. Ne sanno qualcosa i connazionali che vivono e lavorano nelle zone controllate dalle mafie. L’Unione Europea riscuote tasse, possiede un corpus giuridico e attraverso i tribunali degli Stati membri e la sua Corte di Giustizia, le fa valere a mezzo miliardo di cittadini sudditi. Comunque la si giudichi, è un potere sovraordinato di cui gli Stati nazionali sono diventati un semplice strumento, esattore o braccio secolare.

La nostra convinzione è che viviamo nell’Europa delle tasse e delle sentenze. Dovremmo osservare che l’UE non si dà più neppure la pena di mascherare dietro procedure formali democratiche il proprio potere, che chiama acquis, ovvero patrimonio, “l’insieme delle determinazioni di natura normativa, politica e giurisprudenziale della Comunità adottate nelle varie fasi dell’integrazione europea, che i nuovi membri sono tenuti ad accettare al momento della loro adesione. “(Dizionario Giuridico Simone)

La più importante tassa che paghiamo all’UE sono i dazi doganaliall’importazione, che la lingua di legno di Bruxelles definisce “risorse proprie dell’UE”. Ciò significa che tutti i dazi riscossi vengono immediatamente versati su un conto dell’Unione, la quale, a fine esercizio, riconosce un modesto aggio allo Stato a copertura delle spese di riscossione (mantenimento dell’Agenzia delle Dogane, Guardia di Finanza, tribunali amministrativi). Una parte del costo finale dei prodotti di estera provenienza entra quindi direttamente alle casse comunitarie. Anche una quota rilevante dell’IVA sulle importazioni è di pertinenza del bilancio unionale.

Quanto alle accise, una volta imposte di consumo, sono tecnicamente fiscalità interna, ma la circolazione, il deposito e il transito dei prodotti è soggetto a vigilanza comunitaria e gli Stati non possono tassare la fabbricazione o il consumo di alcun prodotto diverso da quelli indicati a livello europeo: energia elettrica, gas, prodotti petroliferi, alcoli e tabacchi.

Un importante organo dell’Unione è l’OLAF, l’agenzia antifrode, uno dei cui compiti è vigilare ogni situazione in cui possano essere in pericolo i dazi. Il suo strumento tipico è l’INF-AM, informazione amministrativa, ricevuta la quale gli Stati devono attivarsi. Spesso le amministrazioni, per evitare accuse di inadempienza, eseguono revisioni dell’accertamento dei documenti del triennio precedente senza ulteriori istruttorie anche in presenza di informazioni non certe. Il risultato è l’emissione di atti con pesanti cartelle di pagamento e l’irrogazione di sanzioni amministrative contestate dagli interessati, che determinano frequenti sconfitte davanti agli organi giudiziari.

Le spese relative sono una tassa occulta a carico degli importatori e della stessa amministrazione, ma ce n’è un’altra che pesa su ogni contribuente: il dazio accertato in sede contenziosa, anche se non riscosso per vittoria di controparte o qualunque altra ragione, è comunque a bilancio dell’Unione. Pantalone paga, il banco vince sempre ed è sorprendente che la contabilizzazione deve avvenire entro 2 giorni dall’individuazione del presunto debito.

La Corte di Giustizia dell’Unione (CGUE) fa il resto con sentenze che favoriscono le lobby private e mettono in scacco gli erari nazionali. Una è la nota sentenza Beemsterboer (CGUE, C293/04 del 9 marzo 2006), ipergarantista nei confronti di chi presenta documenti all’importazione falsi o inesatti. In quei casi i dazi non possono essere recuperati se non si consegue la prova che chi li ha esibiti ne conoscesse l’irregolarità. Una decisione che determina grandi difficoltà probatorie la cui conseguenza è la mancata riscossione dei diritti.

Del resto, è attraverso sentenze della Corte relative ad imposte di consumo e tasse doganali che è stato imposto il primato del diritto comunitario su quello interno. Si iniziò negli anni 60, allorché, con la sentenza Costa contro Enel, la Corte dette ragione a un piccolo azionista della Edison, impresa elettrica nazionalizzata da primo governo di centrosinistra, che non volle pagare una bolletta di 1.925 lire. Le imposte di consumo rientravano nel Trattato di Roma che istituiva il Mercato Comune Europeo nel 1957, la sentenza della Corte Costituzionale italiana che affermava la competenza nazionale venne sconfessata. A fini storici, va rammentato che la nazionalizzazione dell’elettricità produsse un ingentissimo danno alle finanze pubbliche, ma fece la fortuna di uno degli operatori espropriati, la Società Idroelettrica Piemontese (SIP), che si trasformò in Società per l’Esercizio Telefonico e dominò quel mercato per decenni.

Anni dopo, la sentenza Granital della Corte Costituzionale (170/1984) e quella della CGUE Simmenthal contro Finanze, entrambe innescate da controversie tributarie doganali, riconobbero al giudice italiano il potere di disapplicare ogni norma in contrasto con un regolamento comunitario. I regolamenti dell’Unione, migliaia ogni anno, sono immediatamente legge, nonostante siano emanati da un organo non elettivo, la Commissione, formata di 28 commissari, uno per ciascun paese, che delibera a maggioranza semplice. I suoi membri sono tenuti a non considerare l’interesse della nazione d’origine.

L’agenzia doganale verifica fisicamente meno di un decimo delle merci, poche di più sono quelle sottoposte a controllo documentale, tutto il resto corre via, si chiama canale verde. Anche questa è una decisione dell’UE, in nome della libertà di circolazione. Pur in mancanza di statistiche attendibili, è certa l’esistenza di un danno erariale, nonché l’ingresso di merci non conformi dal punto di vista sanitario, della sicurezza, della qualità industriale.

La dogana è assai attiva sul fronte della difesa della proprietà intellettuale, della privativa industriale, della tutela dei marchi e della contraffazione. Per quest’ultima, si tratta in buona parte di un servizio a vantaggio dell’economia nazionale, ma le altre attività mostrano la superiorità dell’interesse privato su quello pubblico. In sostanza, attraverso nuovi istituti giuridici, come l’istanza di sospensione dal rilascio, l’amministrazione pubblica lavora a protezione di interessi privati, spesso stranieri. 

Non è raro che i blocchi e i fermi amministrativi si risolvano a trattativa privata tra importatori e proprietari di diritti. E’ capitato di assistere a vere e proprie minacce di grandi gruppi a piccoli operatori. Sul fronte della contraffazione è aneddotico il caso di industrie nazionali che hanno delocalizzato le lavorazioni per un certo tempo e hanno poi visto il mercato europeo invaso da prodotti identici, realizzati dalle industrie a cui avevano fornito know-how, macchinari, conoscenze.

Il caso dell’IVA intracomunitaria è emblematico di logiche contraddittorie. Nel 1993, scattato il mercato unico, l’impegno era di uniformare l’imposta entro il 1997. Dopo oltre vent’anni nulla è stato fatto e gli Stati si fanno concorrenza attraverso sistemi fiscali in cui il trattamento dell’IVA ha un notevole rilievo. Giulio Tremonti ha spesso insistito affinché il peso della tassazione venisse spostato dalle imposte dirette, sul reddito, a quelle indirette.

Premesso che in Italia entrambe sono insostenibili per i cittadini e le piccole e medie imprese, un obiettivo simile richiede un progressivo calo dell’IVA, che è uguale per tutti, dunque grava soprattutto sui redditi bassi. Però non si può agire selettivamente sulla tassazione dei consumi poiché il sistema delle accise è di competenza europea. Presto dovremo attenderci imposte sulle biomasse e su altre fonti di energia alternativa per mantenere il gettito oltreché per sostenere determinati comparti industriali, come dimostra il caso francese delle accise sul diesel aumentate per favorire l’automobile a trazione elettrica, causa della rivolta dei gilet gialli.

Se i regolamenti entrano immediatamente in vigore ovunque, le direttive dell’Unione devono essere recepite dalle legislazioni nazionali. L’impatto della direttiva Bolkenstein sulla liberalizzazione dei servizi è devastante, come sanno balneari, tassisti e tante altre categorie. L’obiettivo, come sempre, è favorire l’ingresso dei grandi gruppi e l’espulsione dei piccoli e medi operatori da ogni settore.

I servizi internazionali costituiscono un caso a parte. E’ ovvio che non debbano essere assoggettati a IVA per motivi di territorialità, ma l’UE non è riuscita ancora a trovare un accordo sulla tassazione dei redditi prodotti, generando un’evasione assai elevata, a favore dei grandi gruppi e dei settori legati all’informatica (servizi immateriali). Quanto ai giganti tecnologici, la loro elusione non è contrastata da alcuna legislazione. I regolamenti, assai loquaci in materia di caramelle, banane e dimensioni dei profilattici, tacciono quando si tratta di Amazon, Google, Apple, Facebook e simili. Si parla di un accordo – ancora lontano – per una tassazione europea del 3 per cento, ripetiamo tre per cento. I contribuenti autonomi, pensionati e dipendenti sappiano da dove viene e chi beneficia l’elevatissima pressione fiscale che subiscono.

Quanto ai dazi, “risorse proprie dell’Unione”, nessuno Stato può disporli autonomamente, ma, anche a prescindere dagli abbattimenti disposti in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio, è pressoché impossibile ottenere protezione per la manifattura italiana in quanto il blocco dei paesi capitanati dalla Germania ha opposti interessi e non la consentirebbe. Questo spiega, almeno in parte, la perdita di produzione industriale e di interi distretti manifatturieri subita dall’Italia negli ultimi vent’anni. La Commissione come un cane da guardia, blocca ogni tentativo di aiutare l’industria nazionale in nome della superstizione della libera concorrenza, ovvero della legge della giungla.

E’ persino divertente sapere che diverse controversie sono sorte per traduzioni imperfette – le lingue dell’Unione sono decine – di non pochi regolamenti, mentre avanza un’ingiustificata prevalenza della lingua inglese in ambito UE e una altrettanto assurda emarginazione dell’italiano. Le stesse risorse proprie sono penalizzate dall’enorme potere dei grandi gruppi. La diffusione della delocalizzazione e dell’esternalizzazione di molte lavorazioni permette ai maggiori attori economici multinazionali di corrispondere i dazi – e l’IVA relativa – sulla base del valore indicato dal primo venditore, il fabbricante delocalizzato, attraverso un giro di fatturazioni perfettamente legale, purché venga indicata la destinazione finale delle merci.

Non c’è soluzione, a meno di orientare i controlli di frontiera sulle barriere extradoganali, [per esempio mobilitndo i NAS a fare ispezioni] sanitarie, ambientali, di qualità e difesa dei consumatori e dei lavoratori. E’ tuttavia un’operazione che può riuscire solo se realizzata a livello comune, poiché la Corte di Giustizia considererebbe quei controlli contrari alla sacra concorrenza e ai quattro pilastri della libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali.

L’ultima considerazione riguarda la resa degli Stati nazionali al potere europoide. Continuiamo a ingannarci confidando nella Costituzione come argine allo strapotere delle norme UE. I politici che ne parlano mentono sapendo di mentire. Il mitizzato articolo 11 che impedirebbe le cessioni di sovranità è stato superato da decenni nei fatti. I trattati internazionali, a cui i cittadini non possono opporsi per espressa volontà della Carta, hanno rovesciato la mappa del potere, imponendo tra l’altro il pareggio del bilancio in costituzione e il patto di stabilità, in forza del quale Juncker e Moscovici hanno ogni diritto di farsi i fatti nostri (legge finanziaria). La modifica dell’articolo 117 per adeguarlo all’acquis europeo stabilisce infatti che la potestà legislativa, cioè la sovranità, è esercitata nel rispetto “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali“.

Per il resto, la Corte di Giustizia è venuta nel tempo costituendosi come improprio organo di controllo del residuo potere di leggi e costituzioni nazionali. Hanno vinto: viva l’impero europeo delle tasse, dei regolamenti e delle sentenze.

Fantapolitica cercasi

TRUMP SEGNA UN PUNTO CONTRO IL DEEP STATE BELLICISTA?

Maurizio Blondet 24 Gennaio 2019 

Iran non è invitato a Varsavia, e non ci va nemmeno Mosca.

Mentre si va verso la cruciale Conferenza Internazionale sul Medio Oriente che gli americani, Bibi e i neocon hanno organizzato a Varsavia per il 13-14 febbraio si segnalano due novità: l’Iran non è stato invitato, com’è quasi ovvio dato che lo scopo della Conferenza è organizzare una NATO araba che sferri la guerra a Teheran. Ma il ministro degli Esteri polacco Jacek Czaputowicz ha spiegato, in una nota pubblicata lunedì, che la presenza dell’Iran avrebbe intralciato i colloqui perché il linguaggio usato da Teheran è “difficile da accettare”. L’Iran ha protestato. La Russia ha fatto sapere che non parteciperà. E bisogna riconoscere che anche la Mogherini, per la UE, se ne tiene alla larga. Pietosamente, Czaputowicz ha detto che, eppure, la conferenza potrebbe aiutare a risolvere l’impasse sull’accordo internazionale sulla limitazione delle ambizioni nucleari dell’Iran.

L’altra novità giunge dalla Casa Bianca, ed è inaspettata. Nel mio recente articolo

ho indicato che alla testa di questo piano – smembrare la Russia per linee etniche-religiose – c’è il think tank Center for European Policy Analysis, il cui presidente, Aaron Wess Mitchell, è oggi inserito nel governo con la carica di Assistente Segretario di Stato per gli affari europei ed asiatici”: ossia esattamente nella stessa posizione che ha occupato Victoria Nuland in Kagan, e dalla quale essa ha gestito il golpe anti-russo che ha trasformato l’Ucraina in una ferita aperta di scontro bellico permanente tra russofoni e fanatici nazistoidi al potere a Kiev.

Trump ha licenziato il successore della Nuland

Ebbene: arriva la notizia che Trump ha licenziato Wess Mitchell. O l’ha messo nelle condizioni di andarsene “per motivi personali e professionali”, ammettendo però che per ora non ha trovato un altro lavoro.


Non credo che Trump legga i miei pezzi… invece il licenziamento sembra confermare che egli fa quello che può per divincolarsi dal Deep State – o almeno da quella parte di esso – che vuole un conflitto diretto con la Russia. Wess Mitchell, scelto dal generale McMaster nel periodo (breve) in cui costui – devoto agli interessi del Complesso Militare-Industriale – fu consigliere di sicurezza nazionale (alias “controllore”) di Trump, ha scritto a quattro mani col generale un saggio, The Unquiet Frontier, che delinea la strategia fanatica della guerra. Nell’importantissima carica, Wess Mitchell è stato l’uomo chiave per “diffondere in Europa, nei Balcani, in Ucraina, la narrativa sottesa a folle Russiagate: Putin è il nuovo Hitler e sta per aggredire l’Europa”.-

Wess Mitchell, l’altro Nuland, è fuori

Così l’amico Umberto Pascali, che opera da Washington ed ha le sue fonti. Dopo che ho girato ad Umberto l’articolo di Mitt Dolcino:

“Berlino vuole soldati non tedeschi nel suo esercito: si prepara a farli combattere sul campo con nuove (piccole) armi nucleari? La Germania vuole la propria atomica….”


ecco cosa mi scrive:

“Ti dico quello che penso io. Prima ancora dell’economia, l’elemento che sta dividendo l’elite il mondo “occidentale” e’ la volonta’ di una parte (Rothschild ed Eredi di Rhodes & Kitchener) di arrivare allo scontro con la Russia (& Cina).

Per loro, qualsiasi cosa e’ meglio di perdere il potere e, in ogni caso, sono stati sempre loro a concepire guerre mondiali che per i normali mortali erano “impensabili”. Dall’altra parte ci sono quelli che stanno dietro alla “miracolosa” elezione di Trump. Si puo’ annusare che questi ultimi sono ben consapevoli di cosa è in ballo e di cosa i Roth/Rhodesiani stanno pianificando. Nonostante tutte le apparenti contraddizioni e cambi di rotta, i trumpiani rimangono aderenti al loro piano. In primis un modus vivendi con Russia (& Cina).

Cosa vogliono fare i Roths? Ri-egemonizzare l’occidente, mettere fine all’inaccettabile esperimento trumpiano. Weaponizzare tutte le risorse, compreso quelle “religiose” (Bergoglio e’ un loro asset, ma i trumpiani stanno erodendo la sua presa sull’apparato cattolico e stanno aiutando il popolo cattolico a difendersi).

Militarmente parlando, come si scatena un’operazione Barbarossa nel 21mo secolo? Probabilmente i Roths vogliono seguire l’esempio della WWII: 1) prendasi la Germania 2) le si permetta di “conquistare” egemonizzare l’Europa 3) la si riarmi adeguatamente 4) la si immoli in un Drang Nach Osten con i dovuti mutatis mutandis 5) se anche soccombesse, la Russia sarebbe indebolita. Quindi provocazioni e dirty tricks diventano il pane quotidiano…

Spero di sbagliarmi, ma quell’analisi che mi hai mandato sul riarmamento nucleare della Germania e l’uso di soldati stranieri (un aggiornato Allgemeine SS) potrebbe rientrare in questa offerta mefistofelica dei Roth alla Germania. L’esercito Franco-Tedesco (europeo) che Macron ha sbattuto in faccia a Trump durante la visita di quest’ultimo (per poi venir “ricompensato” con la rivolta dei Gilets Jaunes) e’ anche un mettere insieme quello che i Rothschild hanno ancora sotto controllo in Europa continentale, cioe’ Macron e Merkel. Tutto cio’ e’ molto poco solido. Macron e’ instabile e la Merkel pure. Bisogna tener presente che una rivolta dei militari e’ in atto in Francia contro Macron in questo momento. L’esercito europeo (franco-tedesco) e’ visto come il massimo dell’insulto e della de-sovranizzazione nazionale da parte del Generale Villiers e praticamente tutti gli alti gradi delle forze armate francesi.

Qual e’ la strategia dell’altra parte? Dei Trumpiani? L’elemento vincente e’ senz’altro la loro entente con la Russia. Questa e’ la carta vincente. Un accordo sovranista tra Russia e Stati Uniti significherebbe veramente la fine dei Roth/Rhodesiani. Questo e’ il motivo per cui impedire le nozze Trump-Putin e’ diventato l’ossessione dei Rothschildoidi e della loro Quinta Colonna in USA (“Deep State”). Un ammontare pauroso di risorse e’ stato speso perché “Questo matrimonio non s’ha da Fare”.

Nonostante cio’, Trump sta guadagnando terreno a casa sua. E si sta muovendo a tous azimuts. Sta de-cancrizzando l’establishment dell’intelligence, della politica estera, la Fed… Sta intervenendo nella questione cruciale della difesa dei cattolici, al punto tale che la sovversione della Chiesa Cattolica negli USA e’ diventato l’obiettivo primario dei Rothschildoidi. Ma non sta funzionando, e i cattolici americani potrebbero essere quelli che guideranno il contrattacco per rimettere il Vaticano sotto controllo cattolico. Inoltre, i Trumpiani stanno intervenendo in Europa. L’Italia di Salvini e Di Maio ne è l’esempio piu’ eclatante.

E io non mi strapperei i vestiti perché’ Salvini va a fare il pro-israeliano a Gerusalemme e cose del genere. (Penso che la situazione “ontologica” di Israele si chiarirà presto. Ricorda che Israele fu creata con la letterina di Balfour a Lord Rothschild). Quello e’ un “fianco” in una guerra molto piu’ vasta.

I trumpiani stanno erodendo la NATO. Ultimamente avrai notato l’aumento di coloro che da “destra” mettono in dubbio la raison d’etre della NATO. Molto probabilmente i trumpiani stanno agguantando e mettendo sotto controllo una parte dell’apparato internazionale angloamericano, cioè una parte dei Five Eyes.

La cacciata di Wess Mitchell dalla sua poltrona di Viceroy americano per l’Eurasia e’ un segnale molto forte. In Inghilterra i trumpiani aiutano quelli del Brexit, in Francia vedono i Gilets come un naturale alleato. In Germania? (Io mi aspetterei qualcosa). Adesso il terrore per i Roths è un accordo solido tra Cina e USA. Chi ci perde e’ proprio la cricca dei Roths. Il resto sono dettagli periferici nella guerra in corso”.

E conclude:

“Sull’America Latina Russia USA (Brasile, Venezuela, Messico…), ascolta un’idea selvaggia: E se ci fosse una sorte di accordo tra potenze del tipo: Russia-Cina si prendono l’Asia, e gli USA si prendono l’America Latina”



Non avrei riportato questo affresco, secondo me troppo ottimista e in qualche punto inverosimile (la Germania che si lascia riarmare per sferrare l’attacco alla Russia….) , se non fosse arrivata la dimissione di Wess Mitchell. Ed anche gli eventi in Venezuela, dove la caduta di Maduro – un “alleato” di Putin ma ormai insostenibile – sembra confermare “l’idea selvaggia” di Umberto: gli Usa si (ri)prendono l’America Latina e a Russia e Cina lasciano “l’Asia”. E l’Europa?

Ecco:

“Poroshenko e la Merkel concordano sul fare ulteriori pressioni sulla Russia per il rilascio di tutti gli ostaggi ucraini. I due si sono incontrati a Davos

(Davos, peraltro, fortemente sminuita dalle diserzioni contemporanee di Trump, della May, di MAcron….)

Poroshenko ha ringraziato la Germania per l’assistenza nel ridurre al minimo i rischi di escalation nel Mar Nero e nel Mare di Azov rispetto all’aggressione russa, garantendo la libertà di navigazione nella regione e premendo per la liberazione incondizionata e immediata di 24 marinai ucraini catturati dalla Russia vicino allo stretto di Kerch il 25 novembre 2018.

“Antisemita” anche la Marcia delle Femmministe di NewYork

Va anche notato un fortissimo nervosismo con lancio di accuse di “antisemitismo” a raffica da parte della comunità, sia che si tratti di battage propagandistico-orwelliano per tacitare le critiche in preparazione alla decisione bellica che Bibi vuol far uscire da Varsavia, sia che “i Roths” sentano che non stanno vincendo come di solito. Lo dicono i lampi di sdegno dei Mentana per un senatore che osa evocare i Protocolli, le ire spropositate contro un titolo ironico di Libero, che sarà portato davanti ai tribunali (di giornalisti) per “omofobia” (delitto che viene sempre più identificato, per imperdonabilità, all’antisemitismo e al Putinismo).

Ma lo dice ancor più la piazzata che ha avvelenato la Women’s March, la Marcia delle Donne a New York, storica sfilata dei LGBT estese alla femministe, celebrazione anti-Trump delle “donne” progressiste. Ebbene: una delle partecipanti, Laura Loomer, ha strappato il microfono alla presidentessa ed ha strillato che quella era “una marcia nazista”, che “la marcia delle donne odia gli ebrei”, che è “antisemita”.


Laura Loomer (a destra) alla Women’s March

La Loomer, ebrea, attivista femminista da destra e vicina a Bannon, reagiva così ad una intervista lasciata il giorno prima da una delle capesse delle Women, la nera americana Tamilka Mallory (seguace di Farrakhan) dove si era rifiutata di ammettere che Israele soffre più dei palestinesi….Che lorsignori hanno tradotto: “rifiuta di riconoscere il diritto di Israele ad esistere”.


Immediatamente la senatrice democratica Debbie Wasserman Schulz – j e praticamente l’alter ego di Hillary Clinton – ha ritirato il sostegno alla Women’s March, dichiarando vibrante di sdegno: “Con l’antisemitismo e il nazionalismo in pieno sviluppo in Usa e nel mondo, [la prossimità delle femministe nere a] Louis Farrakhan è estremamente preoccupante”. Insomma spaccando il movimento, che secondo loro è egemonizzato dalle negre di Nation of Islam, il movimento di Farrakhan poco entusiasta di una nuova guerra americana contro l’Iran.

Un’altra marciatrice e femminista, la deputata di New York Alexandria Ocasio-Cortez (j e democratica) ha rincarato: “Sotto Trump, la comunità ebraica deve essere protetta dall’antisemitismo che spira dalla Casa Bianca”, e che le preoccupazioni sull’antisemitismo “sono assolutamente valide”.