L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 9 febbraio 2019

Decadentismo degli Stati Uniti - l'agricoltura soffre

Gli Stati Uniti affronta una catastrofica crisi alimentare in America come lotta per gli agricoltori

Ven, 02/08/2019 - 22:25


Gli agricoltori americani stanno combattendo diversi problemi quando si tratta di produrre il nostro cibo. I prezzi bassi regolamentati, le tariffe e l'incapacità di esportare hanno tutti ridotto i salari degli agricoltori. Sono ufficialmente in crisi, proprio come gli approvvigionamenti alimentari degli Stati Uniti.


"L'economia agricola è in una forma piuttosto difficile " , ha detto John Newton, capo economista della American Farm Bureau Federation.

"Quando guardi l'orizzonte delle cose a venire, inizi a vedere alcune crepe".

Il reddito agricolo medio è sceso ai minimi di 15 anni sotto le politiche del presidente Donald Trump, e in alcune zone del paese, i fallimenti delle aziende agricole sono in aumento. E con tassi di interesse leggermente più alti, molti non vedono di prendere in prestito più denaro come opzione. "Molti agricoltori stanno per dare al presidente il beneficio del dubbio e devono avere un appuntamento. Ma più la guerra commerciale continua, più i cambiamenti dinamici ", ha detto Brian Kuehl, direttore esecutivo di Farmers for Free Trade, secondo Politico .

Con la fine della disastrosa guerra commerciale in vista, molti agricoltori si sono recati a Washington per condividere le loro pene con il presidente stesso sperando che finisca la guerra commerciale che sta esacerbando una già precaria crisi alimentare. Gli agricoltori costituiscono una grossa porzione della base del Presidente Trump e la riluttanza a mettere la produzione alimentare negli Stati Uniti potrebbe essere dannosa per le possibilità di rielezione di Trump nel 2020. Potrebbe anche essere l'inizio di una catastrofica carenza di cibo.


A novembre, la Federal Reserve Bank di Minneapolis ha ammonito i crescenti banchi del capitolo 12 utilizzati dagli agricoltori di famiglia per ristrutturare enormi quantità di debiti. La Fed ha detto che la tensione dei bassi prezzi delle materie prime "sta iniziando a manifestarsi non solo nella redditività di fondo, ma in una viabilità semplice". L'aumento dei fallimenti è stato guidato da guai nel settore lattiero-caseario del Wisconsin, che si sono ridotti di circa 1.200 operazioni, o 13 percento, dal 2016 ad ottobre 2018.

"Hai avuto fattorie che sono fallite, che sono fallite a causa di questa guerra commerciale", ha detto Kuehl di Farmers for Free Trade .

"Ci sono molti agricoltori che stanno affrontando difficili conversazioni in questo momento con i loro finanziatori".

E finora, la soluzione del governo al problema che hanno creato è di dare più benessere agli agricoltori, ponendo l'onere sulle spalle dei contribuenti.

Mentre il governo continua a trasferire l'onere sugli altri mentre distrugge l'industria alimentare, le cose potrebbero raggiungere livelli apocalittici. Niente vedrà questa spirale del paese in completo disordine come una mancanza di cibo . In modo allarmante, gli scienziati hanno già affermato che il sistema globale di approvvigionamento alimentare è rotto .


In parole povere, l'interferenza del governo nel settore agricolo è responsabile della crisi alimentare che tutti stiamo per affrontare.

NoTav - sono disposti a tutto è una guerra ideologica, una battaglia simbolica, hanno anche arruolato il fanfulla Salvini, vogliono vincerla a tutti i costi

post — 8 Febbraio 2019 at 16:06


La oramai famosa Analisi Costi Benefici non è ancora pubblica ma è già partita l’operazione “terrorismo” da parte di politici, portavoce europei non meglio qualificati e giornalisti pappagalli che copiano e incollano ogni considerazione del primo speaker di turno.

Sarebbe bello vedere così tanto impegno e dibattito su tutti i temi che comportano spese pubbliche, su analisi costi benefici da sempre taroccate, su il sistema di appalti che fin’ora ha ingrassato costruttori e amici politici, ma non vi abbiamo mai assistito.

Stiamo assistendo a tanti goffi tentativi che se non fossero così pericolosi e scorretti perchè hanno potenze comunicative di massa, ci sarebbe da ridere e definirli solo grandi arrampicate sugli specchi. Invece ci tocca rispondere e puntualizzare perchè da quando il movimento notav esiste si è sempre basato su documenti ufficiali e fonti qualificate, respingendo la semplice propaganda.

Oggi è il turno di Giorgio Santilli, giornalista de Il Sole 24 ore che citando una analisi tecnico giuridica di certo un Pasquale Pucciariello (dell’Avvocatura dello Stato) costruisce un articolo dal titolo “Analisi Tav: la rinuncia ai lavori costerà fino a quattro miliardi”.

E dal titolo in poi si lancia in considerazioni varie, con dati “ad minchiam” che servono a creare un pò di sano terrorismo intorno alla vicenda Tav.
Parla di penali contrattuali (appalti in corso) che non esistono per legge*

Poi Giorgio Santilli si supera,scrivendo che l’UE deciderà, forse, di eliminare l’intero corridoio mediterraneo che va da *LISBONA a KIEV*, senza sapere , forse troppo esaltato dalla “bomba” che stava costruendo che:

1) Lisbona ha già rinunciato nel 2012
2) Kiev (Ucraina) mai è stato membro della UE e non è nemmeno candidata ad entrarci

*In riferimento agli appalti già attribuiti non sussiste diritto alcuno da parte degli appaltatori a richiedere penali come recita l’ articolo 2, comma 232 lettera c) legge 191 del 2009 (Finanziaria italiana 20101 ). La norma stabilisce che «il contraente o l’affidatario dei lavori deve assumere l’impegno di rinunciare a qualunque pretesa risarcitoria eventualmente sorta in relazione alle opere individuate con i decreti del presidente del Consiglio nonché a qualunque pretesa, anche futura, connessa al mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi».
Occorre evidenziare che l’operatività della predetta normativa italiana (art. 2 comma 232 lettera c legge 191 2009 in tema pretese risarcitorie) ai rapporti contrattuali nascenti dalle aggiudicazione di appalti dei bandi di gara indetti dalla T.E.L.T. (nonostante questi ultimi siano disciplinati dalla legge francese in forza della cessione di sovranità contenuta nell’accordo italo francese del 2012) è garantita dall’ art. 3 Legge di Ratifica 5 gennaio 2017, n. 12 . Identica previsione è contenuta nella delibera del Cipe n. 67 2017 così come evidenziato nel combinato disposto dagli art. 1 e 6 del deliberato.

http://www.notav.info/post/il-sole-24-ore-la-spara-grossa-fake-news-sulla-rinuncia-al-tav/

Questi governanti francesi ne fanno una ogni giorno, siamo costretti ad un duro confronto per ridargli un poco di sano realismo

La coerenza biforcuta del presidente francese. Sta facendo di tutto per cambiare nome da Macron a Micron

8 febbraio 2019 di Gaetano Pedullà


Il presidente francese sta facendo di tutto per cambiare nome da Macron a Micron. L’ultima trovata è il richiamo dell’ambasciatore a Roma per la lesa maestà di un colloquio tra 5 Stelle e Gilet gialli, per poi aggiungerci le accuse di un privato cittadino come Alessandro Di Battista sullo sfruttamento coloniale in Africa e le proteste del ministro Matteo Salvini per i migranti spediti di nascosto al di qua delle nostre frontiere. Un sentimento ostile a Parigi non c’è dubbio che sta montando, ma la cosa non dovrebbe essere una sorpresa per chi ha da mesi una rivoluzione permanente in casa propria. Blindato nel rinnovato asse franco-tedesco, la guida dell’Eliseo sta dimostrando ancora una volta di non saper gestire il dissenso, e al contrario di mostrarsi indigeribile e di scarso profilo. Le ingerenze italiane negli affari interni d’Oltralpe sono infatti noccioline rispetto alle azioni arroganti che subiamo. Basti pensare al doppio gioco sui cantieri navali di Saint Nazaire, comprati all’asta dalla nostra Fincantieri e bloccati con un intervento statalista vietato dalle regole Ue. Parliamo di un affare da molti miliardi, che dopo una lunga trattativa Parigi aveva sistemato, salvo poi scoprire che di nascosto ha fatto ricorso all’Antitrust, rispedendo l’acquisizione in alto mare. Ecco, invece di convocare se stesso e spiegarci questo comportamento biforcuto, Emmanuel Macron fa l’offeso con le forze populiste italiane che lui stesso ha definito una lebbra. Un atteggiamento piccino, che testimonia quanto si senta assediato, mentre sul mondo soffia un vento nuovo.



Landini in piazza sposa il precariato, il mantenimento delle prebende dei sindacalisti sopratutto quelli che vanno sono andati in pensione che con artifici contabili se la sono triplicata quadruplicata, il mantenimento dei poveri

Sindacati in piazza per le pensioni. Con la Fornero non mossero un dito. A Roma la manifestazione contro il Governo Conte

9 febbraio 2019 di Paolo VitaPolitica


I sindacati scendono in piazza? “Io vado ad incontrare i truffati dalle banche in Veneto cui abbiamo dato un miliardo e mezzo per risarcirli”, taglia corto il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio. Mentre Cgil, Cisl e Uil invaderanno oggi Piazza San Giovanni per protestare contro il Governo Conte, il leader del Movimento Cinque Stelle ha gioco fin troppo facile a smontare, una ad una, le pretese dei confederali. Anche considerato che, dopo gli anni del Jobs Act del Pd e dello smantellamento dell’articolo 18 che ha sancito di fatto la libertà di licenziamento, i primi provvedimenti dell’Esecutivo gialloverde in materia di lavoro andati in direzione opposta. A cominciare dal decreto Dignità, che punta a ridurre la precarietà, fino al Reddito di cittadinanza che sarà operativo dal prossimo aprile.

“Mi dispiace che promuovano un’azione contro quota 100, una misura con cui si fa andare in pensione la gente prima rispetto alla Fornero – mette il dito nella piaga il vicepremier -. Non li ho visti in piazza quando la Fornero ha firmato la Fornero”. E se a pensar male si fa peccato, ma qualche volta ci si indovina, non manca neppure il sospetto, velatamente evocato da Di Maio, che ad animare la protesta ci sia anche dell’altro. “La prossima settimana depositeremo un emendamento al cosiddetto decretone, quello che contiene Quota 100 e reddito di cittadinanza, per tagliare pensione degli ex sindacalisti”, ribadisce il titolare del Mise.

Una norma, insomma, che di certo, la manifestazione di oggi non fermerà. Una manifestazione che Di Maio critica pure nel merito. “Il fatto che i sindacati vengano adesso a dirmi che il reddito di cittadinanza è un ibrido tra lotta alla povertà e politiche attive del lavoro per non farlo essere assistenzialismo dopo che per anni mi hanno hanno detto che lo era, mi fa ridere – taglia corto il vicepremier -. Ora che gli abbiamo associato le politiche attive del lavoro, ci dicono che il problema è nell’essere ibrido”.

Una premessa che porta all’unica spiegazione plausibile che il leader M5S riesce a darsi: “Se mi attaccavano quando non c’erano le politiche attive e mi attaccano ora che ci sono, vuol dire che vogliono solo attaccarmi. Se ottengono più visibilità attaccandomi facciano pure”. Ma tant’è. La manifestazione andrà in scena regolarmente. E le richieste di Cgil, Cisl e Uil al Governo sono chiare: creazione di lavoro di qualità; investimenti pubblici e privati a partire dalle infrastrutture; politiche fiscali giuste ed eque; rivalutazione delle pensioni; interventi per valorizzare gli asset strategici per la tenuta sociale del Paese, a partire dal welfare, dalla sanità, dall'istruzione, dalla Pubblica Amministrazione e dal rinnovo dei contratti pubblici; maggiori risorse per i giovani, le donne e il Mezzogiorno.

“Il Governo fino adesso non ci ha ascoltato, abbiamo una piattaforma, chiediamo di aprire una vertenza e il premier, che è il nostro interlocutore, sa benissimo che non ci fermeremo alla manifestazione di domani visto che le cose vanno sempre peggio”, avverte, spiegando le ragioni della manifestazione di oggi, il segretario della Cgil, Maurizio Landini. Che non le manda a dire neppure a Di Maio. “È singolare che un rappresentante del Governo incontri un movimento francese che contesta il Governo francese mentre in Italia non si confronta con i sindacati”. Anche perché, “se sono così attenti a chi contesta dovrebbero stare attenti anche a chi contesta loro”, aggiunge l’ex segretario della Fiom.

http://www.lanotiziagiornale.it/sindacati-in-piazza-per-le-pensioni-con-la-fornero-non-mossero-un-dito/

Cosenza - quelli che vogliono le opere non per facilitare la vita comunitaria ma solo per accrescere il loro potere distribuendo prebende e creare sorgenti di clientelismo

Cosenza, la metropappa indigna la città ed esalta i cortigiani
-8 Febbraio 2019


La metropappa indigna i cosentini o almeno la maggior parte dei cittadini. Del resto, non ci possono essere altre motivazioni se non l’asservimento e il “comparaggio” o il “lecchinaggio” per sostenere un’opera che serve solo a quattro politici corrotti (Oliverio, Occhiuto, Manna e Iacucci) per alimentare il loro bacino elettorale in vista delle prossime competizioni elettorali. Domani si ritorna in piazza. 

Ecco una selezione di proteste apparse sul web nel corso di questi lunghi mesi di chiusura del Viale Parco.

Paolo Mazzuca Ma i più simpatici sono quelli che dicono “a piedi! dovete camminare a piedi!”. Voglio vedere se questi illuminati quest inverno con pioggia , freddo e maltempo andranno a piedi ! A piedi ci può camminare chi ha il lavoro vicino no chi deve farsi i chilometri ogni mattina !
A scuola a piedi ci può andare chi abita vicino, non chi abita in paese o dall’altra parte della città ! Ma cumu ragionate ?? E ja che sta metro è solo una scusa per fottersi soldi !
Viale Parco è un’arteria nevralgica per il traffico !
Invece di stravolgere tutto perché non hanno potenziato i trasporti già esistenti ? Perché non sfruttano una linea ferroviaria già esistente ?

Manuela Amendola Ma la strada che doveva collegare il ponte a via Popilia perché non viene aperta?? Questa è pura follia!

Domenico Romano Mi sembra quel film, l’ora legale di Ficarra e Picone

Rosella Ambrosio OCCHIUTO fa l’architetto e crede che la città sia un appartamento che va rifatto continuamente. RESTAURARE NON RIFARE.

Daniela Carnevale Lunedì sarà il caos totale, i figli arriveranno a scuola alle 10!

Roberta Fortino Certo che se uno è anziano e con handicap deve cambiare città…e Cosenza è una città di persone anziane. Chi non sa che significa si limita idiotamente a consigliare la passeggiata a piedi.

Pietropaolo Lo Bosco Mi raccomando si si presenta alle Regionali votatelo…ca chissu vi chiuda pure l’autostrada…

Andrea Furgiuele Tranquilli che con la metropappa come la chiamano sicuramente si risolveranno tanti di questi problemi…

Giada Granata Veramente il disgusto!!! Poco fa VIA ROMA paralizzata con tanto di ambulanze bloccate! Maledetto il giorno in cui ti ho votato!!!

Enzo Brandi Sindaco Mario Occhiuto, ha mai preso in considerazione la possibilità di andare a zappare? Credo le riuscirebbe non benissimo, ma di sicuro meglio della professione di sindaco!

Valentina Ruffolo Ma la gente che dice di camminare a piedi ci pensa che oltre a creare disagi assurdi alla viabilità stanno buttando a terra tutti gli esercizi commerciali della zona chiusa? Prima di parlare pensate a tutti i disagi perché qui non si tratta soltanto di non voler camminare a piedi!!!

Salvatore Grosso Via Popilia sta scoppiando di traffico… U sà cumu li fiscavanu i ricchi a Maruzzu? E u luni ca cumincia a scola? Mi raccomando… pensatelo ma con moderazione… al limite, se proprio non potete farne a meno… portatevi un calendario, così se rimanete bloccati nel traffico imparerete anche i nomi di tanti Santi che non conoscete…è inutile imprecare sempre sui soliti…

Michele Giacomantonio “Pagliacci… io li avrei bannati tutti”, scrive uno degli amministratori di un noto gruppo Fb, riferendosi a chi posta commenti contro la metro e in generale contro il sindaco. Questo succede quando ci si dimentica di prendere la medicina che impedisce al Signor Hyde di uscire prepotentemente dal corpo del dottor Jekyll.

PARODIA DEL 5 MAGGIO Io fu… nell’auto immobile, bloccato sul viale, che bestemmiavo a raffica il sindaco Jugale… con l’ultima scienziata, dopo piazza Fera/Bilotti… ha chiuso Viale Parco… E adesso sono botti! Da Rende a Portapiana…da Luzzi a Mendicino…il traffico è bloccato…è tutto nu casino! E adesso che comincia, la scuola lunedì, esci da casa all’alba… E a sera ancora qui! ma non vi sconfortate… il sindaco è uno accorto… mò vi risolve il tutto…già pensa all’aeroporto!!!

http://www.iacchite.com/cosenza-la-metropappa-indigna-la-citta-ed-esalta-i-cortigiani/

NoTav - inutile costosa dannosa ma è diventata una battaglia ideologica è la barricata del Sistema massonico mafioso politico per fermare ed eliminare il M5S. E secondo Voi il fanfulla Salvini da che parte della barricata si trova? semplice quella del mantenimento delle prebende, non non vuole proprio bene all'Italia agli italiani, questi non devono non possono avere la possibilità di emanciparsi di crescere di riprendere contatto con la propria storia cultura identità

POLITICA

Beppe Grillo: “Salvini lo sceriffo e una marea di dotti, medici e sapienti”

Da Iacchite
-8 Febbraio 2019



di Beppe Grillo e il suo neurologo – Esistono livelli di simbolicità totemica così elevati, da poter condizionare la curvatura del cosmo mediatico. Nulla è più vero o falso, quando si parla della/del TAV.

Il Dio di tutti i Talk Show deve per forza sottomettersi a quello dell’avidità umana. Il valore in peso, spinta necessaria o potenziale inquinante; i costi in moneta e quelli sociali (delirio collettivo) dell’oggetto della contesa hanno superato la soglia dell’araba fenice: neppure costruita e già sorge dalle sue ceneri.

In un clima come questo l’umanità non ha mai saputo fermarsi: l’uomo, di fronte ad una cazzata di dimensioni infinite, perde la sua identità. Persone all’apparenza serie, che non comprerebbero neppure un gratta e vinci, sostengono che, se in gioco ci sono decine di miliardi, allora è la scommessa per il futuro che conta.

Ma quale stima dei possibili benefici è mai possibile per un’opera di tale monumentalità? E’ come se qualcosa di superomistico ci dicesse: “ehi ragazzi, questa è una piramide, portate rispetto!” Non si fanno i conti sull’Expo oppure sul Mose, vergognatevi!!!

Salvini, lo sceriffo, dice che si può rivedere il progetto (…), il governo non si spaccherà mai su una cosa del genere. Migliaia di passatelle invadono le piazze a Torino, come api pacchiane sostenendo che essere “si Tav” vuol dire credere nel progresso, nella crescita. E’ inutile e costa più del reddito di cittadinanza ma… cosa mi viene in mente! Come oso mettere sullo stesso piano un enorme, lunghissimo buco nella montagna, una piramide insomma, con una misura per riportare ai limiti della decenza la società?

Una discussione sul/la TAV non si nega a nessuno ed è obbligatoria per tutti, cessi e salotti.

Oramai il seme della discordia è nel mainstream e vengono coinvolti dotti, medici e sapienti di ogni provenienza, sino ad ottenere idiozie quasi perfette, staminali. Questo significa che l’opera non è più concepibile dalla mente, ed alla mente non interessa più. Il suo potenziale distruttivo sull’ambiente ed i suoi costi sono sviliti a quisquilie, perché, parlando di piramidi, non è necessario che nulla abbia un senso.

E’ un braccio di ferro fra tutti con tutti, perché nessuno sente che la questione lo riguarda per davvero, è solo la linea di separazione fra civiltà e caos, che cazzo ce ne frega.

Il futuro non è la globalizzazione, la scomparsa del lavoro umano, l’intelligenza artificiale… no: buco si e buco no. Forse perché è un linguaggio universale che ci unisce ad Adamo ed Eva, buco si e buco no….

No, su questo muro vale la pena di sbattere, se è possibile andare su Marte, è anche possibile sapere se ci sarà o meno un vantaggio: il/la TAV non dovrà rimanere un bluff non visto nelle mani di nessuno, varrebbe la pena tornare all’età della pietra; perché non c’è neppure un millesimo di metafora in questa faccenda, è stramaledetta realtà!

http://www.iacchite.com/beppe-grillo-salvini-lo-sceriffo-e-una-marea-di-dotti-medici-e-sapienti/

Investire 100 miliardi l'anno per cinque anni è questa la manovra correttiva altro che aumento delle tasse

MANOVRA CORRETTIVA/ L’alternativa al Monti-bis

Le risorse aggiuntive vanno destinate agli investimenti produttivi e al rilancio della domanda interna. “Basta austerity, altrimenti facciamo il Monti-bis”


Giuseppe Conte e Giovanni Tria (LaPresse)

Prima l’Unione europea, che abbassa di colpo di un punto percentuale le stime di crescita dell’Italia, facendole precipitare dal +1,2% al +0,2%, fanalino di coda in tutta la Ue. Poi l’uno-due da ko dell’Istat: crollo della produzione industriale (a dicembre -5,5% rispetto all’anno precedente, il dato peggiore dal 2012) e allarme sulla “serie difficoltà di tenuta dei livelli economici”. Tenendo presenti il rallentamento delle economie globali, le guerre commerciali in atto o latenti e l’imminente Brexit con le possibili ricadute legate a un “no deal”, possiamo ancora definirla – come il ministro Tria – “una battuta d’arresto” oppure l’economia italiana si sta veramente e seriamente avvitando in una stagnazione che è destinata a diventare recessione? E a quel punto, non si renderà presto necessaria, in assenza di un colpo di frusta che al momento non si vede all’orizzonte, una manovra correttiva? “Diciamo innanzitutto – risponde Antonio Maria Rinaldi, professore di Finanza aziendale all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Pescara ed economista vicino a Savona – che gran parte dei Paesi euro, e non solo, stanno registrando delle contrazioni significative per quanto riguarda la crescita. E questo dovrebbe far riflettere moltissimo non solo il Governo italiano, ma anche la stessa governance europea”.

In che direzione?

Siamo certi che finora le politiche economiche perseguite dalla Ue siano state ottimali per gli interessi dei Paesi membri? A mio avviso, no. Ecco perché sarei propenso a rivedere immediatamente la manovra, ma non – come qualcuno suggerisce – imponendo ulteriori tagli alla spesa o aumentando la pressione fiscale, bensì facendo esattamente il contrario: non possiamo più restare imprigionati nella gabbia del deficit al 2,04%, così come concordato con la Commissione, dobbiamo andare verso uno sforamento ampio, così da poter destinare le risorse aggiuntive a un piano di investimenti pubblici produttivi ad alto moltiplicatore. Questa è l’unica strada da perseguire, altrimenti si ripropone lo stesso identico errore commesso alla fine del 2011 dal governo Monti.

A destare preoccupazione è anche il fatto che le ultime stime Ue confermano invariato il gap, che dura ormai da decenni, dell’Italia: cresceremo ancora di un punto percentuale in meno rispetto alla media Ue. Insomma, non c’è nessun cambio di passo rispetto al passato, non crede?

La Ue è in enorme difficoltà, al punto tale che lo stesso Juncker, qualche settimana fa, ha dovuto ammettere che in passato si sono fatti grossi errori, come l’imposizione di una durissima austerity alla Grecia. La lezione è servita? Siamo certi che la Commissione Ue, ormai in scadenza, non abbia aperto gli occhi? E di fronte a quella che per il momento sembra essere una recessione momentanea – così almeno ce lo auspichiamo tutti – per non rischiare che si protragga anche nei trimestri successivi avrà l’intelligenza, la lungimiranza e l’umiltà, oserei dire, di proporre ricette diverse?

Non le sembra però che, in questo frangente delicato e difficile, il nostro governo sia solo in attesa di aprile, quando partiranno reddito di cittadinanza e Quota 100, individuati come le misure più efficaci per contrastare la cattiva congiuntura? Possiamo aspettare altri due mesi o non sarebbe il caso che il governo metta mano con urgenza a un’agenda economica che possa dare una decisa inversione di rotta all’economia?

Non sono d’accordo, perché il governo sta già operando in tal senso. Si è impegnato, per esempio, a rivedere il Codice degli appalti, che è oggi un enorme freno alla cantierabilità di moltissime opere già programmate e finanziate, ma bloccate da troppe farraginosità burocratiche. Io credo moltissimo in questa accelerazione sulle infrastrutture, che contribuiranno fortissimamente all’incremento del Pil.

L’esempio della Tav non depone certo a favore di questa auspicata spinta sulle infrastrutture…

Nel caso della Torino-Lione siamo di fronte a un nodo politico. Ma l’Italia non è solo la Tav, l’Italia conta 20 regioni, dove ci sono enormi necessità di attuare e rinnovare le infrastrutture per modernizzare il Paese. Penso, per esempio, alla risistemazione delle scuole o alla messa in sicurezza del territorio. Su questi fronti è doveroso procedere il più velocemente possibile.

Il primo trimestre dobbiamo considerarlo ormai compromesso, dal punto di vista della crescita, e i trimestri successivi si preannunciano già impiombati. Il 2019 rischia di diventare l’ennesimo anno perso?

Speriamo di no, perché di anni persi ne contiamo fin troppi. Vorrei però ricordare che il precedente governo aveva garantito alla Commissione Ue per il 2019 una manovra con il deficit allo 0,8%. Non oso immaginare, se questa promessa fosse stata mantenuta, che cosa sarebbe successo e in che situazione ci troveremmo oggi. Spero, quindi, che il governo italiano torni a ribadire in sede europea le ragioni della crescita, non fermandosi al deficit del 2,04%, ma liberando risorse per gli investimenti.

In realtà, sembrano spariti del tutto dai radar del governo. Anzi, non considera una cattiva notizia l’uscita di Paolo Savona, forse il sostenitore più convinto tra i ministri della necessità e urgenza di un robusto piano di investimenti?

Ripeto: gran parte degli investimenti sono pianificati e attendono solo la possibilità della cantierabilità. Quanto a Savona, in questo momento alla Consob penso sia necessaria un’alta figura come la sua, perché i dossier sulla scrivania sono assai delicati. E poi, la sua personalità è così esuberante, che non mancherà di far sentire il suo pensiero e i suoi consigli.

La lenta crescita italiana in questi anni si è appoggiata soprattutto all’export, ma la situazione internazionale si sta deteriorando. Se perdiamo anche il treno dell’export come ne veniamo fuori?

Questa è una delle grandi colpe che ho additato agli esecutivi precedenti, che hanno sempre voluto dare all’export un ruolo molto importante di traino dell’economia, ignorando però che ogni economia sana ha bisogno anche di una robusta domanda interna, purtroppo sempre penalizzata. Sia chiaro, le esportazioni sono importantissime e per un paese come l’Italia è bene avere una bilancia dei pagamenti in positivo, ma non bisogna trascurare i consumi interni.

Basterà il reddito di cittadinanza a rilanciarli?

I percettori del Rdc dovranno consumare i 780 euro e lo dovranno fare sul territorio: ciò avrà un impatto positivo diffuso. Ma, al di là dei numeri, il reddito di cittadinanza lo considero una sorta di risarcimento dovuto alle fasce di popolazione emarginate e abbandonate dalle politiche economiche durante questa lunga crisi. Moralmente mi sembra un provvedimento, temporaneo, più che giustificato.

Vista la crescita zerovirgola e le spie rosse sul cruscotto degli indicatori economici, non servirà una manovra correttiva?

Certo, ma non come si pensa. Dovrà essere correttiva nel senso di più espansiva: altro che un deficit al 2,04%, bisogna chiedere di poter andare tranquillamente oltre il 3%, per poter destinare nuova linfa agli investimenti produttivi. Questa è la rivisitazione della manovra che mi auguro. Altrimenti facciamo il Monti-bis.

Ma l’Italia ha la forza e la credibilità per poter chiedere questo all’Europa e alla Commissione Ue?

Sono convinto che a maggio ci sarà una profondissima riconfigurazione dei rapporti di forza nel Parlamento europeo e quindi non solo in Italia, ma anche negli altri Paesi, avanzeranno forze che chiederanno a gran voce il cambiamento dell’attuale modello di governance europea.

Avremo, secondo lei, un’Europa che metterà al centro dell’agenda economica i temi della crescita più che quelli dei conti in ordine?

A maggio sarà l’ultima chiamata per l’Europa: se capisce e cambia, punterà sulle esigenze del futuro, altrimenti è destinata a implodere. Non ci sarà appello.

Ma lei, guardando alle prospettive dell’economia italiana, resta ancora ottimista?

Certo, l’Italia ha incredibili potenzialità, che hanno bisogno di esprimersi. E non è un problema di uomini, ma di mezzi e di strumenti a disposizione, tarati sulle nostre esigenze e caratteristiche, che oggi non abbiamo. Il difetto dell’Europa è aver codificato degli strumenti omnibus, uguali per tutti, senza tener conto delle specificità dei singoli Paesi. Noi stiamo pagando questa standardizzazione.

A cosa pensa, in concreto?

Il modello economico tedesco, adottato in tutta Europa, è basato su stabilità dei prezzi, controllo dell’inflazione e rigore dei conti pubblici fino al pareggio di bilancio. La nostra Costituzione prevede invece un modello economico con garanzie e tutele nei confronti dei lavoratori, in primis per puntare alla piena occupazione, che con questi strumenti non può essere realizzato. Sarebbe perciò importante, per citare solo un esempio, che la Bce, attenta solo al target inflattivo del 2%, potesse avere anche un target legato ai tassi di disoccupazione, così da poter orientare le sue politiche monetarie anche verso obiettivi di piena occupazione e non solo di stabilità dei prezzi.

(Marco Biscella)

Fastweb

Tutti i numeri 2018 di Fastweb

7 febbraio 2019


Ancora un anno di risultati positivi per Fastweb, con clienti e margini in crescita per il 22esimo trimestre consecutivo. I conti del 2018 confermano quanto segnalato dalla ricerca di Mediobanca R&S rilasciata lo scorso 24 gennaio, secondo la quale Fastweb è l’unico operatore italiano a crescere nel quinquennio 2013-2017 in termini di ricavi (+18,4%).

Un risultato unico confermato per l’Europa dall’analisi della banca Natixis: anche nel benchmark con i Big Five (Francia, Germania, Spagna, UK e Italia), Fastweb si conferma come l’operatore con la migliore performance in termini di Ebitda negli ultimi 5 anni. Il mercato continua dunque a premiare Fastweb sia nel segmento fisso che in quello mobile.

I NUMERI RAGGIUNTI DA FASTWEB NEL 2018

Al 31 dicembre 2018 la base clienti sulla rete fissa di Fastweb ha raggiunto 2.547.000 unità, con un aumento del 4% (+96.000 nuove unità) rispetto all’anno precedente.
Sempre al 31 dicembre, i ricavi totali di Fastweb si sono attestati a 2.104 milioni di euro, in crescita dell’8% rispetto agli 1.944 milioni di euro registrati al 31 dicembre 2017. L’Ebitda complessivo ha raggiunto 674 milioni di euro, +6% su base confrontabile rispetto al 2017.

LA CRESCITA DI CLIENTI E MARGINI

Clienti e margini in crescita per il 22esimo trimestre consecutivo per Fastweb. Nel 2018 l’utile netto della società si attesta a 106 milioni di euro, in crescita del 49% su base annua al netto delle partite straordinarie registrate nel 2017. In aumento anche i ricavi, che raggiungono i 2,1 miliardi di euro (+8), e l’Ebitda organico, a 647 milioni di euro (+6% su base confrontabile).

IL DETTAGLIO DEI SETTORI

In crescita i clienti del segmento mobile, che al 31 dicembre erano 1.432.000, in aumento del 34% rispetto al dicembre 2017. Il tasso di crescita complessivo (+389.000 net acts) si mantiene robusto nel corso dell’anno, nonostante l’intensificarsi della concorrenza e l’ingresso di un nuovo operatore nel mercato. Fastwebmantiene quindi il massimo focus sulla convergenza fisso-mobile, portando al 30% la sua base clienti convergente (+ 7 punti percentuali in 12 mesi), e sulla Customer Experience.

LE TENDENZE DELLE UNITA’ DI BUSINESS

Continuano a migliorare anche le performance della Business Unit Enterprise, che porta la quota di Fastwebnel rispettivo mercato al 31% in termini di ricavi totali, con punte di eccellenza come il 50% nei servizi dati/connettività ed il 39% nella Pubblica Amministrazione. Altrettanto solida la crescita della divisione Wholesale: la fornitura di servizi di connettività dati all’ingrosso e di collegamento in fibra ottica delle antenne mobili di altri operatori rappresenta una percentuale crescente delle attivita’ commerciali. Tutti gli operatori fissi e mobili nazionali e internazionali presenti in Italia utilizzano, ad oggi, uno o più servizi all’ingrosso offerti da Fastweb, portando i ricavi della divisione nell’anno a 274 milioni, +11% rispetto all’anno precedente, si legge nella nota della società.

Mauro Bottarelli - Il governo italiano è tenuto insieme dalla voglia di occupare potere istituzionalizzato e non il più possibile e da parte del M5S e da parte della Lega. Salvini è un fanfulla niente progetto, niente idee ma solo tattica e per di più sguaiata incoerente opportunistica, suo unico obiettivo sostituire il corrotto euroimbecille Pd nel Sistema massonico mafioso politico. Il M5S, movimento giovanissimo che nel giro di cinque anni dalla sua nascita politica è riuscita ad andare al governo e governa, nella sua pancia ha mille contraddizioni ma ha acquisito la capacità di riconoscere nelle istituzioni, nei paesi esteri il sottile male delle classi dirigenti che fanno di tutto per mantenere il potere e nulla fanno per le classi meno ricche. E' innegabile che ci sia un tasso d'innovazione e di incidere nel concreto notevole, durerà non durerà non c'è risposta, bisogna vivere e accompagnare il processo anche contraddittorio. La Francia dei Macron puh si sono inventati Carlie Hebdo e altro

SPY FINANZA/ La mossa della Francia per liquidare M5s

Strana coincidenza quella per cui la crisi tra Italia e Francia nasce per un’iniziativa del Movimento 5 Stelle subito prima del voto in Abruzzo

09.02.2019 - Mauro Bottarelli

Luigi Di Maio (Lapresse)

Mi scuserete se oggi non vi offrirò dati, percentuali, grafici, statistiche. Oggi, se permettete, il mio sarà un pezzo “di scenario”, come dicono quelli in gamba, i giornalisti veri. Scenario molto ipotetico, mi permetto di aggiungere. Quasi da fantapolitica. Come sapete ho qualche problema con le coincidenze: semplicemente, non ci credo. A costo di risultare dietrologo (come, ad esempio, quando vi dicevo che la Fed si sarebbe fermata molto prima del previsto con l’aumento dei tassi e avrebbe riarmato il bazooka). Quindi, questa strana coincidenza di fattori paralleli emersa negli ultimi giorni – tutti pesantemente avversi a livello politico verso i Cinque Stelle – mi fa pensare.

Come sapete non sono un loro simpatizzante, anzi. Né tantomeno un loro elettore. Ma è interessante analizzare le dinamiche in atto. Più che altro, in vista del voto europeo. Vediamo un po’. Mercoledì è partito l’attacco concentrico di Commissione Ue e Fmi contro la manovra e le stime di crescita italiane: nulla che stupisca, ne abbiamo già parlato nell’articolo di ieri. Pantomima. Giovedì, tonfo di Piazza Affari (insieme al Dax di Francoforte, calato di qualche frazione addirittura in più, ma questo non fa notizia, né titolo), spread in aumento e, soprattutto, il richiamo dell’ambasciatore a Roma da parte della Francia. Atto che non si vedeva da prima della Seconda guerra mondiale, esattamente dalla coltellata nella schiena del 1940: atto diplomaticamente pesante. Tanto più che si tratta di due Paesi fondatori dell’Unione e storicamente amici, oltre che geograficamente vicini.

E Parigi non ci ha messo molto a sparare ad alzo zero, tanto per rendere ancora più platealmente grave quell’iniziativa: «L’Italia si è resa responsabile di attacchi e ingerenze inaccettabili e senza precedenti». Chiaro riferimento al tiro all’Eliseo che, su varie materie, vede impegnati ormai da settimane i due vice-premier, i ministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Ma la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stato l’incontro fra i due leader, quello formale e quello reale, del M5S – Di Maio e Di Battista – con una rappresentanza dell’ala più oltranzista e dura dei gilet gialli.

E qui, fermi tutti. Se infatti i grillini hanno risposto per le rime, rivendicando la loro libertà di incontrare chi vogliono e la sovranità dell’Italia, la quale non si farebbe dettare l’agenda da nessuno, il ministro dell’Interno ha non solo utilizzato un tono inusualmente conciliante, ma, addirittura, ventilato un incontro chiarificatore con Emmanuel Macron, perché la priorità è «risolvere le questioni». Tav in testa, immagino, visto che casualmente la Lega ha presentato proprio in quelle ore il suo contro-dossier sui costi benefici dell’opera, ovviamente favorevole alla costruzione. Al netto della sempre più formalmente inutile presenza al Governo del ministro Moavero Milanesi, vedi anche la questione venezuelana, questa conversione al ruolo di mediatore diplomatico del titolare del Viminale, appare bizzarra. E strumentalmente sospetta.

Ma particolarmente interessante è anche la location da dove il ministro dell’Interno ha lanciato la sua proposta: l’Abruzzo che domani andrà al voto e dove si è rivisto, per la prima volta dalle consultazioni della scorsa primavera al Quirinale, il centrodestra unito. E non solo sulle liste elettorali, anche fisicamente in conferenza stampa: Salvini, Berlusconi e Meloni. Fianco a fianco, come un sol uomo. Come se nulla fosse accaduto e stesse accadendo nelle Aule romane. Certo, l’imbarazzo si tagliava con il coltello, ma se alla 23:01 di domani sera i sondaggi sorrideranno, anche certe tensioni potranno sciogliersi. Tanto più che prima delle europee ci sono ancora gli appuntamenti amministrativi in Sardegna e Basilicata.

E mentre i tre sorridevano alle telecamere e ai fotografi con la naturalezza con cui Maxi Lopez saluta Mauro Icardi, il plenipotenziario di Forza Italia e presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, metteva il carico da novanta, sottolineando come certe crisi diplomatiche siano frutto del dilettantismo di Di Maio, uno che va in Francia «a incontrare chi tira le bottiglie molotov». Ora, al netto che qualcuno dovrebbe ricordare al presidente Tajani che il suo capo con un lanciatore di molotov reo confesso come Massimo D’Alema ci fece una Bicamerale, gli equilibri appaiono chiari. Così come le dinamiche in atto: marginalizzare e isolare i Cinque Stelle.

I quali, occorre dirlo chiaramente, sono bravissimi a suicidarsi da soli, politicamente, quasi dei campioni del mondo dell’autolesionismo più o meno volontario. Perché andare a incontrare l’ala dura dei gilet gialli a pochi giorni dal voto in Abruzzo non pare esattamente farina del sacco di Sun-Tzu. Tanto più che oggi, 24 ore prima di quel voto, i gilet gialli torneranno in piazza per il 13° sabato di protesta contro il Governo. E se per caso, dico solo per caso, gli incidenti questo fine settimana fossero ben più gravi e diffusi degli ultimi? Senza bisogno di epiloghi tragici, qualche macchina in fiamme in più, qualche carica e sassaiola in più: tutta roba che viene meravigliosamente in video e sul web, una resa straordinaria. Politicamente, poi, è il non plus ultra.

Ma per i Cinque Stelle, in un Paese di rivoluzionari perennemente del giorno dopo o assenti giustificati come l’Italia, sarebbe un disastro, poiché immediatamente partirebbe il fuoco di fila che li assocerebbe a chi ha messo a fuoco e fiamme Parigi (o Lione o Montpellier o Tolosa, poco cambia). “Ecco con chi vogliono fare comunella in Europa!”, titolerebbe Il Giornale, sparando una bella fotografia a tutta prima pagina, stile G8 di Genova. E il Pd? Ci andrebbe nozze per settimane, durante le quali almeno potrebbe evitare di parlare delle primarie. Ma la reazione più politicamente pesante potrebbe essere quella del ministro Salvini, il quale da un lato dovrebbe rassicurare l’elettorato storico, quello Nord, fatto di imprenditori e moderati che con la violenza non vogliono avere minimamente a che fare e dall’altro, soprattutto, dovrà rivendicare il suo ruolo appunto di capo delle forze dell’ordine, di titolare del Viminale. Quindi, condanna e presa di distanza automatica dall’alleato, pur facendo lo slalom gigante fra i distinguo.

Il tutto, alla vigilia del voto in Abruzzo. Che, per carità, non sarà la Florida nel contesto delle presidenziali Usa, ma simbolicamente e a livello di equilibri interni al Governo, in questo momento di tensione crescente fra contraenti del contratto (Tav in testa), rappresenta quantomeno il Mugello o Sesto San Giovanni, a livello simbolico. Un brutto risultato dei grillini potrebbe far saltare il banco, proprio ora che la questione Diciotti sembrava risolta con l’inchino doloroso alla ragion di Stato dei senatori M5S, pronti di fatto a negare l’autorizzazione a procedere contro l’alleato.

E poi il durissimo richiamo del Colle, quasi immediato. Visto che a brevissimo giro di posta dall’accaduto, il presidente Sergio Mattarella ha severamente sottolineato come «bisogna difendere e preservare l’amicizia con la Francia», esprimendo tutta la sua «grande preoccupazione per la situazione» e chiedendo di «ristabilire subito il clima di fiducia». Dopo il promoveatur ut amoveatur dell’ormai ex ministro Paolo Savona, bocciando di fatto il candidato grillini alla Consob, un altro scontro frontale con M5S. Fin qui le evidenze, abbastanza chiare. E le responsabilità dei grillini nel chiudersi praticamente da soli in un angolo, per dirla alla francese, in un cul-de-sac.

Però, qualche ulteriore domanda merita una risposta. Nel suo duro comunicato, il ministero degli Esteri francesi sottolinea come «la campagna per le elezioni europee non può giustificare la mancanza di rispetto per un popolo o la sua democrazia». Unite a questa frase, politicamente gravissima, il fatto che a scatenare l’offensiva diplomatica sia stata la missione grillina Oltralpe per incontrare i gilet gialli e fatevi una domanda: se i rappresentanti di quel movimento sono così impresentabili che il solo rapportarsi con loro (oltretutto, nel caso specifico, raccogliendo come risultato un bel due di picche) comporta la scomunica dal genere umano, perché il presidente Macron, al netto della rituale condanna delle violenze, ha prima blandito la nazione con il suo discorso del mea culpa a reti unificate (sostanziatosi in 11 miliardi di nuovo deficit per manovre puramente elettorali e misure tampone) e poi lanciato il “grande dibattito” nazionale, proprio per confrontarsi con la società civile e confrontarsi con le rivendicazioni del movimento? La campagna elettorale vale solo per lui?

E poi, la questione ingerenza. A parte che lo schema ricorda molto quello ormai ritrito degli hacker russi e del Russiagate, non configura forse una mancanza di rispetto per un popolo e la sua democrazia anche definire la politica del Governo italiano in tema di immigrazione “vomitevole” (alla luce di quanto fanno i gendarmi a Ventimiglia e Bardonecchia, poi) e, non più tardi della scorsa settimana, sentenziare che «gli italiani meritano dei leader migliori»? Attenzione, signori, perché la strategia è chiara. Al netto del rendere il lavoro molto semplice ai loro detrattori, stante le continue bucce di banana su cui scivolano, i Cinque Stelle sono nel pieno di una campagna di criminalizzazione che è essa stessa un’ingerenza nella politica italiana. E di livello ben più alto della sguaiate accuse sul colonialismo francese in Africa, visto che si è attivato il livello diplomatico ufficiale.

E poi, ci sono voluti due giorni interi al ministro degli Esteri francese e ai solerti funzionari del Quai d’Orsay per accorgersi dell’incontro fra i leader M5S e l’ala dura dei gilet gialli? Hanno dovuto riflettere per 48 ore, prima di giungere alla conclusione che quel meeting era meritevole di un atto diplomatico senza precedenti in tempo di pace? Sarà, ma la coincidenza temporale con il voto abruzzese puzza. Molto.

C’è un asse fra centrodestra e Governo francese per creare i prodromi di una crisi di governo? No, c’è solo la volontà francese di preservare i propri interessi, vedi i 285 miliardi di Btp in pancia alle banche d’Oltralpe (oltre tre volte tanto gli 80 miliardi di interscambio commerciale fra i due Paesi), eliminando dalla scena politica l’attore che reputano più pericoloso sul medio-lungo termine per la tenuta dei conti. E, in extrema ratio, per il rimborso e la tenuta di valore di quei bond. Questa non è un’ingerenza politica negli affari di uno Stato estero? Certo, la logica è quella di creare le condizioni per giungere a un nuovo Qe che salvi tutti, Germania in testa, e gli attacchi all’Italia sono il cardine della strategia: ormai è chiaro. E può anche essere ben accetto da qualcuno. O da molti. Ma attenzione ai precedenti che si creano, perché restano.

Oggi, paradossalmente, ne avremo una prima riprova dalla piazza parigina. Certo, se la polizia francese chiudesse un occhio, come fa spesso e volentieri quando le risulta comodo, allora avremmo più che un sospetto. Pensateci: quando il sabato successivo al discorso alla nazione di Emmanuel Macron serviva calma dalla piazze, per inviare il segnale che il ramoscello d’ulivo dell’Eliseo era stato efficace nel calmare gli animi, i valorosi gendarmi e flichanno riscoperto di colpo l’istituto dei fermi preventivi nelle banlieue. Tutto liscio come l’olio. Poi, quando serviva invece ampliare la spaccatura del movimento fra dialoganti e ala oltranzista e radicale, al primo raduno subito dopo Natale – insomma, quando fa politicamente comodo il caos – ecco che miracolosamente addirittura una ruspa riesce ad arrivare senza ostacoli sugli Champs Elysées e abbattere il portone di un ministero.

Strana gestione dell’ordine pubblico, da una settimana con l’altra, non vi pare? E state certi che se la volontà è quella di portare M5S all’irrilevanza politica alle europee o a rompere l’intesa con la Lega prima di esse, lo stillicidio continuerà. Con la lettera scarlatta dei rapporti con i “violenti” pronta a ricomparire a ogni sabato di protesta in Francia, da qui a maggio. Ma, magari, mi sbaglio. Una cosa voglio dirvi, a livello generale e avulsa da questa dinamica. Non mi frega nulla della Tav, né tantomeno di dispute da bar sugli stereotipi di pizza, mafia e mandolino contro bidet e baguette sotto l’ascella. Però, la Francia – che amo, come amo la sua gente – quando parla come potere costituito all’Italia, deve comunque cospargersi il capo di cenere e darci un risposta che aspettiamo da quasi quaranta anni su qualcosa di davvero serio, più della sciagurata campagna di Libia del 2011: cos’è accaduto nei cieli di Ustica il 27 giugno del 1980, veramente? Dopo, potremo tornare a parlare da pari.

Roma - niente da fare tutti vogliono mantenere le proprie prebende, anche queste non vogliono pagare un'immobile che ustilizzano da anni a gratis

Roma, la Casa delle donne ‘Lucha y Siesta’ a rischio chiusura: “Eliminarci faciliterà violenza”

07.02.2019 - Annalisa Ramundo - Agenzia DIRE



Atac ha messo in vendita lo stabile e ha chiesto alle attiviste di lasciare la casa entro pochi mesi.

“Il Comune si mobiliti e prenda una posizione per far vedere che la realtà di ‘Lucha y Siesta’ non può essere cancellata per questioni economiche che potrebbero essere risolte in altri modi. A un certo punto diventa una questione politica”. A parlare è Mara Bevilacqua, attivista della Casa delle Donne ‘Lucha y Siesta’, nata undici anni fa nella periferia Sud-Est di Roma in una palazzina di proprietà dell’Atac, trasformata in centro antiviolenza, casa-rifugio per donne e minori e spazio di aggregazione politico-sociale. Undici anni a rischio cancellazione, visto che Atac ha messo in vendita lo stabile e ha chiesto alle attiviste di lasciare la casa entro pochi mesi. Ma le donne di Lucha non ci stanno e si aprono alla città con un’assemblea pubblica convocata per mercoledì 20 febbraio.

“Togliere al quartiere e alla città di Roma questo spazio- spiega Bevilacqua- significa perdere l’esperienza stessa di Lucha, una storia e un insieme di pratiche femministe che vengono riconosciuti all’estero e studiati, anche con tesi di laurea. Ma, soprattutto, significa perdere un luogo fondamentale di contrasto alla violenza sulle donne“.
LE ATTIVITA’ DI LUCHA Y SIESTA

Un impegno che ‘Lucha Y Siesta’, nella sua attività di report ha tradotto in numeri, messi in evidenza nella campagna di comunicazione verso la città iniziata da ieri, anche sui social. Sono 1.200 le donne sostenute nel percorso di fuoriuscita dalla violenza di genere, con 300 minori; 140 le donne e 60 i minori che hanno trovato un alloggio sicuro in un undici stanze di accoglienza più due di emergenza; due giorni a settimana di sportello esterno e un telefono di reperibilità attivo h12; un giorno a settimana di sportello interno per la costruzione dei progetti individuali con le donne accolte nella struttura.

“Per le donne in uscita dalla violenza- aggiunge l’attivista- il Comune ha a disposizione 20 posti, Lucha ne ha 14, la Convenzione di Istanbul ne prevede 300, ci sono dei numeri che non tornano”. Il ruolo di Lucha non è in discussione, “visto che vengono accolte donne in carico ai servizi sociali del Comune proprio perché il nostro è un percorso riconosciuto”, ma è riconosciuto solo “a parole”, lamenta Bevilacqua, perché “non siamo ancora riuscite a metterci sedute davanti a sindaca e assessori”.

Silenzio letto come “un attacco” dal significato politico preciso: “derubare la popolazione di un centro di aggregazione politica e culturale, fare un atto politicamente deciso contro le donne che vogliono uscire dalla violenza, facilitandola”. “Il valore dello stabile scritto sul concordato- precisa Bevilacqua- è stato pagato e ripagato dai lavori che le donne hanno realizzato quando è stato occupato e versava in uno stato di totale abbandono. Abbiamo evitato che fosse il Comune a doversi occupare economicamente della ristrutturazione, se è ancora in piedi è perché è stato ricostruito in forma autogestita. In più, i servizi che ‘Lucha y Siesta’ ha erogato sono servizi non erogati dal Comune che, quindi, ha risparmiato”.

A contare però, ribadisce l’attivista, “è il riconoscimento dell’esperienza”, che negli anni ha prodotto progetti come ‘Al di là degli stereotipi’, avviato nel 2016 nei licei di Roma insieme a Zerocalcare, Rita Petruccioli e Carola Susani, che hanno costruito una serie di incontri con autrici e autori di fumetto e guidato un gruppo di giovani disegnatrici e disegnatori nella costruzione di fumetti ispirati alle esperienze di vita di alcune donne ospiti della casa. O ‘Fuori luogo’, rassegna pensata per approfondire e discutere da una prospettiva femminista e attraverso lo sguardo di grandi scrittrici, alcune tematiche di stringente attualità: dal corpo al potere, dalla maternità all’ambiente, dalla realtà agli universi infiniti.

Fino al progetto sartoria, nato grazie al percorso di Barbara, licenziata per motivi legati al fatto stesso di essere donna, e “simbolo di un contrasto alla violenza di genere in tutte le sue manifestazioni”. Storie di donne che aiutano altre donne. “Non abbiamo nessuna intenzione di mollare- conclude Bevilacqua- Ci stiamo attivando con interviste, eventi, cercheremo di andare verso la città per farci conoscere dalle realtà meno militanti. È arrivato il momento di far sentire la nostra voce in modo diverso. È arrivato il momento di strillare un po’ più forte”.

I tedeschi scoprono l'intervento dello stato nell'economia mentre i nostri euroimbecilli hanno smantellato l'Iri un Sistema studiato anche dai giapponesi, ma tant'è

I tedeschi scoprono che il loro modello è fallito

febbraio 8, 2019


di Pasquale Cicalese / Articolo tratto da Contropiano.org –

Sta suscitando scalpore in tutta Europa il documento preparato dal ministro dell’economia tedesco Peter Altmaier – “Piano Industria 2030” – perché prevede l’intervento dello Stato nell’economia, sia come “arrocco” per difendere i campioni nazionali da scalate ostili (si pensa ai cinesi, ma non solo), sia per avviare un salto tecnologico nelle grandi e medie industrie tedesche.

In particolare si parla di formare una sorta di “nuova Iri” per entrare in colossi quali Deutsche Bank, Bosch, Daimler ecc.

Altmaier, nel suo documento. parla di investimenti pubblici nei settori dell’intelligenza artificiale, nelle piattaforme di connessione informatiche, nelle biotecnologie, nella guida autonoma e nell’aerospaziale. Tutti settori dove dominano colossi americani e cinesi. Inoltre ritiene che entro il 2030 l’apporto dell’industria rispetto al pil debba aumentare dal 22 al 25% in Germania e dal 16 al 20% in Europa, considerando un grave errore la deindustrializzazione di molte aree europee a cui bisogna porre rimedio.

Da che pulpito viene la predica, verrebbe da dire…

Solo accennando al Trattato di Lisbona, esso prevedeva che l’UE a 500 milioni di abitanti divenisse entro il 2020 l’area economica più innovativa del mondo. Dalle parole di Altmaier scopriamo invece che il cuore industriale europeo è dietro di almeno 20 anni rispetto ai grandi sommovimenti produttivi mondiali.

Decenni a tagliare salari, a fare i “mini-job”, con il delirio dell’alternanza scuola-lavoro, prontamente presa da Renzi in Italia, Agenda 2010 di Schroeder, con deflazione salariale ed estrema flessibilizzazione, per poi scoprire cosa? Che non hanno agganciato la rivoluzione industriale degli ulitmi venti anni.

Verrebbe da dirgli: dove eri, tu, in questi decenni? E’ noto: ai vertici del potere tedesco e dell’Unione Europea…

Vediamo un dato: il tasso di investimento in Germania è pari al 19% contro il 42% della Cina. Il surplus delle partite correnti tedesche in questi decenni è stato indirizzato alla bolla tech del 2001, ai subprime, alle case spagnole, ai sommergibili greci. Il surplus cinese è servito invece per finanziare il salto tecnologico.

Se poi andiamo a vedere il sistema di istruzione, in Cina sfornano 6 milioni di laureati l’anno, di cui il 50% in materie scientifiche. Negli ultimi anni 500 mila ricercatori cinesi sono rientrati dagli Usa nel loro paese.

Mao, dopo la Lunga Marcia, realizzò due capolavori: la bomba atomica e l’alfabetizzazione di massa, con la lotta all’analfabetismo. Chi si legge il saggio di Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino, di 15 anni fa, noterà che l’economista racconta dei primi capitalisti di Hong Kong e Taiwan, dopo l’apertura di Deng, sbalorditi dalla preparazione tecnica della forza lavoro cinese.

Il sistema di istruzione tedesco è invece fortemente classista. I figli degli operai vengono sin dalla scuola media indirizzati alla formazione professionale, mentre all’università ci va la classe medio alta. C’era un sistema di istruzione all’avanguardia: era quello della DDR, smantellato dopo l’89 dalla RFT, come racconta bene Vladimiro Giacchè nel saggio Anschluss.

Il futuro è una questione di istruzione e di qualificazione della forza lavoro, prima ancora di poter fare il salto tecnologico. Si tratta di ripudiare le riforme scolastiche e universitarie degli ultimi 20 anni, fortemente elitarie e assolutamente inservibili rispetto alla rivoluzione tecnologica e produttiva in corso.

Fa quasi pena leggere il documento di Altmaeir, che sull’istruzione non dice nulla. E allora, senza di questo, il nuovo capitalismo monopolistico di stato tedesco serve solo come arrocco e protezionismo.

I nuovi cartelli, come sosteneva Lenin, visto che non hai la capacità di competere con i colossi americani e cinesi, servono a prepararti ad una sola cosa: la guerra.

E quindi dopo il mercantilismo degli ultimi decenni, basato sulla deflazione salariale, avremo il protezionismo basato sui cartelli.

E dopo?

Si tratta di abbattere anche da noi questo modello, che Altmaier stesso quasi definisce fallimentare. E l’Italia lo ha imitato, affossandosi del tutto.

Epilogo infame di un modello che ha portato solo povertà salariale. E culturale…

Roma - Casa Pound in Capidoglio perchè vuole continuare l'occupazione di un palazzo del ministero del Tesoro a gratis, vuole mantenere la sua prebenda

CasaPound al Campidoglio contro la Raggi: “Un sindaco nemico di Roma” (Video)
-8 Febbraio 2019


Roma, 8 feb – Una grande manifestazione in Campidoglio“contro l’ennesimo sindaco che si è dimostrato inadeguato ed incapace di amministrare la Capitale”. CasaPound è scesa in piazza oggi per contestare duramente Virginia Raggi e la sua giunta, considerata del tutto fallimentare dal movimento della tartaruga frecciata.

“Dalla gestione dei rifiuti all’emergenza abitativa, dai campi rom ai roghi tossici, dal degrado al dissesto stradale, Roma sta sprofondando sotto la guida di un sindaco capace soltanto di aggrapparsi all’antifascismo e all’accoglienza”, spiega Cpi che è scesa in piazza con tanti tricolori e bandiere del’Ue barrate. Mentre la Raggi continua a chiedere lo sgombero della storica sede di CasaPound in via Napoleone III, la Capitale è abbandonata a se stessa e il movimento sovranista non intende accettare questo scempio da parte di un sindaco che considera “nemico di Roma”.

Per questo ha deciso di portare in piazza la “rabbia sacrosanta dei romani che avevano creduto in un cambiamento che nei fatti non c’è mai stato, con i grillini che oggi sono diventati soltanto il riflesso della vecchia politica”.

Roma - L'Ama non vuole funzionare e il burocrate Zingaretti sono anni e anni che ci mette del suo

L’altolà della sindaca Raggi all’Ama: “Sono stufa. Sono dalla parte dei cittadini. E’ il momento di fare pulizia nel bilancio e soprattutto nelle strade”


8 febbraio 2019 dalla Redazione

“Sono stufa. Sono dalla parte dei cittadini che hanno perfettamente ragione. E’ il momento di fare pulizia nel bilancio di Ama e soprattutto nelle strade. Su questo non accetto alcun compromesso. E non si torna indietro”. E’ quanto ha detto la sindaca di Roma, Virginia Raggi, durante la giunta che ha di fatto bocciato il bilancio dell’Ama, l’azienda partecipata che gestisce la pulizia urbana e la raccolta dei rifiuti nella Capitale. “L’incendio del Tmb e l’immobilismo della Regione – ha aggiunto la sindaca – hanno inciso fortemente ma Ama deve fare la sua parte. Questo lo pretendo”.

Giulio Sapelli - sbaglia il nostro, è guerra vera e la si deve combattere a tutto campo con rapporti di forza presumibilmente vincenti. Lo sviluppo non sono le trivelle ne l'ennesimo buco nella montagna ma creare e lavorare per l'Energia Pulita possibilmente eolico offshore anche su piattaforme mobili. E' proprio nella natura dell'Euroimbecillità affossare l'Italia e lo scorporo degli investimenti è proprio quello che non si vuole per il nostro paese MA lo si permette alla Germania in crisi. Non c'è buonafede a Bruxelles e far finta che lì ci sono buonisti è da idioti

Sapelli: su crescita governo chieda scorporo investimenti da debito
MANOLA PIRAS 7 FEBBRAIO 2019


Il professor Giulio Sapelli: basta sparate di Lagarde e Moscovici ma governo chieda scorporo investimenti attività produttive dal debito. Stop a Tav e trivelle? Follia

“I tecnocrati internazionali devono fare i tecnici e non i politici”. Giulio Sapelli, storico ed economista, ha come sempre le idee ben chiare sul rispetto dei ruoli all’interno e fuori dai confini nazionali e mal digerisce le dichiarazioni del Fondo monetario internazionale contro il Reddito di cittadinanza e quelle del commissario europeo all’Economia, Pierre Moscovici, sulla politica di bilancio italiana, considerata fortemente incerta. Parole che fanno da cornice alle stime di Bruxelles sul Pil del nostro Paese, visto in calo allo 0,2 per cento nel 2019.

“LE SPARATE DI LAGARDE E MOSCOVICI”

“Il Fmi dovrebbe smetterla con queste sparate e Christine Lagarde dovrebbe evitare comunicati come quello di ieri, che peraltro contraddicono le pubbicazioni del Fondo stesso in cui si parla positivamente dei provvedimenti contro la povertà”afferma Sapelli. Di sicuro il Reddito di cittadinanza crea confusione perché vuole essere uno strumento “sia per la lotta alla povertà sia a favore dell’occupazione ma quelle ieri di Lagarde così come quelle stamani di Moscovici sono dichiarazioni politiche e non tecniche”. C’è da dire che anche la Corte dei Conti, nella memoria depositata in commissione Lavoro al Senato, critica il doppio obiettivo del Reddito. Su questi temi che hanno logiche diverse, è la posizione della magistratura contabile, servono approcci diversi. Ebbene, la Corte “ha ragione ma non deve dirlo” perché non è questo il suo compito.

“ANZICHÉ PENSARE AI GILET GIALLI IL GOVERNO CHIEDA SCORPORO INVESTIMENTI IN ATTIVITÀ PRODUTTIVE DAL DEBITO”

Però non possiamo non constatare che la situazione dell’economia italiana tanto rosea non è. “Nulla di strano, siamo in recessione come annunciato dagli economisti più intelligenti già da un po’ di tempo”. Del resto, spiega Sapelli, bisogna considerare anche due fattori: “La Cina ha smesso di crescere e c’è una crisi profonda da parte delle grandi corporation americane”. Dunque la crisi è “oggettiva in una economia mondiale fondata sulle esportazioni e non sul mercato interno”. Inoltre nell’Unione europea si aggiungono le difficoltà della manifattura tedesca, ulteriore elemento che “danneggia l’export dell’Italia”.

La soluzione? “Il governo, anziché perdere tempo a incontrare i Gilet gialli e a creare problemi con Parigi, pensasse a far passare lo scorporo dal debito degli investimenti in attività produttive” taglia corto il professore della Statale di Milano che ricorda i precedenti dei governi Letta e Renzi. “Senza urlare si può chiedere di farlo: abbiamo un bravissimo ministro degli Esteri come Moavero, un bravissimo ministro degli Affari europei come Savona, c’è Tria… Si deve percorrere questa strada”.

“STOP A TRIVELLE E A TAV SONO FOLLIE. SENTO RAGIONAMENTI PRIVI DI FONDAMENTO”

Rimanendo in tema di conti pubblici, anche se il punto di partenza è quello delle politiche energetiche, si registra un accesso dibattito tra le due forze di governo, Lega e Movimento Cinque Stelle, in materia di trivelle e di Tav. “Lo stop alle trivelle è una follia, esiste già una regolamentazione perfetta per non avere problemi ambientali, tanto è vero che occorre chiedere i permessi a 20 enti diversi” chiarisce Sapelli. “A Cervia – è l’esempio offerto dall’economista – le trivelle sono in funzione da anni e non c’è mai stato un problema di inquinamento, anzi è un’importante meta turistica”. Uno stop che rischia di favorire Croazia, Albania e Montenegro. “Ovviamente sì perché i giacimenti non seguono i confini marittimi degli Stati”.

Tornando alla cassa, si tratta di decisioni che rischiano di “far perdere molti investimenti e di far pagare penali di tutto rispetto”. Senza dimenticare peraltro che “l’unica alternativa alla Tav è una ferrovia vecchia di 150 anni, pericolosissima. Infatti quest’opera era stata concepita proprio per farne a meno”. “Ciò che colpisce di più una persona come me, che ha passato tutta la vita a studiare e a insegnare – è il rammarico di Sapelli -, sono i ragionamenti privi di fondamento che accomunano le due questioni. Analisi costi-benefici? Ma dove hanno studiato questi economisti? E’ evidente che non si può fare questo tipo di analisi: i costi sono immediati, i benefici si vedono nel futuro. Come si fa a prevedere il futuro?”.

D’altro canto, se il quadro non è esattamente confortante, “bisogna anche dire le cose positive, per esempio che le ultime aste di Bot e Btp sono andate molto bene e ciò significa che i risparmiatori italiani hanno ancora fiducia”.

“NPL E STRESS TEST, DOV’È L’INDIPENDENZA DELLA BCE?”

Oltre i confini italiani, la Bce fa pressioni con le vendite degli Npl e i maxi accantonamenti che creano più di qualche difficoltà alle nostre banche. “Tempo fa i banchieri centrali parlavano una sola volta l’anno e così dovrebbero tornare a fare, anche il mio amico Draghi”. Sui crediti deteriorati, Sapelli non ha dubbi: “Occorre uniformare la regolamentazione, che è tutta diretta contro l’Italia.Per esempio, gli stress test non vengono fatti agli istituti di credito tedeschi. Quindi, dov’è l’indipendenza della Bce?”.

Siria - non è finita, i mercenari terroristi tagliagola insieme ai padri nobili che hanno promosso guidato gestito la guerra: morti e distruzioni ma fatti solo umanamente


Ultima trincea contro i turchi 
“Attaccheranno in 60mila”

FEB 8, 2019 

Manbij (Siria) La bandiera di Mosca, bianca, blu e rossa sventola accanto al vessillo del governo siriano ad una trentina di chilometri da Manbij, la roccaforte in mano ai curdi, che i turchi vogliono spazzare via. Le truppe di Mosca garantiscono una zona cuscinetto sul fianco ovest della città lungo la strada che porta ad Aleppo. A nord sventola la bandiera a stelle e strisce su una base avanzata dei corpi speciali americani, che a loro volta pattugliano con i curdi il fronte sul fiume Sajor. Dall’altra parte i soldati turchi e i loro alleati si preparano alla spallata quando i duemila uomini dispiegati dagli Usa nel nord est della Siria si ritireranno come ha annunciato il presidente Donald Trump. 

“Non ci fidiamo né dei russi, né degli americani, ma collaboriamo con entrambi per mantenere la sicurezza e fermare i turchi”, spiega in perfetto stile levantino, il comandante Jamal Abu Juma della zona di Al Bab. Ogni mattina i suoi uomini pattugliano l’area con due blindati della polizia militare russa per mantenere lo status quo a Manbij, epicentro del Risiko che si sta giocando in questo angolo strategico del conflitto siriano. “I gruppi jihadisti appoggiati da Ankara si ammazzano fra loro. Ogni giorno c’è un conflitto a fuoco. Per non parlare dei sequestri per ottenere un riscatto. Non rispettano neppure le donne”, si lamenta il paffuto comandante del Consiglio militare locale di Al Bab, alleato delle Forze democratiche siriane guidate dai curdi. “Fra le violenze jihadiste e le minacce di attacco turco la gente è terrorizzata”, spiega Abu Juma. Per ora i russi a ovest, americani e francesi a nord sembrano arginare le mire del “sultano” Erdogan, ma la minaccia contro i curdi bollati come “terroristi” è reale.

“Sessantamila soldati turchi sono pronti ad attaccarci”, sostiene un generale delle Forze democratiche siriane, che preferisce non fare il suo nome. Sul voltafaccia americano nei confronti dei curdi utilizzati come carne da cannone per eliminare lo Stato islamico non sembra molto preoccupato. “Stiamo negoziando con Damasco, attraverso i russi, il futuro del Paese – rivela il generale – Non vogliamo l’indipendenza, ma una forte autonomia nel Rojava, uno stato federale (il 25% del territorio controllato dai curdi nel Nord Est della Siria nda)”.

La scaletta del negoziato prevede di mantenere “l’unità territoriale siriana” e di includere le Forze democratiche (Sdf) a guida curda nell’esercito regolare. I curdi avranno dei seggi garantiti nel parlamento di Damasco. E nelle scuole si insegnerà la loro lingua.

Il Risiko siriano si concentra su Manbij una cittadina tranquilla, che con il suo entroterra ha una popolazione di mezzo milione di persone. I kamikaze jihadisti stanno cercando di infiltrarsi per seminare il panico, come è accaduto lo scorso mese quando un terrorista ha fatto fuori quattro americani in una via molto trafficata. “Abbiamo segnalazioni di un’autobomba che starebbe arrivando da nord”, ci spiegano, come se fosse assolutamente normale, appena arrivati al quartier generale delle forze curde.

A nord della città, lungo il fiume Sajor, corrono i dieci chilometri di prima linea davanti alle unità turche e dell’Esercito siriano libero, uno dei primi gruppi ribelli anti Assad. “I soldati turchi è facile individuarli dalla bandiera sull’uniforme, l’equipaggiamento e i mezzi più moderni”, fa notare il giovane comandante armato di binocolo. Da una delle tante postazioni fisse che spuntano come funghi su un terreno bucolico i miliziani curdi aspettano la guerra che verrà a poche centinaia di metri da un villaggio di case bianche a basse presidiato dai turchi e dai ribelli siriani. 

“Ankara fa parte della Nato. Siete voi che dovete fermarli in quanto alleati. Altrimenti lo faremo noi, anche se ci massacreranno con aerei e droni”, osserva Abu Sajor, nome di battaglia del comandante, che deriva dal fiume della prima linea. Una colonna di blindati con la bandiera a stelle e strisce al vento ci sfreccia accanto. L’ufficiale di 28 anni con lo sguardo triste non ha dubbi: “Gli americani? Se i turchi attaccano confido solo sui miei uomini”.

C'è un odio profondo dell'Euroimbecillità di chi si è accorto del Progetto Criminale dell'Euro e dell'Unione Europea e che cerca istintivamente di liberarsi dalle catene

PER FARCI AMARE LA UE e odiare i populisti

Maurizio Blondet 6 Febbraio 2019 

Giuro, non è finzione. Sono video di un’associazione europeista, “Pulse of Europe” che intende in questo modo “lottar contro i populismi” a farci amare la UE.

Nelle storie due lupi che si chiamano Vlad e Donald vogliono papparsi i teneri europeisti, visti come conigli (eurolapins)


Les "eurolapins", initiative de "Pulse of Europe" (@PoEFrance) pour faire aimer l'Union européenne et "lutter contre le populisme". Non ce n'est pas un canular !

"- Salut Vlad, c'est quoi cette machine ?
- Ça Donald, c'est ma nouvelle machine à fabriquer les populistes."


– Ciao Vlad, cos’è questa macchina?
– ecco Donald, è la mia nuova macchina per fabbricare i populisti.

Scegliere la solitudine e l’isolamento, rendersi conto dell’assurdità di questa scelta e intestardirsi a continuare, è una tendenza al masochismo, no?

– Come mi trovi nel mio nuovo ruolo? Faccio la parte di una politica di estrema destra che di colpo è diventata favorevole all’Unione Europea.
– Poco credibile.

Vuoi costruire un grosso muro? Noi invece in Europa preferiamo costruire dei ponti fra i popoli, e questo da più di 60 anni!

L’Europa è buona come un grosso gelato pieno di aromi!
Erasmus Generation

Attenzione: o questo è il livello mentale a cui riducono i Corsi Erasmus.

O è la manifestazione terminale di quella che Costanzo Preve ha delineato, la “nuova middle class caratterizzata dalla sua facilità di viaggiare, dall’inglese turistico, dall’uso moderato delle droghe, dal controllo delle nascite, da una nuova estetica androgino transessuale, da un umanesimo terzomondista, da un multiculturalismo senza vera curiosità culturale, e infine, da un approccio generale alla filosofia che ne fa una terapia psicologica di gruppo e una ginnastica di relativismo comunicazionale, in cui il vecchio e faticoso dialogo socratico diventa il chiacchiericcio di persone semicolte”.

Oppure ancora, terzo, questa è l’arroganza dei figli dell’eurocrazia che pensano di trattare noi come bambini, per convincere i quali occorre l’infantilismo. Probabilmente sono vere tutte tre le ipotesi.

Poi s’intende c’è la grinta della realtà eurocratica:
‘C’è un posto speciale nell’inferno’ per coloro che hanno promosso la Brexit senza un piano Tusk dell’UE

Donald Tusk, il presidente del Consiglio dell’UE, si è scagliato contro il Regno Unito, dicendo che si chiede quale sia il “posto speciale nell’inferno” per chi ha spinto per la Brexit senza un chiaro piano per concluderlo.
Rivolgendosi ai giornalisti a Bruxelles, Tusk ha ribadito la posizione dell’UE sull’accordo di ritiro, affermando che l’accordo Brexit concordato con il governo Tory di Theresa May nel novembre dello scorso anno, non era aperto alla rinegoziazione.

Donald Tusk e il nonno Josip

Sulla prospettiva di uno scenario “senza accordi”, Tusk ha insistito sul fatto che Bruxelles si sta preparando per un tale “fiasco”, prima di pronunciare alcune parole dure per i funzionari del governo britannico.

“Mi sono chiesto quale sia il posto speciale nell’inferno per coloro che hanno promosso la Brexit senza nemmeno un abbozzo di un piano per consegnarlo in sicurezza”, ha detto.

Il che dimostra che . L’europeismo è una religione, con i suoi dogmi, i suoi apostoli, le sue blasfemie… e, quindi, l’inferno e la sofferenza che promette agli eretici che osano l’apostasia e ne escono.