la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune. Produrre, organizzare, trovare soluzioni, impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST? Pensa cchiu' a chi o' dicè ca' a chello ca' dice
L'albero della storia è sempre verde
L'albero della storia è sempre verde
"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"
sabato 8 giugno 2019
Atmosfera al calor bianco tra statunitensi e russi. I dazi li hanno messo gli Stati Uniti e non si capisce perchè
Roma - ai privati gli va storto erano abituati a comandare e quindi non riescono a trattare. Golosi di soldi degli automobilisti
08/06/2019 alle 08:23. La penna degli Altri
IL MESSAGGERO (L. DE CICCO) - L’ultima lite tra il Campidoglio e i privati che sognano l’affare Tor di Valle è sull’incasso dei parcheggi del nuovo stadio. «Tutto a noi», dicono i proponenti, Pallotta e la Eurnova di Parnasi. «No, fifty-fifty», il 50% ciascuno, è la replica in sostanza dell’amministrazione di Virginia Raggi. Sul punto non c’è accordo. Anche perché si tratta di un bottino non proprio modesto, considerando che, come ha prescritto il Politecnico di Torino (interpellato sull’operazione dalla Raggi), il prezzo per lasciare l’auto intorno allo stadio sarà piuttosto caro. I proponenti allora lo vorrebbero per intero - questo sarebbe stato detto a chi ha partecipato alle riunioni al dipartimento Urbanistica - mentre i tecnici comunali hanno fatto capire di considerare gli spazi dei parcheggi come «superfici standard», insomma aree pubbliche per tutte le auto. Quindi, al netto dei costi di gestione, l’ammontare degli incassi andrebbe smezzato tra pubblico e privati. La contestazione compare anche nella lettera, svelata ieri dal Messaggero, con cui il Campidoglio «rimette in discussione il pubblico interesse» del progetto stadio. Pallotta e la Eurnova - che dopo l’arresto di Parnasi è guidata da un nuovo Cda - si sono visti rigettare la proposta «gestionale dei parcheggi, sino a prevedere contratti concedenti diritti di superficie mai ipotizzati». Anche su questo punto, come su molti altri, non c’è intesa.
LA MINACCIA DI «CAUSE» - I privati, nel frattempo, continuano a valutare l’ipotesi di cause in Tribunale contro il Comune in caso di stop, tra presunte penali, escluse però dall’Avvocatura del Campidoglio, e addirittura un ricorso al Tar. «Ma cosa impugnano al Tar, se non c’è un atto formale di bocciatura?», si chiedono in Comune. Si vedrà come andrà a finire. Quanto ai parcheggi, l’unica cosa sicura è che dovrebbero fruttare parecchio. Perché per scoraggiare l’arrivo di troppe auto - le strade, anche con tutti gli ammodernamenti previsti, andrebbero in tilt - i professori del Politecnico di Torino hanno prescritto alcune misure per disincentivare «la mobilità privata». Una di queste è il costo maggiorato del biglietto per chi va in macchina a vedere la partita. È stato ordinato quindi «un sensibile rincaro per chi decide di recarsi allo stadio con la propria vettura, consentendo l’accesso ai parcheggi solo a chi acquista il pacchetto biglietto più parcheggio». Poi «chi vuole recarsi allo stadio con la propria vettura deve essere obbligato ad accedere alle aree di sosta in determinate finestre temporali, ovviamente lontane dall’ora di punta».
La penna degli Altri
Roma merita rispetto da parte di tutti
8 Giugno 2019 di Lavinia Nocelli

Multe pagabili attraverso il pos e maggiori controlli: la sindaca di Roma Virginia Raggi dice stop ai comportamenti vietati nella capitale.
La sindaca di Roma Virginia Raggi si scaglia contro i “turisti incivili“. Stop a comportamenti barbari e condotte vietate nella capitale, Roma non è un far west: più sanzioni pagabili attraverso il pos. E si appella agli ambasciatori cercando solidarietà: “Questo è un primo step. Poi vedremo insieme come svilupparlo.”
Stop all’inciviltà
“Ho iniziato a scrivere agli ambasciatori per segnalare le condotte dei loro concittadini che hanno causato danneggiamenti al nostro patrimonio o che sono stati protagonisti di condotte vietate come i bagni nelle fontane. Questo è un primo step. Poi vedremo insieme come svilupparlo.” Virginia Raggi, prima cittadina di Roma, è intervenuta così nella sede del comando generale dei vigili durante la presentazione del nuovo regolamento di Polizia locale, approvato dall’assemblea capitolina. Al centro del mirino i “turisti incivili“: stop a comportamenti barbari e condotte vietate nella capitale. Roma accoglie tutti, ma non è un far west. E per farlo si appella agli ambasciatori, cui chiede maggior severità e più controlli: attraverso una lettera coglie l’occasione per richiamare un problema piccolo, ma di essenziale importanza.
“Ritengo fondamentale – ha aggiunto la sindaca – far capire agli ambasciatori che ci sono specifici comportamenti che devono essere isolati e stigmatizzati per non creare un sentimento di distanza tra cittadini e turisti, che non ha motivo di esistere. Sono pochi episodi che vanno però condannati. Roma è e sarà sempre accogliente, ma non vuol dire tollerare comportamenti vietati, danni e imbrattamenti della nostra città. Credo che avviare un rapporto con gli ambasciatori sia un modo molto rispettoso per veicolare un messaggio anche oltre i nostri confini.”
Più multe e sanzioni quindi, ma con un nuovo sistema di pagamento: il pos, da parte di tutti i turisti. “Sulle sanzioni sarà a breve approvata in Giunta una delibera – ha annunciato la prima cittadina di Roma -. Sappiamo che con i turisti spesso è difficile riscuotere i soldi e, per questo, rilancio la possibilità di pagamento delle sanzioni attraverso il pos” ha concluso la Raggi.
Roma - Nuovo contratto di servizio nuovo consiglio d'amministrazione, vediamo se l'Ama non diventa un'azienda efficiente che riesce a mantenere la capitale pulita, la battaglia è dura ma si può vincere
- 7 Giugno 2019 - 20:40

La sindaca di Roma Virginia Raggi ha firmato l’ordinanza di nomina dei tre componenti del nuovo Consiglio di amministrazione di Ama S.p.A. Il Cda dell’azienda capitolina per la gestione dei rifiuti sarà composto da Luisa Melara, designata dalla sindaca in qualità di presidente, Paolo Longoni, indicato come amministratore delegato, e Massimo Ranieri.
E' guerra vera è guerra totale, niente illusioni - Google sa perfettamente che togliendo android a Huawei inizia invariabilmente il suo declino di monopolista
Huawei gongola per il diktat trumpiano di Google su Android?
di Riccardo Puglisi
8 giugno 2019

La scelta di Huawei di dotarsi di un nuovo sistema operativo per l’impossibilità di usare Android potrebbe rivelarsi una scelta anticipata di sviluppare il sistema operativo giusto per Internet 3.0. L’analisi dell’economista Riccardo Puglisi, professore associato in economia politica all’Università di Pavia, tratta da Lavoce.info
Con il rapido montare della guerra commerciale tra Usa e Cina era ed è verosimile attendersi ulteriori sviluppi rilevanti: tuttavia, appare davvero dirompente la decisione di Google di non fornire più assistenza e aggiornamenti sui nuovi smartphone Huawei, per poi troncare i rapporti relativi anche ai telefoni esistenti alla scadenza di una moratoria di 90 giorni concessa dal Department of Commerce dell’amministrazione Trump.
I DIKTAT DI TRUMP
L’ordine esecutivo del presidente Trump a proposito dei rapporti di imprese Usa con imprese cinesi che rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale viene ora applicato dal gigante Google non nei confronti di un medio soggetto economico, ma del secondo produttore mondiale di smartphone dietro Samsung.
Huawei ha contribuito negli anni all’espansione e al miglioramento di Android, il sistema operativo open source sviluppato da Google, al cui interno si annidano applicazioni proprietarie come Google Maps e Google Play. Ora deve valutare la possibilità di mettere in piedi un sistema operativo alternativo oppure di mantenere Android rinunciando alle componenti proprietarie di Google.
Le dispute geopolitiche tra Stati Uniti e Cina sono necessariamente collegate con le questioni commerciali, come l’attuale chiusura del mercato cinese a Google, Facebook e Twitter: sotto questo profilo, la scelta di Trump può essere considerata, a onor del vero, come una rivalsa rispetto a comportamenti antecedenti di Pechino.
Ma non è soltanto una questione geopolitica. Nel valutare la disputa Google-Huawei dobbiamo badare con attenzione agli aspetti tecnologici, cioè alla competizione tra nuovi e vecchi prodotti, nuove e vecchie tecniche per produrre.
LA TERZA RIVOLUZIONE
Se è vero che la terza fase della rivoluzione di Internet (dopo la sua nascita e l’avvento dei social network, cioè del contenuto creato dagli utenti) consisterà nella cosiddetta “Internet delle cose” (IoT, Internet of Things), ovvero il collegamento in tempo reale tra oggetti grazie alla rete, e nell’esigenza di un trasferimento “quasi immediato” di dati pesanti come i video, allora le prospettive di Huawei appaiono più rosee, perlomeno nel medio-lungo termine.
La ragione sta nel suo vantaggio comparato rispetto alla tecnologia adatta per la terza fase, cioè la tecnologia 5G (il quinto standard nella comunicazione mobile): Huawei si avvantaggia del fatto di avere investito non solo sui dispositivi, ma anche sulla stessa rete 5G, a differenza degli altri concorrenti, come Samsung, che sono sostanzialmente focalizzati solo sui dispositivi.
Nuove tecnologie sono spesso complementari ad altre, e non è del tutto chiaro quanto il sistema operativo Android possa essere adatto per gestire la necessaria ed estesa interconnessione tra dispositivi e cose che avremo nel futuro prossimo.
La scelta di Huawei di dotarsi di un nuovo sistema operativo per l’impossibilità di usare Android, che ora sembra una scelta obbligata a causa della guerra commerciale con gli Usa, potrebbe rivelarsi alla fine dei conti come la scelta – anticipata – di introdurre e sviluppare il sistema operativo giusto per Internet 3.0: il manzoniano “fare di necessità virtù”, che nel mondo anglosassone si chiama più esoticamente “serendipity”, potrebbe spuntare anche qui, dentro al mondo arcigno dei dazi e degli embarghi.
(estratto di un articolo pubblicato su Lavoce.info; qui la versione integrale)
Guido Salerno Aletta - Al Libero Mercato gli sono saltati i nervi con i MiniBot sono tagliati fuori e non possono mangiare più a quattro ganasce con gli interessi sul debito, per non parlare degli euroimbecilli che non hanno più l'arma dello spread e la possibilità di ricattare l'Italia per mandarla in rovina con l'austerità imposta. lo stregone maledetto verrebbe messo all'angolo esautorando il suo ruolo di banchiere centrale a mezzo servizio in quanto non prestatore di ultima istanza
Vi spiego verità e bugie sui Mini-Bot
di Guido Salerno Aletta
- non ha scadenza: è dunque un titolo irredimibile, in quanto non è prevista nessuna data per poterlo incassare in contanti.
- non ha un rendimento, perché viene corrisposto per l’ammontare facciale corrispondente al debito commerciale che, accettandolo, viene estinto.
- non ha comunque un potere liberatorio come la moneta legale nei confronti di terzi. Non ha dunque corso forzoso: in qualsiasi transazione, chiunque sarà libero di accettarlo o meno. Lo Stato invece si impegna ad accettarlo immediatamente per il pagamento delle imposte.
MiniBot - Spesso troppo spesso ci si chiede ma Tria che cosa ci azzecca con questo governo?

Dopo l’apertura di Giorgetti e Salvini, arriva la chiusura netta del titolare del dicastero dell’Economia ai mini-bot. Da Fukuoka, in Giappone, dove si trova per il G-20 dei ministri delle Finanze, Tria si accoda a Mario Draghi e affonda i mini-Bot. "Sarebbe illegale o inutile che l'Italia emettesse obbligazioni per pagare i suoi fornitori, perché queste banconote violerebbero le regole della moneta europea o si aggiungerebbero al massiccio debito pubblico del paese", ha dichiarato.
"Questa è una cosa che sta nel loro programma -ha detto Tria riferendosi a Lega e M5S - Il Ministero dell'Economia ha già espresso un parere negativo", ha concluso.
COSA SONO I MINIBOT – Vecchio cavallo di battaglia di Claudio Borghi – il principale consigliere economico della Lega che li ha sempre descritti come lo strumento da usare per prepararsi a un’ipotetica uscita ordinata dall’euro muovendosi nel perimetro – a suo dire, delle regole comunitarie – sono titoli pubblici di piccolo taglio (5, 10, 20, 50 e 100 euro), di aspetto simile alle banconote, con cui lo Stato potrebbe pagare i propri creditori e con cui privati e imprese potrebbero pagare beni e servizi legati allo Stato come le tasse, la benzina o i biglietti del treno. A differenza dei Bot, i mini-bot non avrebbero scadenza o tassi di interesse.
(Foto: Giovanni Tria )
NO NO NO le grandi navi non possono rovinare Venezia
08 giugno 2019 - 19.35

A coordinare il corteo il comitato "No Grandi Navi" e dietro di lui, per protestare contro l'entrata in laguna dei "grattaceli del mare", un numero eterogeneo di associazioni, politici e gente comune. Grazie alla concessione del Prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto, resa nota tramite megafono durante l'evento, accesso della folla, eccezionalmente, anche a Piazza San Marco. Il centro della città è infatti interdetto a questo tipo di eventi dal 1997, anno in cui i Serenissimi assaltarono il centro per proclamare l'indipendenza della città.
Da anni si dibatte, senza risultati per
Bisogna considerare i Fratelli Musulmani i salafiti e gli wahabiti quello che stanno facendo

Non si può trattare con chi impone nuove sanzioni è chiaramente in malafede
Il Presidente degli Stati Uniti dice bugie, egli non vuole negoziare se volesse basta che ripristina il Trattato internazionale che ha stracciato unilateralmente

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2019/06/08/iransanzioni-trump-non-vuole-negoziare_c72d3c4a-4557-4035-a6fd-785ad3e79a58.html
MiniBot solo la pronuncia terrorizza gli euroimbecilli capiscono che in questa maniera l'Italia si sottrae all'austerità che ci vogliono imporre per spolparci meglio. Sono nel panico

7 giugno 2019 - Così i francesi ci hanno fregato un'altra volta. Il loro europeismo è un...
venerdì 7 giugno 2019
Dopo l'attentato a Falcone tutti sapevamo che sarebbe toccato a Borsellino abbiamo vissuto quei mesi, l'aria si tagliava con il coltello e sapevamo che lo Stato avrebbe partecipato alla sua morte
Le dichiarazioni del pentito Fiume al processo ‘Ndrangheta stragista: «Il Consorzio era un potere assoluto. Papalia in rapporti con i servizi, tutti facevano anticamera. I De Stefano erano in contatto con la massoneria deviata»
di Consolato Minniti
venerdì 7 giugno 2019

«Ho sentito parlare di stragi, per la prima volta, a Milano. Era dopo il fallito attentato all’Addaura, ma prima che finisse la guerra di ‘ndrangheta e fosse ucciso il giudice Scopelliti. Lo ricordo perché c’erano già le trattative per la pace e Mico Libri aveva detto che certe cose andavano fatte insieme, uno di loro ed uno di noi». È stato il giorno di Nino Fiume, ieri, al processo ‘Ndrangheta stragista. Il collaboratore di giustizia ha ripercorso le sue conoscenze, già per buona parte riportate in altri procedimenti, soffermandosi sul ruolo della famiglia De Stefano, suo casato di appartenenza prima del pentimento. Fiume ricorda di aver partecipato a diverse riunioni fra Badia, Nicotera, Limbadi e Rosarno. «Ho dormito quasi un mese lì a Limbadi, perché non si è trattato di una riunione di un’ora. Prima ce n’è stata una “stretta stretta” fra i capi a casa di un parente dell’autista di Luigi Mancuso, Antonio Pronestì “Nasu scacciatu”, che si trova nella frazione Badia di Limbadi. C’era Pino Piromalli, Nino Testuni, Schettini e Franco Coco Trovato».
Il consorzio
Secondo il collaboratore di giustizia «Cosa nostra e ‘ndrangheta, per certi versi, erano la stessa cosa». Ricorda l’omicidio Mormile come «una cosa brutta», ma soprattutto «programmata dal consorzio e che doveva avvenire in contemporanea con il fatto di Bologna». Ma cosa è il consorzio? Per Fiume era il «potere assoluto che dominava su tutti, perché all’interno c’era ‘ndrangheta, Cosa nostra, camorra, Sacra corona unita. Molti lo hanno definito come una specie di federazione, ma questo consorzio aveva il monopolio di tutto lo stupefacente che girava in Italia e tutti lo dovevano comprare da loro. Addirittura alcuni omicidi potevano essere decisi solo dal consorzio. Loro, per riconoscersi, avevano tutti lo stesso bracciale. Il capo un girocollo, che era di Mico Papalia. Una volta lo lasciò a Peppe De Stefano». Fiume ricorda come il primo consorzio fu costituito a Milano, negli anni ’70. Il secondo fra il 1986 e 1987, all’epoca di Jimmy Miano, Turi Cappello, Antonio Papalia, Fraco Coco Trovano ed altri. «Alcune volte ho partecipato pure io alle riunioni in rappresentanza dei De Stefano».
Cosa Nuova e massoneria
Le conoscenze del collaboratore spaziano anche sulla cosiddetta “Cosa nuova”. «Ne ho sentito parlare durante una riunione in cui erano presenti Giuseppe De Stefano, Cataldo Marincola e Giuseppe Farao. Bisognava fare terra bruciata delle persone che sapevano troppe cose. Occorreva eliminare coloro che erano al corrente di determinati fatti e ricercare gente riservata». Fiume non ha dubbi: «I De Stefano avevano contatti con la massoneria deviata. Una volta, Carmine De Stefano, uscendo da uno studio di Milano mi disse “dimentica che siamo stati qui”. Avevano società in cui, come mi disse l’avvocato Tommasini, “non poteva entrarci neanche il presidente della Repubblica” e i loro soldi venivano portati in Vaticano tramite Giuseppe De Stefano e Franco Coco, travestiti da preti».
‘Ndrangheta come un treno
Secondo Fiume, la ‘ndrangheta «può essere paragonata ad un treno con tanti vagoni. Ogni vagone ha il suo capo che è il capolocale. Poi c’è il capotreno. Poi abbiamo i treni ad alta velocità, dove non possono salire tutti ma solo i capi. Al di sopra di questo c’è anche chi viaggia in aereo, dirige gli scambi, dirotta i convogli senza mai farsi vedere. Sono state combattute guerre, uccise persone e chi lo ha fatto non sapeva neppure il vero motivo. Mi riferisco, ad esempio, all’omicidio del giudice Occorsio, con Papalia che ha fatto l’ergastolo da innocente. Vi dico: c’è gente che non può collaborare perché ha preso ordini dai servizi segreti.
Paura di parlare
Il pentito certi argomenti non li ha mai toccati prima. «Avevo paura», riferisce in aula. «Non so quanti di questi sono ancora in giro, ma è gente che poteva trovarti ovunque, raggiungerti ovunque. Io ho avuto a che fare con uomini dei servizi “puliti” di Reggio Calabria, ma se ‘Ntoni Gambazza che era un capo, Mico Alvaro che era un capo, io con Giuseppe De Stefano, facciamo anticamera da Rocco Papalia perché suo fratello è con queste persone che non può vedere nessuno…». Secondo Fiume «anche Paolo De Stefano era protetto da queste persone», poi ci ha litigato e «suo figlio ha detto: “i servizi fanno la guerra e i servizi fanno la pace. I servizi ci ammazzano e non ci pagano».
Bentivogli Calenda bla bla bla Libero Mercato Libero Mercato Libero Mercato i due hanno un odio ideologico viscerale contro Il M5S e non sono i soli
Fca-Renault, tutte le stilettate di Di Maio a Macron e Calenda
di Michelangelo Colombo

Come il vicepremier Luigi Di Maio ha replicato alle critiche di Calenda e Bentivogli sul caso Fca-Renault. Tutti i dettagli sulle polemiche politiche
Critiche all’interventismo statalista della Francia. Stilettate indirette a chi in Italia – dal dem Carlo Calenda al leader sindacale Marco Bentivogli, passando per gli editorialista di Corriere della Sera e Repubblica – ha accusato il governo M5S-Lega di apatia e silenzio.
Critiche e stilettate sono partite oggi da Palazzo Chigi. E’ stato il vicepremier Luigi Di Maio a esternare il pensiero del governo sul fallimento del progetto di fusione tra Fca e Renault.
CHE COSA HA DETTO DI MAIO SUL FALLIMENTO DEL PROGETTO FCA-RENAULT
“E’ l’interventismo di Stato che ha provocato il fallimento dell’operazione” Renault-Fca: “La Francia non ha fatto bella figura, noi anche se in contatto con Fca, abbiamo rispettato una operazione di mercato”, ha detto oggi il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio a Radio 24 rispondendo a una domanda sull’assenza del governo italiano sul dossier. “Neanche Renault è contenta dell’interventismo dello Stato francese. Se si fa mercato, una grande azienda parla con la sua omologa, non è che interferiscono ministri e presidenti della Repubblica”, ha aggiunto il capo politico del Movimento 5 Stelle, criticando il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron.
LE CRITICHE INDIRETTE DI DI MAIO A CALENDA E BENTIVOGLI
Da rimarcare il passaggio della dichiarazione di Di Maio (“noi in contatto con Fca”) che smentisce quanto detto ieri dall’ex ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, esponente di Siamo Europei nel Pd, e quanto dichiarato sempre ieri dal leader della Fim-Cisl, Marco Bentivogli (qui l’intervento), secondo i quali il governo si è disinteressato della vicenda e non aveva avuto contatti con i vertici del gruppo Fca.
LA POSIZIONE DEL GOVERNO FRANCESE
“Fca ha deciso di ritirare la sua offerta e io rispetto la sua scelta. Questa operazione rappresentava una bella opportunità industriale e questo rimane”, dice il ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire, in un’intervista a Le Figaro, pubblicata da Corriere della Sera e Repubblica nella quale spiega la posizione del governo francese. “Elkann ha svolto il suo ruolo di presidente di Fca”, osserva, “ha voluto procedere celermente quando a noi invece serviva più tempo per assicurare un progetto il cui impatto industriale e tecnologico poteva essere considerevole. Ognuno è rimasto fedele alla sua logica, nessuno merita di essere criticato”.
CHE COSA CHIEDEVA LO STATO FRANCESE AZIONISTA DI RENAULT
“Lo Stato, azionista di riferimento di Renault, aveva fissato delle condizioni da rispettare. Siamo stati chiari sin dall’inizio, esigendo degli impegni sulla tutela dei posti di lavoro e dei siti industriali”, elenca, “abbiamo chiesto inoltre garanzie sulla governance” e “la nostra prima esigenza era che questa fusione fosse siglata nel quadro dell’alleanza tra Renault e Nissan”. “Noi non abbiamo voluto prendere nessun rischio – sottolinea – né per l’alleanza, né per Renault”. Quanto alla presenza forte dello Stato sul dossier, afferma: “Che cosa avrebbero detto se avessimo svenduto gli interessi industriali della Francia? Che cosa avrebbero detto se non avessimo tenuto contro delle preoccupazioni del nostro partner giapponese? La situazione attuale è che lo Stato possiede il 15 per cento della Renault. E deve assumersi le sue responsabilità”.
Le sanzioni alla Siria non è altro che aiuto implicito ai mercenari tagliagola terroristi

La dichiarazione finale dell'incontro, che si è svolto a Beirut, su iniziativa della Conferenza nazionale araba con la presenza di oltre 100 personalità politiche, culturali e dei media, ha chiesto la necessità di mostrare solidarietà con la Siria.
Come ha riferito l'agenzia Sana, l'incontro arabo preparatorio per il lancio di una campagna popolare araba e globale per sollevare l'embargo contro la Siria e annullare le coercitive misure unilaterali imposte al suo popolo completano la guerra terroristica al paese arabo come parte la politica colonialista sionista di imporre un embargo su qualsiasi paese che rifiuta di arrendersi all'egemonia.
La dichiarazione finale, adottata oggi dalla riunione tenutasi a Beirut su iniziativa del Congresso Nazionale arabo e il mondo arabo-Centro Internazionale per la Comunicazione e la solidarietà e in presenza di più di 100 personalità politiche, culturale e della maggioranza paesi arabi, sottolinea la necessità di solidarietà con la Siria attraverso un'azione popolare araba e internazionale presso i media, entità giuridiche, politiche, culturali e al fine di annullare queste misure coercitive.
La Dichiarazione prevede la formazione di un comitato di sorveglianza per annullare le misure coercitive, che comprende rappresentanti di conferenze, Federazioni popolari e istituzioni arabe.
La Dichiarazione afferma la formazione di delegazioni arabe e internazionali per condurre visite di solidarietà con la Siria e preparare Forum Internazionale Araboper rompere l'embargo e annullare le misure coercitive imposte.
La dichiarazione sottolinea la necessità di parlare con le camere di commercio, le industrie, i rappresentanti del mondo agricolo e altri paesi amici a collaborare con la Siria al fine di aprire i mercati per l'esportazione e l'importazione.
Notizia del: 07/06/2019
Antonino Galloni - Guerra all'Euroimbecillità - questo governo ha un mandato chiaro mettere in Sicurezza l'Italia, ma gli manca il coraggio per farlo
6 giugno 2019 di Carmine Gazzanni
L'intervista
“Con questa Commissione europea non ci resta che andare allo scontro”. Non ha dubbi il professor Antonino Galloni, economista e presidente del Centro Studi Monetari, dopo la decisione dell’Ue di ritenere “giustificata” una procedura d’infrazione a danno dell’Italia, “rea” di aver violato la regola del debito sia nel 2018 che nel 2019.
Non si mette bene per l’Italia, professore…
L’atteggiamento della Commissione, al di là di tutto quello che ci può essere dietro, prelude a due scenari.
Quali?
O il Governo china la testa e fa quello che dice la Commissione, oppure il Governo alza il tiro e accetta la scontro con la Commissione stessa.
C’è una terza via, quella della mediazione.
La possibilità di mediare, di mettersi d’accordo, di non spingere troppo sull’acceleratore che ha contraddistinto finora il comportamento dei Governi precedenti, non ha più spazio.
Perché?
Guardi, è l’atteggiamento della Commissione che non lascia spazio a tavoli di trattativa o a mediazioni. Insomma, secondo me bisogna andare allo scontro.
Il che vorrebbe dire procedura d’infrazione assicurata. Che cosa comporterebbe?
La procedura d’infrazione prevede l’obbligo di far diminuire il debito pubblico, a botte di 60 miliardi all’anno, circa il 5% ogni anno.
Secondo lei siamo in grado di affrontare una simile batosta?
L’Italia sul tavolo può disporre di tre misure importanti.
- Innanzitutto c’è lo Sblocca-cantieri che vuol dire parecchie decine di miliardi di lavori e opere pubbliche. Però non avrà effetti prima del 9 luglio, data ultima entro cui potrebbe arrivare la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. Ci vorrà più tempo per conoscerne gli effetti.
- Ci sono poi i mini-bot, cioè la possibilità di pagare immediatamente i debiti delle amministrazioni, che non nascono da un problema di bilancio perché già sono conteggiati nelle passività. Parliamo, invece, di un problema di liquidità e dunque i mini-bot potrebbero essere utili per rimettere in moto l’economia. Ovviamente c’è l’incognita di chi accetta questi mini-bot perché se non gli dai corso legale potrebbero non avere il successo sperato.
- Infine abbiamo la riforma fiscale, cioè la riduzione delle tasse.
Bisogna infatti intendersi:
Con questi tre provvedimenti potremmo essere in grado di affrontare l’onda d’urto di un’eventuale procedura d’infrazione?
No, perché sono misure che avranno effetto tra uno-due anni se tutto va bene. Dobbiamo arrivare al 2021 o avvicinarci a quella data per vedere risultati significativi.
Una sorta d’impasse da cui è impossibile uscire.
Esattamente. Ed è su questo che gioca la Commissione. Non è un caso che finora la partita si è sempre conclusa con politiche volute dall’Europa e dunque mazzate per i cittadini tra tasse e pensioni.
La domanda, però, resta: che fare?
Il pericolo c’è, è evidente.
Insomma, partita difficile ma scontro inevitabile.
Chi non vuole la rovina dell’Italia si deve mettere l’elmo e l’armatura. E dunque, come ho detto più volte, bisognerebbe fare un discorso chiaro con le grandi banche italiane, pensare a un’agenzia di rating pubblica e così via. Questo permetterebbe all’Italia di resistere, in attesa di avere risultati positivi dai provvedimenti che in questo periodo il Governo sta adottando.
Ci sono ancora degli imbecilli che credono e lo proclamano il Libero Mercato
Se ancora sussistessero residue certezze sulla natura puramente razionale della geopolitica, la vicenda Fca-Renault ha il pregio di fugarli del tutto. In un’ottica prettamente economico-commerciale, non uno degli attori coinvolti aveva pieno interesse a sabotare l’accordo proposto da Fiat-Chrysler.
Non gli italo-statunitensi, che fondendosi con i franco-nipponici – Renault, almeno per ora, resta burrascosamente “sposata” a Nissan – si sarebbero aperti una porta sull’Estremo Oriente, utile anche in chiave anti-protezionistica. Per Washington sarebbe stato politicamente più difficile e tecnicamente complesso imporre dazi su auto a marchio orientale prodotte da un gruppo di cui Chrysler è parte integrante.
Non Parigi, alle prese con il relativo nanismo e l’insufficiente proiezione estera del suo settore automobilistico, che l’avevano già spinta – in virtù del suo 15% in Renault – a perseguire l’alleanza con Nissan. E forse nemmeno i giapponesi, le cui motivazioni l’Eliseo non ha tuttavia ritenuto di dover sondare, informandoli ad accordo ormai quasi chiuso – salvo poi mandarlo all’aria. Così consumando la plateale vendetta per la vicenda di Carlos Ghosn, l’ex zar di Renault-Nissan in quota francese la cui brutale rimozione per appropriazione indebita da parte delle autorità nipponiche ha colpito il simbolo e lo strumento della pretesa egemonia francese nell’alleanza.
Ma qui il mercato c’entra poco.
Un governo di incapaci che non riescono neanche a fare i minBot altro che Moneta Complementare
Per stimolare la crescita, le monete complementari possono dare una mano. E senza dover abbandonare l'Euro. Ma vanno costruite bene, legandole a esigenze territoriali
È un segno dei tempi che le questioni serie entrino nel dibattito pubblico dalla porta di servizio delle asinate.
Le monete complementari non fanno eccezione. Anzi. Prima il bitcoin. Più recentemente i minibot. Il primo costruito per essere scarso e prendere un valore puramente speculativo. I secondi “pensati” in ossequio al principio che la sovranità è stampare moneta in grande abbondanza in modo che a differenza del bitcoin Bitcoin è una criptovaluta e un sistema di pagamento mondiale creato nel 2009 da un anonimo inventore, noto con lo pseudonimo di Satoshi NakamotoApprofondisci, il valore lo perda.
Approfondimento
Cosa non va nella finanza
MiniBoT, il cavallo di Troia della Lega per riprendersi la moneta
L’emissione di titoli di Stato di piccolo taglio potrebbe servire a scavalcare la Bce, monetizzare il debito pubblico e preparare l’uscita dall’euro
Come negli anni Trenta del secolo scorso, oggi abbondano quelli che Keynes chiamava i monetary cranks, i fulminati della moneta, che offrono al popolo, fin lì schiavo del gomblotto, la chiave della liberazione da tutti i mali, amen. Alle loro insistenti missive in cerca di approvazione Keynes rispondeva con la formula sorniona:
«Leggerò la sua proposta con l’attenzione che merita».
Se però Sparta piange Atene non ride. I sussiegosi esperti, che magari esperti di modelli di politica monetaria sono pure, che cosa sia la moneta non lo sanno proprio dire. E quando ci provano, si rivelano spesso altrettanto fulminati quanto coloro ai quali vorrebbero fare la lezione.
Urgono coraggiosi eretici
Non è facile toccare la moneta. E tuttavia mai come oggi è bene lavorare alla sua riforma. Mai come oggi avremmo bisogno dei coraggiosi eretici che Keynes contrapponeva sia ai fulminati sia ai sussiegosi, giacché i meccanismi monetari su cui si è basata la globalizzazione finanziaria degli ultimi ormai quarant’anni non funzionano affatto bene.
Allo spavento pratico si aggiunge la débâcle teorica, e ormai anche nel mainstream si inizia ad ammetterla. In particolare si ammette di non sapere molto del modo in cui essa circola, o non circola.
La circolazione è il problema centrale della “moneta quale la conosciamo”, per mutuare un’altra espressione di Keynes. Che è fatta in modo da poter essere indefinitamente sottratta alla circolazione, per motivazioni che di economico e razionale hanno poco ma attengono piuttosto alla diffusa sfiducia nella convenzione che regge implicitamente i “tempi normali”: ossia che il futuro sia in larga parte prevedibile.
Ma da tempo non viviamo in tempi normali. Il sentimento dominante nelle classi popolari, ma anche nelle elites, è l’insicurezza.
Un’iniezione di liquidità che ha ingenerato sfiducia e tesaurizzazione
La crisi di liquidità del 2008 è stata curata con iniezioni di liquidità senza precedenti. La quantità di moneta è pressoché triplicata in Europa, eppure il target dell’inflazione del 2% non è stato ancora raggiunto.

La liquidità avrebbe dovuto portare al ritorno della “fiducia”. Ha alimentato invece una crescente sfiducia. Che si traduce in una crescente tesaurizzazione. Chi può spendere non spende. E la tesaurizzazione, come una spugna, assorbe qualunque aumento di quantità, riducendo la velocità di circolazione.
Risultato: il salvataggio del sistema finanziario si è fatto a prezzo della ripresa e di diseguaglianze sempre più marcate.
In questa situazione asfissiante cresce il bisogno di alternative che diano respiro. Ma ciò deve indurci non a diventare di bocca buona, ma ad affinare il nostro palato per le buone soluzioni.
I criteri di una buona innovazione monetaria
C’è un criterio per distinguere una buona innovazione monetaria: la buona moneta è fatta in modo tale da circolare e rendere possibili scambi che senza di essa non possono aver luogo. C’è un evidente rapporto fra l’esigenza di uno stimolo della domanda e la disponibilità di moneta in circolazione: la domanda è effettiva quando non risponde solo, astrattamente, a bisogni reali, ma quando si esprime con una concreta disponibilità a spendere del denaro che si ha.
Questo è il tratto che caratterizza le monete complementari più riuscite. Il Franco Wir, nato in Svizzera dalla depressione degli anni ’30 e dalle idee di Silvio Gesell, coraggioso eretico che Keynes elogia, pur non lesinandogli critiche puntuali. E la sua ripresa più innovativa: il Sardex, che dal 2010 cresce sistematicamente e consente a un numero importante di imprese sarde di farsi credito mutualmente, e di sostenere la domanda per i loro prodotti, estendendosi anche ai loro dipendenti, che accettano di ricevere una parte del loro salario in moneta complementare.

Che cosa fa la forza di questi circuiti? Il fatto di essere dei circuiti, in cui la moneta assume senso a partire da ciò che essa riesce a procurare, perché è costruita per essere spesa.
La velocità di circolazione del Sardex è attorno a 12, quando per l’euro è inferiore a 2. Il sardex è creato e distrutto dagli scambi che rende possibili.

Il tributo di Keynes a Gesell non fu solo teorico, ma pratico: a Bretton Woods propose una camera di compensazione le cui regole di funzionamento sono le stesse di quelle che presiedono al Sardex e al Wir. Per rilanciare il commercio internazionale si trattava infatti di costruire una moneta di cui contasse non la quantità ma la sua capacità di circolare, imponendo disincentivi sistematici alla sua tesaurizzazione ma soprattutto legandola strettamente agli scambi di beni.
L’Europa della moneta unica non solo potrebbe (dovrebbe) riprendere le idee di Keynes per quanto concerne l’euro e la sua riforma sempre più necessaria, ma potrebbe (dovrebbe) affiancare all’euro monete locali.
Non però “parallele” e sostitutive, cioè tali da entrare in una competizione con l’euro non solo illegittima ma che darebbe luogo a mercati secondari speculativi. Ciò che si tratta di istituire, e in modo sistematico sono monete complementari ben fatte.
Una moneta per territori delimitati
Questa costruzione sarebbe nello spirito della costruzione europea, che si fonda sulla solidarietà e sulla sussidiarietà. È certamente nello spirito del programma europeo DigiPay4Growth. L’ho citato sia nella mia proposta per ovviare ai ritardi dei pagamenti della PA, ma anche a proposito della moneta di Riace.

Che cosa propone il programma? Di mettere in atto, in territori delimitati, monete costruite per anticipare i pagamenti della PA alle imprese fornitrici e/o le erogazioni nel quadro di politiche sociali di inclusione. I pagamenti in euro sarebbero anticipati da pagamenti in voucher elettronici destinati a essere convertiti in euro a data certa, ma utilizzabili prima di quella data all’interno del territorio dato fra i soggetti economici che li accettino volontariamente.
Questa moneta, circolando nel territorio, contribuisce a riattivare gli scambi nel territorio. La spesa pubblica diventa sostegno alla domanda territoriale.
Quanto alle erogazioni a soggetti a rischio di esclusione, la moneta locale di cui sono i primi beneficiari, proprio perché non smette di circolare, diventa la moneta di tutto il territorio, perdendo così ogni stigma di “moneta minore”.
È il senso del progetto dei buoni di solidarietà territoriale di San Martino in Rio, che il sindaco di Reggio Emilia ha ripreso in campagna elettorale e che, se sarà rieletto, diventerà l’oggetto di una sperimentazione. È lo stesso interesse che c’è sul tema in Francia.
Innovazioni monetarie sono possibili, e sempre più auspicabili. E possono essere fatte bene.
Presentazione Buoni di Solidarietà territoriale
Posted by Buoni di solidarietà territoriale on Monday, April 2, 2018
*L’autore è docente di Storia economica all’università Bocconi di Milano. Fra i suoi libri: Fine della finanza (2009), e Come salvare il mercato dal capitalismo (2012), su crisi e riforma del sistema finanziario. Si interessa alla riforma della zona CFA. Ha progettato la moneta complementare di Nantes, ha partecipato a una commissione sulle monete complementari in Francia, e alla commissione presso il Ministero della Giustizia per l’introduzione di una moneta complementare per le procedure concorsuali. Fin dal 2012 propone di trasformare il sistema Target2 in una camera di compensazione per la zona Euro.
La propaganda del fanfulla
L'Euro è un Progetto Criminale, l'Unione europea è irriformabile. Abbiamo un governo incapace di applicare i minibot che sono nel contratto
