L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 7 dicembre 2019

La Bce non è prestatore di ultima istanza perchè contrasterebbe con il Progetto Criminale dell'Euro, in cui rientra l'eliminazione/appropriazione dell'attività produttiva, delle banche e dei risparmi dell'Italia

Il problema è l'euro, non il MES


di Thomas Fazi

Tutto il dibattito sul MES è surreale. A voler dar retta ai due principali schieramenti - i proconsoli europei del PD da un lato e i sovran-confusi ed altreuropeisti di Lega-FdI dall'altro - il destino dell'Italia si giocherebbe intorno al MES: a seconda dei punti di vista, l'Italia sarebbe spacciata in caso di non approvazione (i primi) o di approvazione (i secondi) del trattato in questione.

Ora, sulla posizione del PD c'è poco da dire: da bravi proconsoli, si limitano a ripetere a pappagallo le direttive che arrivano da Bruxelles. Che altro dovrebbero fare? A volerla dire tutta, c'è anche un fondo di verità in quello che dicono: non è da escludere, infatti, che la mancata ratifica del MES possa creare turbolenze sui mercati finanziari.

Più ipocrita, invece, la posizione dei sovran-confusi della Lega e affini: se da un lato, infatti, è indubbio che l'approvazione del MES peggiorerebbe la situazione dell'Italia (aumentando il rischio di una ristrutturazione forzata del debito), è però altrettanto indubbio che la situazione dell'Italia rimarrebbe assolutamente critica anche se la riforma del MES venisse cestinata domani (cosa che comunque non accadrà).

Ciò che Lega e FdI non dicono, infatti, è che in caso di rischio di insolvenza sul debito pubblico - un'eventualità a sua volta resa possibile unicamente dall'assenza di un'esplicita e incondizionata garanzia del debito da parte della BCE - già oggi l'Italia sarebbe costretta a chiedere alla BCE l'attivazione di un cosiddetto programma OMT (Outright Monetary Transactions), che già oggi richiederebbe l'accettazione, da parte dell'Italia, di un programma di aggiustamento dei conti pubblici all'interno della cornice... del MES. Insomma, riforma o non riforma del MES, in caso di crisi l'Italia verrebbe comunque commissariata.

Cosa ci fa capire questo? Che il problema non è la riforma del MES ma l'architettura stessa dell'eurozona. E che, dunque, chi vorrebbe farci credere che il destino dell'Italia dipende dall'approvazione o meno della riforma sta continuando a prendere per i fondelli gli italiani.

Più in generale, la riforma del MES rappresenta la normale evoluzione dell'architettura dell'eurozona: pensare che l'Italia possa tirarsene fuori od ottenere chissà quali modifiche è semplicemente ridicolo. Questa è la direzione in cui va l'eurozona, l'unica direzione possibile: sarebbe anche il momento che l'Italia decidesse, una volta per tutte, cosa fare da grande, se stare dentro o fuori.

L'ultima cosa di cui ha bisogno questo martoriato paese sono dei sedicenti sovranisti che continuano a raccontare al carcerato che il problema è la grandezza delle finestre della sua cella, e non il fatto stesso di trovarsi in una cella senza motivo.

Notizia del: 06/12/2019

gli ebrei palestinesi si dotano di missili sempre potenti


Israele ha testato missili nucleari da usare contro l'Iran - ministro Esteri Teheran
© AP Photo / Pavel Golovkin
07:40 07.12.2019

Nella prima mattinata di ieri la Difesa israeliana ha annunciato di aver condotto dei test su un nuovo sistema di propulsione missilistica in una base situata nella parte centrale del paese

Il ministro degli Esteri dell'Iran, Mohammad Javad Zarif ha voluto commentare le nuove sperimentazioni condotte da Tel Aviv.

Zarif ha fatto notare la disparità di trattamento tra Iran e Israele, con questi ultimi che non sono stati mai biasimati da parte degli USA e di altri tre paesi europei segnatari del Trattato sul nucleare noto con l'acronimo di PACG, al contrario dell'Iran, in merito alla disponibilità di un poderoso arsenale nucleare, che è definito dal politico iraniano "l'unico dell'Asia Occidentale".

​Ieri il ministero della Difesa israeliano ha annunciato di aver condotto dei test su un nuovo sistema di propulsione missilistica nella base di Palmochim, situata a sud di Tel Aviv.
Il nuovo sistema, stando alle prime indiscrezioni, renderebbe i missili capaci di colpire ad una distanza che può arrivare fino ai 2000 km e di equipaggiare delle testate nucleari.

Le tensioni sul PACG

Lo scontro tra Iran e alcuni dei paesi firmatari del Trattato sul nucleare di Vienna (PACG), Stati Uniti in testa, si sta facendo sempre più duro

Nel maggio 2018, con il pretesto di presunte ambizioni nucleari di Teheran, gli USA hanno dichiarato la propria uscita unilaterale degli USA dal Trattato, applicando contestualmente delle pesanti sanzioni alla Repubblica Islamica, accusata di rappresentare una minaccia per la regione.

L'Iran, dal canto suo, ha ripetutamente negato le accuse di Washington rispetto alla presunta volontà di dotarsi di un arsenale nucleare e si è visto costretto a smettere di ottemperare ad alcuni degli obblighi imposti a Vienna in nome dell'interesse nazionale.

Recentemente, l'inviato alle Nazioni Unite di Teheran, ha ribadito che il suo paese continuerà il programma di sviluppo di missili balistici da utilizzare a scopo difensivo e di veicoli spaziali.

Riorganizzare e assumere è la risposta

POLITICA
Cosa pensa Nicola Gratteri della riforma della prescrizione

08:16, 07 dicembre 2019

Il procuratore di Catanzaro è stato intervistato dal Fatto Quotidiano. "Nessuno si domanda perché fascicoli rimangono fermi negli armadi dei pm e dei giudici per 4-5 anni e anche più"


"Nulla deve essere messo nel congelatore. La riforma deve andare avanti e deve decorrere dal primo gennaio 2020". Così, sulla riforma della prescrizione, si è espresso il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, in una intervista a Il Fatto Quotidiano.

"La prescrizione dopo la condanna di primo grado è giusta per tutte le parti del processo, soprattutto per le persone offese che non possono subire una simile mortificazione e non avere alcuna risposta dalla giustizia, spesso dopo anni di attesa e spesso anche per condotte molto gravi che in certi casi hanno portato pure alla morte di un congiunto", dice Gratteri.

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"Quindi, a scanso di equivoci per quello che sto per dire, ribadisco che è bene che questa riforma parta - prosegue - perché c'è tutto il tempo poi per fare modifiche fondamentali per velocizzare le fasi delle indagini preliminari e quella del dibattimento. Ma nessuno si domanda perché fascicoli rimangono fermi negli armadi dei pm e dei giudici per 4,5 anni e anche più. Questa è la mamma di tutte le domande".

Secondo Gratteri, inoltre, "gli effetti del blocco della prescrizione si avranno solo tra quattro anni. La verità è che si continuerà a fare i processi come adesso. Il magistrato sarà costretto a lavorare tantissimo, come sempre", anche se la riforma entrerà in vigore il primo gennaio prossimo. 


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Roma - che il fanfulla sia un ciarlatano non è una novità, mai proposte solo critiche. Le sardine sono buone solo cotte

07/12/2019 13:47 CET
Virginia Raggi a El Pais: "Salvini è un ciarlatano, noi sindaci lo fermeremo"
Il leghista replica: "Pensi a svuotare i cestini, è l'ultima a poter parlare"

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Raggi/Salvini

Matteo Salvini ”è un grande ciarlatano e gli si risponde con i fatti. I sindaci, che si occupano di problemi di trincea, non hanno tempo per i selfie con le giacche della polizia”. Il duro attacco al leader della Lega arriva dal sindaco di Roma Virginia Raggi che, intervistata da El Pais, propone un fronte di primi cittadini contro il leghista.

Da ministro dell’Interno “ha lavorato per meno di 36 giorni. Il resto del tempo, 14 mesi, l’ha impiegato girando l’Italia per scattare foto con felpe diverse, mangiare cibi tipici e dando giudizi su qualsiasi cosa” aggiunge la Raggi, secondo cui il leader della Lega “sarà sconfitto dai sindaci”.

La replica di Salvini è caustica: “Prima la invito a svuotare i cestini e a far ripartire le metropolitane e poi parliamo dei sindaci” risponde il leader della Lega. “L’ultimo sindaco che può parlare in Italia è Virginia Raggi. Non scherziamo”, ha detto dal gazebo per la raccolta firme contro il Mes in centro a Milano.

“Per la sicurezza e per l’ordine pubblico non ha fatto nulla”, ha aggiunto nell’intervista la Raggi, secondo la quale Salvini ha voltato le spalle” ai sindaci. “Ha promesso l’arrivo a Roma di molti agenti e non l’ha mai realizzato. Salvini è un grande chiacchierone e gli si risponde con i fatti”. La sindaca di Roma risponde anche sul movimento delle Sardine: “I cittadini stanno riappropriandosi delle piazze, in Europa e nel mondo. I sindaci devono dare voce a questi fenomeni. Le dico una cosa: Salvini sarà sconfitto dai sindaci”.

Sulla manifestazione prevista il 14 a Roma replica: “Penso che si riuniranno qui tutte le ‘sardine’ italiane. Credo che la piazza sarà piena. È importante ascoltare tutti i cittadini perché stanno inviando un messaggio. Il mio timore è che i partiti provino a mettere il cappello politico sulla manifestazione. Ma questo ne ridurrebbe il potere”. Alla domanda se canterebbe Bella Ciao, Raggi ricorda: “L’ho già cantata in Aula (durante manifestazione con l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, ndr). Roma è una città orgogliosamente antifascista e lo sottolineo sempre. La resistenza è iniziata qui”.

La sindaca ed esponente pentastellata, nell’intervista a tutto campo, risponde anche su cosa sia oggi il M5s e lo fa così: “Posso dirti cos’è a Roma, dove cerchiamo di riportare la legalità in molti ambienti. Qui”, “abbiamo abbattuto le villette dei Casamonica”, ricorda sottolineando che prima “nessun sindaco aveva avuto il coraggio di farlo”.

Gli euroimbecilli francesi si fermano anche loro a guardare il dito e NON vogliono guardare la Luna. La Bce deve essere prestatore di ultima istanza altrimenti NON è una banca centrale

Ecco come 2 prof. consulenti di Macron stritolano il Mes

7 dicembre 2019


Shahin Vallée, stretto collaboratore di Emmanuel Macron, e un altro consulente di Macron, l’economista Jean Pisani-Ferry, hanno criticato il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Ecco come e perché nell’articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

«La riforma del trattato Mes, nella stesura attuale, non vale la carta su cui è scritto. L’Eurogruppo dovrebbe rinviare l’accordo e definire con la nuova Commissione europea un testo più ampio, più equilibrato e più ambizioso». Così Shahin Vallée, stretto collaboratore di Emmanuel Macron, ha silurato con un post su Twitter la riforma europea. A dare manforte a Vallée, con argomenti simili, è sceso in campo anche un altro consulente di Macron, l’economista Jean Pisani-Ferry, attuale commissario di France Stratégie, da sempre molto critico nei confronti del cosiddetto Fondo salva Stati.

È bene notare che le critiche di Sahin Vallée sono molto più puntute di quelle sollevate in Italia dalla Lega di Matteo Salvini, e a rimorchio dai 5 stelle. E qui parliamo di un economista che non ha nulla in comune con i sovranisti-populisti. Anzi, Sahin Vallée siede come macroeconomista nel gruppo finanziario di George Soros, che auspica più Europa; è un ricercatore stimato del centro studi Brueghel, di certo non antieuropeo; e, prima di collaborare con Macron, è stato consigliere di Herman Van Rompuy, quando questi era presidente del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo. Per questo vale la pena di rileggere in sequenza i tweet con i quali spiega perché la riforma del Mes «non vale la carta su cui è scritta».

Per cominciare, scrive Shahin Vallée, «la linea di credito in caso di crisi è accessibile solo a paesi che adempiono a criteri molto stretti ex ante, al punto da 
escludere oggi Francia, Italia, Spagna e perfino la Finlandia». 
Paesi con un debito superiore al 60 per cento del pil, pertanto messi fuori gioco dall’ipotetico soccorso del Mes, salvo che non ristrutturino il loro debito prima di chiedere un prestito. In pratica, una regola che sembra confezionata su misura per la Germania, 
che ha un debito-pil del 60 per cento, e per pochi altri paesi del Nord, fra cui l’Olanda.

«Dunque», aggiunge il collaboratore di Macron, «l’Italia ha ragione ad obiettare, ma è tardi, e concentra la sua critica su elementi secondari». Suggerendo una correzione di tiro, Shahin Vallée indica nei dettagli alcuni aggiustamenti tecnici, per certi aspetti comprensibili solo a veri esperti della materia, in grado di distinguere i «single limb CACs» dai «double limb». E aggiunge: «Senza questi elementi, la riforma del Mes non è un progresso, è un regresso. L’Europa è fatta di questi piccoli, graduali passi: ma devono essere passi nella giusta direzione. A volte è preferibile tornare al tavolo di disegno e rifare il progetto, invece di essere intrappolati in un progresso finto».

Rispondendo infine a un giornalista che lo rimprovera per avere scritto i tweet in inglese, Shahin Vallée risponde: «Avete ragione, devo scrivere in francese perché il senso del mio messaggio è che c’è qualcosa di vigliacco nel sostenere pubblicamente un accordo, sperando segretamente che siano gli italiani a bloccarlo». Chapeau!

(estratto di un articolo pubblicato su Italia Oggi; qui la versione integrale)

6 dicembre 2019 - MOVIMENTO DELLE SARDINE: tutta una montatura dei media?

Roma - guerra della monnezza - Il burocrate Zingaretti chiude Colleferro ma non crea una alternativa

Raggi: chiusura Colleferro logica per accordo elezioni Sanna-Zingaretti

di Redazione - 06 Dicembre 2019 - 11:55


Roma – “L’anticipo della chiusura della discarica di Colleferro in realta’ appare logico se dettato da motivi politici, visto che Colleferro andra’ alle elezioni il prossimo anno: c’e’ forse un accordo elettorale tra il sindaco Pierluigi Sanna e Nicola Zingaretti? E se e’ vero che la chiusura e’ stata decisa nel 2016, quali alternative ha messo in atto la Regione per compensare la chiusura della discarica? Anche stavolta, dopo la vicenda di Malagrotta, la Regione ha deciso la chiusura senza programmare un’alternativa?”. Lo ha detto la sindaca di Roma, Virginia Raggi, aprendo con la sua relazione la seduta straordinaria dell’Assemblea capitolina sul tema rifiuti.

'ndrangheta monnezza

Rifiuti ospedalieri interrati vicini alle case, bomba ecologica a Lamezia

VIDEO | I particolari dell’inchiesta che ha portato all’emissione di venti provvedimenti di custodia cautelare. Trecento tonnellate di immondizia, tra cui scarti provenienti dai nosocomi campani. Gratteri: «Preoccupazione per la vicinanza delle abitazioni e delle colture»
di Luana Costa 
6 dicembre 2019 13:47


È nel giugno del 2018 che un cittadino si accorge di movimenti sospetti di camion nelle campagne lametine e denuncia. È da qui che hanno preso avvio le indagini condotte dalla squadra mobile di Catanzaro e dal commissariato di polizia di Lamezia Terme sotto il coordinamento delle due Procure e che questa mattina hanno portato all'esecuzione di due ordinanze di custodia cautelare nei confronti di venti persone accusate di traffico illecito di rifiuti e inquinamento ambientale.

«Nel lametino sono stati sversati prodotti ospedalieri - ha chiarito il capo della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri -. Questo ci preoccupa molto perchè i rifiuti sono stati interrati in aree prossime ad abitazioni e colture». Medicinali scaduti provenienti da ospedali campani, ma i rifiuti interrati in due distinti siti di Lamezia Terme provenivano da tutta Italia attraverso un sistema ben oleato gestito da due società, la Eco.Loda con sede a Gizzeria e la Crm con sede a Dozza nella provincia di Bologna, attraverso un intermediario, vero punto di raccordo tra le imprese che avevano necessità di smaltire rifiuti e chi nei fatti svolgeva il servizio ma in maniera illecita interrandoli in cave o in buche scavate di notte con l'ausilio di mezzi meccanici.

In particolare Maurizio Bova e Angelo Romanello controllavano il sistema di trasporto e smaltimento che aveva il suo terminale in località Bagni e in località San Sidero a Lamezia Terme. I rifiuti erano formalmente destinati a siti del Nord Italia. «Certamente non un'attività estemporanea - ha spiegato il procuratore di Lamezia Terme, Salvatore Curcio - abilmente mascherata attraverso la formale e lecita attività di tre società che poi in realtà erano dedite a questo genere di traffici illeciti».

Trecento tonnellate circa i rifiuti interrati a Lamezia Terme per un giro d'affari di centinaia di migliaia d'euro: «Lo scopo è essenzialmente di lucro - ha precisato il procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Vincenzo Capomolla -. Oltre ad acquisire gli importi corrisposti dalle imprese che avevano necessità di smaltirli le aziende che organizzavano questo servizio con queste modalità illecite determinavano un risparmio nei costi di produzione estramente alto e costituivano entrambi questi due profili lo scopo lucrativo».

Luana Costa

6 dicembre 2019 - La mafia, il potere, la storia. Incontro con Nicola Gratteri

6 dicembre 2019 - Il Tg di Calabria RTC - discariche

La 'ndrangheta dilaga in Italia - Trentino

L'allarme di Gratteri:
«Le mafie in Trentino
per riciclare soldi»

Ven, 06/12/2019 - 05:37


E chi lo dice che mafia e ‘ndrangheta non abbiamo nulla a che fare con il Trentino? Purtroppo la realtà è ben più amara di quanto molti siano disposti a credere ed è quella illustrata, l’altra sera al Casinò di Arco, da Nicola Gratteri, saggista e procuratore della Repubblica di Catanzaro e da Antonio Nicaso, docente considerato uno dei massimi esperti di ’ndrangheta nel mondo.

La serata, organizzata dall’ex deputato e consigliere comunale Mauro Ottobre, e moderata dal direttore dell’Adige, Alberto Faustini, era incentrata sull’ultimo, fortunato saggio della coppia Gratteri-Nicaso («La rete degli invisibili», Mondadori).

Come sono fatti gli ‘ndranghetisti del terzo millennio? Come vivono? Come si vestono? Come gestiscono i loro affari? Come si riconoscono? Gratteri e Nicaso, incalzati dalle domande del direttore Faustini, hanno risposto a questi e a molti altri quesiti davanti a un pubblico attento e appassionato.

Come hanno spiegato i due autori, le mafie hanno maturato «una spaventosa capacità di mimettizarsi»: ma il fatto che siano meno visibili, che non sparino, non le rende meno pericolose. È solamente un luogo comune da sfatare. «C’è una sorta di darwinismo criminale, un’evoluzione che tende a rendere le organizzazioni criminali meno visibili - ha spiegato Nicaso - le mafie sono molto più pericolose quando non sparano, quando vengono da queste parti per sfruttare le cave di porfido. Il Trentino non è più quel presidio dove si prestava attenzione anche alle piccole cose. Adesso le mafie vengono qui perché l’Austria è vicina e così i casinò della Slovenia, e c’è la possibilità di riciclare denaro. Questa è una terra che offre delle opportunità di investimento e dove è possibile mimetizzarsi».

La ‘ndrangheta esiste solo in Italia?

Certo che no, come ha sottolineato il procuratore Gratteri: «Anche in Germania c’è la ‘ndrangheta, è ben radicata e impone l’acquisto dei suoi prodotti».
Il problema, ha osservato Nicola Gratteri, «è che la Germania non è attrezzata dal punto di vista normativo, così come l’Austria, dove il sistema bancario è un colabrodo». All’estero, ha osservato il procuratore, «non c’è collaborazione sulla lotta alle mafie. Sono per un’Europa federale ma quest’Europa pensa solo alla finanza e alle banche».

E che dire di serie tv alla Gomorra e pellicole cinematografiche che raccontano mafia e criminalità organizzata? Nulla di buono. «Purtroppo emerge la spettacolarizzazione della violenza - ha osservato Nicaso - ma non si riesce a raccontare i meccanismi legati alle trame sommerse delle mafie. Pensate a Gomorra, dove il conflitto è tra il male e il peggio. Il pericolo concreto - ha aggiunto - è quello di creare fenomeni di emulazione. Bisognerebbe cominciare a decostruire il mito e imparare a conoscere il fenomeno».

La riunione Nato, ci mostra tante cose tra cui l'Italia una espressione geografica governata da servi degli stranieri. Il Progetto Criminale dell'Euro avanza senza opposizione

TEMPESTA ALLA NATO – E TUTTO COME PRIMA

Maurizio Blondet 5 Dicembre 2019 

Si è capito subito che Donald Trump è piombato al vertice NATO con la voglia di attaccar briga: specificamente con Macron, colpevole di aver proposto agli europei di sganciarsi un po’ dalla protezione USA, e aver proposto di coprire la Polonia con l’ombrello nucleare francese . Infatti Donald se l’è subito presa con Manu rimproverandogli come ”offensiva” la frase sulla “morte celebrale” dell’Alleanza, che lui stesso aveva, poco settimane fa, definito “obsoleta”. Poi, provocatoriamente, ha detto al francese se voleva i terroristi dell’ISIS prigionieri in mano americana, “sono quasi tutti europei”, a cui Macron ha replicato: “Siamo seri”.

Dopo aver mezzo litigato con la Merkel per il solito motivo (la Germania spende troppo poco per la NATO), ha invece detto che lui va d’accordissimo con Erdogan che è “molto utile”- altra provocazione a Macron, che voleva appunto sollevare la questione : cosa deve fare la NATO con la Turchia che sta combattendo i nostri curdi….

Il che ha dato a Macron di replicare a Donald ma anche a Erdogan che con la Turchia “che non abbiamo lo stessa definizione di terrorismo [da combattere]. Se guardo la Turchia, vedo che ora combatte quelli che hanno combattuto a nostro fianco contro l’ISIS – e a volte i turchi lavorano con gente dell’ISIS” . Insomma è stato un piccante intermezzo di verità sulla grande menzogna della guerra sferrata dalle potenze criminali in Siria: perché ovviamente anche la Francia è stata in combutta con Al Qaeda e lo è ancora (si oppone alla liberazione di Idlib, ultima ridotta dei suoi qaedisti”, e “a questo gioco ci si lascia le penne, perché non tutti avevano dei partner frequentabili sul teatro siriano”, ha commentato il giornalista l’islamo-francese Hakim el KAroui.

Poi c’ stata la scenetta in cui Macron e il canadese Trudeau, come ragazzini, insieme al britannico Johnson, e la principessa Anna d’Inghilterra, si prendevano gioco di Trump e della sua palese insufficienza e ignoranza .


Il che ha fatto sì che The Donald troncasse tutto, desse a Trudeau della “doppia faccia”, rinunciasse alla conferenza stampa e tornasse inviperito di fretta a Washington. Dove lo attende di peggio: la causa di impeachment e soprattutto un intervento sul NewYork Times, fremente e minaccioso, dove un ammiraglio a riposo, W. H. McRaven, dichiara che “La nostra Repubblica è sotto attacco da parte del Presidente” e conclude: “E se questo presidente non capisce l’ importanza dei nostri valori , se questo presidente non dimostra la leadership di cui l’America ha bisogno, sia a livello nazionale che all’estero, allora è tempo di una nuova persona nell’ufficio ovale – repubblicano, democratico o indipendente – prima , meglio è. Il destino della nostra Repubblica dipende da questo”. Che in qualunque paese sembra l’annuncio di un putsch militare.


“Il vertice dei 70 anni della NATO resterà nella storia come un disastro” ha commentato a caldo Christian Spillman, uno dei giornalisti presenti. Poi, prima di salire sull’elicottero, Trump ha twittato un “Grazie NATO!” che ha dato un certo sollievo: dopotutto The Donald non è rimasto scontento del vertice…

I media danno Macron come il grande perdente, perché “si è isolato” dagli alleati europei con le sue audacie di autonomia e critiche alla NATO, bastava vedere la faccia della Cancelliera …
Erdogan ha incontrato il premier greco

E non si creda che il vertice sia finito senza nulla di fatto. Nel comunicato finale, denuncia le azioni aggressive della Russia (ha bisogno di un avversario, per none essere superflua) e annuncia al mondo che “resterà una alleazna nucleare finché ci saranno armi nucleari” russe). Verso la Cina, molta meno aggressività.

La Francia ha accettato di far entrare nella NATO la Macedonia del Nord.

Erdogan ha cessato la sua opposizione al riarmo NATO di baltici e Polonia.

Mitsorakis ed Erdo: gelido incontro.

Importante: Erdogan s’è incontrato a tu per tu col premier greco Mitsorakis, sul casus belli delle acque territoriali. Atene ha riscosso la “piena solidarietà” della UE sulle “recenti azioni della Turchia nel Mediterraneo orientale”; forse più importante, anche la “solidarietà” della potenza nucleare locale, Israele.

C’è stato un vertice NATO sulla Libia a cui l’Italia non è stata invitata. La Libia sta diventando il teatro della più rovente “guerra per procura”: Erdogan sta riempiendo di armi Al Sarraj, il nuovo alleato con cui ha costruito la Zona Economica Esclusiva nel MEditerrraneo, sfiorando l’isola di Creta, per equilibrare il rapporto di forze col rivale, il generale Haftar, che è sostenuto da Macron (che lo arma violando l’inutile embargo decretato dalla UE ) da Mosca (mercenari russi stanno combattendo al suo fianco), e dall’Egitto. L’Italia ha avuto un drone di ricognizione abbattuto, poi anche gli Stati Uniti, il che dimostra la forza di Haftar e dei suoi amici.
L’Italia, tornata espressione geografica-

Come spiega il Corriere, anche nella
Ue, gli italiani assenti nei posti chiave
La nuova mappa del potere europeo


Insomma il nostro paese torna ad essere pienamente quello che è stato: una espressione geografica governata da servi dello straniero.

Interessante sapere che Berlino occupa nella UE praticamente tutti i posti chiave. E vedere quanto paga alla “Unione” per farla funzionare: versa lo 0,72% del suo prodotto interno lordo , persino meno della stitica somma che destina alla NATO e alle spese militari (1,4).

Una cifra, lamenta persino la Frankfurter Allgemeine, che fa mancare alla Von der LEyen i mezzi per l’ambizioso programma: digitalizzazione di tutto, lotta al cambiamento climatico, miglioramento della coesione sociale in Europa.


Ma alla Merkel e al governo interessa mantenere la UE,”da cui abbiamo tanti vantaggi”, domanda Marcel Fratzcher,. L’economista della Humboldt.

Conte non legge i dossier di un nostro saggio, Savona. Politeia, 7 settembre 2018

Il “dossier” di Savona sul Mes che ha svelato tutte le trappole

Maurizio Blondet 4 Dicembre 2019 
Angelo Scarano – Mer, 04/12/2019 – 09:48

I rischi del Mes sono stati valutati attentamente dal governo giallorosso? Dopo il dibattito in Aula sul fondo Salva-Stati in cui è andato in scena lo scontro acceso tra il premier Conte e il leader della Lega, Matteo Salvini, arriva a sorpresa proprio la frenata da parte di Palazzo Chigi che non esclude un rinvio sull’accordo per il Mes.

Ma in questo quadro di attacchi e accuse c’è una questione che in questi giorni torna spesso sul campo dello scontro: il governo gialloverde sapeva già delle trapopole del Mes? Il premier Conte di fatto era a conoscenza già da tempo delle gabbole del nuovo Fondo Salva-Stati? A chiarire questo punto probabilmente è un report inviato dall’allora ministro alle Politiche Comunitarie del governo gialloverde, Paolo Savona. Come riporta il Messaggero, proprio Savona aveva inviato ai ministri, ai Commissari Ue e ai vertici della Bce un report dal titolo “Una politeia per un’Europa diversa. Nel dossier venivano affrontati anche tutti i rischi legati al Mes. E Savona nel suo documento non esprimeva certo un parere positivo sul Fondo Salva-Stati: “La proposta in discussione di creare un fondo europeo per gli interventi, comunque lo si chiami”, si leggeva nel documento, “oltre a disporre di risorse insufficienti, ha il duplice difetto di riproporre la parametrizzazione degli interventi, invece di valutare caso per caso secondo una visione politica comune. Essa inoltre ripropone i difetti della condizionalità restrittiva per la politica fiscale dei paesi che a esso ricorreranno, rendendo il meccanismo rigido nell’ applicazione e con effetti deflazionistici”. Parole fin troppo chiare che a quanto pare non hanno però cambiato la posizione del premier Conte che con l’approdo nel governo giallorosso ha di fatto confermato il suo semaforo verde al Mes. E uno dei punti messi in discussione in questi giorni riguarda la valutazione dei debiti pubblici e gli automatismi per la loro ristrutturazione.

All’articolo 3 del Mes si dà la possibilità a Commissione e Bce di valutare la sostenibilità del debito pubblico di uno Stato membro. Una pagella che potrebbe dare il via ad una serie di operazione automatiche per un risanamento. ed è proprio questo il nodo da sciogliere che di fatto ha lasciato il Mes nel pantano del dibattito parlamentare. Il governo in questo momento non può far nulla per modificare i pilastri del trattato. L’unica mossa che il governo (sotto le pressioni di opposizioni e parte dei grillini) sta cercando di portare avanti è quella di mettere le mani sugli allegati e tutti quei documenti tecnici che però restano una sorta di “contorno” al “piatto forte” che va a ridisegnare le regole per il risanamento del debito pubblico. Gli accordi di giugno scorso raggiunti dall’allora ministro del Tesoro Tria e poi ratificati dal premier restano comunque inemendabili.

E a quanto pare in Europa c’è fretta di chiudere l’accordo. Bruxelles ha fatto sapere di pretendere una chiusura del patto in tempi brevi salvo poi aprire ad un rinvio di circa due mesi. Ma è da Berlino e dai falchi tedeschi che arriva il pressing più pesante. Proprio ieri l’ex Commissario Ue al Bilancio, il tedesco Oettinger ha fatto sapere che i problemi legati ad un rinvio in Italia sul Mes “vanno risolti”. Un diktat che fa lievitare la tensione attorno un trattato che di fatto può cambiare radicalmente gli equilibri in Europa.


Il capitalismo si accartoccia su se tesso impossibilitato ad evolversi

IL CAPITALISMO ENTRA IN FASE “BUCO NERO”

Maurizio Blondet 4 Dicembre 2019

Unicredit, banca francese, notoriamente ha annunciato taglio di 8.000 dipendenti (5.500 in Italia) e 500 filiali. Nello stesso tempo, spenderà 2 miliardi di euro per ricomprare le azioni proprie: impiego insensato il cui scopo è aumentare artificialmente il valore delle azioni, rendendole rare sul mercato; segno anche del fatto che 
la grande banca non ha più alcuna idea né voglia di fare credito alcuno alle imprese. 
Nello stesso tempo, gli serve a “creare 16 miliardi di valore per i soci”, e ossia dividendi per gli azionisti : “ Nel 2023 utile salirà a 5 miliardi”, annuncia.

Cosa significa questo? Unicredit segnala la trasformazione del capitalismo terminale in “buco nero”. In senso letterale. Unicredit si trasforma in uno di quei corpi celesti di materia collassata e superdensa, la cui mostruosa forza di gravità trattiene persino la luce dall’irraggiare, per cui il corpo è infinitamente buio, e la sua presenza è segnalata da fatto che ingoia tutti i corpi celesti che le stanno vicini, in un collasso senza fine di immense quantità di nuova materia che aumentano la sua iper-gravità attrattrice e devastatrice.

Similmente, Unicredit non dà più niente alla società – anzitutto i salari, e i crediti all’economia reale – ed esiste ormai unicamente per “creare miliardi agli azionisti” , dividendi enormi che estrae dal saccheggio finale dell’economia e ingoiando la liquidità astronomica a tasso zero emessa dalla banca centrale: l’alimentatrice del materiale di 3 mila miliardi creati dal nulla di cui quasi niente è stato visto nel mondo reale. Attraverso i 3 mila miliardi, e quelli che sta creando la Fed, altre entità del capitalismo privato si stanno mutando in altrettanti buchi neri.

Lo scopo è evidente: creare “profitti” e utili e dividendi agli azionisti nonostante il fallimento, i colossali errori di investimento che valgono la bancarotta, e l’abbandono dello scopo istituzionale per cui deve esistere una banca: prestare.

Divoratore di mondi .. un buco nero attira e ingoia la luce di una stella vicina.

La metafora è resa ancora più stringere dal fatto che questa strategia di Unicredit è la conseguenza del colossale insuccesso del suo “modello di business” COLLASSATO, l’internazionalizzazione, l’andare a offrire mutui in franchi svizzeri a cittadini polacchi o comprare buoni del Tesoro turchi, perché “rendono” tassi più alti … Colpi di genio che non hanno alcun senso, se non la cieca adesione alla globalizzazione come ideologia, e nel suo futuro di grassi profitti finanziari. Dunque il fallimento e collasso è su tutta la linea, non solo imprenditoriale (sbagliare investimenti) ma anche intellettuale e filosofica.

Quando una banca diventa un buco nero per la società, la soluzione è la nazionalizzazione. Fu fatto nel ’22, cacciando gli azionisti senza dividendi: motivo per cui quel periodo e regime è oggi catalogato come Male Assoluto.

Giovanni Zibordi (il trader MBA) infatti suggerisce di usare i 110 miliardi che dobbiamo dare al MES europeo per nazionalizzare Unicredit: vox clamantis in deserto, perché immaginate solo di nazionalizzare – e una banca francese per giunta, le ritorsioni che subiremmo da Bruxelles, Berlino, e dai “mercati” (ossia dalla BCE che ci disciplina con lo spread: modulando gli acquisti dei nostri BTP), per non parlare dell’urlo mediatico e della Palamara che “apre un dossier”.

Perché bisogna capire fino a che punto 
il governo è al servizio del capitalismo in mutazione “buco nero”. 
Non più tardi di ottobre, il nostro ministro Gualtieri, con il debito del 134% che abbiamo e di ci rimprovera lui per primo, è andato a indebitarci in valuta: 
il suo ministero ha emesso titoli di debito in US$ per 2,5 miliardi a 5 anni, a – tenetevi forte – 2,375% di interesse.

Tasso interesse principesco, e immensamente oneroso per noi, in questo periodo in cui persino la Grecia si indebita a tassi negativi. E va detto che nell’asta di ottobre – cioè negli stessi giorni – sui BTP a 5 anni, lo stesso ministero di Gualtieri ha pagato interesse dello 0,26 %.

Il tutto si spiega sapendo che l’emissione i dollari al 2,375% è rivola a “investitori istituzionali”: mica li potete comprare voi, sono per i miliardari esteri, è loro che Gualtieri fa guadagnare.

“Nessun senso economico, solo servigi alle grandi consorterie finanziarie”, commenta Alberto Micalizzi, da cui ho appreso la notizia.

INDEBITAMENTO ONEROSO
Il MEF ha da poco emesso debito in US$ per 2,5 MLD a 5 anni, al 2,375%, rivolto a istituzionali. Nell’asta di Ottobre ha pagato lo 0,26% sul BTP5anni…
Nessun senso economico, solo servigi alle grandi consorterie finanziarie.


Micalizzi lancia anche una proposta paradossale: “Con i 111 miliardi che l’Italia dovrebbe ancora versare al MES si potrebbe costituire il patrimonio netto di una banca pubblica che secondo Basilea potrebbe garantire il debito del Tesoro per non meno di 2.000 miliardi, azzerando lo spread…”.

Lasciamo a lui l’idea che non sappiamo valutare – lui è un esperto – sapendo già che è altra vox clamantis, non essendoci alcuna possibilità che il governo – né se è per questo alcun governo immaginabile – possa considerare un’idea del genere.

E’ giusto per mostrare come da questa parte ci sono idee e proposte, mentre dall’altra – quella del potere – mutismo che non è solo arroganza, ma incapacità di pensare e anche solo di guardare in faccia la crisi, anzi collasso cui si è ficcato il capitalismo terminale. Perché buco nero non è solo Unicredit.

Che dite dell’industria tedesca dell’auto? Il grande orgoglio nazionale dai mostruosi profitti esportatori, per il quale i lavoratori tedeschi hanno accettato paghe basse e mai cresciute nel ventennio? Un giorno Audi annuncia 10 mila licenziamenti, un dipendente su 6; il giorno dopo, anche Daimler annuncia a suoi10 mila che getterà sul lastrico, per risparmiare “1,4 miliardi di costi” salariali. Ma tutto il padronato del settore ha già avvertito a mezza bocca che nei prossimi anni, causa la riconversione dal motore a scoppio all’elettrico, si dovranno liberare di 50 o anche 50 mila lavoratori.


E in realtà, l’ufficio statistico germanico ha scoperto che già adesso c’è un aumento fortissimo dei lavori part-time involontari, e che 4,1 milioni di lavoratori tedeschi fanno “lavori multipli” , per sbarcare il lunario: ovviamente “lavori” che non sono coperti se non minimamente dallo stato sociale.


Ed ora a questi lavoratori prossimi al licenziamento, le banche tedesche girano i ”tassi negativi”: i piccoli risparmiatori avranno i magri risparmi – decurtati. Colpa della BCE, dice ovviamente la narrativa tedesca. E attenzione, il piccolo risparmiatore tedesco ha sempre messo i suoi soldini in conti di risparmio, da cui sia spetta di ricavare un interesse grasso – assurdo nella recessione da austerità europea, dove le banche non hanno possibilità di investimento redditizi nell’economia reale. Naturalmente da vent’anni i Weidmann e gli Schauble hanno tenuto buoni i tedeschi dando la colpa alla BCE,a Draghi che ha abbassato i tassi per aiutare gli italiani….

“La Germania sta scivolando in una isteria anti-BCE e quindi anti-UE, che alla fine danneggerà la credibilità e lì Europa stessa, di cui noi tedeschi tanto ci avvantaggiamo”; riconosce – unico – Marcel Fratzcher , macro-economista alla Humboldt. Uno dei pochi lucidi (l’altra è Isabel Schnabel) sulla fallacia narrativa instaurata dal sistema di potere tedesco, Fratzcher dice per esempio: di vronte ad ogni decisione di Draghi, OMT, Quantitative Easing, stampa di miliardi, dalla parte germanica abbiamo sentito solo lamentele e critiche e voti contrari; ma mai, mai una volta, una proposta alternativa.

Populism Germany style: “When saving makes you poor: zero interest rates are destroying the wealth of Germans.”
Today’s cover of @DerSPIEGEL , Germany’s most important weekly magazine.
The lead article is less biased, but is it responsible to further feed populist sentiment?

Germany is sliding into a dangerous anti-Europe, anti-ECB hysteria, which threatens to damage the ECB‘s credibility, the euro and ultimately all of Europe.
It is high time for an honest dialogue and for exposing the 20 German myths about #ECB monetary policy:

Mai un’idea. Anzi un arcigno silenzio-rifiuto di fronte a chi (come ad esempio Varoufakis, o il banchiere centrale magiaro) li ha proposti. Questa ottusità e paralisi mentale è il sintomo più chiaro della mutazione del capitalismo, e della stessa Europa ordoliberista, verso la condizione di buco nero: da cui non esce un raggio di luce intellettuale. La solo soluzione dell’industria tedesca dell’auto, è “risparmiare” licenziando: e poi? Mah. Dimentica del principio stabilito da Henry Ford, pagare suoi operai onde comprassero le sue vetture. La stessa repentinità con cui è passata dal trionfo al riconoscimento della crisi e della disfatta , è un segno di stupidità. Si brancola nel buio, nel buio nero del buco nero. Dove non si devono lasciare circolare idee, nella convinzione che il potere basti a sém senzaintelligenza.

A chi venderanno le nuove auto elettriche di là da venire e da inventare? Ma questo è solo un corollario euro-tedesco dalla grande, evidente ultima utopia del “grandi miliardari” digitali della nuova elite USA: sostituire tutti gli esseri umani coi robot e intelligenza artificiale – a produrre merci che poi non si chiedono a chi venderanno. Ad altri robot, probabilmente, nel loro sogno anti-umano. E’ il Buco Nero perseguito come orizzonte ultimo, in cui la stupidità e l’avidità non lasciano uscire nulla per gli altri.


E' guerra vera è guerra totale, niente illusioni - Gli Stati Uniti dopo Hiroshima e Nagasaki non hanno voce a parlare di diritti umani che è solo uno strumento per danneggiare l'economia cinese

Uiguri, ecco cosa cela il nuovo attacco di Trump alla Cina

6 dicembre 2019


L’approfondimento di Giuseppe Gagliano sulle ultime mosse anti Cina di Trump a partire dal caso Uiguri fra commercio, geopolitica, tlc e diritti umani

Nel contesto della guerra economica tra la Cina e gli Usa acquista un significato particolare l’utilizzazione del diritto come arma di pressione politica.

Dopo l’approvazione da parte del Congresso della legislazione a supporto dei manifestanti di Hong Kong, Trump ha fatto partire una seconda controffensiva di natura giuridica e cioè lo Uighur Act che denuncia le gravi violazioni nel contesto dei diritti umani da parte della Cina in relazione sia alle repressione delle minoranze musulmane uiguri presenti nello Xinjiang sia alle detenzioni illegali nei campi di rieducazione cinesi noti anche come Laogai ideati durante il periodo maoista.

Nello specifico la normativa prevede l’uso di sanzioni contro i funzionari cinesi — tra cui Chen Quanguo, capo del Partito comunista per lo Xinjiang — che hanno avviato azioni di repressione e detenzione illegale delle minoranze uiguri. Particolarmente significativa è stata la posizione di Nancy Pelosi — Presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti — che ha sottolineato l’assoluta necessità di sanzionare e contrastare in tempi rapidi le orribili violazione dei diritti umani che Pechino ha posto in essere nei confronti della minoranza musulmana.

Inoltre la Pelosi ha sottolineato come la sorveglianza capillare e pervasiva che la Cina ha attuato nei confronti della minoranza musulmana — sorveglianza che procede di pari passo al confinamento solitario, ai pestaggi e persino alla sterilizzazione forzata — siano strumenti di fronte ai quali gli Stati Uniti non possono rimanere impassibili o neutrali.

Ebbene al di là delle scontate dichiarazioni da parte di Pechino — il Dragone ha infatti risposto tramite il portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying che gli Stati Uniti stanno non solo compromettendo il contrasto che la Cina ha posto in essere contro il terrorismo ma soprattutto che interferiscono in questioni di natura interna — la vera posta in gioco è ancora una volta la tecnologia cinese: infatti questa normativa una volta firmata da Trump consentirebbe al Dipartimento del Commercio di vietare le esportazioni statunitensi nello Xinjiang con particolare riferimento alle tecnologie di riconoscimento facciale.

In altri termini 
questa normativa, come quella relativa a Hong Kong, è finalizzata a danneggiare l’economia cinese 
e quindi la possibilità che la Cina possa in tempi brevi superare l’egemonia economica americana.

Per quanto concerne il rispetto dei diritti umani di cui gli Stati Uniti si fanno portavoce in funzione oggi anticinese — ieri in funzione anticomunista — sarebbe sufficiente ricordare da un lato le denunce poste in essere dal New York Times in merito all’
  1. uso della tortura nei confronti del terrorismo islamico 
  2. e dall’altro lato il report annuale di Amnesty proprio relativo al mancato rispetto da parte americana dei diritti umani.
In ultima analisi ancora una volta non possiamo non sottolineare quanto strumentale sia — e sia stato — l’uso del diritto da parte degli Stati per legittimare la propria politica di potenza.

Gli Stati Uniti vogliono mantenere la supremazia nel mondo, sono disposti a tutto, le mernzogne sono parte integrante dei suoi metodi, guerra in Iraq docet

Cina denuncia la disinformazione Usa contro Huawei
Ambasciatore cinese in Ue accusa Pompeo di 'caccia alle streghe'

Xinhua
05 dicembre 201913:02NEWS

(XINHUA) - BRUXELLES, 5 DIC - Il capo della missione diplomatica cinese presso l'Unione Europea, Zhang Ming, ha denunciato ieri la campagna di disinformazione condotta dal segretario di Stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, contro la Cina e in particolare contro il colosso tecnologico cinese Huawei, definendola una vera e propria "caccia alle streghe".
"Nonostante la caccia alle streghe in corso e il risalto dei media, nessun singolo Paese o individuo ha ancora fornito alcuna prova concreta per dimostrare che Huawei rappresenti una minaccia per la sicurezza", ha scritto Zhang in una lettera inviata al direttore di Politico che il 2 dicembre ha pubblicato un editoriale in merito firmato dal segretario statunitense.
Nell'articolo intitolato 'Sul 5G l'Europa deve dare priorità alla sicurezza', Pompeo ha ribadito la propria campagna di disinformazione contro la Cina e le società cinesi, cercando di conquistare i cuori e le menti degli europei, elencando una lunga lista di false accuse e arrivando ad affermare che Huawei ha "presumibilmente trafugato proprietà intellettuale" da Paesi come Germania, Israele e Regno Unito, secondo quanto accusa Zhang.
Inoltre, secondo Pompeo, la Legge sui Servizi Segreti in vigore in Cina permette al Partito comunista cinese di costringere qualsiasi fornitore di servizi in 5G con sede nel Paese a consegnare i dati in suo possesso in segreto.

E' guerra vera è guerra totale niente illusioni - doveva succedere ed è successo gli Stati Uniti vogliono portare la Nato allo scontro con la Cina. L'Italia cosa ci sta a fare in questa organizzazione palesemente diretta dagli statunitensi per i propri interessi?

Perché è importante per la Nato affrontare la Cina



La Nato e la Cina. Pechino entra tra gli argomenti che l'alleanza pone sotto massima attenzione dopo lunghe pressioni statunitensi. Le considerazioni di Andrew Small, che per il German Marshall Fund si occupa di relazioni transatlantiche

“La crescente influenza della Cina e le sue politiche rappresentano opportunità e sfide che la Nato deve affrontare insieme”. Questa frase, inserita nel documento congiunto che ha chiuso il vertice con cui l’alleanza ha festeggiato i suoi 70 anni (ieri, in Inghilterra), fotografa perfettamente la situazione che la Nato si trova davanti. La Cina – un colosso globale che cresce dal punto di vista economico e abbina a questo sviluppo una presa politica via via più intensa a livello internazionale.

Il rapporto con Pechino è un tema che è diventato adesso stringente, ma che per diverso tempo è stato tralasciato dall’Alleanza atlantica – che ha un deficit di consapevolezza riguardo alla gestione delle relazioni col Dragone, sia sotto gli aspetti della minaccia sia per quelli che riguardano le potenzialità di cooperazione.

La questione Cina non è certo uscita tutta contemporaneamente, s’è creata nel corso del tempo e – sebbene negli ultimi anni la Nato abbia acquisito maggiore assertività sul tema – per lunghi periodi tutto quello che riguardava la Repubblica popolare sembrava non dover interessare le decisioni e le policy dell’alleanza.

Come fa notare su Twitter Andrew Small, che per il German Marshall Fund si occupa di relazioni transatlantiche, a mettere la Cina tra i punti in cima all’agenda Nato è stato Washington. E lo ha fatto con insistenza soprattutto negli ultimi due anni. Il confronto tra Stati Uniti e Dragone è il tema che occupa la gran parte degli affari internazionali del momento, ed è l’argomento principale di politica estera a livello globale.

È noto che l’amministrazione Trump abbia scoperto le carte sulle relazioni con la Cina, dimostrando come su tutto lo scibile Washington e Pechino seguano una forma competitiva e di confronto che durerà per i prossimi anni. E chiaramente gli americani hanno portato lo sviluppo della potenza cinese – che è ritenuto la sfida principale per l’ordine mondiale creato dall’Occidente –anche sul livello Nato.

Ma non tutti i paesi membri sono stati immediatamente d’accordo. Per esempio, non più tardi della scorsa settimana il presidente francese, Emmanuel Macron, aveva dichiarato che la Cina (e la Russia) non sono nemici e l’unico nemico della Nato era il terrorismo. Altri hanno a lungo glissato per ragioni di interessi. Ma forse con quest’ultimo vertice qualcosa è cambiato.

“Contrastare la crescita militare cinese” è diventata una necessità, come ha detto il segretario dell’alleanza, Jens Stoltenberg. Di fatto, l’incontro tra leader dei paesi membri appena concluso segna una prima volta: la Cina non era mai stata inserita come oggetto di attenzione in un documento totale dell’alleanza. Un allargamento di orizzonti che però, secondo alcuni analisti (tra questi Small appunto) rischia di restare fermo al contesto del vertice e di sviluppare un approccio privo della doverosa profondità.

Un’elaborazione di un pensiero comune in sede Nato su come affrontare la Cina potrebbe invece essere d’aiuto anche in altri ambiti. Per esempio in Europa, chiamata da Washington a scegliere con convinzione il lato di questo nuovo bipolarismo che tocca la totalità degli argomenti sul tavolo: dalla geopolitica alla tecnologia, al commercio e l’industria, al rispetto dei diritti.

venerdì 6 dicembre 2019

Vertice Nato


7 aprile 2019 - Storia segreta della 'ndrangheta. Una lunga e oscura vicenda di sangue e...

Farfugliamenti

Belle Époque


Roma, 3 dicembre 2019

Mi è capitato di assistere a una retrospettiva dei fratelli Lumière.
I signori Lumière, distillando il lavoro dei decenni precedenti, sgomentarono le platee parigine alla fine del 1895 (28 dicembre) proiettando, nel Salon Indien du Gran Café de Paris, L’uscita degli operai dalle Officine Lumière e il fatidico Arrivo del treno alla stazione de La Ciotat.
Da quella data ogni fotografo, curioso o artista anela la cinepresa.
Centinaia di operatori, più o meno improvvisati, si sguinzagliano per il mondo, ormai ridotto a sgabuzzino dell’essere umano, piazzando i nuovi occhi a registrare il quotidiano.
Mosca, Roma, Vancouver, New York saltano dalla realtà all’immagine divenendo fruizione: per il pubblico sempre meno scelto: alla fin fine per il mondo tout court.

Già nel 1896 abbiamo una vasta scelta di immagini. I Francesi conoscono in diretta le capitali d’Europa, gli Americani i sobborghi londinesi, i Canadesi il Ponte Ripetta a Roma; l’Occidente si fa stretto, l’Atlantico si prosciuga, l’Europa si rimpiccolisce a vista d’occhio. Decadono la meraviglia e l’arte, subentra la cronaca minuta.A guardare, con occhio sincero e spaurito, quelle sequenze lattescenti, ci si rende conto che la globalizzazione era compiuta; già nel 1896: c’era solo da rifinire il delitto. 

La Terra, l’amabile Terra, si avviava a divenire una città singola, con regole eguali per tutti.
Il mondo si globalizza, allora, in piena Belle Époque: dal 1870, in effetti, viviamo la Belle Époque: pace, progresso tecnico e diritti civili.
Una vera bazza, insomma.La demografia non perdona: dal 1850 (una miliardata di insetti) al 2020 (sette a crescere).
E le due guerre mondiali? Certo, vi furono due guerricciole. Fasi di assestamento. Problemi di crescita. La Prima, quella decisiva, spazzò via tre Imperi, la Seconda iniziò l’incontrastabile operazione Monarchia Universalis.
Due guerre. Venti, trenta milioni di morti? E allora? Cosa sono di fronte a sei miliardi di esseri umani in più?

Nelle more della dissoluzione vennero schiantate due Rome: Bisanzio (Costantinopoli) e Mosca (Czar Romanov, nientemeno). La prima Roma era caduta qualche decennio prima, fra risatine e trombette carbonare.
La libertà universale si sparse secondo il vento dell’ottimismo dei neofiti. La democrazia liberale (liberale poiché basata sulla libertà di metter croci) ebbe a costituirsi quale alternativa unica (un ossimoro presto trasformato in legge).
La Belle Époque è il nostro mondo, il mondo di oggi. Pace, invenzioni mirabolanti e democrazia.
In nemmeno mezzo secolo si sovverte la visione dell’umanità.
Un mondo antico viene liquidato.
Il rubinetto, l’elettricità, la camera d’aria (che consentì spostamenti individuali: bicicletta, moto, automobile), il fonografo; l’estensione della rete ferroviaria, l’aumento della popolazione grazie a scoperte che abbattono la mortalità infantile, dirigibili, aeroplani, la radioattività, la relatività, le rate, il turismo individuale, il lettino freudiano.

L’uomo si fa stregone dominatore degli elementi: il suo imperio si estende sulle acque (transatlantici, sottomarini), sull’aria (dirigibile, aereo), sul fuoco (elettricità) e sulla terra (automobile, treno, alluminio), persino sulla quintessenza eterea (telegrafo, telefono).
Egli è il Prospero invitto. La bacchetta magica rifulge nelle sue mani, Ariele è al suo servizio, Calibano, il freddo mostro del passato, un aborto della strega Sycorax, viene dileggiato e posto ai ferri.
Egli edifica, infine la Torre di Babele, la Tour Eiffel.
L’Esposizione Universale del 1889, a Parigi, è la glorificazione della vittoria sugli elementi naturali e contro la divinità.
Il Globo si dà convegno a Parigi, come lo era stato a Londra.

Londra e Parigi, i due epicentri della Nuova Civiltà, strepitano le buccine dell’Uomo di Vitruvio, opportunamente rimodulato quale misura di tutte le cose.
I due giganteschi corni del Postmoderno ebbero lì, Parigi e Londra, Londra e Parigi, la scaturigine: spirituale e tecnica. I decollamenti del 1789 e la Spinning Jenny divengono l’emblema del Novus Ordo.
Libertà, un termine debitamente falsato e smerciato nelle orecchie dei nuovi sudditi, è la parola chiave.
Libertà. Cambiamento. Si ha da essere liberi, è ora di cambiare.
Da allora sino a oggi (un secolo e mezzo) ogni tentativo di resistenza è stato frantumato. Ridotto in pietrisco, letteralmente.
Le rovine fumanti dell’Italia e della Germania, di Vienna, Bisanzio, Pietroburgo, Kabul, Hiroshima, son lì a dimostrarlo.
Qualche ostinato culo di ferro, tenutosi a distanza, prudentemente, dalle fucine infernali, capitolò nel Secondo Dopoguerra (Spagna, Grecia, Portogallo).
Cosa resta oggi: movimenti di ostilità fuori tempo massimo, anacronistici; perdenti, inevitabilmente, e oramai rimpianti da nessuno, nonostante ci si agghindi ancora degli stemmini dell’ostilità e si giochi a fare l’ostile: con sommo divertimento dei vincitori: dai sovranisti ai fascisti ai veterocomunisti.

Le pietre d’intralcio (Hitler, Franco, Alceste, l’infido Mussolini, i colonnelli e i marescialli sparsi a perseguitare la libertà – la libertà! – in Europa, i divini imperatori, i nostalgici di Cecco Beppe) vennero polverizzate, a qualsiasi costo. A costo di olocausti, atomizzazioni, tradimenti.

La linea storica è definita, chiara, adamantina: la servitù in nome della libertà!

La libertà di votare!

Anche Céline s’impappinò sulla materia. Era troppo a ridosso degli avvenimenti. La sua tesi di laurea, deliziosa a leggersi, sul dottor Semmelweis inizia, con una reprimenda dura contro la Rivoluzione Francese e prosegue con la magnificazione dell’opera del suddetto Semmelweis, pioniere della profilassi nelle sale operatorie. La mortalità delle partorienti, grazie ai suoi accorgimenti, crolla; una nuova pietra nel nuovo edificio della modernità è posta saldamente. L’oscurantismo è sconfitto. Céline, però, non s’accorge che tali lumi derivano proprio dai Lumi del 1789. La contraddizione del sentire di destra è tutta qui.

In Italia Mussolini filosofeggia a uso dei micchi: il fascio littorio, l’Impero, la grandiosità classica, la Città Eterna; anche lui, però, tiene nel proprio seno gli opposti: il Futurismo esalta la benzina, la velocità, l’anticlassicismo; egli stesso s’imbeve di progressismo, colatogli giù dalle frequentazioni giovanili, assai positiviste: le esaltazioni dell’Impero e del vetrocemento hanno il retrogusto di quelle comuniste, fra Soviet e supertrattori siberiani.

Il mondo antico dilegua, sorge una nuova alba. Persino quel Matto di Nietzsche non comprende sino in fondo. Confonde la fine dell’età classica dell’umanità con il sorgere degli spiriti liberi. Scomoda la bestia bionda. Ma così non è. Gli spiriti liberi non sono liberi; sono liberi servi. Ominicchi. L’Ultimo Uomo, deforme e dal pensiero debole, diverrà la norma, non un ponte per transitare verso la Volontà di Potenza. L’ominicchio domina, in ogni dove; la grandezza, invece, residua; tutto ciò che è bello, grande, magnifico, eminente cade sotto l’imperio del disprezzo; da allora in poi sarà etichettato come illiberale, retrogrado, buio, freddo, malsano. Il SuperUomo è una invenzione fantascientifica, un pio desiderio.

Trasvalutazione di tutti i valori! Così ciancia il Nostro. Giusto. Il mondo è stato capovolto, a testa in giù. L’uomo di Vitruvio ha il sangue alla testa; o i coglioni al posto della testa. La razionalità ha abdicato all’emozionalità. Lo Spirito e l’Arte e la Sapienza alla tecnica. L’autentica libertà alla libertà da condominio: il voto. La sanità mentale all’insania, la voglia di grandezza alla piccineria, il materiale nobile alla plastica. Impossibile non vedere in ogni luogo le stimmate del Nulla.

La libertà è una cosa assai singolare. I mezzadri erano molto più liberi di noi. Ora la vita è più comoda, più confortevole, meno rischiosa, ma, a ben vedere (se si hanno occhi arditi per ben vedere), cos’ha a che fare il rischio e l’insicurezza dell’esistenza con la libertà? Nulla. D’altra parte, qual è la nostra libertà? Quando la esercitiamo davvero? Come scrisse Norman Mailer: per comprendere cos’è la libertà basta andare per linea retta mai ascoltando nessuno: prima o poi si verrà fermati. Qual è il raggio d’azione dell’uomo libero, oggi? La catena sembra assai corta. Appena si mette il muso fuori di casa si viene letteralmente assaliti dai divieti. Il mondo postmoderno si basa sul divieto. E tuttavia, poiché è, in realtà, un mondo al contrario, il divieto viene smerciato come libertà. Vietando, si consente a tutti i cittadini et cetera et cetera. Le solite manfrine. Vietando, invece, si vieta; e basta. Un pulviscolo di divieti ci investe come uno sciame di cavallette. Non è consentito, non si può, non oltrepassare; spesso il divieto è occultato dalla tecnica del collo di bottiglia: si è costretti a scegliere ciò che il potere vuole. In tal caso si è portati a pensare d’aver affermato la propria libera scelta in un mondo che ne contempla centinaia: e invece sono una e una sola. I micchi non muoiono mai.

Domanda capitale: l’uomo vuole essere libero o vuole vivere senza rischio?

Date a un uomo la libertà e quello ve la renderà schifato. Ecco perché la Monarchia Universale prosegue senza impacci. Voi, che mi leggete, e la moltitudine che gioca a fare il rivoluzionario … ognuno anela il comodo, non la libertà. La libertà coincide assai poco con la democrazia, la vita comoda e altri simili inganni.

Parodia dell’uomo che anela la vera libertà: Into the wild. Fuori della civiltà. Christopher McCandless crede di eluderla isolandosi, via, sempre più lontano, in Alaska, terra di ghiacci. Poi, di fronte alla morte, vergherà la fatidica frase: “La felicità è vera solo se condivisa”. L’individuo, infatti, non può sfuggire alla morsa della Monarchia; serve una comunità; la comunità e l’amore, però, sono impossibili poiché ci è stata resa impossibile la fruizione di ciò che fummo. Non abbiamo più i mezzi morali e spirituali per compiere una scelta o legarci gli uni agli altri per fronteggiare le conseguenze di una decisione irreversibile. Siamo spauriti, ignoranti, inermi e confusi. Slegati. Monadi che si illudono di far parte di una catena di libertà. Christopher ovvero Cristoforo, il portatore di Cristo, non ha mai avuto le spalle così leggere, liberato del suo dio e della responsabilità della fede; cerca di fuggire, ma in realtà è il suo cuore a essere prigioniero. Inoltrarsi nella wilderness, solo e nudo, privo di compagni, compagni impossibili in un mondo di egoismi, equivale a morire. La sua ribellione è ridicola seppur ammirevole.

La guerra è necessaria. La guerra dà valore alla pace. La guerra rende liberi. Attenzione! Non sto dicendo che voglio la guerra; sto affermando, con un certo grado di disperazione, che l’uomo, per essere davvero libero, necessita della guerra. Ciò che si vuole e ciò che è necessario non sono la stessa cosa.

Negli ultimi duecento anni siamo progrediti. Abbiamo sconfitto la fame, le malattie, la gravità, Dio. Bene, lo ammetto, è così. In ogni snodo della storia, tuttavia, occorre chiedersi: cosa abbiamo dato in cambio?

Il Grande Inquisitore di Dostoevskij, il Grande Monarca Universale, scaccia il Cristo che vuol rendere l’uomo libero. L’uomo invoca, invece, il servaggio: in cambio di un po’ di pane.
Gustavo Zagrebelski commenta: “La tecnologia e il laboratorio, alimentati dalla finanza, saranno forse la fucina dell’essere umano liberato dalla libertà e programmato per essere docile o aggressivo a seconda delle circostanze. I dodicimila per ogni generazione (cioè gli assistenti dell’Inquisitore) saranno forse questi diafani tecnici in camice bianco che maneggiano provette e denaro”.

Fedor Dostoevskij fu uno degli ultimi profeti. La relazione di Dostoevskij dall’Esposizione Universale a Londra, nel 1862 (Note invernali), individua, da subito, cosa c’è in ballo nell’epoca dei Lumi e del postmoderno. Egli è sgomento. Più che impressioni egli annota materiale da incubo. Il Palazzo di Cristallo dell’Esposizione diviene simbolo d’una catabasi infernale, apocalittica: “Sí, l’Esposizione è qualcosa di sbalorditivo. Vi percepite una forza tremenda che ha lì riunito in un unico gregge tutto quell’incalcolabile numero di persone giunte da ogni parte del mondo”. Esposizione Universale, Unico Gregge. Commenta ancora Zagrebelski: “Il Palazzo di Cristallo è rappresentato come un gigantesco crostaceo che stende le sue chele rapaci e, al tempo stesso, come un oggetto di fede, di fronte al quale si piega la ragione collettiva di una moltitudine omologata, razionalizzata, matematicizzata e pacificata dalla tecnica e dal commercio ... Una moltitudine, alla fin fine, resa concorde dal culto del denaro quale unica unità di misura della vita degli uomini, unica perché senza alternative e, soprattutto, glorificata come idolo da una nuova religione monoteista”.

Il Palazzo trasparente, cristallino, tornerà nella distopia di Zamjatin, Noi. L’umanità, resa gregge, deve essere privata dell’individualità sua propria; e il mondo reso un panopticon in cui essere eccitati, domesticati, fustigati in ogni momento della giornata, gli uni contro gli altri, il Potere sopra tutto. Si elimina, in tal modo, l’Ombra, il Segreto, quel residuo che consente la Vita; si elimina la comunità poiché immersi in una comunità talmente vasta da aver necessariamente eliminato le asperità delle differenze, la definizione che deriva dai linguaggi, dai gesti, dal retaggio degli antenati.
Si arriva, così, alla contraddizione massima: Individualismo nella Totalità. Essere egoisti, autoreferenziali e psicopatici in una società aperta, a tutti, talmente aperta da rendere ognuno anonimo, fungibile; armento indifferenziato, non individuo.

Molte persone hanno necessità di vedere ciò che è compiuto, altre intuiscono, dai geni, il corpo già formato. Dostoevskij anticipa Zamjatin; Zamjatin, di trent’anni, Orwell. Orwell fu solo un tardo epigono: a favore del suo successo, svilito da riferimenti all’Unione Sovietica, oggi limitati e datatissimi, giocava la lingua universale, dei dominatori.

L’uomo del Novus Ordo, seriale e autistico al tempo stesso, è una contraddizione apparente: in un mondo al contrario, però, risulta altamente logico.
Altre contraddizioni: il tenore di vita cresce, si combatte la povertà; e però questo si paga, duramente. Il povero, organizzato come povero, e, perciò, resistente quale comunità, è ora allo sbando; il Russo riferisce: “A Haymarket ho visto madri che portavano le loro figlie minorenni a imparare il mestiere. Fanciulline di neanche dodici anni vi afferrano la mano e vi invitano ad andare con loro. Ricordo che una volta, per strada, vidi una bambina di non piú di sei anni, tutta stracciata, lurida, scalza, emaciata, e che era stata picchiata: il corpo che s’intravedeva tra gli stracci era coperto di lividi. Andava come dimentica di sé, senza affrettarsi in alcun luogo, e sa Dio per qual motivo gironzolasse tra quella folla: forse aveva fame. Nessuno le prestava attenzione. Ma quello che sopra ogni altra cosa mi colpí fu che camminasse con una tale aria di dolore, con una tale irrimediabile disperazione sul volto, che il vedere questa creaturina che già portava su di sé tanta maledizione e disperazione era persino in qualche modo innaturale e tremendamente doloroso. Continuava a far oscillare la testa arruffata da una parte all’altra, come se stesse discutendo di chissà cosa, allargava le braccine, gesticolando, e poi all’improvviso intrecciava le mani e le premeva sul petto nudo. Tornai indietro e le allungai un mezzo scellino. Ella afferrò la monetina d’argento e mi guardò negli occhi in modo selvaggio, con uno stupore timoroso, e all’improvviso si gettò in avanti correndo con tutte le forze, temendo che le riprendessi i denari. Storielle amene, insomma …”.

Sembra facile deridere tali resoconti: oggi non è più così! Invece è così. Non è cambiato nulla in termini di disperazione e follia. I rapporti son i medesimi, l’afflato del deraciné identico; non trovo differenze tra la bimbetta stracciata di Dostoevskij e lo sguardo perduto dei nostri figli, totalmente dimentichi di ciò che noi, pallidamente, fummo, ignari del passato, della cultura, dell’Italia, d’ogni cosa che dia identità e orgoglio. 7:2 = 21:6. Non deve fuorviarci quel 21 …

Durante la Belle Époque ciò che ha costruito le trincee sante dell’uomo viene incenerito. La Tecnica si impossessa dell’Arte e della Sapienza, rigettando il Sacro. La Scienza viene gradatamente sussunta nella Tecnica. L’Arte scade a imitazione. La fotografia genera il cinema: entrambe saranno lo sfiatatoio dell’iperrealismo che ancor oggi ci domina. In tal modo si perde la profondità, il simbolo, la sintesi allegorica. Gl’Impressionisti escono dalla bottega (non dalle Accademie, nonostante la vulgata da piagnisteo) disdegnando il mestiere. La loro tecnica è volutamente superficiale. Il colore, cioè, agisce per via orizzontale, tramite il contrasto; si perdono le velature, il grasso su magro e la prassi millenaria; del pari - è inevitabile - si perde la grandezza metafisica della visione. Spariscono i grandi temi per far posto all’oleografia, al resoconto, al giornalismo; si cerca di piacere a tutti (a chi non piacciono gli Impressionisti?); dilaga il fumetto, la caricatura, l’ammicco; al Salon gl’Impressionisti, dapprima dileggiati, celebrano il proprio trionfo (nel 1863, lo stesso anno di pubblicazione delle Note invernali di Dostoevskij). Il pubblico è ormai impressionato dalla biografia individuale, invece che dal magistero di bottega; più il pittore è pervertito, ambiguo, manipolatore, outré, maggiormente il pubblico facilone s’interessa a lui. Si abbandona la tradizione occidentale per far luogo all’esotico, all’africano, alla cineseria; il teatro si adegua con frivolezza; impazza il fonografo; café chantant e bettole hanno il loro bel da fare.

Si ricerca ancora il simbolo, nell’Avanguardia, ma dal punto di vista psicologista, freudiano. L’interiorità è ricca di mostri. D’altra parte tutto ciò che è simbolo, ciò che allude all’Altro, al Sacro, a ciò che è Superiore rispetto all’Umano, viene etichettato come decadente, putrido, malato. Il tema figurativo è irriso, l’astrazione diviene la regola; in seguito dominerà il capriccio individuale, svincolato da qualsivoglia logica tradizionale; l’artista, da artigiano sopraffino che era, diviene saltimbanco, creando, da guitto, una propria corte di cialtroni adoranti; infine, e siamo all’estremo grado di perdizione, l’artista Pagliaccio, che nemmeno sa più cosa sia una matita o un pennello o uno scalpello, condivide le parole d’ordine del Potere che, al solito, si occulta sotto la falsa maschera della libertà: ecco il Pagliaccio a inorridire o scioccare le platee con le scarpette rosse del femminicidio, le persecuzioni omossessuali, la tragedia del migrante: tutto filtrato da una sensibilità posticcia, da un sentimentalismo di maniera; cede, come detto, l’ultimo baluardo della classicità, pur degenerata - la statuaria, la tela - a favore della performance o d’un gioco di suggestioni digitali e audiovisive. Lucette ebefreniche, refrain catacombali, distacchi schizofrenici diluiscono gli ultimi residui di senso in nome dell’ecumenismo da celebrare nel Palazzo di Cristallo: in effetti la morte di ogni cosa, l’abbruciamento compulsivo di ogni fonema o ansimo razionale, regala l’impressione di una libertà infinita.

Il Vecchio Regime arriva presto ai ferri corti con quello nuovo, democratico. Fra il 1914 e il 1945 si regolano i conti in via definitiva. Fra il 1945 e oggi son passati ottant’anni in un fiat: sono caduti, nell’ordine, gli Imperi Centrali, la Turchia, il Giappone, l’Italia, l’Iberia, la Grecia, la Russia, l’Afghanistan, l’Iraq. In piedi rimane la Persia, la Mesopotamia, che, presto, sarà invasa dalla libertà. La nuova Belle Époque è fra noi. Con tali differenze: ora, invece del consumo, si rende appetibile la frugalità (basta carne, basta proprietà, basta automobili) a tradimento: un consumismo diverso, a basso continuo, immateriale, verde, e gestito da un pugno di multinazionali che si sostituiscono allo Stato.

La novità degli ultimi decenni: lo Stato si dissolve, lentamente; i suoi organi costituzionali divengono la mano temporale della Monarchia Universale e, viceversa, quest’ultima, attraverso gli Imperi Commerciali, si occupa della vita del cittadino. Una forma di controllo più potente mai fu inventata. Banche e tribunali vivono in perfetta osmosi. Le banche prestano a usura, i tribunali si incaricano della libbra di carne da riscuotere: magari non una, ma due tre cinque libbre. Le banche, anzi, organismi privati d’un potere diffuso e inestirpabile, si atteggiano a buon padre di famiglia; i tribunali, una volta pallidi garanti della giustizia in nome del popolo, organizzano il banchetto finale. Bassanio deve una libbra di carne a Shylock, e va bene; ma qui non c’è nessun tribunale di Venezia a dissuadere l’usuraio, ma addirittura la concorrenza nel pretendere altro sangue, altra carne. Le banche moltiplicano gli avvocati come i tribunali le parcelle, per qualsiasi stramberia gli venga in mente, compresa la pubblicità. La ferita del debitore si allarga a fronte di pretese sfrontate, incredibili, folli. Come può ottenere giustizia? Ricorrendo, a sua volta, ad avvocati e tribunali: spesso i primi in combutta coi secondi: la ferita s’allarga, la banca prende il decuplo del debito, scremate le somme per il Baal pubblico, ora privato, che allatta faccendieri, cialtroni, psicopatici, furfanti d’ogni risma.
Poi, quando arriva la data fatidica, si fa una bella riunione con Mattarella vestiti da Pagliacci a reclamare una giustizia più giusta.

Ancora Dostoevskij: “Solo dopo aver calcato per qualche giorno il selciato delle strade principali, dopo esser penetrati con grande fatica nel brulicare umano … soltanto allora si rileva che questi londinesi hanno dovuto sacrificare la parte migliore della loro umanità per compiere tutti quei miracoli di civiltà di cui la loro città è piena; che centinaia di forze latenti in essi sono rimaste inattive e sono state soffocate affinché alcune poche potessero svilupparsi piú compiutamente e moltiplicarsi mediante l’unione con quelle di altri … La brutale indifferenza, l’insensibile isolamento di ciascuno nel suo interesse personale emerge in modo tanto piú ripugnante e offensivo, quanto maggiore è il numero di questi singoli individui che si sono ammassati in uno spazio ristretto; e anche se sappiamo che questo isolamento del singolo, questo angusto egoismo è dappertutto il principio fondamentale della nostra odierna società, pure in nessun luogo esso si rivela in modo cosí sfrontato e aperto, in modo cosí consapevole come qui, nella calca della grande città. La decomposizione dell’umanità in monadi, ciascuna delle quali ha un principio di vita particolare e uno scopo particolare, il mondo degli atomi, è stato portato qui alle sue estreme conseguenze … ogni sabato, di notte, mezzo milione di operai e di operaie coi loro bambini si riversano come un mare per l’intera città, raggruppandosi per lo piú in certi quartieri, e che per tutta la notte fino alle cinque del mattino festeggiano il riposo dal lavoro, cioè si ingozzano e si ubriacano come bestie, per tutta la settimana. Quest’intera moltitudine porta là le sue economie settimanali, tutto quello che ha faticosamente messo insieme a forza di duro lavoro e di maledizioni. Nelle botteghe di carne e di generi alimentari arde il gas in ampi fasci di luce, che illuminano a giorno le vie. Parrebbe un vero e proprio ballo, organizzato per questi negri bianchi. Il popolo s’affolla nelle taverne aperte e nelle strade. E qui si mangia e si beve. Le birrerie sono addobbate come palazzi. Questa moltitudine è ubriaca, ma senz’allegria, è cupa, opprimente e, in un certo suo modo, stranamente silenziosa. Solo di tanto in tanto le bestemmie e le risse sanguinose infrangono questo silenzio sospetto, che agisce tristemente su di voi. Tutti si sforzano di ubriacarsi quanto prima possibile, fino a perdere coscienza …”.

Il nepente, la perdita della coscienza, il cubicolo angusto, la cupezza di fondo … Le notazioni psicologiche di allora coincidono con le diagnosi di oggi.

Dostoevskij descrive la fine della civiltà; ogni fine, infatti, si assomiglia. Non diversa fu la fine di Navajos e Aztechi. Dapprima decadde l’umanità più prossima alla fonte dell’infezione e con meno corpo tradizionale; quindi, lentamente, cedettero le difese immunitarie della nazioni forti, corrose con pazienza da ratti pestilenziali. Bastò, quindi, un raffreddore per uccidere l’Italia. Anche qui vale la metafora del tarlo e del mobile; un lavorìo costante, indefesso, pervicace, di chi ha un’utopia: l’utopia della Monarchia. Improvvisamente, lo schianto.

Cosa possiamo opporre a questo? L’ho ripetuto mille volte. Più di tutto conviene rigettare l’arma di legittimazione del Potere: il voto. Basti rilevare come ogni lobby, ogni potentato vogliano far votare o non far votare questo e quello; favorire, nella corsa al cambiamento (tutte le elezioni cambiano, inevitabilmente), o questo o quello; o dileggiando Tizio o minacciando Caio o esaltando Sempronio. Mai, e dico mai, questi satrapi delle coscienze hanno affermato: non si voti! Ci si astenga! Il gioco liberaldemocratico, base della finta democrazia, tiene in piedi la farsa.
Dire no, un “no” definitivo, in ciò consiste la condizione necessaria, ma non sufficiente alla ribellione …
Anche questo, però, l’ho detto mille volte.

I vecchi si ripetono, poi, stanchi di ripetere, farfugliano.