L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 28 dicembre 2019

Quando si parla di 'ndrangheta c'è sempre la massoneria e colletti bianchi

Polizia Municipale a Vibo e “mazzette”, la figura del comandante Nesci – Video

La Dda di Catanzaro ed i carabinieri dedicano un interno capitolo al dirigente comunale. Le “manovre” di Giovanni Giamborino, della massoneria e dei clan per un immobile accanto all'ospedale

-28 Dicembre 2019 13:11



Dedica un intero capitolo a Filippo Nesci, 48 anni, comandante della Polizia municipale di Vibo Valentia, l’inchiesta della Dda di Catanzaro denominata “Rinascita – Scott” condotta sul campo dai carabinieri. Nesci è stato arrestato (è finito ai domiciliari) per corruzione in quanto, secondo l’accusa, avrebbe indebitamente ricevuto da Giovanni Giamborino, 59 anni, di Piscopio (arrestato per associazione mafiosa) la promessa dell’elargizione di somme denaro per l’esercizio delle sue funzioni, ossia per il rilascio, in data 18 novembre 2016, del permesso a costruire n. 2415 relativo ad un immobile a Vibo Valentia nei pressi dell’ospedale. Per superare tutti gli “ostacoli”, oltre alla “mazzetta” a Nesci, Giovanni Giamborino (dipendente comunale, primo cugino dell’ex consigliere regionale Pietro Giamborino – pure lui finito ai domiciliari – ma soprattutto ritenuto “uomo fidato del boss di Limbadi Luigi Mancuso) avrebbe mosso diverse pedine per arrivare alla Soprintendenza.

In tal senso l’inchiesta svela l’interessamento della massoneria ed in particolare di Ugo Bellantoni (Gran maestro onorario del Grande Oriente d’Italia, nonché membro della loggia “Michele Morelli” di Vibo, indagato a piede libero per concorso esterno in associazione mafiosa) che, per le sue comunicazioni con Giovanni Giamborino, si sarebbe servito anche di un telefono intestato ad un altro massone vibonese. 

Il boss di Limbadi Luigi Mancuso

Tornando a Filippo Nesci, sino a poco tempo fa anche dirigente del settore Urbanistica, gli inquirenti ricordano che la sua figura era già stata in parte tratteggiata nell’informativa conclusiva dell’operazione “Robin Hood” dove veniva rilevato che, nel mese di settembre 2014 in prossimità della formalizzazione della sospensione di Filippo Nesci da parte dell’allora sindaco Nicola D’Agostino su espressa attivazione dell’allora prefetto di Vibo, il comandante Nesci, per il tramite di un suo subalterno, il vigile urbano Corrado Spasari, aveva chiesto di incontrare il fratello di quest’ultimo, Vincenzo Spasari, 58 anni, di Nicotera, funzionario dell’Etr di Vibo, già coinvolto nell’inchiesta “Robin Hood” ed ora arrestato anche nell’inchiesta “Rinascita” per associazione mafiosa in quanto ritenuto uomo vicino al boss Luigi Mancuso. “Gli Spasari si attivavano per interfacciarsi con Giuseppe Rizzo – evidenziano gli inquirenti – soggetto intraneo alla consorteria facente capo direttamente a Mancuso Luigi”.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il dott. Filippo Nesci aveva iniziato la propria carriera nelle fila della Polizia di Stato, tra la Questura di Reggio Calabria e il Commissariato di Siderno. Successivamente era transitato nell’amministrazione provinciale di Vibo Valentia come “Comandante del corpo di Polizia provinciale e del servizio trasporti e concessioni”. Nel 2009, precisamente dall’aprile di quell’anno, Filippo Nesci aveva poi vinto il concorso per il Comando del corpo della polizia municipale del Comune di Vibo.

Il comandante Filippo Nesci finito agli arresti domiciliari

“Le informazioni sui retroscena legati alla carriera del dott. Nesci Filippo venivano nuovamente ribadite – rimarca la Dda – nella giornata del 12 aprile 2017”. Ad essere intercettato in autoè ancora una volta Giovanni Giamborino il quale al suo interlocutore racconta che era stato “commissario di Polizia a Locri” e che “grazie all’allora presidente della Provincia di Vibo, Gaetano Ottavio Bruni, ed al cugino Pietro Giamborino era transitato nel ruolo di comandante dei vigili provinciali”. Giovanni Giamborino riferiva quindi che “successivamente a quell’incarico, a quella stessa persona era stato fatto vincere il concorso al Comune”. Dda e Carabinieri, attraverso le affermazioni di Giovanni Giamborino, sono quindi anche riusciti a ricostruire che uno zio della moglie di Filippo Nesci era rimasto coinvolto insieme allo stesso Giovanni Giamborino nell’operazione antimafia “Rima” del 2005 contro il clan Fiarè di San Gregorio d’Ippona.


“Nel corso dell’attività di indagine Rinascita, in diverse occasioni, Giovanni Giamborino aveva narrato più episodi in cui il dott. Nesci Filippo, comandante del corpo della Polizia Municipale di Vibo Valentia nonché dirigente del Settore Urbanistica (almeno fino ad aprile 2017), fosse solito accettare o richiedere, più o meno chiaramente, soldi o altre utilità a titolo di illecito corrispettivo della propria azione di pubblico ufficiale. Nelle intercettazioni – evidenziano gli inquirenti – rileva il dato che Giovanni Giamborino fosse cosciente che, una volta esaudita una delle richieste del “comandante”, avrebbe potuto godere di una certa libertà nelle materie di competenza del ruolo ricoperto dal dott. Nesci”. Giovanni Giamborino qualificava quindi il comandante Nesci come un “mazzettista” e persona che per sbloccargli i lavori per l’immobile a due passi dall’ospedale di Vibo, gli “aveva chiesto la mazzetta”. All’incredulità dell’interlocutore, “quasi ad evidenziare che Nesci – evidenzia la Dda – riconoscesse l’appartenenza criminale di Giovanni Giamborino, Giamborino stesso ripeteva:“Me l’ha chiesta…sull’anima di mio padre, ma che ne sai?! Se no mi faceva uscire pazzo…devi cedere”, sottolineando che assecondando l’illecita richiesta avrebbe avuto in pugno Nesci per qualsiasi richiesta futura: “però … però dopo ce l’ho sempre dalla cavezza…hai capito?! Poi qualsiasi parola che dico … boom …”.

Il boss di Piscopio Pino Galati, cugino dei Giamborino

La conversazione continuava con Giovanni Giamborino che “rifletteva sulla circostanza che il Nesci, in considerazione della giovane età, sarebbe rimasto a Vibo Valentia almeno altri 15 anni e certamente, essendo vincitore di concorso, nessuno avrebbe mai potuto toglierlo dal comando della Polizia Municipale. Ciò, quindi, giustificava il pagamento indebito quale investimento per il futuro”. Lo stesso Giovanni Giamborino in altre intercettazioni avrebbe inoltre “confessato” al cugino Pino Galati di Piscopio, già condannato nell’operazione “Crimine” quale boss del clan dei Piscopisani e di nuovo arrestato ad aprile nell’operazione “Rimpiazzo”, di dover onorare anche “la mazzetta da pagare al Comandante dei vigili, un paio di 2.000 euro per tenerlo buono”.

In altre conversazioni, Giovanni Giamborino avrebbe quindi ribadito “che il comandante fosse un “mazzettista” (alludendo ad una somma di euro “5.000”), spiegando al cognato che Nesci gli aveva chiesto la casa di Forlì per andarsene dieci giorni con la moglie. Giamborino si raccomandava con il cognato di non parlare con nessuno della cosa. Tale affermazione – rimarca la Dda – fa intuire il grado di confidenza tra Giamborino e Nesci”.

Il debito di Nesci. Giovanni Giamborino raccontava quindi al proprio cognato “di avere instaurato, con “il Comandante” (Nesci Filippo) un rapporto particolare”. Nel novembre 2016 all’interno di un’Audi A3, sempre Giovanni Giamborino spiegava poi al cognato “di essere stato agevolato “dal comandante” in quanto la rateizzazione degli oneri, così come applicatagli, non poteva essere concessa. Il Giamborino sottolineava al suo interlocutore che detto favore gli era stato offerto in quanto si era impegnato con “il Comandante”a provvedere al pagamento di un debito, dell’ammontare di 10.000 euro, che quest’ultimo aveva contratto con “Davide”. Inoltre, sempre discutendo dei vantaggi che avrebbe potuto godere dall’estinzione di quel debito, Giovanni Giamborino alludeva anche la possibilità di “cambiare i parcheggi” del proprio immobile.


I lavori a casa di Nesci secondo Giamborino. Proseguendo emergeva poi che il “Comandante”, ossia Filippo Nesci, “in occasione dei lavori eseguiti per la propria abitazione, si era servito dei vigili urbani che, durante la notte, utilizzando un camion del Comune, avevano rimosso “l’eternit”. Giamborino Giovanni sottolineava, a riprova di ciò, che “Davide” fosse in possesso delle fotografie scattate in quella circostanza per ricattare in qualsiasi momento “Il Comandante”. Giovanni Giamborino commentava quindi nelle intercettazioni che “il Comandante”con la casa aveva fatto “i porci comodi suoi”. All’altezza di un’abitazione di via Francesco Protetti a Vibo Valentia, Giovanni Giamborino affermava inoltre:“Vedi quanto si è allargato il tetto per espandersi da qui per alzarlo da sopra?”. A conferma delle parole di Giovanni Giamborino, i carabinieri hanno appurato che in tale via è residente proprio Filippo Nesci, mentre la circostanza che Giovanni Giamborino avesse dovuto saldare il debito che il comandante aveva contratto con “Davide” era una situazione già emersa nel corso dell’attività di indagine, precisamente durante un dialogo con Saverio Razionale”, boss di San Gregorio d’Ippona, pure lui arrestato nell’operazione “Rinascita”.


Per la Dda di Catanzaro occorre rilevare sul punto come “il mercimonio della funzione pubblica realizzato da Nesci con il rilascio, in data 18 novembre 2016, del permesso di costruire n. 2415, a fronte (quantomeno) della promessa, da parte di Giovanni Giamborino, della elargizione di somme di denaro, si sia posta quale attività agevolativa della consorteria alla quale partecipava Giamborino. Consorteria che, nella realizzazione di quell’edificio, aveva già investito parte dei propri illeciti profitti”.

In relazione, infine, al cambio di destinazione d’uso per i parcheggi dell’immobile nei pressi dell’ospedale, Giovanni Giamborino “riferiva che “al Comandante” avrebbe regalato “5.000 euro”. Vicenda non andata a buon in fine in quanto – conclude la Dda – il dott. Nesci Filippo nell’aprile del 2017 veniva nominato Dirigente del Settore 1 – Affari generali”.


La massoneria è un'associazione unita per soldi e per il potere

CHI HA PAURA DI NICOLA GRATTERI?

Pubblicato 28/12/2019
DI RAFFAELE VESCERA

Et voilà, il silenzio assordante dei grandi giornali e altri media italiani, nelle mani dei grandi gruppi industriali del Nord, sulla grande inchiesta “Rinascita Scott”, condotta dal procuratore Nicola Gratteri, che ha visto l’arresto di ben 330 persone coinvolte nei clan ‘ndranghetisti calabresi e non, è stato rotto da Mediaset che manda in onda un’intervista al procuratore generale calabrese Lupacchini, il quale per smontare l’inchiesta l’ha definita in diretta Tv “evanescente” (sic!) poiché, a suo avviso, non supportata da prove convincenti. Al contempo, Lupacchini ha confessato di aver appreso solo dai giornali di tale inchiesta. Domanda: con quale conoscenza dei fatti si può dunque definirla “evanescente”?

Dodici anni fa il Pm Luigi De Magistris, autore dell’inchiesta Why not, svelò i legami tra mafia, massoneria, politica, imprenditoria e rappresentanti delle istituzioni nella stessa Calabria. Un “sistema” per essere tale, funziona come una macchina perfetta, prevede l’accordo di tutti i partecipanti e un sasso nel suo ingranaggio può farlo saltare. De Magistris fu trattato con il pugno di ferro dall’allora ministro Mastella e dallo stesso Consiglio superiore della Magistratura, comandato da un allora presidente della Repubblica, chiacchierato per le sue frequentazioni massoniche, permettendo così al sistema, come scrive lo stesso De Magistris, di funzionare per altri dodici anni. De Magistris, la cui vita professionale, con il pretesto di cavilli procedurali, fu rovinata insieme a quella di un pool di magistrati di Salerno che indagò con coraggio sulla procura calabrese, uscì a testa alta dai giudizi della Cassazione. La sua inchiesta era stata condotta con correttezza come con irreprensibilità amministrativa ha agito da sindaco di Napoli.

Un sistema marcio che vede la sinergia tra massoneria (“deviata”, specifica Gratteri) e mafia non può essere derubricato a fenomeno “regionale”, come fa il pur sapiente Pino Arlacchi, in un articolo del Fatto, in verità l’unico giornale a dare il giusto spazio all’inchiesta Gratteri. Arlacchi sostiene che questa inchiesta non è paragonabile a quella del maxi processo di Palermo condotta da Falcone e Borsellino, poiché in quel caso c’era un patto scellerato tra mafia e Stato, era dunque un fenomeno nazionale, mentre ora ci troveremmo in presenza di un fenomeno meramente calabrese. Domanda, se tutti i giornali nazionali (tranne il Fatto) tacciono omertosamente su questa inchiesta, e se tali giornali sono riconducibili ai grandi gruppi finanziari italiani, spesso coinvolti in operazioni di colossale corruzione, in grado di condizionare la vita politica italiana, come si fa a parlare di un sistema “regionale”, non è forse nazionale tale sistema? Nelle precedenti inchieste non è stata forse accertata la stretta fusione tra ‘ndrine e logge massoniche, con i neo adepti registrati a giurare su Garibaldi, Mazzini e La Marmora, l’adesione alla ‘ndrangheta?

Che forse il ceto dirigente meridionale, in cambio di privilegi milionari, non risponde agli interessi del miliardario “sistema nazionale”, governato dalla grande finanza, per mezzo del Partito unico degli affari, come lo definisce Travaglio? Poiché tale partito degli affari ha sede legale al Nord, non possiamo forse definirlo più precisamente Partito unico del Nord? Lo stesso partito che difende il cosiddetto “sbloccacantieri”, ovvero lo spreco di 50 miliardi di Euro in grandi e inutili opere pubbliche da fare al Nord, laddove il piatto del Sud piange ferrovie, strade, ospedali, scuole, tribunali eccetera, così aggravando la Questione meridionale a vantaggio della grande speculazione settentrionale, come accade da sempre in questa italietta prima in Europa per iniquità territoriale e corruzione politico-imprenditoriale?

Che forse la massoneria non è il “super partito borghese” che unisce finanza, politica e malavita, come denunciava Antonio Gramsci già un secolo fa? Che forse la fortissima ‘ndrangheta non concorre nei profitti delle stesse grandi opere pubbliche, come denunciato ripetutamente dalle condanne della Magistratura? Che forse i gruppi industriali non finanziano sottobanco i partiti a loro favorevoli, come da inchiesta su Lega, Renzi, Pd e altri? Allora, se due più due fanno ancora quattro, lascio a voi tirare le conclusioni .

I tempi sono diversi il Sistema massonico mafioso politico è sotto i riflettori

Il dovere della memoria: i pm scomodi alla mafia invisibile

28 Dicembre 2019


di Giorgio Bongiovanni

Nei giorni scorsi la Procura di Catanzaro ha dato luogo ad una maxi operazione seconda, per numero di arresti, solo al famoso blitz di San Michele quando nella notte tra il 28 ed il 29 settembre 1984, quando a Palermo vennero spiccati dall'Ufficio Istruzione guidato da Antonino Caponnetto ed il pool di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello, 366 ordini di custodia cautelare da eseguire la mattina dopo. Un lavoro encomiabile quello svolto dalla Procura guidata da Nicola Gratteri, che non ha solo colpito il potente clan Mancuso con l'arresto di 334 persone (260 in carcere, 70 ai domiciliari e 4 divieti di dimora), in Italia e all'estero, ma ha anche messo in evidenza una serie di rapporti diretti della 'Ndrangheta con alti livelli della massoneria e della politica.
E puntualmente, come è sempre accaduto ogni qual volta la magistratura seria ha alzato il tiro delle indagini, andando oltre alla semplice manovalanza criminale, ecco che il "potere", con i suoi "vassalli", "valvassori" e "valvassini", è intervenuto in prima persona sminuendo la forza dell'inchiesta.
La nuova operazione prevede di paventare il "fallimento" dell'intera inchiesta, ancor prima che vi sia un processo e nonostante un giudice abbia già vagliato le prove ritenendole sufficienti per emettere l'ordine di custodia. Lo si fa sfruttando gli interventi di magistrati come il Procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini che ha parlato di "evanescenze" ed "ombre lunatiche" solo perché non erano stati avvisati dell'operazione.
E di seguito è partito quel leitmotiv già visto e sentito quando ad agire fu la Procura di Palermo con l'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
Firme e giornali sono sempre le stesse: da Vittorio Sgarbi a quella Linea Sottile che, tra una parola e l'altra, ha sempre un pensiero contro il magistrato Nino Di Matteo, il suo lavoro, le Agende Rosse, la Scorta civica, e il processo Stato-mafia, definito ancora una volta una "boiata pazzesca" nonostante le condanne in primo grado dell'aprile 2018.
Ma ad offendere l'intelligenza degli italiani onesti è l'aggressione vergognosa e continua che mercenari simili attuano nei confronti di magistrati in prima linea che rischiano la vita in ogni momento, come se vivere sotto scorta fosse un “privilegio”, e non una condizione di estrema difficoltà e di sacrificio che i giudici si trovano a vivere loro malgrado.
Per fortuna non sono molti a leggere certe nefandezze, considerato il numero di quattro lettori di un giornaletto che ha goduto e gode da anni del sovvenzionamento pubblico.

Nino Di Matteo, Nicola Gratteri, Giuseppe Lombardo e Roberto Scarpinato © Imagoeconomica

Anche il nostro giornale, con quasi duecentomila lettori che possono accedere al sito gratuitamente in cui raccontiamo processi ed inchieste scomode, non è simpatico a “vassalli”, “valvassori” e “valvassini”.
Come ha giustamente ricordato il nostro editorialista, Saverio Lodato "abbiamo il fondato sospetto, dubbio, cruccio o rovello - chiamatelo come vi pare -, che l’inchiesta della Procura di Catanzaro, con relativi 334 arresti, abbia abbondantemente 
rotto i coglioni a quel sistema di potere e istituzionale, squisitamente italico, che da tempo non si fa alcuna vergogna di andare a braccetto con mafie e corrotti e stragisti d’ogni tipo".
Rispetto a qualche anno fa notiamo una novità. 
Gli interventi del Csm, dell'Anm, di pezzi delle istituzioni, intervenuti proprio per difendere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura ed il lavoro di Nicola Gratteri.
Così non avvenne quando ad essere al centro del mirino vi erano i membri del pool di Palermo, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia. Contro di loro si scatenò lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che sollevò un conflitto di attribuzione senza precedenti per delle telefonate che erano già state abbondantemente definite dagli stessi magistrati come "prive di rilevanza penale".
Allora il silenzio assordante degli organi supremi della magistratura pesò enormemente, tanto quanto le parole di alti magistrati che intervennero a gamba tesa su un processo che era già iniziato e che, pian piano, stava svelando fatti e misfatti della nostra storia.
E non vorremmo che ora questa iniziale corsa alla solidarietà si spenga nel momento in cui anche Gratteri, o altri magistrati, arriveranno a toccare quel filo dell'alta tensione in cui passano gli affari sporchi, i patti e le connessioni tra le mafie ed il potere politico, imprenditoriale, finanziario, massonico e le sporche trattative ancora in corso.
Quegli stessi applausi a scena aperta che accolsero Falcone e Borsellino finché si occuparono della bassa manovalanza, ma che si tramutarono immediatamente in attacchi e delegittimazioni quando iniziarono a parlare di "gioco grande", delle "menti raffinatissime" e delle grandi saldature tra la mafia ed il potere, fino ad essere abbandonati al loro tragico destino.
Il nastro della storia, purtroppo, non si può riavvolgere e modificare. Ma da essa, che è maestra di vita, si può sicuramente imparare per non commettere nuovi errori. Il sostegno a magistrati come Nicola Gratteri, Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Giuseppe Lombardo, Sebastiano Ardita (per citarne alcuni), che hanno il coraggio di smascherare il Sistema criminale che interagisce in maniera sempre più integrata, non può e non deve mancare e non può essere una luce che si accende ad intermittenza.
La speranza è che le alte autorità della magistratura e della politica lo capiscano prima che sia troppo tardi.

ARTICOLI CORRELATI

Enza Bruno Bosio, Sgarbi, Otello Lupacchini, Mediaset, il Dubbio, giornalisti, giornaloni, Rai, Armando Spataro, versano veleno sono le avanguardie del Sistema massonico politico

TUTTI, MA PROPRIO TUTTI, A LOGORARE GRATTERI

Pubblicato 28/12/2019
DI GIULIO CAVALLI

Raccontiamola dall’inizio questa storia perché i fatti messi in fila a volte raccontano molto di più delle opinioni. Giovedì scorso l’indagine Rinascita Scott coordinata dal procuratore Nicola Gratteri porta all’arresto di 334 persone disarticolando le cosche di ‘ndrangheta nel vibonese e coinvolgendo politici importanti della zona come l’avvocato massone Giancarlo Pittelli (ex senatore di Forza Italia poi passato in Fratelli d’Italia) e un noto dirigente del Partito Democratico come Nicola Adamo. Nell’indagine sono coinvolti anche un ufficiale dei carabinieri e gli esponenti della cosca Mancuso.

Che l’indagine di Gratteri sconquassi l’equilibrio di alcuni potentati locali è evidente così come è chiaro che gli arresti provochino molto fermento negli ambienti criminali, sia quelli bassi della manovalanza mafiosa sia in quelli più alti dei colletti bianchi che si sentivano intoccabili da anni (del resto quando indagò su alcuni di loro Luigi de Magistris fu lui a perdere il posto, mica loro).

I quotidiani si scordano di riportare la notizia degli arresti sulle loro prime pagine spiegandoci che si tratta solo di una fase preliminare e che le accuse dovranno poi essere dimostrate in tribunale: tutto bene se non fosse che sono gli stessi quotidiani che campano sulla necrofilia sentimentale ogni volta che accade un fatto di cronaca. Ma vabbè, andiamo avanti. Il Riformista, diretto da Sansonetti, titola “Gratteri arresta metà Calabria. Giustizia? No, è solo show”: qui siamo oltre al garantismo, siamo all’innocentismo senza nemmeno bisogno di processo e sotto accusa finisce ovviamente Gratteri.

Poi c’è l’attacco della deputata del PD Enza Bruno Bossio che accusa Gratteri di volere usare l’inchiesta come “un palcoscenico”. Non solo: la deputata si lancia addirittura nel dire che la candidatura di Pippo Callipo come presidente della Calabria per il centrosinistra nelle prossime elezioni regionali sia addirittura una decisione di Gratteri. Sì, avete capito bene: dice che Zingaretti avrebbe preso ordini da Gratteri per tagliare fuori Mario Oliverio. Ah, un piccolo particolare: Enza Bruno Bossio è la compagna del Nicola Adamo indagato proprio da Gratteri. Ottimo così.

Finita qui? No, no. Ieri in televisione il procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini ha accusato Gratteri con parole chiare: “Noi possiamo rispondere dell’evanescenza come ombra lunatica di molte inchieste della Procura distrettuale di Catanzaro”, ha detto Lupacchini, lamentando anche di avere saputo dell’operazione solo dai giornali. Da dove partono le accuse di Lupacchini verso Gratteri? Dagli schermi delle reti Mediaset. Sempre a proposito della sovraesposizione. Lupacchini e Gratteri si erano già scontrati mesi fa finendo di fronte al CSM: il primo lamentava di non esser stato informato di alcuni atti d’indagine in cui compariva anche il procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla (che è rinviato a giudizio dalla Procura di Salerno per corruzione) mentre il secondo fece notare che proprio Lupacchini partecipò a una conferenza stampa di Facciolla, fatto inusuale per un pg.

In terra (e in tempi) di mafia le parole sono pietre e anche i più piccoli comportamenti rischiano di essere enormi messaggi. Si può essere in disaccordo con Gratteri? Certo, ci mancherebbe. Ma a voi, davvero, sembra tutto normale?

Ah, a proposito: gli arresti vengono convalidati da un giudice terzo, mica Gratteri.


Immigrazione di Rimpiazzo - le navi negriere continuano la tratta degli schiavi

Migranti, la Alan Kurdi soccorre 32 persone al largo della Libia e si dirige verso Lampedusa: “Tra loro anche dieci donne e cinque bambini”


I naufraghi sono tutti di nazionalità libica, secondo quanto loro stessi sostengono. La nave battente bandiera tedesca ha ricevuto alle 22:31 una chiamata d'emergenza inoltrata dall'organizzazione Alarm Phone e in due ore ha raggiunto l'imbarcazione in difficoltà a 17 miglia nautiche dalle coste libiche

di F. Q. | 27 DICEMBRE 2019

La Alan Kurdi, l’imbarcazione della ong Sea Eye, ha soccorso 32 persone nella notte di Natale e adesso si sta dirigendo verso Lampedusa. A comunicarlo è stata la stessa organizzazione su Twitter: “Nella notte, la Alan Kurdi è stata avvisata di un’imbarcazione in pericolo. 32 persone sono state salvate e ora sono al sicuro, a bordo”, si legge in un post che si riferisce a un intervento avvenuto al largo delle coste libiche.

I naufraghi sono tutti di nazionalità libica, secondo quanto loro stessi sostengono, e tra loro ci sono dieci bambini, di cui uno di appena tre mesi, e cinque donne, di cui una incinta. A soccorrerli è stata la nave battente bandiera tedesca che alle 22:31 ha ricevuto una chiamata d’emergenza inoltrata dall’organizzazione Alarm Phone al Centro di coordinamento libico per il salvataggio e alle navi di soccorso Alan Kurdi e Ocean Viking. L’equipaggio, che quando ha ricevuto l’allarme si trovava già in zona Search and Rescue (Sar), ha impiegato circa due ore per raggiungere il punto in cui si trovava l’imbarcazione dei migranti, a sole 17 miglia nautiche dalla costa libica, mentre le autorità nordafricane, nel frattempo, non hanno risposto alle chiamate inoltrate.

“Quanto può essere sicura la Libia se gli stessi libici per lasciare il Paese così in fretta sono disposti a mettere in mare le loro famiglie a rischio della vita?”, ha detto Gorden Isler, presidente di Sea Eye. “Scappare attraverso il Mediterraneo è particolarmente pericoloso in questo periodo dell’anno perché il clima è in costante cambiamento”, ha dichiarato invece Julian Pahlke, portavoce dell’organizzazione. “Se non avessimo raggiunto queste persone – ha poi aggiunto -, si sarebbero potute trovare nella tempesta attesa per domani. Ciò avrebbe drasticamente ridotto le loro possibilità di sopravvivenza”.

Mosler Economics spiega l'economia del debito in maniera più efficace delle teorie macroeconomiche più diffuse. Solo in Italia gli euroimbecilli hanno tassato in maniera vergognosa togliendo soldi al popolo italiano e trasferirlo alla finanza straniera rapace

La ricetta della Mmt: tassi zero e niente più Btp

La teoria monetaria moderna è guardata con attenzione anche da Mario Draghi. Tutto il mondo ne discute. In Italia invece se ne parla solo per screditarla

di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi 27/12/2019 18:50

La ricetta della Mmt: tassi zero e niente più Btp


Mario Draghi nella sua ultima conferenza stampa ha dichiarato che la Bce “should be open to ideas such as Modern Monetary Theory” cioè che si dovrebbe prendere in considerazione le idee della Mmt, la scuola di pensiero che fa capo a Warren Mosler.

Dal capo economista di Goldman Sachs, Jan Hatzius, che la sottoscrive, a Bernie Sanders, uno dei due top candidati Democratici alla presidenza che ha come advisor un esponente della Mmt, Stefanie Kelton, su Bloomberg, Cnbc, Barrons o il New York Times abbondano le discussioni e le controversie sulla Mmt.

La ragione sta in quello che si è verificato negli ultimi anni che ha dato ragione a questa teoria. Per esempio nel 2019 il debito pubblico Usa aumenterà con Donald Trump di altri 1,200 miliardi di dollari, sforando i 23mila miliardi, l’America entra nel decimo anno consecutivo di espansione senza avere problemi di inflazione o di debolezza del dollaro. Per quanto riguarda il Giappone ci sono discussioni sul fatto che costituisca un esempio di applicazione della Mmt, visto che è arrivato a un debito pubblico del 250% del pil e questo mese ha lanciato un altro piano di espansione fiscale mantenendo sempre i tassi di interesse più o meno a zero e continuando a smentire gli economisti che si preoccupavano del livello del suo debito pubblico.

Anche nell’eurozona si è “stampato moneta”, nel senso che la Bce ha triplicato il suo bilancio da 1,300 a 4,700 miliardi in pochi anni comprando più di un terzo dei titoli di Stato sul mercato (e finanziando con il Tltro banche italiane e spagnole che a loro volta ne hanno comprato). Il risultato è stato che i tassi di interesse sono scesi più o meno zero o persino sottozero e il mercato e lo “spread” è stato addomesticato. A livello globale il debito pubblico negli ultimi dieci anni è più che raddoppiato, ma i tassi di interesse sono scesi ai livelli più bassi della storia, un risultato che è più in accordo con la Mmt che con i testi di macroeconomia più diffusi.

La Mmt è originata curiosamente da un'esperienza di Mosler in Italia nel 1992, quando dopo l’uscita dal “serpente monetario” c’era timore di un default sul debito pubblico italiano. Mosler con altri investitori incontrò il ministro del Tesoro, Luigi Spaventa, per verificare se avrebbe pagato in ogni caso i Btp in scadenza. Mosler chiese “ma alla fine, poi, perché avete bisogno di emettere Btp per finanziarvi ?” e dopo un poco di discussione Spaventa disse che si emettevano Btp per evitare che il tasso interbancario andasse a zero come strumento di politica dei tassi. Fece quindi capire che non ci sarebbe stato alcun default e in caso di bisogno si sarebbe finanziato anche senza Btp.

Sono passati quasi 30 anni e oggi i tassi sono scesi quasi a zero ovunque e i governi di fatto hanno finanziato enormi aumenti di debito pubblico, indirettamente, tramite le Banche centrali, dimostrando che in caso di bisogno un governo può aumentare i deficit pubblici senza problemi. La tesi centrale di Warren Mosler è appunto che la politica ottimale sarebbe non emettere titoli di stato (Treasury o Btp) e tenere i tassi a zero. I deficit verrebbero finanziati con un misto di finanziamento da parte della Banca centrale ed emissione di titoli a breve come i Bot o i T-bills a cui applicare un limite di rendimento molto basso (0,5% ad esempio).

Il caso vuole che la Fed da settembre stia comprando 60 miliardi di T-Bills al mese, aiutando (senza ammetterlo e dando una motivazione diversa) a finanziare gli enormi deficit pubblici Usa. E che Trump le chieda insistemente di portare i tassi a zero.

Diciamo quindi che il mondo degli ultimi anni assomiglia più a quello che descriveva la Mmt che a quello dei Cottarelli & Company, per i quali invece l’aumento del debito pubblico porta a rischi di default e se monetizzato porta a inflazione e svalutazione senza freni.

Se ora applichiamo la Mmt alll’Italia, dobbiamo ricordare che dai primi anni 80 lo Stato ha pagato in totale 4 mila miliardi di interessi su Bot, Cct e Btp, per cui si può senz’altro dire che 
il debito pubblico, di 2,300 miliardi, sia dovuto solo agli interessi cumulati, ad un caso se vogliamo, di “macro-usura”. 
Se l’Italia avesse applicato la ricetta Mmt di finanziare in parte tramite la Banca centrale e in parte con Bot a rendimento limitato, avrebbe potuto risparmiare qualcosa dell’ordine di 3 mila miliardi di interessi ed evitare l’austerità, cioè gli avanzi primari a cui è obbligata dal 1995.

Cosa dicono però i critici della Mmt, che da noi sono sicuramente la maggioranza? Sul Sole24 questo mese è apparsa una critica della Mmt come “albero della cuccagna” a firma di un gestore, Gianluca Codagnone: ”Le determinanti della crescita del pil sono molteplici: demografia, produttività, sistema legislativo e istituzionale, livello di istruzione, sono tra le più rilevanti Sono tutte variabili “reali” che poco o nulla hanno a che vedere con la politica monetaria se questa si mantiene equilibrata. La MMT inverte a mio modo di vedere le relazioni causa/effetto: basta stampare e tassare quanto basta e saremo tutti più istruiti, produttivi, con leggi e istituzioni migliori e probabilmente anche più alti e belli”.

E’ curioso che si finga di non vedere che il mondo occidentale (e non solo quello perché la Cina ha aumentato da 7mila a 40 mila mld (in dollari) i suoi aggregati monetari) 
sia stato salvato da una crisi sistemica da un massiccio intervento di creazione di moneta. 
Per loro solo la povera Italia va esclusa dalla soluzione che tutto il mondo pratica da tempo.

E’ che l’Italia ha praticato per più di un secolo, perché l’evidenza storica, illustrata per esempio nella “Storia Monetaria d’Italia” di Fratianni e Spinelli, è che dal 1862 al 1980 lo Stato italiano ha finanziato il 54% dei suoi deficit complessivamente con moneta, finanziamenti della Banca centrale (per lo più finanziamenti della Banca centrale).

Semplificando un poco, il cuore del problema è la famigerata creazione di moneta da parte dello Stato, che nel mondo moderno è affidata alla Banca centrale quando finanzia i deficit pubblici. L’evidenza empirica, a cui abbiamo accennato, indica che un raddoppio dei debiti pubblici nel mondo come quello occorso dalla crisi di Lehman in poi, finanziato in parte da creazione di moneta della Banca centrale, non ha avuto conseguenze negative, anzi. Ha consentito di salvare i sistemi bancari e aumentare, fuori dall’eurozona, la spesa e ridurre le tasse sostenendo l’economia. Se si guarda a Spagna e Francia che hanno raddoppiato il debito pubblico dal 2007 tenendo deficit elevati, si vede che hanno potuto riprendersi molto meglio dell’Italia che ha continuato a tassare più di quello che spendeva. I 60 o 70 miliardi di interessi l’anno infatti ritornavano solo in piccola parte alle famiglie, per cui il deficit del 2% medio italiano in realtà non stimolava l’economia e le tasse comunque finivano per aumentare sempre.

In più il vincolo di bilancio ha impedito allo Stato di intervenire a sostegno delle banche italiane in crisi dopo il 2008 come negli altri paesi lasciando che tagliassero il credito indiscriminatamente alle imprese italiane (-25% in dieci anni).

La soluzione è invece proprio quella di andare avanti sulla strada della monetizzazione del debito, come ha fatto il Giappone dove la Banca centrale ne possiede oggi il 44% e una cifra pari al 100% del pil nipponico. Iil Giappone da 30 anni ha alti deficit primari perché ha tenuto la tassazione molto più bassa di noi e il reddito pro capite giapponese è aumentato quanto quello medio dell’eurozona, mentre il nostro è collassato del -7% dal 2007.

Il fatto che negli anni 70 e 80 lo Stato italiano ha fatto più deficit di altri Stati è verissimo, ma in una logica Mmt, è simile a quando uno Stato ha accumulato deficit nel passato a causa di guerre ad esempio. Si può recriminare sugli sprechi del passato (o sulle guerre in cui si è stati coinvolti, in altri contesti), ma questo “peccato originario” non può, dopo 30 anni e dopo aver pagato 4mila miliardi di interessi sui titoli di Stato, continuare a paralizzare per sempre il popolo italiano. Come si è sempre fatto, per esempio, dopo che c’era stato un accumulo di debiti pubblico per delle guerre, occorre una soluzione una tantum per monetizzare parte di questo debito, che è poi quello che, sotto false spoglie, sta facendo Bankitalia che ha ora 400 miliardi di debito pubblico.

La Mmt ha il pregio di inquadrare questa soluzione in una teoria della moneta moderna in cui appunto la politica ottimale sarebbe quella di non emettere più Btp e finanziare i deficit per metà per esempio tramite Banca centrale e metà con Bot a tasso prefissato. Un’altra possibilità è emettere debito permanente a cui dare la caratteristica di moneta, cioè tramite cui consentire al pubblico di spendere come da un conto corrente

I Btp non sono sempre esistiti, sono un invenzione recente, dei primi anni 90 e avevano lo scopo di attirare investitori e banche straniere sul nostro debito, che all’epoca era in mano alle famiglie e alle banche (pubbliche) italiane. Bisogna riconoscere che è stato un errore estromettere le famiglie italiane e affidarsi al mercato estero, anche se non si vuole ammetterlo nonostante l’evidenza delle Banche centrali che sono costrette a stampare moneta per ritirare dal mercato titoli, sia in Europa, che in America che in Giappone. La Mmt aveva previsto quello che è successo negli ultimi dieci anni e aiuta a capire che si può uscire dalla paralisi attuale tornando a dare allo Stato il controllo del suo finanziamento. In tutto il mondo si discute della Mmt e persino Draghi l'ha presa in seria considerazione. In Italia invece se ne parla solo per screditarla.



E' giusto promuovere la pace, nel frattempo spostiamo le nostre truppe dall'Afghanistan in Libia

3000 miliardi di dollari nel pozzo senza fondo afghano 

di Manlio Dinucci
26 dicembre 2019

Nella Dichiarazione di Londra (3 dicembre) i 29 paesi della Nato hanno riaffermato «l’impegno per la sicurezza e stabilità a lungo termine dell’Afghanistan». Una settimana dopo, in base alla «Legge sulla libertà di informazione» (usata per svuotare dopo anni alcuni armadi dagli scheletri a seconda della convenienza politica), il Washington Post ha desecretato 2.000 pagine di documenti i quali «rivelano che funzionari Usa hanno ingannato il pubblico sulla guerra in Afghanistan». In sostanza hanno nascosto i disastrosi effetti, anche economici, di una guerra in corso da 18 anni.

I dati più interessanti che emergono sono quelli dei costi economici. Per le operazioni belliche sono stati spesi 1.500 miliardi di dollari, cifra che «rimane opaca», in altre parole sottostimata: nessuno sa quanto abbiano speso nella guerra i servizi segreti o quanto costino in realtà i contractors, i mercenari reclutati per la guerra (attualmente circa 6 mila). Poiché «la guerra è stata finanziata con denaro preso a prestito», sono maturati interessi per 500 miliardi che portano la spesa a 2.000 miliardi di dollari.

Si aggiungono ad essa altre voci: 87 miliardi per addestrare le forze afghane, 54 miliardi per la «ricostruzione», gran parte dei quali sono andati «perduti per corruzione e progetti falliti». Per lo meno altri 10 miliardi sono stati spesi per la «lotta al narcotraffico», col bel risultato che la produzione di oppio è fortemente aumentata: oggi l’Afghanistan fornisce l’80% dell’eroina al narcotraffico mondiale.

Con gli interessi che continuano ad accumularsi (nel 2023 saliranno a 600 miliardi) e il costo delle operazioni in corso, la spesa supera ampiamente i 2.000 miliardi. Vi è inoltre da considerare il costo dell’assistenza medica ai veterani usciti dalla guerra con gravi ferite o invalidità. Finora, per quelli che hanno combattuto in Afghanistan e Iraq, sono stati spesi 350 miliardi, che nei prossimi 40 anni saliranno a 1.400 miliardi di dollari. Poiché oltre la metà viene spesa per i veterani dell’Afghanistan, il costo della guerra sale per gli Usa a circa 3.000 miliardi di dollari. Dopo 18 anni di guerra e un numero inquantificabile di vittime tra i civili, il risultato sul piano militare è che «i taleban controllano gran parte del paese e l’Afghanistan rimane una delle maggiori aree di provenienza di rifugiati e migranti».

Il Washington Post conclude quindi che dai documenti desecretati emerge «la cruda realtà di passi falsi e fallimenti nello sforzo americano di pacificare e ricostruire l’Afghanistan». In tal modo il prestigioso giornale, che dimostra come funzionari Usa abbiano «ingannato il pubblico», inganna a sua volta il pubblico presentando la guerra quale «sforzo americano di pacificare e ricostruire l’Afghanistan».

Il vero scopo della guerra condotta dagli Stati uniti in Afghanistan, alla quale partecipa dal 2003 la Nato in quanto tale, è il controllo di quest’area di primaria importanza strategica al crocevia tra Medio Oriente, Asia centrale, meridionale e orientale, soprattutto nei confronti di Russia e Cina. A questa guerra partecipa sotto comando Usa l’Italia da quando il Parlamento ha autorizzato nell’ottobre 2002 l’invio di un primo contingente militare a partire dal marzo 2003. La spesa italiana, sottratta alle casse pubbliche come quella statunitense, viene stimata in circa 8 miliardi di euro, cui si aggiungono diversi costi indiretti. Per convincere i cittadini, colpiti dai tagli alle spese sociali, che occorrono altri fondi per l’Afghanistan, si racconta che essi servono a portare migliori condizioni di vita al popolo afghano.

E i Frati del Sacro Convento di Assisi hanno donato al presidente Mattarella la «Lampada della pace di San Francesco», riconoscendo in tal modo che «l’Italia, con le missioni dei suoi militari, collabora attivamente per promuovere la pace in ogni parte del mondo».

NoTav - niente è un caso il voto in Parlamento sul Tav in Val di Susa, Pd, Lega, Forza Italia dimostra che questi partiti sono parte integrante del Sistema massonico politico che spolpa l'Italia da decenni

Grandi opere, grande ’ndrangheta, piccoli cittadini. Dal 1943
Gialloverdi, gialloneri, TAV: "Ce la mangiamo io e te la Torino-Lione

di Fulvio Grimaldi
27 dicembre 2019

Da Mario Monforte (“Il Ponte”) ripubblico in calce questa denuncia dei No Tav sulle commistioni TAV-MAFIE-+EUROPA venute alla luce da iniziative della magistratura, fatti di cronaca e episodi già rivelati in passato da indagini degli stessi NO Tav (criminalizzati e perseguitati anche per questo). Commistioni occultate dai media in coerenza con l’etica del giornalismo italiano e dei suoi organi rappresentativi, escluso l’altrimenti malemerito “Fatto Quotidiano”.

Si tratta di fatti sconvolgenti, ma non sorprendenti, relativi agli interessi e complicità che muovono quest’opera inutile, di spreco spaventoso e dalle conseguenze distruttive sul piano ambientale, sociale e politico. Una Grande Opera, grande esclusivamente per le dimensioni della devastazione e il tasso di cinismo di chi ne trae profitto, contro cui da trent’anni si batte tutta una comunità e la parte migliore del paese, pagandone un prezzo altissimo in termini di mazzate poliziesche, giudiziarie e mediatiche. Grande Opera tentacolo di uno Stato-mafia che ha i suoi consolati, i suoi servizi segreti, le sue forze dell’ordine su ogni lembo del territorio nazionale. Grande Opera di cui i cittadini titolari di quella terra hanno percepito la portata regressiva e delinquenziale, non solo per le comunità e l’ambiente interessati direttamente, ma anche sul piano morale e culturale che caratterizza l’approccio del totalitarismo globalista al pianeta tutto e ai suoi abitanti. Se ne dà testimonianza anche nel mio documentario “Fronte Italia-Partigiani del 2000”.

Opera (No Tav Valsusa, No Tav Terzo Valico, No Tav sotto Firenze) che, simbolicamente e sul piano della continuità storica, conferma quello che è, dal 1943, sbarco degli americani in Sicilia in base a un accordo con la mafia, al di là della “costituzione più bella del mondo”, il tratto saliente, malavitoso, della classe dirigente postfascista. Classe di dominanti che carnevalescamente maschera il fascismo postmoderno, biopolitico e tecnologico, suo e delle società occidentali, facendo inneggiare all’antifascismo sardine in piazza, corporazioni e caste varie. Dobbiamo a questa piovra le centinaia di vittime delle stragi da “terrorismo”, ovviamente mai scoperchiate, se non da teorici del “complottismo”, finalizzate a mantenere in piedi uno status quo occasionalmente minacciato da ventate di “odio populista e sovranista” per ladri, ladrocinii e saccheggi. E i militanti No Tav della Valsusa e del Terzo Valico, più che per aver opposto striscioni ai manganelli, e mortaretti agli idranti, anche per aver indicato e documentato i consorzi malavitosi che fanno capo all’impresa, hanno subito indecenti abusi repressivi.

Il tema TAV ha determinato quello che forse è il più radicale fallimento del governo detto gialloverde e la crisi del Movimento Cinquestelle che ora, con l’ulteriormente degradante alleanza con PD e renzismo, minaccia di divenire irreversibile, almeno nei suoi quadri dirigenti. Da una parte la Lega del demagogo Salvini, asservita in ogni sua componente agli interessi del grande capitale mafio-neoliberista nazionale ed europeo, fintamente sovranista e interamente compresa nello schieramento capitalimperialista dei guerrafondai, devastatori dell’ambiente e fautori di un controllo orwelliano su un’umanità di sudditi espropriata, livellata e de-identificata. Dall’altra, in perfetta sintonia strategica, non contraddetta dalle sceneggiate di sardine e altri, il nuovo partner “nero” dei Cinquestelle, propagandisticamente e per puro opportunismo bipolarista definito “sinistra” o “centrosinistra”. Ambedue, nel segno di un bipolarismo finto e di un monopolarismo effettivo, con davanti lo stesso pifferaio.

A questi due schieramenti minoritari, che costituiscono la tenaglia mortale a cui Unione Europea e Nato hanno affidato il controllo e la cattiva sorte degli italiani, guidati in entrambi i casi, gialloverde e giallonero, nella tradizione del migliore trasformismo italiano, da un classico prodotto del clerical-atlantismo democristiano, il Movimento Cinquestelle ha consegnato la sua maggioranza parlamentare. L’altroieri con il grottesco voto a salve anti-Tav in parlamento, che comunque non metteva minimamente in discussione, anzi, la subalternità ai soci e al premier, ieri con lo scandaloso voto all’iperausteritaria Von der Leyen, presidente del consesso di euro-eunuchi (e già sotto accusa per malversazioni da ministro della Difesa tedesco) e oggi, nascosto sotto un ridicolo rinvio, con il consenso al MES, arma-fine-d’Italia.

Vi lascio alla lettura della denuncia dei No Tav (nel link) e del commento sottostante, nonché a una torta per la nascita dell’anno nuovo, con sopra alcune candeline anti-mafia e anti-mafiosità: quella della prescrizione bloccata dal primo giudizio, quella del bavaglio alle intercettazioni strappato all’ex-ministro PD Orlando (auguri, Alfonso Bonafede), quella di un reddito che ha tolto dalla miseria due milioni e mezzo di persone. E teniamo in serbo quella che strappa dagli artigli dei malversatori le autostrade del paese, altrettante forche caudine, a volte mortali. Per il resto ci alziamo sulla punta dei piedi e guardiamo oltre le Alpi, nelle piazze e nelle rotonde di Francia.

* * * *
Da Mario Monforte

No tunnel Tav Firenze: per chi ha voglia di brutte notizie un articolo in cui si parla di come emissari delle ’ndrine incontrano candidati di FI e +Europa nella compravendita di voti. Tutto per fare il Tav piemontese. Da NoTav.Info: https://www.notav.info/top/ndranghetav-lincontro-tra-il-boss-e-i-parlamentari-di-fi-e-europa-riprendere-i-lavori-in-val-susa/?fbclid=IwAR2vUWMQ834Xx0ZVZZQAmqWVqGId-p8tG1gHtwyCQgXAsGfXuDTnYKc-YHY, 21.12.2019

Ndranghetav. L’incontro tra il boss e i parlamentari di FI e +Europa: «riprendere i lavori in Val Susa». Mentre ieri l’attenzione di tutti si concentrava sull’arresto per scambio politico-mafioso di Roberto Rosso, una notizia bomba tichettava nelle carte dell’inchiesta sulla ’ndrangheta in Piemonte. Negli atti dell’inchiesta, ancora secretati ma usciti grazie a una fuga di notizie, non c’è solo l’assessore degli striscioni «sí-tav» in Comune ma si parla anche di un altro incontro tra esponenti politici di altissimo livello e le cosche piemontesi. È il 24 febbraio 2019. A Nichelino si incontrano Francesco “Franco” Viterbo, portavoce del boss Onofrio Garacea, e alcuni onorevoli. Garacea è esponente del clan Bonavota ed è considerato “il reggente dei calabresi” tra Genova e Torino. Come riferirà Viterbo al patron del cosche del basso Piemonte, all’incontro sono presenti esponenti di spicco della politica nazionale, tra gli altri, «Napoli e Bertoncino». Si tratta con tutta probabilità della candidata alle europee per +Europa, Maurizia Bertoncino, e del deputato di Forza Italia, Osvaldo Napoli. Il colonnello forzista è uno dei piú accaniti sostenitori del Tav in Piemonte, da oltre 15 anni instancabile garante degli interessi opachi che si nascondono dietro la nuova Torino-Lione: già sindaco di Giaveno, promotore di uno dei primissimi esprimenti di movimento «sí-tav» nel 2010, non perde occasione per chiedere di arrestare i «no-tav» come terroristi, accoglie con giubilo ogni avanzamento dell’opera, elargisce solidarietà ai poliziotti che proteggono il cantiere, pretende la chiusura dei centri sociali torinesi accusati di dar manforte ai valsusini nella battaglia contro l’alta velocità. Piú importante ancora, l’on. Napoli dal 2013 ha affiancato Paolo Foietta come vice-presidente dell’Osservatorio ministeriale alla realizzazione dell’asse ferroviario Torino-Lione. Quanto a +Europa, il partito della Bonino in Piemonte fa del Tav letteralmente la sua bandiera nella campagna elettorale, arrivando a battezzare la lista per le europee «+Europa-sitav».

In quei giorni, il dibattito sulla seconda Torino-Lione imperversava in tutta Italia. […] l’analisi-costi benefici del MIT ha attestato che l’opera, oltre a un impatto ambientale devastante sull’arco alpino, è in perdita per diversi miliardi di euro. Dopo 20 anni di battaglie, il progetto Tav sembrava ormai arrivato al capolinea. È in questo momento che boss e deputati convengono sulla necessità di «dover prendere il paese in mano». Che significa? Il punto di convergenza tra le parti il 24 febbraio è sulla necessità che «i lavori presso i cantieri della Tav di Chiomonte devono proseguire».

Il resto è storia. Nel maggio 2019 il futuro consigliere regionale di FdI Roberto Rosso compra da Garacea pacchetti di voti dalle ’ndrine calabresi e viene eletto con il record di preferenze nella giunta di Alberto Cirio. Il 23 luglio il governo giallo-verde, per bocca del presidente del consiglio Conte, smentisce l’analisi costi benefici e annuncia che il Tav verrà finanziato. Il deputato Osvaldo Napoli dichiara «la Tav va avanti, come il buon senso vuole è una vittoria per l’Italia con ciò si conferma che l’ideologia della decrescita felice è stata e rimane il piú grande ostacolo allo sviluppo dell’Italia. Con la decisione sulla Tav, Conte si pone come naturale punto di equilibrio fra la maggioranza e le opposizioni». Il 9 agosto, a poche settimane dall’insediamento, Cirio visita il cantiere del tunnel geognostico di Chiomonte in compagnia del direttore di Telt Mario Virano e del consigliere Rosso, e dichiara «l’opera è irreversibile, è venuto il momento di far ripartire i lavori».

Questi fatti sono noti in tutte le redazioni del nostro paese. Nessun quotidiano nazionale né Tg però ne sta parlando, se non su qualche sperduto trafiletto. Per mesi hanno pompato ogni minchiata riguardante il Tav, sperticandosi sui dettagli della cromatura della talpa Federica o il guardaroba delle “madamin”, ma il fatto che la ’ndrangheta ordini a dei parlamentari di continuare con la piú controversa opera pubblica in Italia non è degno di nota. Come definire un’informazione del genere? Distratta? Complice? Collusa? Quanto a questa vomitevole macchina che vuole spolpare il nostro territorio, nota anche come Tav, che pieghino armi e bagagli e non si facciano mai piú vedere. A cambiare i cartelli della Val di Susa in Val di Scusa ci pensiamo noi.

Approfondimento e storia dei derivati, quel cumulo si spazzatura che la Deutsche Bank e non sola detengono nella loro pancia

Derivati finanziari: salvare il sistema per non cambiarlo

di Giovanna Cracco
22 dicembre 2019


Derivati finanziari. Li abbiamo conosciuti nel 2007, non come la miccia che ha innescato la crisi dei subprime ma la benzina che ha trasformato l'esplosione di una bolla in un enorme incendio, poiché erano il liquido su cui galleggiava il sistema finanziario mondiale. Per qualche tempo sono stati sulle pagine dei quotidiani, economici ma non solo, nel tentativo di capire cosa fosse accaduto, dopodiché sono tornati nell'ombra nella quale vivono e proliferano. Hanno di nuovo fatto una fugace comparsa l'estate scorsa, quando Deutsche Bank ha presentato il piano di ristrutturazione per non fallire - creazione di una bad bank dove scaricare i titoli spazzatura e licenziamento di 18.000 persone sugli attuali 91.700 dipendenti - con un numero che è difficile afferrare perché sfugge alle scale di grandezza a cui riusciamo a dare un significato: 48.000 miliardi di euro è il valore nominale dei derivati oggi detenuti dalla banca tedesca (1). Per inserire la cifra in un discorso di senso, il Pil italiano nel 2018 è stato di 1.753 miliardi, pari dunque al 3,65% dell'ammontare dei derivati della Deutsche Bank. Una sola banca possiede titoli finanziari per un valore nominale equivalente a più di 27 volte il prodotto interno lordo di un Paese di 60 milioni di abitanti, la settima potenza manifatturiera al mondo. E questo all'alba di una recessione economica e in una fase di bolle sui mercati (2). Significa che dal 2007 nulla è cambiato? Qual è oggi la situazione nell'universo parallelo dei derivati finanziari?

Future e opzioni sono esistiti fin dalla seconda metà deN'800: al Chicago Board of Trade si scambiavano quelli sul grano per tutelarsi dalle variazioni di prezzo dovute alla ciclicità della produzione e per un secolo furono legati solo alle commodities

Per comprendere il presente occorre fare un passo indietro. Semplificando il più possibile, un derivato è un prodotto finanziario il cui valore dipende dal valore di un altro titolo, definito 'sottostante', che può essere, nei casi più semplici, un tasso di interesse, un tasso di cambio, un indice di mercato, un rischio di credito, un titolo azionario, una materie prima; nei casi più complicati, il valore dipende da un altro derivato - i famigerati CDO al quadrato e al cubo dei mutui subprime. In origine, i derivati erano contratti bilaterali che avevano la funzione di tutelarsi da rischi: fissare oggi il prezzo al quale comprerò/venderò una materia prima fra sei mesi (future), fissare la possibilità, e non l'obbligo, di acquistarla (opzione). In questa forma, future e opzioni sono esistiti fin dalla seconda metà dell'Ottocento: al Chicago Board of Trade si scambiavano quelli sul grano, per tutelarsi dalle variazioni di prezzo dovute alla ciclicità della produzione e delle scorte, e per un secolo furono contratti legati solo alle commodities, le materie prime.

Con la fine di Bretton Woods il tasso di cambio divenne un sottostante su cui costruire un derivato per tutelarsi dalle oscillazioni e nel 1977 anche i tassi di interesse divennero sottostanti: slegati da una merce nei future e nelle opzioni entrò la logica speculativa

Tutto cambiò negli anni '70 del Novecento. Con il crollo di Bretton Woods e l'avvio di un sistema di cambi a tasso variabile tra valute, il tasso di cambio stesso divenne un sottostante su cui costruire un titolo derivato per tutelarsi dalle oscillazioni; nel 1972 fu istituito un mercato monetario all'interno del Chicago Mercantile Exchange, specializzato nelle transazioni di future sulle valute estere; nel 1977 anche i tassi di interesse divennero sottostanti e furono creati future sui titoli di Stato statunitensi. Slegati da una merce, il passo per fare entrare la logica speculativa nei future e nelle opzioni fu breve.

Divenuti titoli standardizzati e liquidi e non più contratti bilaterali, data la creazione del mercato, cominciò a investire in future anche chi non aveva alcuna intenzione di compra-re/vendere il sottostante, e quindi 'liquidava' l'impegno prima della scadenza con un future di segno opposto: l'ottica non era più quella di tutelarsi dalla fluttuazione dei prezzi, ma di guadagnare speculando sulla differenza della quotazione.

Parallelamente, nel 1977 si iniziarono a scambiare opzioni che davano il diritto di vendere il sottostante e non più solo di acquistarlo, come fino a quel momento. La copertura dal rischio di oscillazione del prezzo sta solo nella scelta di comprare, che esercito se il valore stabilito nell'opzione è inferiore all'attuale quotazione del mercato, perché in caso contrario mi conviene non esercitare l'opzione e acquistare il bene al prezzo corrente; ma se introduco anche il diritto di vendere, non mi sto tutelando da un aumento del valore, sto speculando approfittando del prezzo più alto fissato nell'opzione rispetto a quello del mercato.

I credit default swap (CDS) che assicurano contro il fallimento dell'ente che emette il titolo sottostante possono portare a rendere più conveniente il fallimento stesso e il rischio diviene un fattore positivo per la finanza e non più qualcosa da cui tutelarsi

Seguirono gli swap, derivati che stabiliscono uno scambio di denaro tra due controparti nell'ottica di coprirsi da un rischio di fluttuazione (interessi a tasso fisso contro tasso variabile, valuta contro un'altra ecc.) a cui si aggiunsero i credit default swap (CDS), che assicurano contro il fallimento dell'istituzione che emette il titolo sottostante. Senza entrare nei dettagli tecnici, questi ultimi, proteggendomi da un rischio fallimento possono portare, in una logica speculativa, a rendere più conveniente il fallimento stesso, e dunque il rischio diviene un fattore positivo per la finanza dei derivati e non più qualcosa da cui tutelarsi - è una delle ragioni per cui l'espansione dei mutui subprime non ha avuto freni, nonostante fossero considerati estremamente rischiosi, e i CDS furono tra i protagonisti attivi della crisi.

Figura 1. Fonte: Mediobanca, “Dati cumulativi delle principali banche internazionali”, luglio 2019

Il neoliberismo avviato da Reagan con la legge sulla deregolamentazione bancaria del 1982, completata da Clinton nel 1999 con l'abolizione del Glass-Steagall Act e con il Commodity Futures Modernization Act del 2000, che stabiliva in modo definitivo che 
il mercato dei derivati non andava regolato, sono stati l'architettura politica che ha disegnato l'attuale sistema. 
L'Europa è andata dietro. Lo sviluppo della tecnologica e dell'informatica, hardware e software, ha poi reso possibile la creazione di titoli sempre più complessi e operazioni finanziarie che mettono insieme future, opzioni, swap e giocano h24 su più scenari e su più tavoli nei mercati mondiali; il mondo dei derivati è diventato immenso, sconosciuto e incontrollato.

Per capire a che punto siamo oggi, come prima cosa c'è da registrare che avere dati certi sui derivati non è possibile: si possono incrociare informazioni e proiettare scenari verosimili, nulla di più. Al punto da trovarsi con sorprese tra le mani che per qualche giorno accendono visioni inquietanti, per poi scomparire. Come a dicembre 2018, quando il Sole 24 ore lanciava l'allarme (3). Fino a quel momento solo la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bis) forniva dati sui derivati, e a fine 2017 li aveva quantificati, a livello mondiale, in 622.000 miliardi di dollari di valore nominale (al cambio, 550.000 miliardi di euro); a ottobre 2018 esce il primo rapporto sui derivati prodotto dall'Esma, l'autorità europea per la vigilanza sui mercati finanziari creata nel 2011, che fotografa i soli titoli trattati sul mercato europeo, e dichiara che a fine 2017 ammontano a 660.000 miliardi di euro: un numero ben più alto della cifra fornita dalla Bis, a livello mondiale. Data per buona la valutazione di quest'ultima che ha sempre indicato che la componente europea del mercato dei derivati rappresenta meno di un quarto del totale globale, ci si è improvvisamente trovati davanti a un ipotetico valore di 2,2 milioni di miliardi di derivati: 33 volte il Pil mondiale ma soprattutto, quattro volte il numero che fino a quel momento si credeva.

Tuttora la Bis conferma il dato, nel report del 9 novembre scorso, dove riporta che a giugno 2019 i derivati scambiati sui mercati mondiali sono pari a 640.000 miliardi di dollari, mentre l'Esma, al momento in cui si scrive, non ha ancora pubblicato il rapporto di quest'anno. Su quale delle due istituzioni fare maggiore affidamento?

La legge di Reagan sulla deregolamentazione bancaria del 1982 completata da Clinton nel 1999 con l'abolizione del Glass-Steagall Act e con il Commodity Futures Modernization Act del 2000 sono stati l'architettura politica che ha disegnato l'attuale sistema

Il problema di fondo è uno, e genera tutto il resto: solo una piccola parte dei derivati è negoziata sui mercati regolamentati: il 14,5% per la Bis e il 17,8% per l'Esma. Più dell'80% si muove sui cosiddetti OTC, mercati over the counter, piattaforme digitali, spesso istituite da banche, che essendo deregolamentate sono un tana liberi tutti. Non è dato sapere quanti derivati siano standardizzati, e dunque liquidi perché come ogni prodotto standard sono facilmente scambiabili, e quanti invece siano costruiti ad hoc e si muovano in transazioni bilaterali e quindi non abbiano di fatto certezze di liquidità (se li vuoi vendere nessuno te li compra: qualcosa ne sa la Deutsch Bank con i suoi titoli spazzatura...). Per questi ultimi, ciò significa che il valore del derivato è desunto dalle quotazioni di titoli comparabili o, addirittura, manchi qualsiasi riferimento e il valore è determinato in modo discrezionale dalla banca che li ha emessi sulla base di propri modelli interni. Non siamo nemmeno a una mano di blackjack, dove mi prendo un rischio a fronte di un calcolo; siamo alla slot machine, butto dentro una moneta e tiro la leva.

Figura 2. Fonte: Mediobanca, “Dati cumulativi delle principali banche internazionali”, luglio 2009

Ma il punto è che il sistema è fondamentalmente ancora quello della crisi del 2007. Qualcosa è stato regolamentato, ma sia a livello europeo che statunitense si è solo cercato di spingere il mondo dei derivati verso la standardizzazione dei contratti e la loro circolazione sui mercati ufficiali, senza imporre nulla - e senza riuscirci, visto l'80% che si muove ancora sugli OTC. Si sono poi create clearing, ossia società che si pongono come controparti terze a garanzia delle negoziazioni negli OTC, ma non per tutti gli attori in campo né per tutte le tipologie di derivati. L'Europa ha fatto qualcosa di più degli Stati Uniti: ha imposto dal 2014 che tutti i contratti derivati negoziati nella Ue siano almeno comunicati all'Esma, mentre negli USA l'obbligo è meno stringente (solo alcune tipologie di contratti e solo da parte di alcune istituzioni). Ne consegue che i dati dell'E-sma sono i più attendibili oggi esistenti. Tra l'altro la Bis si basa su informazioni fornite volontariamente da circa 70 grandi istituzioni finanziarie globali, niente di più. Probabile dunque che siamo davvero davanti a derivati pari a 33 volte il Pil mondiale.

Grafico 3. Valore nominale derivati finanziari, dati globali Bis. Fonte: Banca dei Regolamenti Internazionali (Bis)

Esiste anche qualche altro dato da poter incrociare. L'ufficio studi di Mediobanca pubblica un report annuale sui "Dati cumulativi delle principali banche internazionali": 67 gruppi bancari in totale, dell'area Europa (28), Giappone (15) e Stati Uniti (14). Vi compaiono anche informazioni sui derivati, relative alle prime dieci banche con il maggiore ammontare a bilancio. L'ultimo report, uscito a luglio scorso, contiene i dati del 2017 (vedi figura 1, pag. 8 dove spicca infatti Deutsche Bank). Se confrontati con quelli del 2007 (vedi figura 2, pag. 9), si ricava che la situazione non è cambiata di molto: 329.000 miliardi di euro nel 2007 contro 298.000 nel 2017. Una leggera flessione, in linea con la curva evidenziata anche dal report della Bis sulle informazioni parziali raccolte dall'istituzione (vedi grafico 3, pag. 10): 586.000 miliardi di dollari nel 2007 e 532.000 nel 2017 (4). Già aumentati però ai sopra citati 640.000 miliardi a giugno 2019.

Non è possibile avere dati certi sui derivati, si possono solo incrociare informazioni e proiettare scenari verosimili: a fine 2017 sono 2,2 milioni di miliardi pari a 33 volte il Pil mondiale e quattro volte il numero che si credeva

Il rischio sistemico insito nei derivati non è dato dalla cifra del loro valore nominale, che fornisce solo un'indicazione sulla dimensione (spaventosa) del fenomeno ma non viene mai scambiato tra chi acquista e chi vende e rappresenta unicamente la base per il calcolo dell'importo della contrattazione; il rischio è la leva. Per acquistare un titolo derivato è sufficiente avere una piccolissima percentuale del suo valore, meno del 10%: ciò significa che se va bene ho un guadagno altissimo, se va male perdo anche soldi che non ho, e se sono una società vuol dire andare sotto al valore del patrimonio e dunque fallire - quel che è successo alla Lehman Brothers e che sarebbe accaduto a molte altre realtà finanziarie se non avessero avuto iniezioni di denaro dagli Stati.

Profitti privati, perdite pubbliche è la conseguenza di questo rischio sistemico. 
Che, valga un inciso, abbiamo visto in azione in Europa molto più che negli USA, che hanno sovranità monetaria, e dunque sovranità di politica economica, e una banca centrale che dialoga con la politica, com'è logico che sia: il giorno dopo il 'lunedì nero' del 15 settembre 2008 la Fed ha annunciato un piano di 85 miliardi per il salvataggio di AIG, immediatamente nazionalizzata per il 79,9%, e il 3 ottobre il Congresso ha approvato il Troubled Asset Relief Program (TARP), acquisto di titoli tossici dalle banche in difficoltà per 850 miliardi. Il resto è storia: montagne di dollari stampati e immessi nel circuito bancario a partire dal 2009 e nazionalizzazioni ad libitum di banche. La Bce è rimasta di fatto immobile fino al Qe del marzo 2015.

Grafico 4

Il rapporto debito pubblico/Pil del-l'Irlanda nel 2007 era il 23,9% (5), dopo aver salvato le banche con 85 miliardi sale all'86% nel 2010; quello del Portogallo era il 72,7%, corre in soccorso del sistema bancario con 78 miliardi e arriva al 100,2%; in Spagna era il 35,8%, dati 100 miliardi alle banche segna quota 60,5%. Denaro prestato dall'allora troika (Fmi, Bce e Commissione europea) in cambio di politiche neoliberiste - e queste sono le perdite pubbliche: le privatizzazioni, la precarizzazione del lavoro, i tagli al welfare.

Grafico 5

Quando a Deauville, nel 2010, Merkel e Sarkozy decidono e dichiarano che il secondo prestito alla Grecia debba essere concesso solo a fronte di una ristrutturazione del suo debito pubblico, la speculazione si lancia prima sui bond irlandesi, poi su quelli portoghesi, poi è il turno della Spagna e dell'Italia, mentre l'impennata di vendite sul mercato trasforma i titoli sovrani del Paese ellenico in carta straccia. Nessuno fino a quel momento aveva creduto possibile che l'Unione europea avrebbe fatto fallire uno Stato appartenente all'area dell'euro. Nel 2012, quando la Grecia viene obbligata a ristrutturare il debito, il mercato dei derivati CDS legati alle obbligazioni greche tocca punte mai viste (vedi grafico 4, pag. 11). Gli speculatori guadagnano dal suo fallimento mentre a fine 2017 il 34,8% della sua popolazione, a causa delle politiche di austerity imposte in cambio dei prestiti, è ancora a rischio povertà.

Il sistema è di base ancora quello della crisi del 2007: si è cercato di spingere il mondo dei derivati verso la standardizzazione dei contratti e la loro circolazione sui mercati ufficiali senza imporre nulla e non riuscendovi

Oltre al problema sistemico, c'è l'influenza che la speculazione dei derivati produce sul valore del sottostante. Nel 2008 le 'rivolte del pane' esplodono in più di 30 Paesi, dall'Egitto, alla Thailandia, alla Costa d'Avorio. Annusata l'aria del crollo incombente sui titoli legati al comparto immobiliare, una massa di denaro in cerca di profitti si sposta sui derivati delle commodities agricole, facendo impennare il prezzo di riso, grano e mais (vedi grafico 5, pag. 12). Non è l'unico fattore a innescare la crisi - dipese anche dalla medesima logica speculativa applicata alla quotazione del petrolio, che a luglio 2008 tocca il record di 145 dollari al barile - ma è sempre così, perché i derivati agiscono in logica parassitaria, ampliando i fenomeni. Ci furono morti, fame, aumento della povertà.

Tracciato il quadro, a che punto siamo dopo dieci anni. In Europa, il Meccanismo europeo di stabilità vuole rendere pratica ordinaria - e ancora più rapida, con l'introduzione delle CACs single limb - ciò che per la Grecia è stato percepito come eccezionale ed emergenziale. E poco importa se l'eventualità della ristrutturazione del debito era contenuta anche nell'accordo pre-riforma, è la sua normalizzazione a essere un invito alla finanza speculativa dei derivati a banchettare sulla vita delle persone. Certo il problema di fondo restano l'euro e la sua struttura, ma questo è un altro discorso più volte affrontato (6).

Sul piano della normativa, la politica, statunitense ed europea, ha creato nuove istituzioni di controllo, obblighi informativi, regole più stringenti per la solidità delle banche. Ma non ha toccato la struttura del sistema. La deregolamentazione del mercato OTC è sempre lì, i derivati sono i medesimi e agiscono nello stesso modo. L'obiettivo è cercare di vedere in anticipo una crisi sistemica, sperando di riuscire a prevenirla; guardare e non toccare; lasciare la speculazione libera di agire; salvare il sistema per non cambiarlo.

Quando metteremo in discussione questa struttura economica dalle sue fondamenta? Quando torneremo a ragionare per andare in piazza con qualcosa di diverso da un cartello con sopra disegnato un pesce?

Note
1) Cfr. I. Bufacchi, Deutsche Bank "si reinventa": ecco i 5 punti del piano di ristrutturazione, Il Sole 24 ore, 8 luglio 2019,https://www.ilsole24ore.com/art/deutsche-bank-si-reinventa-ecco-5-punti-piano-ristrutturazione-ACOw6NX
2) Cfr. Giovanna Cracco, Bolla finanziaria. È in arrivo la (seconda) tempesta perfetta?, Pagi-nauno n. 64/2019
3) Cfr. A. Olivieri, Banche, allarme derivati: valgono 33 volte il Pil mondiale, Il Sole 24 ore, 6 dicembre 2018,https://www.ilsole24ore.com/art/banche-allarme-derivati-valgono-33-volte-pil-mondiale-AErENbtG
5) Dati Eurostat, questi e i successivi
6) Cfr. Articoli sull'Unione europea, a firma di Giovanna Cracco, a far data da dicembre 2010, quihttp://www.rivistapaginauno.it/ar-ticoli-Europa.php

Libia - spostare i nostri militari dall'Afghanistan a misurata è nella logica delle cose, ed è il primo passo da fare

Libia: mercenari sudanesi al fianco di Haftar, siriani con Sarraj

27 dicembre 2019 
di Redazione in News


(aggiornato alle ore 19,15)

In Libia, diverse centinaia di mercenari sudanesi stanno combattendo nei ranghi dell’Esercito Nazionale Libico del generale Khalifa Haftar contro il Governo di accordo nazionale (GNA) del premier Fayez al-Sarraj internazionalmente riconosciuto.

Si tratta di circa 3 mila combattenti secondo il quotidiano britannico The Guardian guidati dai leader di due gruppi armati sudanesi attivi in Libia. Le fonti citate dal giornale sostengono che ci sono state centinaia di nuove reclute negli ultimi mesi.

“Tanti giovani uomini che non sappiamo nemmeno come sistemare, proprio perchè numerosissimi” ha detto uno dei due comandanti nel sud della Libia aggiungendo che ci sono “almeno 3.000 uomini” che combattono a libro paga di Haftar.

Secondo un comandante sudanese citato dalla stessa fonte, il loro intervento sarebbe stato cruciale nella occupazione dei campi petroliferi strappati alle forze del GNA.

I miliziani sudanesi sarebbero stati per lo più reclutati nell’ instabile regione occidentale del Darfur, dove negli ultimi anni hanno preso parte a diverse insurrezioni armate contro il regime di Omar Hassan al Bashir, deposto lo scorso aprile. Altri combattenti hanno invece raggiunto la Libia con i propri mezzi con l’idea di arruolarsi. I comandanti sudanesi operativi in Libia hanno riferito che per loro si tratta di “una soluzione temporanea per procurarsi risorse economiche, armi e munizioni necessarie: una volta la missione terminata torneremo a combattere lo Stato sudanese”.

Dopo la destituzione di Bashir, il loro prossimo bersaglio in patria sarà il nuovo governo di transizione a Khartoum, “non diverso dal precedente regime dittatoriale”, hanno insistito i miliziani sudanesi. Secondo alcuni esperti militari Haftar avrebbe fatto arrivare in Libia anche un importante contingente dei temuti paramilitari sudanesi delle Forze di sostegno rapido (Rsf), circa un migliaio di uomini, arruolati con l’aiuto di un signore della guerra, Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti.


In patria sono accusati di crimini mentre in Libia sono anche coinvolti in varie attività illegali, tra cui contrabbando e tratta dei migranti in viaggio verso l’Europa. La presenza di combattenti sudanesi era già stata denunciata nelle scorse settimane da un gruppo di esperti di Onu, in un rapporto di 376 pagine consegnato al Consiglio di sicurezza.

Sauditi ed emiratini già da tempo finanziano l’impiego di truppe e volontari sudanesi nel conflitto in atto dal 2015 nello Yemen contro i ribelli sciti Houithi.

La presenza di combattenti sudanesi al fianco dell’LNA non è certo l’unico caso di combattenti stranieri in Libia. I turchi affiancano il GNA mentre contractors statunitensi, russi e di mezzo mondo pagati dagli Emirati Arabi Uniti sostengono l’LNA insieme a miliziani ciadiani e di altre nazionalità.

in vista dell’annunciato sbarco a Tripoli di 5mila militari turchi, Ankara sembra apprestarsi ad inviare in Tripolitania gruppi di ribelli siriani filo-turchi da impiegare a sostegno del governo di Accordo nazionale (Gna) di Fayez al-Sarraj contro le forze delgenerale Khalifa Haftar. Lo ha detto ieri un alto funzionario del governo di Tripoli, citato da Bloomberg e ripreso da media turchi.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ong con sede a Londra vicina agli oppositori del governo di Damasco) , gruppi di ribelli siriani filo-turchi hanno attivato ad Afrin (cittadina siriana di confine da tempo occupata dai turchi) almeno 4 centri di recutamento di combattenti da inviare in Libia offrendo una paga che oscillerebbe tra i 1.800 e i 2.000 dollari al mese oltre ad altri servizi non meglio specificati. La notizia sarebbe trapelata da miliziani schierati tra le citta’ di frontiera di Afrin e Tal Abiad ai quali è stato proposto di combattere in Libia.

Foto Libya Observer