Ultima frontiera
L’annunciata fine delle relazioni bilaterali tra Palestina e Israele-Usa ha cominciato a produrre i suoi primi effetti. Ma Israele continua a spada tratta.Lorenzo Palaia6 giugno 2020
La dichiarazione pubblica di Mahmoud Abbas del mese scorso – in cui tirava fuori l’Autorità Nazionale Palestinese, di cui è presidente,
dall’obbligo di osservanza degli accordi fin qui sottoscritti con Israele e gli USA – ha cominciato a produrre le sue prime rilevanti conseguenze. Inizialmente molti osservatori si chiedevano cosa avrebbe comportato, dato che l’esistenza stessa dell’ANP è sancita con gli accordi di Oslo, e che la Palestina è largamente dipendente dallo Stato occupante anche economicamente. Non trattandosi di un vero e proprio ritiro unilaterale da uno specifico trattato, ma più che altro di una generale dichiarazione di distanziamento, la Corte Internazionale di Giustizia ha chiesto chiarimenti all’ANP, che li dovrà fornire entro il 10 giugno.
Intanto però dalle parole i palestinesi sono passati ai fatti, con il ritiro quasi immediato delle loro forze dall’Area B, la seconda area per estensione percentile della Cisgiordania, regolata dall’amministrazione congiunta israelo-palestinese. L’obiettivo è quello enunciato da Abbas: mettere lo Stato ebraico
di fronte alle sue responsabilità di occupante qual è, di cui l’ANP non vuole farsi corrèa nel momento in cui si prepara a un’ulteriore mutilazione territoriale. Più recentemente poi l’Autorità Palestinese ha detto di non voler accettare i pagamenti diretti del governo israeliano. Ѐ bene ricordare infatti che i palestinesi non sono dotati di un proprio porto o aeroporto,
non costituendo uno Stato sovrano, per cui i trasferimenti dall’erario israeliano sono una fondamentale risorsa cui gli arabi rinunciano a caro prezzo, potendo contare ora solo sugli aiuti provenienti dalla comunità internazionale. Proprio il 2 giugno, il primo ministro Shtayyeh ha denunciato all’AHLC – l’organismo che riunisce i paesi e le agenzie internazionali che inviano aiuti alla Palestina – la continua e pervicace elusione da parte dello Stato ebraico delle risoluzioni dell’ONU e degli accordi di Oslo, di cui il piano di annessione (il “piano del secolo” di Donald Trump) è il culmine e la sconfessione suprema.
L’ANP torna a rivendicare come sempre uno Stato indipendente e sovrano sui confini del 1967 e con Gerusalemme Est capitale, mentre Israele vorrebbe Gerusalemme tutta per sé come capitale indivisa ed eterna, l’annessione di tutti gli insediamenti illegali finora eretti in Cisgiordania e della fertilissima Valle del Giordano. Un piano del genere potrebbe riaccendere il conflitto non solo con il Libano e la Siria, ma anche con la Giordania, con cui vige un trattato di pace. Il re del Regno Hashemita Abdullah II in un’intervista a «Der Spiegel» ha preannunciato l’esplosione di un conflitto di vaste proporzioni nel caso in cui il piano Trump dovesse andare avanti. Questo non sembra bastare a far desistere i vicini: il Ministro della Difesa Gantz – che finora sembrava più reticente dell’alleato di governo a voler implementare il piano senza il consenso della comunità internazionale – ha informato il Capo di Stato Maggiore di prepararsi all’annessione dei territori il prossimo luglio. Staremo a vedere se il divorzio palestinese produrrà qualche effetto concreto, richiamando l’attenzione di una comunità internazionale che sembra aver abbandonato ogni speranza di risoluzione del conflitto.
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